Giuffré Editore

L'affidamento fiduciario nel sistema di sostegno e tutela delle fragilità sociali


di Nicola Rotondano

Notaio in Casoria


Introduzione. Cenni sul c.d. "trust interno"

Il tema del sostegno e della tutela delle fragilità sociali è da tempo oggetto di ripetuti interventi da parte del legislatore, anche a causa della perdurante crisi economica, dell’aumento dell’età media della popolazione e dei massicci fenomeni migratori che hanno aumentato il numero delle persone bisognose e la domanda di integrazione ed inclusione sociale, nonché di una maggiore attenzione nei confronti delle disabilità e dei delicati problemi che esse sollevano anche nei confronti dei familiari del disabile.

In tale quadro, il contratto di affidamento fiduciario appare strumento particolarmente adatto a svolgere una funzione latu sensu assistenziale nei confronti dei soggetti deboli, e come tale esso è per la prima volta previsto e "nominato" in un testo di legge (l. n. 112 del 2016 c.d. sul "Dopo di noi"); pertanto, premesso un breve excursus necessario a definire il contratto di affidamento fiduciario ed inquadrarlo nell'ambito dei c.d. "strumenti di articolazione patrimoniale" conosciuti dal nostro ordinamento, occorre verificare se l'impatto sistematico della suddetta L. n. 112 del 2016 consenta di affermare l'avvenuto riconoscimento dell'istituto in esame nel nostro ordinamento giuridico.

Il contratto di affidamento fiduciario è un istituto di elaborazione dottrinale, privo (fino alla legge n. 112 del 2016) di riconoscimento normativo e giurisprudenziale (se si eccettuano talune pronunzie rese in sede di volontaria giurisdizione), dai contorni ancora non precisamente delineati tanto da essere stato definito "poliforme" e "polifunzionale". L'intento della dottrina che si è dedicata alla sua elaborazione è quello di pervenire – attraverso una paziente opera di ricostruzione di frammenti normativi spesso non adeguatamente valorizzati ma che fanno parte a pieno titolo della nostra tradizione giuridica, nonché di ricomposizione in un quadro unitario di talune pronunzie giurisprudenziali – alla configurazione di un negozio del tutto diverso dal tradizionale negozio fiduciario di derivazione romanistica, nel quale la destinazione fiduciaria sia palese e rilevante verso l'esterno con conseguente opponibilità ai terzi, e che sia quindi in grado di porsi quale alternativa competitiva al "trust interno" riproducendone le caratteristiche e gli effetti essenziali ma senza il vulnus (forse più apparente che reale) del necessario ricorso ad una legge regolatrice straniera. Tale opera "maieutica" richiede – come è stato efficacemente sottolineato (Lenzi) – di superare i pregiudizi dogmatici e concettuali che ostacolano la piena ammissibilità nel nostro ordinamento di una destinazione volontaria di beni ad uno scopo.

Ricordiamo che, in base alla Convenzione dell'Aja dell'1 luglio 1985 relativa alla legge applicabile ai trust ed al loro riconoscimento, resa esecutiva nel nostro Paese con l. 16 ottobre 1989, n. 364, il trust è caratterizzato, tra l'altro, dal dare luogo ad una "proprietà separata" dal restante patrimonio del trustee cui i beni sono intestati "per conto altrui" o "nell'altrui interesse" (cfr. art. 2, comma 2 lett. a) e b), secondo le quali «I beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee» e «sono intestati al trustee»); inoltre, ai sensi dell'art. 11 della stessa Convenzione, il riconoscimento nel nostro ordinamento «implica, quanto meno, che i beni in trust rimangano distinti dal patrimonio personale del trustee» e, nella misura in cui la legge (straniera) regolatrice lo richieda o lo preveda, «che i creditori personali del trustee non possano rivalersi sui beni in trust», «che i beni in trust siano segregati rispetto al patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest'ultimo o di suo fallimento» e «che i beni in trust non rientrano nel regime matrimoniale o nella successione del trustee». 

