Giuffré Editore

Gli accordi di reintegrazione della legittima

Alessandro Torroni

Notaio in Forlì



Il diritto alla quota di legittima

A favore del coniuge, della parte dell’unione civile[[1]], dei figli[[2]], a cui sono equiparati i figli adottivi, e degli ascendenti, ove manchino figli, la legge riserva una quota di eredità, la cd. Legittima. A favore dei discendenti dei figli, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli (cfr. art. 536 e seguenti c.c.).

L’istituto della legittima rappresenta un limite alla piena facoltà di disporre dettato da motivi di solidarietà familiare e di dovere naturale[[3]].

La legittima è intesa in dottrina quale diritto ad una porzione di beni, di valore corrispondente ad una certa frazione della massa, costituita dal patrimonio complessivo netto del de cuius[[4]]. Il testatore è libero, nell’attribuzione dell’asse ereditario, di stabilire i beni che intende lasciare ai legittimari con il solo limite che deve soddisfare le ragioni dei legittimari con beni che devono essere compresi nell’asse ereditario[[5]]. 

Secondo l’opinione dominante, accolta dalla giurisprudenza, il testatore non potrebbe soddisfare la legittima assegnando ad un legittimario un diritto di credito verso un coerede[[6]]. A riprova dell’assunto, si afferma in dottrina che nei lavori preparatori del ’42 fu respinta la proposta diretta ad aggiungere all’art. 734 un inciso in cui si consentiva la facoltà di stabilire il pagamento con denaro proprio da parte di un coerede dell’equivalente in denaro spettante agli altri coeredi. 

Peraltro, la pratica ha elaborato strumenti di tecnica contrattuale che consentono di soddisfare, in via indiretta, le ragioni del legittimario con un credito pecuniario.

Non è infrequente che il genitore doni ad uno dei due figli l’unico immobile presente nel suo patrimonio con l’onere di corrispondere al fratello, ai sensi dell’art. 793 c.c., una somma di denaro pari alla metà del valore dell’immobile. Si tratta, evidentemente, di una limitazione alla donazione immobiliare per volontà del donante, in favore di una persona determinata, che realizza una donazione indiretta da parte del padre in favore del figlio[[7]]. Come tale, la donazione indiretta, è soggetta alla regola dell’imputazione ex se, di cui all’art. 564 c.c., per cui il donatario prima di poter esercitare l’azione di riduzione deve imputare alla sua quota di legittima la donazione ricevuta. 

Un altro strumento di tecnica contrattuale, esaminato in dottrina, prevede che il testatore istituisca i legittimari nella quota a loro riservata e ponga a loro carico, ed in favore dell’erede che intende privilegiare, un legato di contratto di vendita o di permuta della quota ereditaria, contro pagamento di prezzo in denaro nel primo caso o contro trasferimento di un bene dell’erede privilegiato nel secondo caso. La vendita o la permuta oggetto del legato di contratto, infatti, hanno senza dubbio funzione divisionale perché dirette a far cessare lo stato di comunione. Si tratterebbe, dunque, di «norme date dal testatore per la divisione», ai sensi dell’art. 733 c.c., poiché tali operazioni, che gli eredi sono obbligati a fare per volontà del testatore, avrebbero natura divisoria. Una volta accolta questa impostazione, ne deriverebbe indiscutibilmente la compatibilità di siffatte disposizioni con il divieto di pesi e condizioni sulla quota spettante ai legittimari, di cui all’art. 549 c.c., stante la previsione espressa della divisione del testatore quale eccezione al predetto divieto[[8]].


Le operazioni necessarie per determinare la porzione legittima e quella disponibile 

L’art. 556, sotto la rubrica Determinazione della porzione disponibile, detta le operazioni necessarie per il calcolo della quota di cui defunto poteva disporre, la cd. disponibile. In realtà, come ha chiarito la dottrina, la formulazione è inesatta, poiché, da un punto di vista logico, è necessario determinare prima la porzione indisponibile, tenendo conto dei legittimari che, nella fattispecie concreta, sono chiamati alla successione. Solo dopo avere determinato la porzione indisponibile è possibile quantificare la porzione disponibile.

Tali operazioni consistono 1) nel calcolo del valore dei beni caduti in successione (il cd. relictum); 2) nella detrazione dei debiti ereditari; 3) nella somma al relictum del valore dei beni donati in vita dal defunto (il cd. donatum), sulla base del loro valore al tempo dell’apertura della successione. Tale ultima operazione è definita riunione fittizia del relictum al donatum poiché si tratta esclusivamente di una operazione contabile che ha come scopo determinare il valore aritmetico dell’asse ereditario e non comporta un incremento effettivo del relictum[[9]].

Per quanto riguarda la prima operazione, nell’attivo ereditario vanni inclusi anche i beni che hanno formato oggetto di legati di specie ed i credititranne quelli inesigibili o di dubbia esigibilità, che vanno accantonati, salvo procedere ad un nuovo conteggio qualora vengano successivamente soddisfatti. Sono esclusi dal calcolo i diritti originari acquistati dagli eredi in occasione della morte del de cuius come il diritto al risarcimento del danno verso l’autore dell’illecito che ha causato la morte del de cuius oppure il diritto spettante all’erede quale beneficiario di un’assicurazione sulla vita spettante al defunto. Sono esclusi, inoltre, i diritti con durata commisurata alla vita del titolare come il diritto di usufrutto vitalizio.

Quanto alla detrazione dei debiti, si tratta dei debiti contratti dal defunto, anche nei confronti degli eredi, e quelli sorti a causa della morte, ad esempio le spese funerarie e di sepoltura, le imposte di successione, le spese per la pubblicazione del testamento[[10]].

Tutte le liberalità tra vivi sono soggette a riunione fittizia, a chiunque fatte ed indipendentemente dall’eventuale dispensa dall’imputazione. Il donante non può impedire che le donazioni da lui compiute siano contabilmente riunite alla massa dei beni relitti.


L’azione di riduzione: finalità e natura

La tutela del legittimario, volta ad ottenere la soddisfazione della quota di riserva riconosciutagli dalla legge, si realizza con l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che, in concreto, abbiano leso la legittima, cioè siano eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre (cfr. articoli 554 e 555 c.c.).

L’azione di riduzione ha lo scopo di far accertare giudizialmente la lesione della quota di legittima spettante al legittimario che agisce in riduzione e, conseguentemente, far dichiarare l’inefficacia (totale o parziale), nei suoi confronti, delle disposizioni testamentarie e delle donazioni le quali hanno ecceduto la quota di cui il defunto poteva disporre[[11]]. 

È stato chiaramente precisato dalla giurisprudenza della Cassazione che l’azione di riduzione configura un’azione personale diretta a procurare al legittimario l’utile corrispondente alla quota di legittima, e non un’azione reale, perché si propone non contro chi è l’attuale titolare del bene che fu donato o legato, ma esclusivamente contro i beneficiari delle disposizioni lesive. Il legittimario, dunque, non ha un diritto reale sui beni oggetto di tali attribuzioni; egli ha un diritto che può far valere in giudizio nei confronti del donatario e del legatario, cui corrisponde un’obbligazione, per cui costoro rispondono con tutto il loro patrimonio (il che raffigura la caratteristica del diritto di credito). Dall’azione di riduzione si distingue l’azione di restituzione (o reintegrazione): mentre l’una è un’azione di impugnazione, l’altra è un’azione di condanna che presuppone già pronunciata la prima[[12]].

La pronuncia che dichiara la riduzione, una volta accertata la lesione dei diritti del legittimario, rende inefficace, nei confronti del legittimario, la disposizione lesiva della legittima e consente la soddisfazione dei diritti del legittimario. 

Una volta accertata la lesione della legittima e la sussistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, si avrebbe l’applicazione della vocazione necessaria, in base alla quale il legittimario sarebbe ex lege erede del de cuius[[13]]. Una volta accertata la lesione della legittima e la sussistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, il legittimario acquista un netto dell’attivo ereditario dal de cuius, in attuazione della quota di legittima che gli spetta per legge, mediante applicazione delle norme stabilite, per la fattispecie concreta, dalla disciplina legale ma non necessariamente entra a far parte della comunione ereditaria. È, infatti, possibile che sia ridotta una disposizione a titolo particolare oppure che sia ridotta una donazione lesiva di legittima e il beneficiario si soddisfi su un bene che si trova nel patrimonio del donatario che, nel frattempo, ha alienato l’immobile donato oppure che il legittimario venga soddisfatto con l’equivalente in denaro dall’avente causa dal donatario (art. 556 c.c.).


Modalità della riduzione

La riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente, senza distinguere tra eredi e legatari (art. 558, comma 1, c.c.). Ciò al fine di conservare tra le disposizioni ridotte la medesima proporzione originariamente esistente.

Il testatore può derogare al criterio proporzionale, stabilendo che una disposizione testamentaria abbia effetto con preferenza sulle altre: questa disposizione non si riduce se il valore delle altre disposizioni ridotte è sufficiente ad integrare la quota spettante al legittimario (art. 558, comma, 2 c.c.). Dalla formulazione letterale della norma «Se il testatore ha dichiarato che una sua disposizione deve avere effetto a preferenza delle altre []», senza l’aggiunta dell’avverbio espressamente, si deduce che la volontà di derogare al criterio proporzionale deve risultare, sia pure indirettamente, dalla scheda testamentaria, cioè dal complesso delle disposizioni testamentarie[[14]].

