L’arbitrato e la mediazione in pratica: l’esperienza della camera arbitrale di Milano
Vice Segretario Generale Camera Arbitrale di Milano
Premessa
Lo scopo di questo studio è di analizzare un’esperienza concreta nel campo della risoluzione delle controversie, quella della Camera arbitrale di Milano (Cam), attraverso una breve indagine di tipo statistico.
Si tratta di partire dai numeri e dai dati - quelli Cam del 2016 - per delineare alcune caratteristiche peculiari degli strumenti dell’arbitrato e della mediazione. Cercherò inoltre di correlare i dati statistici milanesi con i più ampi dati nazionali disponibili: arbitrato e mediazione sono spesso trattati in dottrina nei loro aspetti teorici, mentre sono più raramente analizzati a partire dai numeri che presentano e dalle prassi applicative.
Il punto da cui partire è che quando parliamo di arbitrato e di mediazione quali sistemi di risoluzione delle controversie (le cosiddette Adr, alternative dispute resolution) parliamo di strumenti molto diversi tra loro quanto a forma e procedura, quanto ai soggetti coinvolti e alle tipologie di lite, quanto, soprattutto, alla diversa efficacia del risultato finale: il lodo arbitrale che decide nel primo caso, l’accordo negoziale di conciliazione che compone la lite - senza deciderla - nel secondo.
La differenza fra i due strumenti è tale che raramente gli enti e le istituzioni li offrono entrambi assieme: normalmente alcuni enti si limitano a proporre la mediazione, altri limitano l’offerta all’arbitrato.
La Camera arbitrale di Milano, in questo senso, costituisce un’eccezione. Il tentativo pratico della Cam è sempre stato quello di tenere assieme e integrare i due strumenti, anzi di aprirne altri e valorizzare una proposta complessiva di servizi di risoluzione delle controversie.
La prospettiva di un’istituzione - aggiungo, pubblica - come la Cam è quella di mettere a disposizione delle imprese e dei professionisti il più ampio panorama di scelta dei servizi, in alternativa, anzi ad integrazione, della giustizia ordinaria.
Ho aggiunto “pubblica” per sottolineare come, in effetti, la realtà attuale dell’Adr in Italia veda la compresenza, soprattutto con riferimento alla mediazione, di pubblico e privato. Credo che questo sia positivo poiché aumenta la concorrenza e stimola la qualità dell’offerta. A patto che il controllo sulla serietà e le garanzie, visto il “prodotto” che viene offerto (stiamo pur sempre parlando di servizi di giustizia), sia effettivo[1].
I numeri dell’arbitrato (amministrato)
Analizzo la situazione dell’arbitrato nel nostro Paese a partire da alcuni dati ricavati dall’ultimo Rapporto Isdaci 2017[2].
Il Rapporto fornisce dati relativi all’arbitrato amministrato (o istituzionale), cioè a quell’arbitrato gestito da istituzioni attraverso specifici regolamenti. Non riporta - non può riportare - numeri relativi all’arbitrato ad hoc, quell’arbitrato “libero”, non gestito da istituzioni ma condotto direttamente da arbitri nominati dalle parti, secondo le regole del codice di procedura civile (artt. 806-840), almeno per il caso di arbitrato rituale. Dell’arbitrato ad hoc non si conoscono, dunque, le dimensioni né si possono dedurre da uno spettro così ridotto come quello delle impugnazioni dei lodi che in Corte d’Appello. Ancora oggi, però, si può presumere che, almeno nelle aree metropolitane come Milano e Roma, l’arbitrato ad hoc sia nettamente prevalente nei numeri rispetto all’amministrato.
I numeri dell’arbitrato amministrato riportano poco meno di 800 arbitrati amministrati l’anno (dato 2015) diffusi tra 143 camere arbitrali. La media è di pochi arbitrati per ente. In realtà va detto che molte camere arbitrali esistono solo sulla carta e gestiscono pochi e, in alcuni casi, nessun arbitrato.
Le camere di commercio gestiscono il 76% delle procedure e l’ente camerale che ne gestisce di più è la Cam (131 nel 2015, 134 nel 2016). Altri enti arbitrali fuori dal sistema delle camere di commercio sono il Tribunale arbitrale per lo Sport, la Camera arbitrale dell’Autorità anticorruzione (Anac), alcune camere arbitrali settoriali/merceologiche e camere interne agli ordini professionali (soprattutto forensi) che nell’insieme gestiscono il restante 24% delle procedure.
La prima valutazione che emerge da tali numeri è che un alto numero di centri arbitrali non porta con sé una conseguente diffusione degli arbitrati. Il rischio è quello di avere più centri arbitrali che arbitrati da gestire.