È a tutti noto il dibattito che ha condotto la prevalente dottrina e giurisprudenza, nonché il legislatore sebbene a fini tributari, a riconoscere l'ammissibilità nel nostro ordinamento del c.d. "trust interno", cioè di un trust costituito in Italia ed i cui elementi significativi (cittadinanza e residenza del disponente e del beneficiario, luogo in cui si trovano i beni e dove deve essere perseguito lo scopo del trust) sono tutti collegati al nostro Paese ad eccezione, necessariamente, della legge applicabile scelta dal settlor (che non può che essere straniera, non essendo nel nostro ordinamento previsto e regolato tale istituto) ed, eventualmente, anche del luogo di amministrazione e del luogo di residenza del trustee; infatti, non avendo il nostro Paese usufruito della facoltà prevista dall'art. 13 della Convenzione, anche un trust con le suddette caratteristiche deve poter avere pieno riconoscimento in Italia; la legge di attuazione della Convenzione è ritenuta idonea a soddisfare il precetto – di ordine pubblico – contenuto nell'art. 2740, comma 2, c.c., che pone una riserva di legge perché siano ammesse le limitazioni di responsabilità che, in virtù dell'effetto segregativo tipico del trust, necessariamente conseguono in capo al trustee. L'obiezione che la Convenzione ha lo scopo di risolvere conflitti di legge (è cioè una convenzione "di diritto internazionale privato") e non di introdurre negli ordinamenti dei Paesi aderenti un nuovo istituto giuridico (non è quindi una convenzione "di diritto sostanziale uniforme") non coglie nel segno, poiché non si tratta di introdurre nel nostro ordinamento un istituto disciplinato da norme di derivazione internazionale, bensì di concedere riconoscimento, come la Convenzione espressamente prevede, ad un istituto non previsto nel nostro ordinamento e disciplinato da una legge straniera.


Il contratto di affidamento fiduciario. Nozione e caratteri

Le caratteristiche salienti del trust – affidamento di beni (anche non traslativo), separazione/segregazione rispetto al restante patrimonio del titolare della situazione affidata, destinazione ad uno scopo con gestione dinamica del fondo affidato – ricorrono, pur con differenti sfumature, nelle più comuni definizioni del contratto di affidamento fiduciario:

– il contratto di affidamento fiduciario è il contratto per mezzo del quale «l'affidante e l'affidatario fiduciario individuano le posizioni soggettive affidate e la loro destinazione a vantaggio di uno o più soggetti (beneficiari) in forza di un programma, la cui realizzazione è rimessa all'affidatario, che a tanto di obbliga»; 

tale definizione, dovuta a M. Lupoi, pone l'accento sul programma destinatorio, cioè sull'attività cui è tenuto l'affidatario, più che sui beni e sulle loro vicende, ed è sostanzialmente ripresa dalla l. n. 43 del 2010 della Repubblica di San Marino:

– «L'affidamento fiduciario è il contratto col quale l'affidante e l'affidatario convengono il programma che destina taluni beni e i loro frutti a favore di uno o più beneficiari, parti o meno del contratto, entro un termine non eccedente novanta anni» (l. n. 43 del 2010 della Repubblica di San Marino).

Più sbilanciata sulla vicenda traslativa è invece la definizione proposta da E. Corallo:

– «Il contratto di affidamento fiduciario è un contratto in virtù del quale un soggetto (Affidante) si affida e trasferisce ad altro soggetto (Affidatario) beni/diritti con l'intesa che quest'ultimo li gestisca (anche disponendone) al fine di eseguire un certo Programma destinatorio».

Dalle definizioni innanzi proposte e dalla copiosa elaborazione dottrinale si ricava che il contratto in esame ha le seguenti caratteristiche:

– esso riposa su un elemento che può dirsi "pregiuridico": l'affidamento;

– un soggetto "affida i beni" e, direi, "si affida" ad un altro soggetto per il compimento di un'attività che l'affidante non può, non si sente in grado o non vuole svolgere personalmente, e per la quale ripone fiducia nell'affidatario cui è conseguentemente rimessa un'ampia discrezionalità nell'agire, seppure "nell'interesse altrui", informata al principio di buona fede e caratterizzata dall'assenza di conflitti d'interesse;

– in primo piano vi è quindi l'effetto obbligatorio rispetto al quale quello reale è strumentale; l'affidatario è titolare di una complessa posizione contrattuale composta di diritti, obblighi, facoltà, oneri ecc.; se egli acquista anche la titolarità dei beni poiché ciò è più funzionale all'attuazione del programma, si tratterà di una proprietà strumentale e temporanea, funzionalizzata ad uno scopo e quindi conformata (se non nel suo contenuto, stante la tipicità dei diritti reali) nel suo esercizio;

– il trasferimento, tuttavia, pur se solitamente presente, non è essenziale alla configurazione del contratto in esame, perché l'affidatario può destinare all'attuazione del programma, da lui condiviso, anche un bene già suo (magari acquistato in precedenza con danaro dell'affidante) oppure un bene che il medesimo acquisterà direttamente da un terzo con provvista fornita dall'affidante ai sensi dell'art. 1180 c.c. oppure con accollo da parte dell'affidante del mutuo contratto dall'affidatario per il suo acquisto, ecc.;

– fulcro del contratto è dunque il programma destinatorio, che deve essere portato a compimento e pertanto ne costituisce l'unico elemento veramente immutabile, potendo invece gli altri elementi (soggetti, beni) modificarsi nel corso del rapporto;