Le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento (art. 555, comma 2, c.c.). Peraltro, si procederà direttamente alla riduzione delle donazioni qualora le disposizioni testamentarie non eccedano la quota di cui il defunto poteva disporre, comprendendosi in tale espressione anche il caso della disposizione con cui si è devoluto ad uno dei legittimari quanto gli spetta di legittima[[15]].

Le donazioni si riducono cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori (art. 559 c.c.). Il criterio di riduzione delle donazioni cronologico e non proporzionale si spiega in considerazione dell’irrevocabilità della donazione, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. Se fosse consentito al testatore di stabilire che una donazione successiva debba avere effetto con preferenza su una donazione precedente, si riconoscerebbe al testatore un potere surrettizio di revoca della donazione precedente[[16]]. Per questo motivo il criterio cronologico non è, di regola, derogabile dal donante.

Fanno eccezione le donazioni coeve, cioè poste in essere contestualmente dal donante in un unico contesto documentale, che sono soggette a riduzione con il metodo proporzionale, tipico delle disposizioni testamentarie, salvo che il donante con dichiarazione inserita nell’atto di donazione abbia stabilito un ordine di preferenza[[17]].

Il criterio cronologico di riduzione delle donazioni è stato, in parte, alterato dalla disciplina del patto di famiglia che prevede, quale effetto fondamentale, che i beni produttivi trasferiti ad uno o più discendenti non siano soggetti a collazione e riduzione, con la conseguenza che degli stessi non si tiene conto nella determinazione della massa ereditaria (art. 768-quater c.c.). Può accadere che una donazione effettuata dal de cuius che, prima del patto di famiglia, sarebbe rientrata nella porzione disponibile, per effetto del patto di famiglia e della sottrazione del bene aziendale dall’asse ereditario, diventi lesiva della quota di legittima spettante ad un legittimario[[18]]. Tale deroga all’ordine di riduzione delle donazioni è giustificata rispetto al bene produttivo assegnato con il patto di famiglia ma non può essere ampliata da interpretazioni estensive dell’art. 768-quater c.c.[[19]]. Questo è uno dei motivi che consiglia di interpretare restrittivamente la eccezionale deroga alla disciplina della collazione e della riduzione stabilita dall’art. 768-quater c.c. e di non estenderla ad eventuali liberalità collegate al patto di famiglia. È stato evidenziato in dottrina che ogni qualvolta l’esercizio della libertà contrattuale nell’ambito del patto di famiglia dovesse portare a conseguenze in contrasto con il divieto dei patti successori di cui all’art. 458 c.c., non riconducibili a quelle disciplinate dagli artt. 768 ss. c.c., le relative clausole dovrebbero considerarsi nulle per contrasto con norme imperative[[20]].


Il legittimario vittorioso in riduzione: erede o legatario?

È stato affermato da autorevole dottrina che il legittimario domanda la legittima in veste di terzo, ma, ottenuta la riduzione, «la prende come erede», cioè come avente causa a titolo universale dal de cuius[[21]]. Secondo questa impostazione, a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, il legittimario preterito acquisterà la qualità di erede, in quanto avrà conseguito, in virtù della successione necessaria, una quota di eredità. Qualora il legittimario fosse solamente leso, cioè chiamato all’eredità per una quota di valore insufficiente a coprire la legittima, aggiungerà alla precedente vocazione, testamentaria o legittima, la vocazione necessaria conseguita con l’azione di riduzione.

Gli indici normativi da cui emergerebbe l’assunzione della qualità di erede da parte del legittimario vittorioso in riduzione sono contenuti negli articoli 536 e 551 c.c.

L’art. 536 indica come legittimari le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione. L’art. 551, comma 2, c.c., che disciplina il legato in sostituzione di legittima, stabilisce che il legatario che preferisce conseguire il legato, perde il diritto di chiedere il supplemento, nel caso in cui il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede.

Gli indici normativi citati non sono necessariamente decisivi nella soluzione del problema. È stato osservato in dottrina che la qualifica di erede del preterito anche se trova riscontro nella tradizione civilistica italiana e costituiva il convincimento teorico degli estensori del secondo libro vigente del c.c. non corrisponde ad una valutazione normativa sistematica ed obiettiva: il diritto successorio vigente non conosce in termini operativi e coerenti una figura a sé di successione necessaria, ma ha sempre distinto (art. 720 c.c. 1865) e distingue (art. 457 c.c.) soltanto due titoli: la legge e il testamento[[22]]. La giurisprudenza si è occupata del problema esclusivamente in via incidentale, come obiter dictum, per cui non esiste un indirizzo giurisprudenziale univoco sul punto[[23]].

La questione merita di essere approfondita non solo per l’aspetto qualificatorio, che presenta un interesse teorico-ricostruttivo del sistema, ma soprattutto per le implicazioni pratiche che discendono dalle due diverse tesi, in relazione all’accettazione dell’eredità da parte del legittimario vittorioso in riduzione ed alla responsabilità dello stesso per i debiti ereditari sopravvenuti.

Naturalmente, il problema riguarda l’ipotesi del legittimario pretermesso dal de cuius che, all’apertura della successione, non sia chiamato all’eredità, perché se fosse stato chiamato all’eredità per una quota inferiore alla legittima sarebbe già, al momento dell’apertura della successione, erede testamentario.

Secondo un orientamento dottrinale, il legittimario con l’azione di riduzione non conseguirebbe il titolo di erede ma acquisterebbe soltanto una quota dell’attivo ereditario (pars bonorum). La funzione dell’azione di riduzione si esaurirebbe nel far conseguire al legittimario una quota di beni ereditari pari a quanto a lui riservato dagli artt. 536 e ss. c.c. Il legittimario non sarebbe successore a titolo universale del de cuius ma successore a titolo particolare[[24]]. 

Questa impostazione si basa sull’art. 457 c.c. in base al quale l’eredità si devolve per legge o per testamento. Non si può fare luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria. Sulla base di questa norma, si è affermato che, se è vero che la qualità di erede consegue, dopo l’accettazione, ad una delazione concretamente operante, essendo nella nostra ipotesi la delazione legale inoperante per effetto del testamento a norma del comma 2 dell’art. 457 c.c., il legittimario preterito non potrà beneficiare né del primo titolo (legge) né del secondo[[25]].

Altri argomenti sistematici sembrano suffragare la tesi in esame per cui il legittimario preterito non acquista mai la qualità di erede.

Si consideri la differenza tra l’azione di riduzione e la petitio hereditatis: l’azione di riduzione è un’azione personale riconosciuta al legittimario la quale non è diretta, come la petitio hereditatis, a rivendicare la qualità di erede bensì una quota di valore dei beni ereditari che per legge compete al legittimario[[26]].

La qualifica di erede si differenzia da quella di legatario principalmente per la modalità di acquisto del diritto: l’erede acquista l’eredità esclusivamente con l’accettazione, espressa o tacita, mentre il legatario acquista il legato automaticamente. Questa diversa modalità di acquisto del diritto si spiega, principalmente, con il diverso regime di responsabilità per i debiti ereditari: l’erede è chiamato a rispondere dei debiti ereditari contrariamente al legatario che non ne risponde (artt. 752-756 c.c.).

Ora, il legittimario preterito non può accettare l’eredità prima del passaggio in giudicato dell’azione di riduzione, non essendovi alcuna delazione a suo favore[[27]], né ha senso una sua accettazione espressa successiva al passaggio in giudicato della sentenza di riduzione, avendo lo stesso chiaramente manifestato, con l’esercizio dell’azione di riduzione, la sua volontà di conseguire la pars bonorum che gli spetta per legge[[28]].

Si consideri, ancora, la modalità stabilita dall’art. 556 c.c. per la determinazione della quota di riserva che si calcola sul netto ereditario, detratti i debiti e riunite le liberate fatte in vita dal de cuius. Sulla base del procedimento delineato dall’art. 556, il legittimario reclama un valore netto dell’asse ereditario. Ciò comporta che, in caso di sopravvenienza di debiti ereditari, «la responsabilità per il pagamento per l’obbligazione continuerà a far carico all’erede ma questi potrà ottenere una rettifica al procedimento di calcolo con nuova determinazione del beneficio per il legittimario»[[29]]. Ne deriva che il legittimario non risponde direttamente dei debiti ereditari sopravvenuti, dei quali continua a rispondere l’erede istituito, ma indirettamente attraverso una nuova determinazione della quota di riserva, ai sensi dell’art. 556 c.c. 

Ora, se la quota di riserva spettante al legittimario si calcola sul netto ereditario, dopo avere detratto i debiti, ha senso un’eventuale accettazione del legittimario con beneficio d’inventario? Qualora il legittimario sia incapace, una volta ottenuta le sentenza di riduzione delle disposizioni lesive, è obbligato ad accettare l’eredità con beneficio d’inventario, quando, di fatto, esiste già un inventario dell’eredità su cui è stato calcolato il netto ereditario? A parere di chi scrive alle due domande che precede deve darsi risposta negativa[[30]].