Sarebbe invece molto opportuna una concentrazione dei centri, magari collegati tra loro, in grado di dare un servizio di qualità, stabile e omogeneo nei tempi e nei costi. Mi riferisco, in particolare, al sistema delle camere di commercio e alla riforma (d.lgs. n. 219 del 2016) che prefigura - tramite convenzioni - concentrazioni tra camere anche sulle attività di giustizia alternativa.
L’arbitrato poi, a differenza della mediazione, non ha bisogno di un radicamento territoriale pervasivo, non ha bisogno di istituzioni presenti in ogni provincia: servono pochi centri di eccellenza che garantiscano un modello di alta qualità e seri controlli su tempi e costi dei procedimenti: in questo senso va l’esperienza di Paesi a noi vicini che, perlopiù, presentano una sola grande istituzione arbitrale di riferimento[3].
La seconda valutazione che si può trarre dai numeri è che l’arbitrato in generale non ha e non può avere una funzione deflattiva, non trova cioè la propria ragion d’essere nel cattivo funzionamento del tribunale ordinario[4].
La sua reale funzione e i suoi numeri lo fanno collocare all’interno di una scelta comparativa che l’impresa e il professionista compiono in relazione ad una controversia che li coinvolge o li potrà coinvolgere: quella scelta che in alcuni casi farà preferire loro la causa ordinaria, in altri casi la mediazione, in altri casi ancora l’arbitrato.
Per scendere nel dettaglio, riporto nella Tab. 1 i numeri Cam più significativi, relativi al 2016:
Tab. 1
La durata media dell’arbitrato amministrato Cam è di circa un anno (11,6 mesi) ed è una media che tiene conto di più fattori: gli arbitrati condotti da un arbitro unico durano molto di meno di quelli con un collegio arbitrale. Soprattutto, la media tiene conto del fatto che almeno la metà degli arbitrati (dato ricorrente negli anni) non termina con un lodo cioè con un pieno svolgimento della procedura ma con una transazione, riducendo talvolta i tempi della procedura.
Il valore medio delle controversie è di circa 2.500.000 euro ma i valori sono diffusi in tutti gli scaglioni tariffari: si fanno arbitrati amministrati sia per valori di lite molto elevati, tipici delle grandi controversie societarie, sia per valori di lite medio-bassi, che vedono più facilmente coinvolta la piccola e media impresa.
La composizione del tribunale arbitrale ha visto negli ultimi anni crescere notevolmente l’utilizzo dell’arbitro unico al posto del collegio dei tre arbitri, anche per controversie di grande valore economico. Il motivo principale è certamente economico, poiché naturalmente l’arbitro unico riduce fortemente gli onorari arbitrali.
Il numero di lodi resi nel 2016 (55) conferma quanto già indicavo in precedenza e cioè che circa la metà degli arbitrati termina con la decisione finale. L’altra metà dei casi termina con un nuovo accordo transattivo tra le parti (in alcuni residuali casi l’arbitrato si estingue per rinuncia o per mancati pagamenti).
Infine, la qualifica degli arbitrati vede la presenza di arbitrati internazionali nel 12% dei casi amministrati dalla Cam. In realtà, va fatta una precisazione: non si tratta di arbitrati esteri, quali sarebbero quelli che pur richiamando l’intervento della Cam indichino in clausola la sede dell’arbitrato in una città straniera[5]. Non si tratta dunque di arbitrati con legge processuale di altro Paese. Si tratta di arbitrati domestici (italiani) in cui una delle parti è straniera ovvero di arbitrati in cui vi sia qualche elemento di internazionalità come il luogo in cui doveva compiersi l’obbligazione o altro.
Come indicato nella successiva Tabella 2, la tipologia delle controversie sottoposte ad arbitrato Cam è piuttosto varia ma vede la prevalenza di due tipi di controversie: le controversie (endo)societarie e gli appalti/costruzioni. In particolare, le prime discendono naturalmente da clausole compromissorie presenti negli atti costitutivi o negli statuti che, come previsto al sopravvissuto art. 34 del d.lgs. n. 5 del 2003, stabiliscono la nomina dell’intero collegio arbitrale ad un ente estraneo alla società (appunto, l’istituzione arbitrale). Le controversie societarie Cam 2016 si riferiscono prevalentemente ad impugnazioni di delibere assembeari, ad azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, al mancato pagamento di dividendi.