– per l'attuazione del programma è richiesta una gestione dinamica ed attiva del fondo affidato in quanto l'affidatario ha ampi poteri dispositivi e non solo gestori, e può pertanto vendere, sostituire, permutare, reimpiegare i beni costituenti il fondo affidato se ciò è necessario per l'attuazione del programma. L'efficienza del contratto richiede quindi che in tali ipotesi si produca la surrogazione reale (salva la pubblicità) dei beni, e che il vincolo di destinazione all'attuazione del programma si trasferisca automaticamente ai beni permutati ovvero ricavati dall'alienazione e poi a quelli acquistati con detto ricavato, così come esso si estenda anche ai beni eventualmente affidati in un tempo successivo alla stipulazione del contratto;

– la struttura del negozio, indipendentemente dall'effetto traslativo, è sempre contrattuale, perché occorre sempre un accordo (di tipo normativo), quanto meno, per la definizione del programma e l'individuazione dei beni da destinare a tale scopo; ciò benché si ammetta che l'affidante possa anche auto-investirsi, inizialmente e temporaneamente (per esempio fino ad una certa età o fino alla propria morte o incapacità), della qualifica di (primo) affidatario (ma in tal caso non anche di beneficiario delle utilità del programma);

– essa può poi arricchirsi con l'intervento dei beneficiari, assumendo struttura plurilaterale, ovvero attribuire loro un diritto ai sensi dell'art. 1411 c.c., con conseguente possibilità di rendere l'acquisto irrevocabile mediante la dichiarazione di voler profittare della stipulazione;

– per garantire la realizzazione del programma e, quindi, l'efficienza del contratto superando la tradizionale figura dell'interposizione reale, occorre che la destinazione e le connesse obbligazioni fiduciarie assumano rilevanza esterna e siano di conseguenza opponibili ai terzi. A tale scopo non è sufficiente la, pur necessaria, manifestazione della sua posizione da parte dell'affidatario, ma occorre un meccanismo che, da un lato, impedisca o prevenga atti di distrazione dei beni affidati rispetto alla loro destinazione mediante rimedi che vadano oltre la mera risarcibilità del danno da inadempimento contrattuale che discende dalla sola rilevanza interna del pactum fiduciae ai sensi dell'art. 1372 c.c.; dall'altro, impedisca la confusione del fondo affidato tenendolo separato dal restante patrimonio dell'affidatario, in modo che esso sia insensibile alle vicende personali (successione, regime matrimoniale) dell'affidatario e non possa essere aggredito dai suoi creditori personali ma solo dai creditori il cui titolo sia originato dall'attuazione del programma destinatorio.

È di tutta evidenza che alcune delle suddette caratteristiche, in assenza di una disciplina normativa ad hoc, pongono delicati problemi di compatibilità con principi cardine del nostro ordinamento (numero chiuso dei diritti reali, tutela dell'affidamento dei terzi, responsabilità patrimoniale generica e riserva di legge per le sue eccezioni, inderogabilità della disciplina sulla tutela dei legittimari e sulla comunione legale, divieto di fedecommesso, divieto di patti successori), alla cui soluzione la dottrina ha dedicato moltissimi sforzi, elaborando sofisticati strumenti tecnici (quali ad esempio meccanismi condizionali non retroattivi, assimilazione dell'affidatario al titolare di un ufficio di diritto privato con relative cause di decadenza, revoca e rinunzia, autorizzazioni preventive agli atti di alienazione da parte di un "guardiano") e risolvendo anche molti equivoci concettuali (ad esempio tramite il ricorso alla nozione di proprietà "funzionalizzata" o alla distinzione tra negozi mortis causa e negozi inter vivos ma con effetti post mortem) il cui esame esula dall'economia del presente lavoro e che, in verità, non sempre sono apparsi in grado di assicurare sufficiente serenità all'operatore pratico.


(Segue) La separazione patrimoniale

Il punto a mio avviso più critico è rappresentato dalla compatibilità della separazione/segregazione patrimoniale con la riserva di legge di cui all'art. 2740, comma 2, c.c.

Senza alcuna pretesa di esaustività, può ricordarsi che l'effetto segregativo è stato da taluno giustificato sostenendo che la situazione di titolarità dei beni da parte dell'affidatario, essendo una proprietà strumentale e temporanea, è priva di un reale valore economico e pertanto non è idonea ad apportare alcun incremento finale al patrimonio dello stesso (altrimenti inteso come una sorta di "buco nero" nel quale tutto si confonde); come tale, essa esula radicalmente dalla nozione dei "suoi beni" oggetto della garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740, comma 1 c.c., con conseguente inapplicabilità della riserva di legge di cui al secondo comma della stessa norma che ne costituisce eccezione.