Si consideri, ancora, che i creditori del defunto non possono profittare dell’azione di riduzione esercitata dal legittimario che abbia accettato con beneficio d’inventario (art. 557, comma 3, c.c.): la norma sembra confermare che il bene acquistato per effetto dell’esercizio dell’azione di riduzione è considerato bene personale in quanto è un bene acquistato direttamente dal legittimario in virtù di un titolo proprio riservatogli dalla legge. Sembra confermare, inoltre, che il legittimario riceve questo netto ereditario senza alcuna responsabilità diretta per i debiti ereditari.

L’azione di riduzione può essere esercitata dagli aventi causa dal legittimario e, a certe condizioni, anche in via surrogatoria dai suoi creditori. Risulta difficilmente comprensibile che un terzo estraneo, come un creditore, con una sua azione individuale, possa far acquistare al legittimario pretermesso la qualità di erede contro la sua volontà, ed esporlo al pagamento di eventuali passività ereditarie sopravvenute. Nel caso, poi, dell’azione di riduzione esercitata dall’acquirente dell’eredità, è pacifico che la qualifica di erede spetti all’alienante e che la vendita di eredità costituisca accettazione tacita dell’eredità.  

Si consideri, infine, che se è innegabile che il legislatore abbia voluto riservare una quota-parte del patrimonio del de cuius ai legittimari, sembra eccessivo attribuire ad essi il titolo di eredi, e quindi di continuatori nei rapporti giuridici della figura del defunto, contro la volontà espressa del testatore. Sembra più coerente con l’impianto del codice civile, che stabilisce espressamente la sussidiarietà della successione legittima rispetto a quella testamentaria[[31]], riconoscere la qualità di erede solamente alle persone designate dal testatore, fatto salvo il diritto del legittimario ad ottenere la sua pars bonorum, quantificata sulla base dell’attivo netto ereditario, conteggiato con le modalità di cui all’art. 556 c.c.

Il riconoscimento al legittimario della qualifica di successore a titolo particolare del defunto sembra più coerente anche nell’ambito di una ricostruzione sistematica della tutela dei diritti del legittimario. Sono frequenti le ipotesi in cui il legittimario, per espressa disposizione di legge, è soddisfatto con beni che non rientrano nel relictum: è possibile che il legittimario ottenga la riduzione di una donazione lesiva (art. 559 c.c.); in caso di legato o donazione di immobile non comodamente divisibile, a certe condizioni, il legittimario può essere compensato in denaro (art. 560, comma 2, c.c.); è possibile che il legittimario trovi soddisfazione mediante l’escussione di un bene del donatario diverso da quello donato dal de cuius (art. 563 c.c.); il terzo acquirente dell’immobile oggetto dell’azione di riduzione può liberarsi dall’obbligo di restituire il bene in natura pagando l’equivalente in danaro (art. 563, comma 3, c.c.); in caso di liberalità indiretta, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, la pretesa del legittimario viene soddisfatta con l’equivalente in denaro della sua quota di legittima. 

Si può, dunque, concludere con l’Azzariti che «Attiene quindi al concetto di legittima il risultato economico che si persegue con la riduzione, onde ai legittimari spetta la titolarità di un complesso di beni avulsi dalle singole disposizioni testamentarie e che vengono loro trasmessi dal patrimonio del defunto. Tale acquisto si verifica mortis causa, a titolo particolare, ma non deriva dalla delazione dell’eredità, bensì è ordinato dalla legge la quale rappresenta anch’essa – indipendentemente dalla successione, dalla donazione e dalla convenzione – un titolo per effetto del quale la proprietà e gli altri diritti sulle cose si acquistano e si trasmettono… solo le persone volute dal testatore subentrano nel complesso dei rapporti a lui spettanti e ne diventano nuovi soggetti, ad onta della riduzione che, per la detrazione della quota dovuta ai legittimari, subisce l’attivo netto, e senza che una tale riduzione eserciti alcuna influenza sulla consistenza giuridica della istituzione ereditaria»[[32]].


La reintegrazione negoziale della legittima 

L’accordo negoziale tra il legittimario ed il beneficiario della disposizione lesiva della legittima per la reintegrazione dei diritti del legittimario è previsto esclusivamente dalla normativa tributaria. 

L’art. 43 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) stabilisce che «nelle successioni testamentarie l’imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata»; l’art. 30, lettera d) dello stesso decreto menziona tra gli allegati alla dichiarazione di successione «la copia autentica dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata dai quali risulta l’eventuale accordo delle parti per l’integrazione dei diritti di legittima lesi».

La dottrina tradizionale, nella trattazione generale della successione necessaria, ammette la possibilità che l’accertamento giurisdizionale sia sostituito da un accordo col soggetto passivo e precisa che tali accordi non hanno natura traslativa, non costituiscono né transazione né novazione, ma si inseriscono, modificandola, nella complessa vicenda successoria[[33]].

Se è pacifica l’ammissibilità di siffatti accordi, più controversa è l’individuazione dei loro effetti, se cioè siano negozi di accertamento oppure traslativi, nonché del titolo di acquisto della quota di legittima, cioè la vocazione legale oppure l’accordo negoziale

Secondo una impostazione dottrinale, l’accordo si configurerebbe come «l’atto con cui erede e riservatario, riconosciuta la lesione di legittima, convengono che il primo abbandoni [corsivo aggiunto] al legittimario la quota sui beni facenti parte dell’asse ereditario, che a quest’ultimo spetta in quanto eccedente la porzione disponibile»[[34]]. La fattispecie non sarebbe corrispondente a quella conseguente alla sentenza di riduzione delle disposizioni lesive: l’acquisto dei beni necessari ad integrare la legittima non avverrebbe per legge, in virtù della vocazione necessaria, ma sarebbe effetto necessario e reale dell’accordo di accertamento concluso fra i soggetti interessati; l’erede, una volta accertata la lesione della legittima, sarebbe tenuto a cedere la porzione concreta dei beni oggetto delle disposizioni lesive, trasferendola in proprietà al legittimario. Il negozio di accertamento sortirebbe effetti traslativi, non potendosi fare riferimento, per la regolamentazione giuridica controversa, alla fonte precettiva originaria: causa dell’acquisto non sarebbero né il testamento né la legge ma il negozio di accertamento[[35]]. La reintegrazione dei diritti del legittimario avverrebbe esclusivamente sul piano patrimoniale e non comporterebbe, né potrebbe comportare, per il legittimario reintegrato l’acquisto della qualità di erede[[36]]. Nella diversa ipotesi in cui il legittimario risulti solo parzialmente reintegrato nella quota di legge, ottenendo beni di valore inferiore a ciò che gli spetta oppure beni non appartenenti all’asse ereditario, l’accordo sarà qualificabile come transazione in quanto le parti non intendono solamente rimuovere l’incertezza ma prevengono o pongono fine ad una lite tramite reciproche concessioni, che costituiscono elemento caratterizzante il negozio transattivo[[37]]. 

Altra dottrina disconosce la possibilità che l’effetto traslativo possa essere ricollegato al negozio di accertamento che, per definizione, si limita ad eliminare una situazione di incertezza senza immutare la situazione giuridica considerata preesistente. Dunque, se il negozio di accertamento non è da solo in grado di produrre il trasferimento dei beni in capo al riservatario, si dovrà imputare tale effetto ad un diverso negozio la cui causa sia in grado di produrlo. E tale negozio sarebbe stato individuato in un negozio unilaterale idoneo a riequilibrare il contenuto di un contratto altrimenti risolubile che avrebbe come modelli legali di riferimento gli articoli 767 c.c. (Facoltà del coerede di dare il supplemento), 1432 c.c. (Mantenimento del contratto rettificato), 1450 c.c. (Offerta di modificazione del contratto), 1467 c.c. (Contratto con prestazioni corrispettive), 1468 c.c. (Contratto con obbligazioni di una sola parte). Gli strumenti giuridici disciplinati dalle norme citate, pur nella diversità delle fattispecie, presentano in comune la finalità di consentire una soluzione unilaterale di controversie, senza il ricorso obbligatorio al giudice, privando, in definitiva, una parte dell’interesse a ricorrervi per “l’iniziativa sanante” dell’altra. Si tratterebbe di un trasferimento inter vivos e il legittimario reintegrato nella legittima dovrebbe considerarsi avente causa del beneficiario della disposizione lesiva ridotta[[38]].

Secondo un’altra impostazione non esiste un contratto tipico di reintegrazione della legittima, potendo i vari accordi, mediante i quali raggiungere in via negoziale il risultato della riduzione delle disposizioni lesive della quota di riserva, essere ricondotti all’interno di vari schemi causali dotati di efficacia dispositiva, come la transazione, il contratto di integrazione della quota di legittima verso la rinunzia all’azione giudiziale, la novazione, la prestazione in luogo dell’adempimento e la divisione. I descritti atti avrebbero in comune almeno un effetto consistente nella modificazione della realtà giuridica, venutasi a creare con la disposizione lesiva della quota di riserva, riconducibile all’efficacia dispositiva dell’accordo[[39]].

Le impostazioni che attribuiscono efficacia dispositiva all’accordo delle parti di reintegrazione della legittima si fondano anche sulla pretesa inammissibilità che l’acquisto della qualità di erede derivi al legittimario pretermesso per effetto di un accordo frutto dell’autonomia privata, al di fuori di qualsiasi controllo giudiziario. 

