Giuffré Editore

La discrezionalità nell’affidamento fiduciario, quale oggetto di disposizione testamentaria: esigenze e limiti

Francesco Alcaro

Ordinario di Diritto privato, Università di Firenze


Un’osservazione preliminare: la riproposizione della ‘fiducia’ – come del resto di molti istituti – si manifesta nel segno di ‘nova et vetera’ , fra antiche radici e nuovi approdi e applicazioni. 

L’evocazione e l’uso della fiducia – intesa fin qui prevalentemente come fiducia in senso intestativo – non ha incontrato generalmente il favore degli interpreti a causa dell’ambigua ricostruzione del concetto e della diffidenza indotta dal suo disporsi su piani diversi di valutazione: e ciò, specialmente, con riguardo all’ambito successorio e alla ritenuta non compatibilità della ‘fiducia’ con le prerogative del testatore (Scialoja, Allara, De Ruggiero) e con il carattere ‘personalistico’ riconosciuto al testamento. Si tratta allora di ripensare la figura, in tale contesto.

Svolgendo una sintetica riflessione – dopo quanto ascoltato e quanto si dirà –, l’attenzione intende concentrarsi, in una rinnovata percezione e ricostruzione della ‘fiducia’, in particolare sulla discrezionalità, quale modalità ed elemento identitario della figura nell’esercizio del potere di scelta, pur con alcuni limiti, attribuibile al fiduciario, in quanto chiamato a compiere determinati atti e ad adottare selettivamente comportamenti integrativi, pertinenti, nel contesto specifico dell’obiettivo di volta in volta individuato dal testatore. Ciò, oltre e al di là dei casi presenti nel codice: ex art. 627 (fiduciario quale soggetto intestatario interposto); ex art. 629, 3° comma, ex art 631, 2° comma, circa i limiti di scelta del legatario; ex art. 632, c. 1, circa l’individuazione dell’oggetto o quantità del legato; ex art. 664, 665, 666, con riguardo all’adempimento del legato in generale o del legato alternativo e  eventuali sostituzioni/subentri

Può rilevarsi dunque una certa pervasività della ‘fiducia’ quale componente costitutiva di molte posizioni soggettive.

Una disposizione fiduciaria nel testamento – a prescindere dunque dall’ipotesi individuata dall’art. 627 – non è del resto strutturabile, come potrebbe esserlo se concepita nell’ambito di un contratto, nel quale, in quanto atto tra vivi, si può definire un programma e un assetto adeguati sulla base di una relazione operativa dialogica. 

Nel testamento, per la sua irriducibile unilateralità quale atto mortis causa e per il principio di personalità (peraltro da interpretare), essenzialmente prende corpo una fiducia ‘riposta’, che esige preventive indicazioni, riscontri e limiti. Occorrendo di volta in volta analizzare i poteri e i compiti assegnati dal testatore al fiduciario, nel momento programmatico dell’affidamento preordinato, e procedere ex post alla verifica della sua conseguente attuazione, secondo le coordinate e i criteri posti dalla stessa disposizione testamentaria.

Rilevando, quanto ai limiti di concepibilità della fiducia, che essa, se evocata, comunque implica sempre – pena la sua irrilevanza e la sua inconsistenza – una misura di apprezzamento e di scelta di dati ed elementi nell’assolvimento, ‘disinteressato’, del compito affidato, in ragione delle ritenute risorse e capacità valutative e attuative del fiduciario: ciò che poi costituisce il nucleo del discorso. Altrimenti e diversamente, si tratterebbe di un lineare e puro atto esecutivo, di contenuto predeterminato e prefissato. La fiducia s’inscrive, invece, in una logica di ragionevoli e significative integrazioni.

Del resto, non sempre le disposizioni si risolvono in una funzione direttamente attributiva o definita, potendo esse implicare, strumentalmente, lo svolgimento di un programma di attuazione di un’obbligazione o dell’espletamento di un onere imposto ed è proprio in tale contesto che vengono ad emergere i poteri appositi attribuiti al fiduciario, nel senso di un percorso che potrebbe essere anche selettivo.

I limiti e i controlli previsti per l’attività del fiduciario possono manifestarsi, cautelativamente, oltre che attraverso la definizione adeguata del compito affidato, mediante l’imposizione di autorizzazioni, consensi, pareri e la designazione anche di figure di garanti.

Quanto al contenuto delle disposizioni fiduciarie, può trattarsi di disposizioni di vario tenore, tese, nell’individuazione ‘affidata’ di dati oggettivi o soggettivi, al raggiungimento dell’obiettivo prefissato dal testatore, in termini di singoli atti o di una più estesa attività adeguata alla specificità e complessità del caso concreto. Coerentemente si tratta di prefigurare con puntualità le modalità di esercizio della discrezionalità attribuita dal testatore al fine di evitare conflitti, inconvenienti attuativi ed arbìtri. In ogni caso, se la discrezionalità risulta già orientata dall’obiettivo fissato dal testatore traendo da esso il suo limite intrinseco, non investe l’an dell’atto finalizzato, ma il suo iter e la sua conformazione.

Nella prospettiva delineata, superando la visuale tradizionale della ‘fattispecie’, si contribuisce indubbiamente alla valorizzazione dell’autonomia dispositiva del testatore, e quindi, in modo apprezzabile, al raccordo del diritto successorio con il diritto delle obbligazioni e dei vincoli gestori, e direi con il diritto civile tout court, risultando arricchito il contenuto stesso delle determinazioni del testatore, anche in senso dinamico e ragionevolmente duttile. Tutto ciò, più in generale, nell’auspicato processo di revisione, per altro verso, dei limiti derivanti dal divieto degli accordi e dei patti successori e dell’attuale configurazione della ‘legittima’.

Non sono dunque da scoraggiare, nel timore di una potenziale invalidità, le disposizioni che attribuiscano poteri di scelta al fiduciario, in un determinato ambito, trattandosi di una risorsa che consente al testatore di realizzare obiettivi ed interessi che egli ritenga meglio perseguibili giovandosi del dinamico congegno fiduciario, aggiornato nella sua interpretazione.

In sostanza, al tradizionale interrogativo se determinate scelte affidate a terzi possano violare il principio di personalità del testamento, – inteso questo, com’è noto, non sempre correttamente, quale limite o ragione di preclusione dell’attribuzione a terzi di determinazioni dispositive intrinsecamente spettanti al testatore – può rispondersi che non sembra discendere dal sistema un impedimento generalizzato, trattandosi di preservare, essenzialmente, un principio di attuazione della volontà del de cuius, ma non escludendosi che il testatore possa talvolta soddisfare meglio una sua esigenza, ricorrendo alla competenza e all’affidabilità (seppur non alla mera discrezionalità) dell’onerato per l'espletamento di un determinato proposito, nelle circostanze del caso concreto, fra ‘autonomia’ e ‘vincolo’ finalistico.

In conclusione, l’interprete è chiamato, anche in questo settore, a ripensare categorie ed assunti nell’evoluzione delle esigenze che si manifestano e degli strumenti più idonei a soddisfarle, fra i quali, ora, il congegno dell’affidamento fiduciario si segnala per le sue non anguste potenzialità innovative e dinamiche, da contestualizzare, ovviamente, come sempre, nella concretezza e specificità degli interessi da perseguire.