Secondo una diversa ricostruzione, che parte dalla configurazione del contratto in esame quale mandato senza rappresentanza sui generis arricchito da clausole atipiche che ne informano il contenuto e lo caratterizzano senza tuttavia stravolgerne l'assetto al di là della naturale elasticità del tipo, l'effetto segregativo è già previsto nel nostro ordinamento dagli artt. 1706 e 1707 c.c. (ritenuti applicabili non solo al mandato senza rappresentanza ad acquistare ma anche a quello ad alienare); in tale ottica, tuttavia, al fine di rendere opponibile ai terzi l'effetto destinatorio/segregativo, dovrebbe ammettersi la trascrivibilità del contratto di mandato piuttosto che dell'atto di (ri)trasferimento espressamente previsto dall'art. 1707 c.c., per il tramite del disposto dell'art 2915 c.c. che prevede l'opponibilità ai creditori della trascrizione dei "vincoli di indisponibilità" trascritti anteriormente alla trascrizione del pignoramento. Tale impostazione ha il pregio di ricondurre il contratto in esame ad uno schema tipico e di giustificare l'effetto segregativo sulla base di norme codicistiche che soddisfano la riserva di legge di cui sopra, pur non escludendo che la meritevolezza degli interessi tutelati dal contratto, comparati con il correlato sacrificio di quelli del ceto creditorio, vadano pur sempre vagliati attraverso l'esame della c.d. causa in concreto. Essa però non è stata esente da critiche da parte di quanti dubitano che uno schema contrattuale tanto complesso possa rientrare nel tipo contrattuale del mandato.


(Segue) L'atto di destinazione di cui all'art. 2645-ter

Un ausilio alla ricostruzione di cui sopra è stato offerto dall'inserimento nel nostro ordinamento giuridico dell'atto di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c.; detta norma, pur nella sua più riduttiva interpretazione di "norma sugli effetti", consentirebbe infatti di dare pubblicità alla destinazione, ed alla conseguente separazione patrimoniale, generata dal mandato; l'effetto segregativo sarebbe quindi pur sempre riconducibile sostanzialmente agli artt. 1706 e 1707 c.c. e dunque soddisferebbe la riserva di legge di cui all'art. 2740, comma 2, c.c.; la pubblicità del vincolo sarebbe invece assicurata, per i beni immobili e mobili registrati, dalla trascrizione prevista dall'art. 2645-ter c.c.; per i beni mobili, invece, detta opponibilità riposerebbe sull'atto avente data certa di cui all'art. 2915 c.c. o sulle altre forme di pubblicità previste, per specifiche categorie di beni mobili, dalla relativa legge di circolazione.

Ma vi è di più. È noto, infatti, che a fronte dell'anzidetta lettura "riduzionistica" dell'art. 2645-ter c.c. come "norma sugli effetti" avallata da parte della giurisprudenza, la dottrina largamente maggioritaria ha invece rinvenuto in tale norma una portata sostanziale che consente di delineare una, seppur embrionale, disciplina dell'atto di destinazione con portata reale ed opponibile ai terzi, in cui la destinazione è causa sufficiente del negozio idonea a generare di per sè la separazione patrimoniale per espressa previsione di legge e, pertanto, una volta superato il controllo di meritevolezza previsto dalla norma, a soddisfare la riserva di legge prevista dall'art. 2740, comma 2, c.c. Con l'introduzione di un nuovo tipo negoziale sarebbe dunque compiuto il cammino che conduce a riconoscere all'autonomia privata il potere non solo di disporre, ma altresì di organizzare ed articolare i beni.

Letteralmente, l'atto di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c. è limitato ai beni immobili ed ai beni mobili registrati; l'effetto destinatorio sembra frutto di un negozio unilaterale compiuto dal "conferente"; esso appare funzionale ad una gestione statica del bene gravato dal vincolo (i.e. ad un utilizzo diretto del bene da parte del beneficiario ovvero alla destinazione a suo beneficio dei frutti da esso prodotti) e la pubblicità a garantire opponibilità della destinazione ai successivi aventi causa, piuttosto che a consentire la surrogazione del vincolo sul bene ottenuto con il suo scambio. Anche nella più ampia accezione di nuovo istituto sostanziale, pertanto, l'atto di destinazione c.d. "puro" non appariva ancora competitivo con il trust.