Sembra preferibile la tesi che attribuisce all’accordo negoziale che riconosce il diritto del legittimario gli stessi effetti della sentenza di riduzione: l’inefficacia relativa della disposizione lesiva e il conseguente acquisto di beni ereditari da parte del legittimario, mortis causa direttamente dal defunto, con effetto dall’apertura della successione. L’accordo delle parti non costituirà il titolo di acquisto del legittimario ma avrà semplicemente la funzione di rimuovere l’ostacolo al prodursi della vocazione legale in favore del legittimario stesso[[40]].

La dottrina processualistica ha chiarito che le parti possono, con l’esercizio del loro potere negoziale, realizzare un atto che le vincola con forza di legge, e quindi con efficacia non inferiore a quella della sentenza: essendo impensabile che la sentenza possa avere un’efficacia maggiore di quella della legge. E ciò conferma, dunque, che i risultati conseguibili con gli strumenti alternativi non sono inferiori a quelli conseguibili in via giurisdizionale[[41]].

Né ha pregio l’argomento che la qualità di erede non potrebbe essere il frutto dell’autonomia privata, al di fuori del controllo giurisdizionale. Le parti si limitano ad accertare la lesione di legittima della disposizione testamentaria o della donazione così come avrebbe fatto il giudice. La delazione ereditaria avviene per legge, così come nel caso del giudizio di riduzione, e non dipende dal provvedimento giudiziale che può, al limite, accertare l’acquisto della qualità di erede.

Si è visto, in precedenza, che non è nemmeno pacifico in dottrina che al legittimario vittorioso in riduzione spetti la qualifica di erede, essendovi vari argomenti sistematici favorevoli alla tesi che gli attribuisce la qualità di legatario. 

Dalla qualificazione giuridica di siffatti accordi quali negozi di accertamento e non traslativi deriva l’inapplicabilità dei requisiti prescritti dalla legge per i negozi traslativi: si pensi alla menzioni ed allegazioni urbanistiche (art. 46 e art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001), alla dichiarazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie depositate in catasto (art. 29, comma 1-bis legge n. 52 del 1985), all’allegazione dell’attestato di prestazione energetica (art. 6 d.lgs. n. 192 del 2005 e normative regionali che hanno legiferato in materia) ecc., nonché la non trascrivibilità dell’accordo ai sensi dell’art. 2643 c.c.[42].

Ai fini della nostra indagine, si può dunque concludere che l’accordo tra il legittimario preterito o leso nella legittima ed il beneficiario della disposizione lesiva è un negozio di accertamento con cui il secondo riconosce i) l’avvenuta lesione dei diritti di legittima del primo e la sussistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione; ii) l’inefficacia della disposizione lesiva della legittima; iii) l’acquisto del diritto da parte del legittimario reintegrato, in attuazione della legge che stabilisce la quota di legittima, con effetto retroattivo dall’apertura della successione, quale avente causa dal de cuius e non dal beneficiario della disposizione lesiva.


La pubblicità degli accordi di reintegrazione di legittima

Secondo la tesi che si ritiene preferibile l’accordo di reintegrazione della legittima produce gli stessi effetti della sentenza di riduzione delle disposizioni lesive, cioè l’acquisto ex lege di una quota dei beni del defunto idonea ad integrare la legittima. Sulla base di questa ricostruzione, siffatto accordo andrà trascritto ai sensi dell’art. 2648 c.c. come acquisto mortis causa.

Si è visto in precedenza che in dottrina non è affatto pacifico l’acquisto della qualità di erede in capo al legittimario reintegrato nella quota di legittima. Da un punto di vista pratico-operativo, si ritiene preferibile trascrivere tale acquisto, ai sensi dell’art. 2648 c.c., con il codice 100 qualificandolo come accordo di reintegrazione della legittima, con l’esplicitazione nel quadro D della nota di trascrizione del contenuto dell’atto di reintegra della legittima.

Per l’erede che riconosce la legittima, il quale non abbia in precedenza accettato espressamente l’eredità, l’accordo integra un atto di accettazione tacita dell’eredità che andrà trascritto ai sensi dell’art. 2648, comma 3, c.c. 

Nel caso di riduzione di una donazione lesiva della legittima, tale accordo comporta l’inefficacia successiva, parziale o totale, della donazione lesiva che viene ridotta: andrà, quindi, annotato a margine della trascrizione della donazione, ai sensi dell’art. 2655 c.c., per segnalare l’inefficacia successiva della donazione trascritta.

Nel caso di riduzione di disposizioni testamentarie lesive della legittima, l’accordo modifica la delazione ereditaria; qualora l’erede abbia già accettato l’eredità, l’accordo andrà annotato a margine della trascrizione, ai sensi dell’art. 2655 c.c., per segnalare l’inefficacia successiva parziale della delazione ereditaria.

Finché non segue l’annotazione dell’inefficacia della disposizione ridotta, per il principio di continuità delle trascrizioni, non avranno efficacia le successive trascrizioni o iscrizioni contro il legittimario reintegrato nella quota di legittima (cfr. art. 2655, comma 3, c.c.).

L’annotazione dell’inefficacia successiva della disposizione testamentaria è, inoltre, un onere per il legittimario reintegrato al fine di evitare che l’erede o il legatario che hanno subìto la riduzione possano risultare erede o legatario apparente e possano disporre del diritto a favore di un terzo in buona fede che, in ipotesi, potrebbe avvalersi dei meccanismi di tutela predisposti dall’art. 534 c.c. e dall’art. 2652, n. 7, c.c.


Il trattamento tributario degli accordi di reintegrazione di legittima

Ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 gli accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, sono soggetti all’imposta di successione. Conseguentemente, la registrazione, la trascrizione e la voltura catastale di tali atti scontano le imposte fisse di registro, ipotecaria e catastale[[43]]. Si potrebbe addirittura sostenere che, per il principio di alternatività tra l’imposta di registro e l’imposta sulle successioni, ribadito dall’Agenzia delle entrate con circolare n. 44/E del 7 ottobre 2011, tali atti non siano soggetti a registrazione gratuita, senza il pagamento dell’imposta fissa di registro. 

Con riferimento al trattamento tributario degli accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, si è giustamente osservato che l’atto di integrazione della quota di legittima non può andare oltre il riconoscimento, totale o parziale, della pars quota spettante al legittimario pretermesso e, solo come tale, sconta l’imposta di registro fissa, se non addirittura beneficerà dell’esenzione da imposta di registro[[44]]. Qualora, invece, tale contratto abbia come contenuto il trasferimento, per volontà negoziale delle parti, di diritti reali sconterà l’imposta sulla base degli effetti prodotti dall’atto: ad esempio, potrà essere configurato come transazione e sconterà l’imposizione proporzionale di registro[[45]].

La giurisprudenza tributaria[[46]] ha mostrato una notevole apertura verso un’interpretazione che consente di attrarre l’accordo di reintegrazione di legittima nell’ambito dell’imposta di successione, senza una netta delimitazione dei confini di tale negozio, anzi ammettendo un ampio esercizio dell’autonomia privata nel delineare il contenuto dello stesso che ha come scopo la modifica convenzionale della delazione ereditaria per dare attuazione ai diritti del legittimario leso o preterito. 

Ha precisato la Cassazione[[47]] che l'art. 43 del d.lgs. n. 346 del 1990 sancisce una sorta di neutralità fiscale del negozio tra vivi, risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, successivo all'apertura della successione, e volto alla reintegra dei diritti dei legittimari, in quanto lo sottrae dall'ambito di applicazione dell'ordinaria imposta di registro, per assoggettarlo all'imposta di successione, in coerenza con l'effetto che gli è proprio, l'acquisto ex lege (a causa di morte) della quota di legittima del patrimonio del defunto, tant'é che esso va trascritto, ai sensi degli artt. 2648, comma 3, e 2650 c.c., nonché annotato, ai sensi dell'art. 2655 c.c., ai margini della trascrizione dell'originario acquisto lesivo, al fine di assicurare la continuità delle trascrizioni. Il legittimario, in alternativa alla via giudiziale, può addivenire ad un accordo negoziale con i beneficiari delle disposizioni lesive, al fine di vedere ripristinati i propri diritti, accordo non tipizzato dal legislatore, che ha rimesso alla autonomia privata l'individuazione del concreto assetto negoziale attraverso il quale raggiungere il risultato voluto, cioè quello di reintegrare la quota di riserva, o quantomeno un valore corrispondente a tale quota. A tale tipologia di accordi, i quali tengono luogo della sentenza che accoglie la domanda di riduzione delle disposizioni lesive, viene generalmente attribuita natura non transattiva ma meramente ricognitiva o di accertamento, in quanto i soggetti interessati riconoscono l'inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive.

Al legittimario leso nei propri diritti non è, tuttavia, preclusa l'opzione di stipulare un negozio avente natura transattiva (artt. 1965 e ss. c.c.), ma in tal caso la tassazione dell'accordo segue le ordinarie regole in tema di imposta di registro, avuto riguardo ai concreti effetti (anche eventualmente traslativi) voluti dalle parti contraenti, in quanto le attribuzioni concordate tra gli interessati non hanno natura sostanzialmente ereditaria, e non sono soggette, quindi, all'applicazione dell'imposta sulle successioni, ma si inseriscono, attraverso il meccanismo delle reciproche concessioni, nella composizione di una lite, attuale o futura, originata da una pretesa lesione dei diritti di legittima, secondo le contrapposte tesi delle parti.


Tipologia di accordi di reintegrazione di legittima

Si è aderito alla tesi secondo la quale l’accordo di reintegrazione di legittima comporta: i) l’accertamento della lesione di legittima da parte di una donazione o di una disposizione testamentaria; ii) l’inefficacia della disposizione lesiva della legittima nei confronti del legittimario preterito o leso e iii) l’acquisto mortis causa da parte di quest’ultimo di beni ereditari in attuazione del suo diritto alla quota di legittima, che rappresenta un valore corrispondente ad una frazione dell’asse ereditario. Il legittimario reintegrato si considera[[48]] avente causa dal defunto fin dall’apertura della successione; il beneficiario della disposizione lesiva, all’esito dell’accordo di reintegra, si considera come se non avesse ricevuto il bene oggetto della disposizione ridotta. L’accordo delle parti, come chiarito da illustre dottrina[[49]], non ha natura traslativa, non costituisce né transazione né novazione, ma si inserisce, modificandola, nella complessa vicenda successoria.

L’accordo di reintegrazione di legittima, di regola, comporta l’acquisto da parte del legittimario leso o pretermesso di una quota indivisa del bene donato, in caso di riduzione di una donazione, oppure dei cespiti facenti parte dell’asse ereditario, in caso di riduzione di una disposizione a titolo universale, oppure di un singolo cespite ereditario, in caso di riduzione di un legato.

È possibile che, in alternativa, il beneficiario della disposizione lesiva ed il legittimario si accordino per riconoscere a quest’ultimo una somma di denaro, prelevata dall’asse ereditario corrispondente al valore della legittima. 

Ci si chiede se rientri nel perimetro normativo anche l’accordo con cui al legittimario viene attribuito, anziché una quota indivisa dei beni ereditari, un singolo bene ereditario[[50]]. Questo accordo presenta un aspetto latamente “divisorio”, poiché il legittimario riceve, nell’intenzione delle parti, un singolo cespite ereditario mortis causa, direttamente dal defunto, con effetto dall’apertura della successioneSi consideri che non è mai esistita una comunione ereditaria tra beneficiario della disposizione lesiva e legittimario preterito; che il beneficiario della disposizione lesiva non intende acquistare mortis causa quel bene oggetto della disposizione resa inefficace dall’accordo né presentare la dichiarazione di successione su quel singolo bene né trasferirlo con atto inter vivos al legittimario. Nell’intenzione delle parti, l’accordo di reintegrazione fa subentrare mortis causa il legittimario pretermesso nella titolarità di un singolo bene ereditario, fin dall’apertura della successione. La volontà delle parti è ridurre la disposizione testamentaria lesiva della legittima. La causa dell’incremento patrimoniale del legittimario è l’attuazione del suo diritto alla legittima, con un cespite ereditario[[51]]. Diverso sarebbe il caso in cui la soddisfazione della legittima debba avvenire con effetto ex nunc mediante il trasferimento di un bene da parte del beneficiario della disposizione lesiva. Come il testatore può, prima dell’apertura della successione, derogare al criterio proporzionale, stabilendo che una disposizione testamentaria abbia effetto con preferenza sulle altre, riterrei che, a fortiori, la stessa facoltà sia riconosciuta, dopo l’apertura della successione, all’accordo tra gli interessati. La disciplina del patto di famiglia dimostra che con l’accordo degli interessati è possibile derogare alle modalità di riduzione delle disposizioni lesive di legittima.

Fattispecie diverse dall’accordo di reintegrazione di legittima sono la rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario preterito o leso dietro corrispettivo in denaro oppure la transazione con cui le parti prevengono l’insorgere di una lite sulla legittima con il trasferimento di un bene, che può essere anche non di provenienza ereditaria, con atto inter vivos, dal beneficiario della disposizione lesiva al legittimario preterito o leso[[52]].


La legittima come diritto ad una frazione di valore dell’asse ereditario

La legge riconosce al legittimario il diritto ad ottenere una frazione di valore dell’asse ereditario che varia a seconda dei legittimari esistenti all’apertura della successione e del concorso tra più legittimari. 

Per la determinazione della quota di riserva, occorre fare riferimento alla situazione cristallizzata all’apertura della successione e non alla situazione che si viene a creare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di alcuno dei legittimari. La successione necessaria si colloca su un piano diverso dalla successione legittima e non attribuisce al legittimario una delazione ereditaria ma un diritto potestativo di ottenere un valore corrispondente ad una frazione del patrimonio ereditario. Spesso la rinuncia all’azione di riduzione è animata dal desiderio di fare salva una donazione oppure una disposizione testamentaria potenzialmente lesive di legittima. La immodificabilità delle quote degli eredi necessari deriva anche dall’esigenza di consentire al testatore di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della sua famiglia, può disporre del suo patrimonio a favore di terzi. Seguendo la tesi contraria, potrebbe aversi una situazione di incertezza sul valore della quota di riserva finché non è prescritta l’azione di riduzione di tutti i legittimari; potrebbe essere necessario esercitare una prima azione di riduzione e poi una riduzione supplementare. Il mancato esercizio dell’azione di riduzione non incide sulla frazione di patrimonio ereditario a cui hanno diritto gli altri legittimari ma amplia la quota disponibile[[53]].

La legge non riconosce al legittimario il diritto di ricevere una quota indivisa di ciascun cespite ereditario, come è reso evidente dalla facoltà attribuita al testatore di dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile (art. 734, comma 1, c.c.) e dalla circostanza che la divisione operata dal testatore non contrasta con il divieto di porre pesi o condizioni sulla quota dei legittimari (art. 549 c.c.)[[54]]. È stato affermato in giurisprudenza che l’inciso finale dell’art. 549 c.c. consente di dar rilievo soltanto al principio di intangibilità quantitativa della legittima, che è garantita dalla legge nella quantità e non nella qualità, nel valore cioè e non anche nella specie dei beni che concorrono a formarla. Il testatore può pertanto soddisfare le ragioni dei legittimari con beni di qualunque natura; unico limite è il diritto del legittimario di essere soddisfatto con beni ereditari[[55]].

Sono molteplici le fattispecie legali in cui il legittimario è soddisfatto per equivalente.

Se viene ridotta una donazione lesiva di legittima e sono trascorsi più di vent’anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario ottiene la restituzione dell’immobile gravato dai pesi o dalle ipoteche imposti sul bene dal donatario ma ha diritto di essere compensato con una somma di denaro dal donatario per il minor valore del bene restituito (art. 561, comma 1, c.c.).

Se il bene donato, oggetto della donazione lesiva di legittima, è stato alienato dal donatario e sono trascorsi vent’anni dalla trascrizione della donazione, senza che sia stata notificata e trascritta opposizione alla donazione dal coniuge o dai parenti in linea retta del donante, l’azione di restituzione si estingue ex lege e il legittimario può ottenere la legittima per equivalente dal patrimonio del donatario.   

Se il donatario agisce in restituzione contro un avente causa dal donatario (non essendo trascorsi vent’anni dalla trascrizione della donazione oppure essendo stata notificata e trascritta opposizione alla donazione ed essendo il patrimonio del donatario incapiente), «il terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in denaro» (art. 563, comma 3, c.c.). 

Se la lesione di legittima avviene tramite una liberalità indiretta, nella quale, com’è noto, non c’è passaggio di ricchezza dal donante al donatario, non opera la riduzione in natura della disposizione lesiva ma la reintegrazione del legittimario può avvenire solamente per equivalente.

Nel patto di famiglia, a fronte del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali al discendente prescelto dall’imprenditore, gli altri legittimari debbono essere liquidati (salvo rinuncia) dall’assegnatario dell’azienda o della partecipazione con il pagamento di una somma corrispondente al valore della legittima e tale liquidazione deve essere imputata alla quota di legittima spettante ai legittimari non assegnatari (art. 768-quater c.c.).


Evoluzione del quadro normativo

Il quadro normativo della tutela del legittimario è notevolmente mutato nell’ultimo ventennio, a partire dalla mini riforma dell’azione di riduzione operata dal decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, proseguendo con la disciplina del patto di famiglia introdotta dalla legge 14 febbraio 2006, n. 55, ed è ispirato sempre più al riconoscimento al legittimario di un valore liquidato in denaro, corrispondente alla quota di legittima. 

Il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 convertito dalla legge 14 maggio 2005 n. 80 ha introdotto negli articoli 561 e 563 c.c.[[56]] un termine di vent’anni dalla trascrizione della donazione, decorso il quale – senza che sia stata notificata e trascritta opposizione alla donazione del coniuge e dei parenti in linea retta del donante[[57]] – l’azione di restituzione non è più opponibile ai terzi aventi causa dal donatario (acquirenti di diritti reali limitati o dell’immobile donato), con la conseguenza che il legittimario può essere compensato in denaro per il minor valore del bene restituito, in quanto gravato da pesi a lui opponibili, oppure può soddisfare la sua quota di legittima solamente sul patrimonio del donatario. Il patto di famiglia ha previsto che i legittimari non assegnatari dell’azienda o della partecipazione sociale, trasferita al discendente prescelto dal disponente, siano soddisfatti con una somma di denaro o con altri beni dall’assegnatario dell’azienda o della partecipazione, e che quanto ricevuto con il patto di famiglia dai legittimari sia esente da imputazione ex se e collazione.