Tuttavia, parte significativa della dottrina ha compiuto un percorso teso ad ampliare la portata dell'istituto. Il vincolo di destinazione e la connessa separazione, grazie al riferimento ai frutti contenuto nella norma e mercè il disposto dell'art. 2915 c.c., sono stati ritenuti compatibili con i beni mobili; si è ammessa la possibilità che l'atto di destinazione "puro" sia accompagnato da un ulteriore negozio traslativo (come tale necessariamente bilaterale) che trova in esso la sua causa, strumentale all'attuazione della destinazione da parte di un terzo gestore dei beni, anche se non consustanziale con essa; si è precisato che l'atto di destinazione può altresì essere arricchito di un ulteriore contenuto negoziale quale un mandato che determini la configurazione di un programma e le sue modalità attuative con effetti obbligatori per il gestore (ed, in effetti, la norma fa più volte riferimento alla "realizzazione" degli interessi meritevoli di tutela o del fine di destinazione, formulazione compatibile con l'attuazione di un programma); precisandosi da parte di taluni che detto mandato appare necessario solo per assicurare al disponente la cooperazione del gestore per tutti i profili non coperti già dalla limitazione funzionale della proprietà derivante dal vincolo di destinazione reale impresso ai beni.

Così ampliata, sebbene non pacificamente, la figura apparirebbe idonea a configurare "la via italiana al trust" ed essa si avvicinerebbe al contratto di affidamento fiduciario elaborato dalla dottrina fino a fondersi con lo stesso in una commistione che dà vita ad un negozio la cui meritevolezza andrebbe volta per volta vagliata secondo quanto richiesto dall'art. 2645-ter c.c., ovvero a configurare un fenomeno di collegamento negoziale nel quale la separazione patrimoniale sarebbe generata da tale ultima norma.


Affidamento fiduciario e funzione assistenziale

L'esperienza dei trust interni dimostra come tale strumento (e quindi anche il contratto di affidamento fiduciario, ove ammissibile) si presti in modo particolarmente efficiente ad assicurare al disponente e/o ad altri soggetti bisognosi o svantaggiati assistenza personale, cure e sostegno.

L'esistenza di un programma, la separazione/segregazione, la surrogazione reale e la gestione dinamica, infatti, sono elementi idonei a venire incontro nel tempo alle mutevoli esigenze dell'assistendo, a proteggere i beni dalle aggressioni dei creditori dell'obbligato e ad assicurare l'adempimento da parte di quest'ultimo di prestazioni che spesso hanno carattere personale (assistenza personale, cure, alloggio presso l'obbligato stesso) e possono quindi essere insuscettibili di esecuzione in forma specifica, in modo più efficiente di quanto possa essere garantito da obbligazioni modali o dalla stipula di un contratto c.d. "di vitalizio improprio". In detto ultimo schema contrattuale, infatti, solitamente il soggetto obbligato non utilizza direttamente i beni trasferitigli per l'assistenza del vitaliziando, e pertanto essi, più che essere vincolati per l'attuazione della destinazione, costituiscono indirettamente la garanzia della sua attuazione. Tale funzione può essere assolta da uno schema complesso come il contratto di affidamento fiduciario. Si pensi al semplice caso di un genitore che voglia assicurare cura e sostegno ad un figlio disabile: egli potrà stipulare con un altro figlio un contratto di affidamento fiduciario con il quale trasferire a quest'ultimo la proprietà (eventualmente nuda) di determinati beni destinandoli alla cura ed al sostegno del figlio disabile ed affidando l’attuazione del programma all'altro figlio, disponendo altresì che alla morte del soggetto disabile il patrimonio residuo resti all'affidatario libero da ogni vincolo; il disponente potrà riservare inizialmente a sé la posizione di affidatario per un certo tempo o fino alla propria morte/incapacità; il corretto adempimento delle proprie obbligazioni da parte dell'affidatario, a tutela della posizione dell'affidante e/o del beneficiario, sarà posto sotto il controllo di un garante del contratto, cui viene conferito il potere di pronunziare la decadenza dell'affidatario e la sua sostituzione in caso di inadempimento, con conseguente "perdita" dei beni da parte di quest'ultimo al termine dell'affidamento. In tal modo, in luogo di lunghi rimedi giudiziali, è lo stesso fondo destinato a costituire indirettamente "garanzia" dell'attuazione del programma.

Gli interessi coinvolti nel caso in esame, riferiti alla cura ed al sostegno del soggetto disabile, sono certamente meritevoli di tutela, anche nell'ottica del peculiare vaglio previsto dall'art. 2645-ter c.c. (ove si ritenga necessario affiancare tale istituto al contratto di affidamento fiduciario ovvero aderire alla ricostruzione della fattispecie in termini di unico contratto misto): essi infatti mirano alla realizzazione di valori e principi di rango costituzionale quali la solidarietà sociale, l'eguaglianza e la pari dignità di tutti i cittadini, l'inclusione sociale, la tutela della prole, il diritto alla salute nelle sue varie articolazioni ed il diritto all’assistenza (artt. 2, 3, 30, 32 e 38 Cost.).


Alcuni aspetti civilistici della legge n. 112 del 2016 (c.d. legge sul "Dopo di noi").

 La particolare idoneità del contratto di affidamento fiduciario a svolgere una funzione assistenziale è confermata dalla comparsa per la prima volta del nomen di tale contratto in un testo di legge, e precisamente nella l. 22 giugno 2016 n. 112 recante "Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare" (c.d. legge sul "Dopo di noi").

Finalità della legge è «favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l'autonomia delle persone con disabilità» (art. 1, comma 1), ed essa «disciplina misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l'adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante la vita dei genitori» (art. 1, comma 2). Si tratta di una legge di welfare che delinea un modello di integrazione tra pubblico e privato, in quanto gli strumenti negoziali di diritto privato che vengono identificati e promossi attraverso la leva fiscale si aggiungono all'intervento pubblico (Livelli essenziali di assistenza, art. 2; Fondo per l'assistenza, art. 3), in una logica di sussidiarietà orizzontale. Destinatari ne sono i disabili gravi come definiti dalla L. n. 104 del 1992, cioè i soggetti la cui autonomia personale rende necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale.

All'art. 1, comma 3, la legge si propone, tra l'altro, di agevolare «la costituzione di trust, di vincoli di destinazione di cui all'art. 2645-ter del codice civile e di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario»; di particolare rilievo è poi l'art. 6, che detta una serie di requisiti di forma (atto pubblico) e di contenuto affinché i tre strumenti possano fruire delle agevolazioni ed esenzioni fiscali.

Seppur teleologicamente orientata al sostegno del disabile grave, la legge dà quindi l'impressione di dare per presupposte l'esistenza e l'ammissibilità nel nostro ordinamento di tutti e tre gli strumenti "nominati" ed, ancora più importante, l'equivalenza funzionale degli effetti prodotti dagli stessi, tanto da accomunarli – sebbene nel limitato settore del sostegno del disabile grave ed allo scopo di fruire del regime fiscale agevolato – sotto il profilo dei requisiti formali e contenutistici e del trattamento tributario. Peraltro i commentatori della legge hanno da subito giustamente rilevato che i tre menzionati strumenti di articolazione patrimoniale sono dotati di una "capacità espansiva" che li proietta anche al di fuori del perimetro del sostegno ai disabili gravi, in quanto nulla nella legge lascia intendere che il loro utilizzo sia limitato a tale ambito e finalizzato esclusivamente alla fruizione dei benefici fiscali; l'autonomia privata è pertanto libera di utilizzare tali strumenti allo stesso scopo delineato dalla legge, ma senza taluno dei requisiti formali e contenutistici da essa richiesti (e, di conseguenza, senza poter fruire del trattamento fiscale agevolato), oppure anche al di fuori di tale perimetro.

Il legislatore non detta alcuna norma circa l'effetto di separazione patrimoniale e la pubblicità dei tre strumenti negoziali; ma mentre nel trust tale effetto è sancito dalla Convenzione dell'Aja e "coperto" dalla legge di esecuzione della stessa e nel vincolo di destinazione esso è espressamente previsto dalla norma codicistica, relativamente al contratto di affidamento fiduciario bisogna chiedersi se l'impiego legislativo del relativo "nomen" sia sufficiente a costituire fonte di analogo effetto, il che equivale ad indagare – come da subito la dottrina ha evidenziato – la rilevanza sistematica della legge stessa.

Non è possibile in questa sede soffermarsi diffusamente su tutti gli aspetti di rilevanza civilistica della legge, sebbene in sintesi pare che vi sia sostanziale concordia su alcuni esiti ricavabili soprattutto dai requisiti contenutistici elencati nell'art. 6:

– comune ai tre negozi è la finalità esclusiva (comma 2) e la destinazione anch'essa esclusiva (comma 3 lett. e); ciò tuttavia non esclude che al termine del vincolo, coincidente con la morte del disabile grave, i beni possano essere retrocessi al disponente (ovvero al terzo, diverso dal disponente, che li abbia anche in prosieguo vincolati) oppure devoluti a terzi beneficiari, come si evince testualmente dai commi 4 e 5 e dalla mancanza di limitazioni alla destinazione (rectius: devoluzione) del patrimonio residuo richiesta dal comma 3, lett. h);

– la stessa nozione di patrimonio "residuo" sembra alludere ad una gestione dinamica in tutte e tre le figure negoziali (dunque anche nel vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c.), anche se, in realtà, "residuo" può voler dire semplicemente "non impiegato/consumato" e non riferirsi anche ad un fenomeno di surrogazione reale;