Con il disegno di legge di riforma dell’azione di restituzione pendente in Parlamento[[58]], il legittimario vittorioso in riduzione ottiene la restituzione del bene donato dal donatario ma gravato dai pesi e dalle ipoteche costituiti dal donatario. In considerazione del minor valore del bene donato che viene restituito dal donatario al legittimario, il donatario è obbligato a compensare in denaro il legittimario, nei limiti in cui è necessario per integrare la quota di legittima[[59]]. La norma conferma che il legittimario ha diritto ad un valore, calcolato sull’asse ereditario con il procedimento di cui all’art. 556 c.c., e che in presenza di pesi che riducono il valore del bene restituito dal donatario, il valore della legittima sarà assicurato, in parte, dal valore dell’immobile restituito e, per la differenza, dal “conguaglio in denaro” corrisposto dal donatario. La nuova disciplina mette al riparo dall’azione di restituzione non solo i creditori ereditari e gli acquirenti di diritti di godimento o di garanzia ma anche gli acquirenti del bene donato. Stabilisce, infatti, il nuovo art. 563 – completamente riscritto dalla novella normativa (a partire dalla rubrica: Effetti della riduzione della donazione) – che «La riduzione della donazione, salvo il disposto del numero uno del primo comma dell’art. 2652, non pregiudica i terzi ai quali il donatario ha alienato gli immobili donati, fermo l’obbligo del donatario medesimo di compensare in denaro i legittimari nei limiti in cui è necessario per integrare la quota ad essi riservata». Con la nuova disciplina viene meno la garanzia ex lege del bene donato per la soddisfazione della quota di legittima; il legittimario può ottenere dal donatario, mediante una “compensazione in denaro”, il valore necessario ad integrare la sua quota di legittima. La soluzione è pienamente conforme alla ricostruzione sistematica dell’istituto che vedeva nel donatario l’unico obbligato alla soddisfazione del legittimario preterito o leso, obbligazione di cui lo stesso rispondeva con tutti i suoi beni presenti e futuri, mentre il bene donato fungeva solamente da garanzia della soddisfazione dell’obbligazione del donatario, garanzia che operava solamente dopo l’escussione dei beni del donatario. 


Conclusione

Alla luce del mutato quadro normativo, ritengo che anche l’accordo di reintegrazione della legittima, come autorevolmente sancito dalla Corte di cassazione[[60]], debba essere interpretato in maniera ampia come un accordo non tipizzato dal legislatore, che ha rimesso alla autonomia privata l'individuazione del concreto assetto negoziale attraverso il quale raggiungere il risultato voluto, cioè quello di reintegrare la quota di riserva, o quantomeno un valore corrispondente a tale quota. L’accordo tra il legittimario ed il beneficiario della disposizione lesiva che, in attuazione del diritto alla legittima, modifica la delazione ereditaria, è soggetto all’imposta di successione e non all’imposta sui trasferimenti e deve essere qualificato come negozio di accertamento del diritto attribuito al legittimario, di valore corrispondente alla quota di legittima allo stesso spettante. Questa impostazione corrisponde esattamente alla normale volontà delle parti: il beneficiario della disposizione lesiva vuole evitare il contenzioso che deriverebbe dall’esercizio dell’azione di riduzione e tacitare il legittimario con denaro o altri beni ereditari; il legittimario vuole ottenere beni di valore corrispondente alla sua quota di legittima. Non c’è volontà nelle parti di effettuare un trasferimento inter vivos dal beneficiario della disposizione lesiva al legittimario[[61]] ma più semplicemente di ridurre l’arricchimento derivante dalla disposizione lesiva di legittima. Si verte in materia di diritti disponibili e sarebbe contrario allo spirito della normativa fiscale, che agevola l’accordo di reintegrazione di legittima, limitare l’autonomia privata quando il risultato raggiunto è conforme a legge. Sembra eccessivamente dogmatico un approccio che preveda come unica forma possibile di reintegrazione di legittima il subentro da parte del legittimario preterito o leso nella comunione ereditaria e l’acquisto da parte del legittimario reintegrato della qualità di erede. Basti considerare che nella maggior parte dei casi il legittimario è soddisfatto con denaro proveniente dall’asse ereditario e la giurisprudenza tributaria[[62]] è ferma nel riconoscere a tale fattispecie la qualifica di accordo di reintegrazione di legittima. Né ha pregio l’argomento, a volte sollevato, secondo il quale l’autonomia privata[[63]] è più limitata rispetto al procedimento giudiziale di riduzione: il processo è regolato dal principio dispositivo e il giudice accoglie o respinge la domanda della parte, previa verifica che il risultato sia conforme all’ordinamento giuridico, e neppure il controllo giudiziale esclude che possano essere realizzate intese fraudolente[[64]]. E un accordo che reintegra il legittimario nel valore corrispondente alla legittima non può che essere conforme a legge. Si potrebbe sostenere il contrario: il giudice, difettando evidentemente un accordo tra le parti, è vincolato ad applicare la rigida procedura delineata dalla legge per le modalità di riduzione delle disposizioni lesive di legittima mentre le parti godono di una più ampia autonomia, a condizione che il risultato consista nella reintegrazione del legittimario nel valore corrispondente alla quota di legittima con beni dell’asse ereditario. La facoltà riconosciuta al testatore dall’art. 558, comma 2, c.c. di derogare al criterio proporzionale di riduzione delle disposizioni testamentarie dimostra che la materia è rimessa alla disponibilità delle parti. 



NOTE: 

[1] Questa nuova categoria di legittimari è stata introdotta dall’art. 1, comma 21 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) che stabilisce «Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile». Precisamente la norma, con la tecnica del rinvio normativo, applica alle parti dell’unione civile le disposizioni del codice civile in materia di indegnità a succedere, diritti dei legittimari, successioni legittime, collazione e patto di famiglia.

[2] L’art. 1, comma 11 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 ha disposto che nel codice civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parola “figli”.

[3] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2002, 262.

[4] S. DELLE MONACHE, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Milano, 2008, 33 ss.

[5] Cass. 12 settembre 2002, n. 13310.

[6] Cfr. App. Milano 7 giugno 1960, in Monit. trib, 1960, 744; secondo Cass., 12 febbraio 1952, n. 361; Cass., 30 marzo 1944, n. 210; Cass., 27 febbraio 1941, n. 567 la porzione legittima è costituita da una quota di beni ereditari, con la conseguenza che, in difetto di espressa norma al riguardo, il diritto dei legittimari non può, di regola, essere soddisfatto mediante denaro; secondo Cass., 22 giugno 1969, n. 2202 se l’unico limite del testatore è soddisfare i diritti dei legittimari con beni provenienti dal relictum ereditario, la quota di un legittimario potrà essere soddisfatta anche soltanto con del denaro; cfr. anche Cass., 23 marzo 1992, n. 3599.

[7] G. IACCARINO, Liberalità indirette, Milano 2011, 164 ss.

[8] F. MAGLIULO, La legittima quale attribuzione patrimoniale policausale. Contributo ad una moderna teoria della successione necessaria, in Riv. not., 2010, 553.

[9] A differenza della riunione fittizia, la collazione in natura, operazione strumentale rispetto alla divisione ereditaria, determina un incremento effettivo del relictum con il conferimento nella massa ereditaria del bene oggetto di collazione.

[10] L. MENGONI, Successioni per casa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2000, 188 ss.

[11] Sulla base della valutazione compiuta, con riferimento al tempo dell’apertura della successione, con le modalità stabilite dall’art. 556 c.c. e dagli artt. da 747 a 750 c.c. richiamati, e cioè con la valutazione del relictum detratti i debiti e la riunione fittizia delle donazioni, anche indirette, poste in essere in vita dal de cuius, al fine di determinare la porzione disponibile.

[12] Cass., 22 marzo 2001, n. 4130, in Riv. not., 2001, 1503; cfr. anche Cass. n. 7259/1996; Cass. n. 10333/1993.

[13] Cfr. G. AMADIO, Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative, in Riv. not., 2009, 824 ss. secondo il quale l’inopponibilità della disposizione lesiva non è che il presupposto, necessario ma non sufficiente, per l’acquisto dei beni da parte del legittimario; l’acquisto avverrà non in forza della sola sentenza di riduzione, né della sola conseguente azione restitutoria, ma del titolo ereditario, rappresentato dalla vocazione necessaria assicuratagli ex lege, operante in virtù e come conseguenza dell’inopponibilità delle disposizioni lesive con essa incompatibili. La pronunzia di riduzione non assicura di per sé sola al legittimario l’acquisto della quota di patrimonio o dei singoli beni oggetto della vocazione o delle liberalità incompatibili: l’una e gli altri verranno sempre conseguiti attraverso il tramite tecnico di una vocazione a titolo universale, e dunque, in forza della delazione ereditaria recuperata, o integrata nel contenuto, a seguito della riduzione. La pronuncia di riduzione consente di considerare il bene donato come mai uscito dall’asse ereditario: tale appartenenza all’asse ereditario è indispensabile affinché, nei confronti di quel bene, possa operare un titolo di acquisto che deve necessariamente restare mortis causa.

[14] L. MENGONI, op. cit., 274.

[15] G. CAPOZZI, op. cit., 308.

[16] Cfr. G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. Rescigno, 5, I, Torino, 1997, 464. 

[17] Cfr. in dottrina G. CATTANEO, op. cit., 464; in giurisprudenza Cass. 1495/1961. 

[18] Al momento della donazione è possibile una valutazione necessariamente non precisa né definitiva in quanto per la determinazione del valore dell’asse ereditario, della quota spettante ai legittimari nonché della porzione disponibile si fa riferimento al tempo dell’apertura della successione (art. 556 c.c.).

[19] Cfr. A. TORRONI, Il patto di famiglia: aspetti di interesse notarile, in Riv. not., 2008, 474 ss.

[20] G. OBERTO, Lineamenti essenziali del Patto di famiglia, in Fam. e dir., 2006, 407 ss. 

[21] L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. di dir. civ. e comm., già diretto a Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 2000, 80-85; S. DELLE MONACHE, op. cit., 21 ss.; in giurisprudenza Cass., 13 gennaio 2010, n. 368 ha apparentemente riconosciuto – come obiter dictum – la qualità di erede al legittimario pretermesso dopo il positivo esperimento dell’azione di riduzione.

[22] V.E. CANTELMO, in P. RESCIGNO (a cura di), Successioni e donazioni, Padova, 1994, vol. 1, 476 ss.

[23] La giurisprudenza si è occupata, principalmente, dell’assunzione della qualità di chiamato all’eredità del legittimario preterito (non tanto dopo l’esito vittorioso dell’azione di riduzione quanto) prima dell’esercizio dell’azione di riduzione, per stabilire che l’onere dell’accettazione beneficiata, prescritto dall’art. 564 c.c., quale condizione dell’esercizio dell’azione di riduzione, non è richiesto al legittimario pretermesso in quanto questi non è chiamato all’eredità e che lo stesso non è legittimato a succedere al defunto nel rapporto processuale da questi instaurato, poiché l’unico soggetto abilitato a proseguire il processo, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., è il successore a titolo universale (Cass., 11 gennaio 2010, n. 240, in Notariato, 2011, 153 ss., con nota di MICELI; Cass., 29 maggio 2007, n. 12496, in Mass. Giur. it., 2007; Cass., 15 giugno 2006, n. 13804, in Notariato, 2006, 6, 670; Cass., 7 ottobre 2005, n. 19527, in Foro it., 2005, Successione ereditaria, n. 139-140; Cass., 20 novembre 2008, n. 27556, in Mass. Giur. it., 2008; Cass., 12 gennaio 1999, n. 251, in Mass. Giur. it., 1999).

[24] Cfr. F.S. AZZARITI – G. MARTINEZ – G. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973, 181 ss.; L. FERRI, Dei legittimari, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 7 ss.; 156 ss.; A. LAPENNA, Diritto notarile, Le lezioni del notaio Vincenzo De Paola, Successioni, Milano, 2006, 383 ss.; V.E. CANTELMO, I legittimari, Padova, 1991, 3-39 il quale, però, sembra considerare il legittimario avente causa non del de cuius ma del beneficiario della disposizione ridotta.

[25] V.E. CANTELMO, Successioni e donazioni, cit., 476 ss.

[26] Cfr. A. LAPENNA, op. cit., 383 ss.

[27] L’assunto è pacifico in giurisprudenza, cfr. Cass., 11 gennaio 2010, n. 240, in Notariato, 2011, 153 ss., con nota di Miceli; Cass., 9 dicembre 1995, n. 12632, in Giust. civ. mass., 1995, 120.

[28] La stessa dottrina che qualifica il legittimario erede, all’esito dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione, afferma che per effetto della sentenza di riduzione il legittimario pretermesso diventa erede senza bisogno di accettazione: non si applica quindi, al legittimario pretermesso, il principio secondo il quale l’eredità si acquista con l’accettazione. Se invece il legittimario è già chiamato all’eredità per vocazione testamentaria o intestata l’esercizio dell’azione di riduzione comporta l’accettazione (L. MENGONI, op. cit., 239); contra, secondo Cass., 3 dicembre 1996, n. 10775, in Riv. not., 1997, 1304 il legittimario a seguito dell’azione di riduzione verrebbe a trovarsi nella “posizione di chiamato all’eredità” con conseguente possibilità di accettare o rinunciare. 

[29] V.E. CANTELMO, Successioni e donazioni, cit., 548.

[30] In dottrina è stato chiaramente affermato che «non si può concretamente configurare un atto di accettazione ad una “successione necessaria”» (V.E. CANTELMO, Successioni e donazioni, cit., 482). 

[31] Cfr. M. ALLARA, La successione familiare suppletiva, Torino, 1954, 80 secondo cui l’art. 457, comma 2, c.c. consentirebbe di desumere il carattere di «sussidiarietà della successione legittima rispetto alla testamentaria»; C.M. BIANCA, Diritto civile. 2. La famiglia. Le successioni, Milano 2005, 713 che considera la successione legittima «una successione suppletiva»; F. TINTI, Pretermissione del legittimario e accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, in Fam. pers. succ., 2012, 1, 39. 

[32] Azzariti citato in A. LAPENNA, op. cit., 386.

[33] L. MENGONI, op. cit., 230.

[34] F. SALVATORE, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, in Riv. not., 1996, 212.

[35] F. SALVATORE, op. cit., 215 ss.

[36] F. SALVATORE, op. cit., 218.

[37] F. SALVATORE, op. cit., 218 ss.

[38] A. BULGARELLI, Gli atti “dispositivi” della legittima, in Notariato, 2005, 481 ss.

[39] A. GENOVESE, L’atipicità dell’accordo di reintegrazione della legittima (Nota a Trib. Milano, 10 maggio 2006), in La nuova giur. civ. comm., 2007, 4, I, 506-513; ID., Annullabilità per errore e rescissione per lesione dell’atto di reintegrazione della legittima, in Fam. pers. succ., 2007, 10, 812 ss.

[40] D. CAVICCHI, Accordi per la reintegrazione della legittima, in Contratti, 2009, 1020 ss.; S. NAPPA, La successione necessaria, Padova, 1999, 191; G. SANTARCANGELO, Gli accordi di reintegrazione di legittima, in Notariato, 2011, 2, 162 ss.; in giurisprudenza si veda Cass., 18 giugno 1956, n. 2171, in Foro pad., 1957, I, 815 la quale ha affermato che non è lecita alcuna distinzione di effetti giuridici tra il caso in cui l’azione di riduzione sia stata esercitata in giudizio con esito favorevole dal caso in cui le parti, a seguito della ricostruzione dell’asse ereditario, abbiano proceduto alla determinazione e relativa assegnazione alla parte dei beni dell’erede leso; Cass., 3 maggio 1979, n. 2554, in Giust. civ. mass., 1979, 1112 la quale ha affermato che le convenzioni con cui l’erede testamentario ed i legittimari preteriti o comunque lesi nei propri diritti di riserva soddisfino tali diritti, inserendosi nella vicenda successoria, avendo natura sostanzialmente ereditaria, sono tassabili con l’imposta di successione e non con l’imposta di registro applicabile agli atti inter vivos; Cass., 24 novembre 1981, n. 6235, in Mass. Giur. it., 1981 la quale ha stabilito che la convenzione con cui l’erede testamentario ed i legittimari pretermessi, o comunque lesi nei propri diritti di riserva, provvedano al soddisfacimento di tali diritti è assoggettata ad imposta di successione e non all’imposta di registro come atto traslativo inter vivos; Trib. Genova, 20 dicembre 1968, in Giur. mer., 1970, I, 965 che ha qualificato l’accordo di reintegrazione della legittima come “negozio di accertamento” sostenendo che tale negozio avrebbe prodotto il medesimo effetto che sarebbe scaturito dall’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione, rendendola di fatto superflua; in senso conforme cfr. anche Comm. Trib. Prov. Aosta, sez. III, 31 ottobre 2011, n. 18.

[41] F.P. LUISO, Il sistema dei mezzi negoziali per la risoluzione delle controversie civili (Relazione al Convegno organizzato dal CSM sul tema “Autonomia privata e processo”), in www.csm.it, sezione Ricerche, 2009.

[42] Per un esame dei problemi di tecnica redazionale degli accordi di reintegrazione di legittima, cfr. G. SANTARCANGELO, Gli accordi di reintegrazione, cit., 162 ss.

[43] F. FORMICA, In tema di “Accordi di reintegrazione della legittima – Trattamento fiscale”, in CNN Notizie del 3 luglio 2008. 

[44] F. FORMICA, op. cit.

[45] Commissione tributaria centrale, Sez. XIX, 18 aprile 2003, n. 3180, in Fisco, 2003, 419 ha ribadito che ancorché le attribuzioni concordate tra gli eredi abbiano sostanzialmente natura ereditaria ed il relativo atto negoziale abbia lo scopo di soddisfare i diritti di legittima, ove l’atto produca lo scioglimento della comunione ereditaria, lo stesso sarà attratto all’imposta di registro.