– la struttura negoziale non pare essere necessariamente contrattuale né traslativa, con conseguente necessaria diversità tra disponente e gestore dei beni; il testo originario approvato alla Camera faceva infatti espressamente riferimento ai "trasferimenti", ma nel testo definitivo detto riferimento è scomparso e ad essere agevolati sono "i beni ed i diritti" (conferiti, gravati o destinati). Ne risulta quindi avvalorata l'ammissibilità di un'autonoma rilevanza della destinazione rispetto al trasferimento (c.d. destinazione non traslativa): se la prima non è necessariamente accessoria al secondo, essa ben può costituire causa sufficiente di un autonomo atto negoziale a struttura unilaterale, e ciò conduce a riconoscere, da un lato, la natura sostanziale (e non solo pubblicitaria) della norma dell'art. 2645-ter c.c., e dall'altro l'ammissibilità del trust auto-dichiarato che era stata recentemente posta in discussione dalla giurisprudenza. Per l'affidamento fiduciario, invece, la legge parla sempre e solo di "contratto" ma ciò, come si è detto in precedenza, è coerente con la costruzione dottrinale dell'istituto pur in mancanza di un trasferimento di beni; anzi, detta mancanza appare ancor più funzionale alla previsione del "Dopo di noi" perché consente al disponente (ad esempio un genitore) di imprimere sui beni un vincolo di destinazione, di gestirli inizialmente quale affidatario e di sostituire a sé un altro affidatario alla propria morte o sopravvenuta incapacità. D'altronde un ulteriore indizio a favore dell'autonoma rilevanza dell'atto di destinazione può rinvenirsi, come acutamente sottolineato (D. Muritano), nella formulazione dell'art. 2929-bis c.c. sulla c.d. "revocatoria semplificata", che prevede che il creditore possa essere pregiudicato da un atto del debitore "di costituzione di vincoli di indisponibilità o di alienazione";

– è definitivamente chiarita l'ammissibilità del c.d. "trust interno", non essendo plausibile che il trust previsto dalla legge sia solo quello "internazionale" con soggetti stranieri o beni situati all'estero;

– viene confermato che oggetto del vincolo di destinazione codicistico sono solo i beni immobili ed i beni mobili registrati (e loro frutti), mentre oggetto del fondo in trust o dei fondi speciali disciplinati da contratti di affidamento fiduciario possono essere "beni di qualsiasi natura" (comma 3, lett. e).


Il contratto di affidamento fiduciario nella legge n. 112 del 2016

Il legislatore, nel fare riferimento al contratto in esame, usa una terminologia alquanto complessa: «fondi speciali, composti da beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario» anche a favore di Onlus riconosciute come persone giuridiche che operano prevalentemente nel settore della beneficenza.

Si rileva già a primo acchito che la terminologia "fondi speciali" non trova riscontro nella prassi, che parla piuttosto di "fondo affidato" o "patrimonio affidato": essa riecheggia piuttosto un linguaggio aziendalistico/contabile, nel quale i fondi speciali costituiscono poste del bilancio ove si collocano risorse aventi una specifica destinazione. Questo dato, in uno al riferimento alle Onlus persone giuridiche di cui al prosieguo della norma, ha condotto taluno (Tassani) a ritenere che la fruizione delle agevolazioni ed esenzioni fiscali previste nella legge sarebbe consentita solo quando affidatario sia una società o un ente, purché vi sia inerenza con l’oggetto sociale o con lo scopo istituzionale; in tale ottica, il riferimento alle Onlus sarebbe solo esemplificativo ma non escluderebbe altri enti ("anche a favore" ecc.).

Ma l'interrogativo fondamentale concerne il rapporto tra il contratto di affidamento fiduciario ed il "vincolo di destinazione" cui i beni costituenti i "fondi speciali" sono sottoposti: le due figure, infatti, non possono coincidere perfettamente o perderebbero la rispettiva autonomia, per cui la complessa formula legislativa si presta ad indicare adesione alla ricostruzione dottrinale del collegamento negoziale tra contratto gestorio e vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., oppure potrebbe alludere alla sola pubblicità di un effetto destinatorio di separazione patrimoniale che si vuole, dandolo per presupposto, derivante recta via dal contratto in questione.