[46] La Commissione di giustizia tributaria di secondo grado Friuli Venezia Giulia, 14 ottobre 2022, n. 219 ha riconosciuto natura di accordo di reintegrazione di legittima all’atto con cui il fratello, che aveva ricevuto per testamento la nuda proprietà di un immobile, disposizione lesiva della legittima delle sorelle, offriva alle sorelle la somma complessiva di euro 63.000 al fine di prevenire il loro esercizio dell’azione di riduzione e reintegrarle nei diritti di legittima. Sia la Commissione tributaria di 1° grado sia quella di 2° grado hanno ritenuto che l’accordo rientrasse tra quelli che l’art. 43 TUS, unitamente alle disposizioni contenute nel testamento, indica tra gli elementi posti a base della tassazione dell’imposta sulle successioni.

[47] Cass., ord., 17 gennaio 2019, n. 1141.

[48] Si tratta ovviamente di una fictio iuris ma il diritto consente di far retroagire gli effetti di un atto (fatti salvi i diritti dei terzi) come risulta, ad esempio, dall’art. 757 secondo il quale «Ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti per successione, anche per acquisto all’incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari».

[49] L. MENGONI, op. cit., 230.

[50] Afferma F. SALVATORE, op. cit., 212, nota 3 che «le parti possono accordarsi, oltre che attribuendo al legittimario la sua quota sull’intero asse, senz’altro anche assegnandogli direttamente determinati beni di valore corrispondente alla legittima, purché questi ultimi siano ereditari, ossia facciano parte del patrimonio del de cuius (con la differenza che nel primo caso sussisterà anche il diritto di partecipare alla divisione). Com’è noto il legittimario ha diritto ad avere la sua quota formata dai beni del de cuius in giusta proporzione di immobili, mobili, denaro, ecc., salvo il limite rappresentato dalla concreta indivisibilità dei beni stessi; è altrettanto vero, tuttavia, che il testatore stesso può indicare beni determinati come quota del patrimonio (cfr. art. 588, comma 2 c.c. che introduce la institutio in re certa, art. 733 c.c. che stabilisce che il testatore può dettare norme vincolanti sulla formazione delle porzioni nella divisione, art. 734 c.c. che estende l’ambito dell’antica divisio inter liberos, consentendo al testatore di dividere fra gli eredi i beni evitando la comunione ereditaria). Necessario è, comunque, che all’atto partecipino tutti i soggetti beneficiati direttamente dal testamento, ossia nominati eredi o legatari». 

[51] Illuminante in proposito è la risalente Cass., 18 giugno 1956, n. 2171, cit. secondo la quale «non vi è ragione per considerare traslativa l’assegnazione consensuale al legittimario di un determinato cespite a tacitazione dei reclamati diritti; il diverso contenuto del testamento rispetto all’atto di integrazione di quota non implica un trasferimento, ma semplice riconoscimento di diritti spettanti per legge (art. 554 c.c. e 881 c.c. abrogato) e tale riconoscimento, a norma dell’art. 48 della legge di registro [abrogata], non può essere considerato traslativo del bene assegnato».

[52] Sulla rinuncia all’azione di riduzione a titolo oneroso cfr. G. CAPRINO, Gli accordi di reintegrazione della legittima: schemi negoziali e implicazioni fiscali, in Notariato, 2022, 608.

[53] Si vedano le sentenze gemelle Cass., sez. un., 6 giugno 2006, n. 13429 e Cass., sez. un., 12 giugno 2006, n. 13524, in Corr. giur., 2006, 1711, con nota di Stefini; in Notariato, 2006, 671, con nota di LOFFREDO; in Nuova giur. civ., 2007, 736, con nota di DE BELVIS; in Riv. dir. civ., 2008, 211, con nota di BIANCA; in Fam. pers. succ., 2008, 796, con nota di GRANDI.

[54] Cfr. F. MAGLIULO, in G. IACCARINO (diretto da), Successioni e donazioni, Torino, 2023, 1622 ss.

[55] Cass., 30 giugno 2021, n. 18561; Cass., 12 marzo 2003, n. 3694, in Vita not., 2003, 877; Cass., 12 settembre 2002, n. 13310, in Notariato, 2003, 580; afferma F. MAGLIULO, in Successioni e donazioni, cit., 1611 che «la legittima costituisce un’attribuzione patrimoniale suscettibile di essere composta da una pluralità di negozi di liberalità, aventi struttura causale diversa, pur se rientranti nell’ampio genus delle liberalità, ma tutti caratterizzati dall’essere ascrivibili alla complessiva funzione di integrare e/o comporre la legittima».

[56] Sulla miniriforma dell’azione di riduzione cfr. M. CAMPISI, Azione di riduzione tutela del terzo acquirente alla luce delle leggi 14 maggio 2005, n. 80 e 28 dicembre 2005, n. 263, in Riv. not., 2006, 1269; R. CAPRIOLI, Le modificazioni apportate dagli artt. 561 e 563 c.c. Conseguenze sulla circolazione dei beni immobili donati, in Riv. not., 2005, 1019; CERVASI, Sull'azione di restituzione contro i terzi acquirenti da beneficiari di liberalità non donative, in Giur. it., 2011, 2052; F. CRISCUOLI, Prime riflessioni sulla riforma degli artt. 561 e 563 c.c., in Riv. not., 2005, 1505; G. CARLINI – C. UNGARI TRASATTI, La tutela degli aventi causa a titolo particolare dai donatari: considerazioni sulla l. n. 80 del 2005, in Riv. not., 2005, 773; S. DELLE MONACHE, Tutela dei legittimari e limiti nuovi all'opponibilità della riduzione nei confronti degli aventi causa dal donatario, in Riv. not., 2006, 305; M. IEVA, La novella degli artt. 561 e 563 c.c.: brevissime note sugli scenari teorico-applicativi, in Riv. not., 2005, 943; V. MARICONDA, L'inutile riforma degli artt. 561 e 563 c.c., in Corr. giur., 2005, 1177; G.S. PENE VIDARI – G. MARCOZ, La mini-riforma delle donazioni immobiliari: per una tutela obbligatoria della legittima, in Riv. not., 2006, 699; V. TAGLIAFERRI, La riforma dell'azione di restituzione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione, in Notariato, 2006, 168; P. VITUCCI, Tutela dei legittimari e circolazione dei beni acquistati a titolo gratuito, in Riv. dir. civ., 2005, 555.

[57] Sull’atto di opposizione alla donazione cfr. G. BARALIS, Riflessioni sull’atto di opposizione alla donazione a seguito della modifica dell’art. 563 c.c., in Riv. not., 2006, 277; A. BUSANI, L'atto di "opposizione" alla donazione (art. 563, comma 4, cod. civ.), in Riv. dir. civ., 2006, 13; A. TORRONI, La Cassazione si pronuncia sull’atto di opposizione alla donazione, nota a Cass. 11 febbraio 2022, n. 4523, in Riv. not., 2022, 541.

[58] Disegno di legge n. 926-bis “Diposizioni per l’agevolazione della circolazione dei beni provenienti da donazioni” presentato dal Ministro dell’economia e delle finanze on. Giancarlo Giorgetti presso il Senato della Repubblica, risultante dallo stralcio del disegno di legge n. 926 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026”.

[59] Questa soluzione, già adottata dalla riforma operata dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 – nel caso l’azione di riduzione fosse esercitata dopo vent’anni dalla trascrizione della donazione, senza che fosse stato notificato e trascritto dal potenziale legittimario un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione – viene ora applicata come soluzione di default.

[60] Cass., ord., 17 gennaio 2019, n. 1141, cit.

[61] Qualificare l’accordo di reintegrazione di legittima avente ad oggetto un singolo bene come atto traslativo comporta sottoporre l’acquisto del legittimario ad una doppia tassazione: l’imposta di successione dovuta dal beneficiario della disposizione lesiva e l’imposta di registro sul trasferimento dovuta dal legittimario reintegrato.

[62] Cass., ord., 17 gennaio 2019, n. 1141, cit.; Commissione di giustizia tributaria di secondo grado Friuli Venezia Giulia, 14 ottobre 2022, n. 219, cit.

[63] G. ORLANDO, Note sugli accordi di reintegrazione della legittima, in Studium iuris, 2020, 1186 ss. ha affermato che «Solo una visione riduttiva dell’autonomia privata può non avvedersi di come proprio qui si trovi quel crocevia, attraversato dall’accordo di reintegrazione di legittima, tra il diritto dei contratti e il diritto ereditario in cui si scorge l’autentico valore sistematico dell’autonomia negoziale; valore che, peraltro, spiega quel generale fenomeno che vede ormai da tempo – anche per ragioni di favore verso soluzioni capaci di deflazionare il contenzioso giudiziale – il contratto penetrare sempre più in àmbiti dell’ordinamento (il diritto successorio, il diritto di famiglia, la tutela esecutiva, la gestione della crisi d’impresa, e così via) che sino a pochi anni fa erano considerati territorio ad esso precluso, per il prevalere della (distorta) idea dell’esistenza di interessi “generali” e soprattutto della loro (supposta) incompatibilità con lo strumento dell’autonomia privata (erroneamente ritenuta per sua natura e in ogni caso inidonea a garantirne l’attuazione)».

[64] G. ORLANDO, op. cit.