Tuttavia, a fronte della natura eccezionale delle limitazioni di responsabilità patrimoniale e della riserva di legge di cui all'art. 2740, comma 2, c.c., per ammettere una completa autonomia del contratto di affidamento fiduciario dal vincolo di destinazione codicistico, o anche per affermare la sua autonoma attitudine a produrre un effetto segregativo rispetto al quale la trascrizione ex art. 2645-ter c.c. costituirebbe mero strumento pubblicitario, occorrerebbe rinvenire nella legge n. 112 del 2016 indici idonei a costituire fonte di tale effetto anche relativamente ai fondi disciplinati da contratto di affidamento fiduciario, sancendo la loro separazione rispetto al restante patrimonio dell'affidatario. Alcuni commentatori hanno ritenuto la legge troppo timida a tal fine, poiché gli indici normativi in essa rinvenibili appaiono alquanto deboli per fondarvi un effetto tanto rilevante. Anche la "destinazione esclusiva" di cui al comma 2 dell'art. 6 non è parsa sufficiente, poiché essa non può costituire un'enunciazione solo formale: se a tale enunciazione dovesse far seguito l'esigenza di un'indagine circa l'effettività di tale destinazione esclusiva, ne discenderebbe che l'effetto segregativo sarebbe accertabile solo a posteriori, in modo incompatibile con la certezza della circolazione.

Di fronte ad un legislatore ritenuto frettoloso o poco attento, pertanto, all'interprete non resterebbe che rassegnarsi a sottolineare l'irragionevolezza di aver dettato una normativa comune ed uniforme per figure che non sarebbero idonee a produrre gli stessi effetti; e non essendo dubbio che l'effetto segregativo sia funzionale al perseguimento degli scopi che la legge si propone, ciò condannerebbe il contratto di affidamento fiduciario – che ne sarebbe privo – ad un impari confronto con gli altri due istituti, sancendone di fatto l'inutilizzabilità e frustrando in tal modo gli obiettivi stessi della legge!

Per superare l'impasse, altri autori hanno proposto di valorizzare proprio il binomio vincolo di destinazione-contratto di affidamento fiduciario, facendo discendere l'opponibilità ai terzi della destinazione del conferimento di beni immobili e mobili registrati nei fondi speciali dall'utilizzo dello strumento previsto dall'art. 2645-ter c.c., che appare idoneo a consentire la trascrizione di tutte le strutture negoziali che determinano la separazione. In tal modo l'atto di destinazione ed il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali vengono a combinarsi fino a fondersi in un'unica figura negoziale che si affianca al vincolo di destinazione codicistico ma con una collocazione chiara nel mondo della fiducia ed una potenzialità applicativa assai maggiore, configurandosi, quanto agli effetti della fattispecie, quale "trust di diritto interno".

Che il legislatore abbia ammesso (ma non necessariamente per presupposto) che l'effetto segregativo sia comune a tutti gli strumenti negoziali previsti può essere sostenuto anche alla luce di un ulteriore elemento, che finora mi pare non sia stato sottolineato; alcuni commentatori si sono infatti chiesti come mai il trattamento fiscale agevolato non sia stato esteso – come invece prevedeva il testo originario dell'art. 6 – anche ai tradizionali strumenti codicistici utilizzati per il sostegno del disabile grave (donazioni, liberalità indirette o lasciti testamentari cum onere), quasi che solo i trust, i vincoli di destinazione ed i fondi disciplinati con contratto di affidamento fiduciario fossero idonei a tale scopo, ed hanno pertanto paventato una irragionevole disparità di trattamento censurabile dalla Consulta.

La ragione di tale diverso trattamento, anche alla luce dell'iter legislativo, potrebbe invece risiedere proprio nel fatto che gli strumenti di destinazione patrimoniale sono stati ritenuti dal legislatore maggiormente efficienti rispetto allo scopo perseguito, e pertanto di essi (e solo di essi) si è scelto, non irragionevolmente, di promuovere ed agevolare la costituzione/istituzione. Tale maggiore efficienza rispetto agli strumenti negoziali tradizionali risiederebbe proprio nelle caratteristiche e negli effetti della destinazione patrimoniale opponibile ai terzi, che per le sue caratteristiche consentirebbe con maggiore probabilità di portare ad attuazione il programma di sostegno e tutela dei disabili gravi.

Se ne dovrebbe quindi concludere, in tale ottica "funzionale" ed adoperando un'interpretazione costituzionalmente orientata, che l'effetto di separazione patrimoniale non possa che essere comune a tutti gli strumenti negoziali previsti dalla Legge sul "Dopo di noi": la formula legislativa potrebbe allora essere frutto della consapevolezza che tale esito non era in precedenza per nulla scontato per i "fondi speciali", e che esso è invece realizzabile attraverso la "combinazione" del contratto di affidamento fiduciario con il vincolo di destinazione codicistico. Un legislatore quindi – una volta tanto – tutt'altro che distratto, avrebbe indicato un percorso speculare a quello che aveva condotto la dottrina ad ampliare la portata della norma contenuta nell'art. 2645-ter c.c., arricchendone il contenuto o affiancandolo con ulteriori negozi: stavolta è il contratto di affidamento fiduciario a giovarsi del "sostegno" dell'atto di destinazione per realizzare pienamente la sua funzione.