Tab. 2
I numeri della mediazione
Sempre dalla comparazione tra i due diversi strumenti dell’arbitrato e della mediazione, viene una considerazione generale: mentre l’arbitrato ad hoc presenta numeri certamente superiori a quelli dell’arbitrato amministrato, la mediazione è esclusivamente mediazione amministrata. È pur vero che non è vietato a due parti che vogliano mettersi d’accordo trovare un “libero mediatore” che le aiuti a comporre la lite fuori dagli schemi previsti dal d.lgs. n. 28 del 2010 e senza i benefici di legge, tuttavia la strada pressoché esclusiva di svolgimento della mediazione nel nostro sistema - almeno nei numeri - sta dentro i binari normativi stabiliti dal decreto appena richiamato che prevede l’esperimento del tentativo presso un organismo di mediazione regolarmente iscritto al registro ministeriale e dotato di propri mediatori. Dunque, una mediazione “amministrata”, appunto, capace di far acquisire a quel caso i benefici previsti dalle norme: ad esempio l’efficacia esecutiva al verbale di conciliazione.
Va segnalato che il modello italiano di mediazione amministrata, con le forme di obbligatorietà per determinate controversie, è oggetto di crescente attenzione, almeno a livello europeo, poiché alcuni buoni risultati sono stati effettivamente raggiunti.
L’obbligatorietà, pur essendo vista da taluni come una rottura dell’ideale volontarietà di cui dovrebbe essere pervasa la mediazione, si è rivelata una chiave importante e positiva per la maggiore diffusione e conoscenza dello strumento anche tra gli avvocati che - abbandonata l’iniziale ostilità - ne cominciano ad apprezzare i benefici, anche sul piano professionale. Vi è da temere, anzi, che la mancata proroga dell’obbligatorietà per il periodo successivo al settembre 2017 (quando la previsione contenuta nell’art. 5, comma 1-bis del d.lgs. n. 28 del 2010 perderà efficacia) possa interrompere questa tendenza virtuosa, vanificando l’esperienza fin qui maturata e determinando una drastica riduzione nel numero di procedimenti.
L’analisi condotta sulla base dei dati nazionali pubblicati dal Ministero nel 2016[6] parrebbe confermare questo timore: da quelle statistiche risulta infatti che le mediazioni obbligatorie rappresentano quasi l’80% dei circa 270.000 procedimenti avviati nell’anno, a fronte dell’8,8% di procedimenti avviati volontariamente e dell’11% di mediazioni demandate dal giudice (un dato, questo, in sensibile crescita a dimostrazione di un progressivo apprezzamento della mediazione anche all’interno della magistratura).
Per continuare la nostra analisi statistica dai dati nazionali pubblicati dal Ministero della Giustizia, è poi opportuno dare conto dei dati relativi all’andamento e all’esito delle mediazioni avviate nel 2016.
Positiva risulta la crescita della percentuale di comparizione della parte invitata, passata dal 40,5% del 2014 al 46,9% del 2016. La maggiore severità con cui la giurisprudenza ha applicato le sanzioni nei confronti delle parti assenti spiega almeno parzialmente questo dato.
E non solo cresce il numero dei procedimenti che proseguono oltre il primo incontro (l’incontro nel quale il mediatore verifica con le parti la possibilità di avviare la mediazione) ma aumenta anche, nel caso di prosecuzione, la percentuale di accordi raggiunti (43,6%): percentuale che sale ancora se si prendono in considerazione i dati relativi ad alcune materie, quali ad esempio le successioni o i diritti reali, dove la percentuale di comparizione sfiora il 60% e l’accordo, in caso di prosecuzione, supera il 55%.
Degni di nota sono infine i dati relativi al valore medio delle controversie (pari a 139.544 euro, con oscillazioni però molto significative in ragione delle materie) e quelli relativi alla durata dei procedimenti che, su base nazionale, si assestano sui 115 giorni, in aumento rispetto al passato.
I dati nazionali trovano sostanziale conferma nell’esperienza milanese (Tabelle 3 e 4, qui di seguito) che mostra qualche segnale ulteriormente positivo: in particolare, il dato relativo alla comparizione delle parti al primo incontro che rispetto al dato nazionale mostra una maggiore propensione alla partecipazione: il 55% a fronte del già citato 46,9% a livello nazionale. Così pure la percentuale di successo (accordi raggiunti) nel caso di Milano è del 21% sul totale dei casi, corrispondente al 70% di accordi considerando i soli procedimenti proseguiti oltre il primo incontro, a fronte del 43,6% del dato nazionale.
Anche il dato medio relativo alla durata dei procedimenti (77 giorni) risulta positivo ed apprezzabile. Infine, il dato relativo al valore delle controversie che nelle statistiche milanesi si assesta a 364.000 euro testimonia l’impiego crescente della mediazione milanese anche nelle controversie di valore medio-alto.
Tab. 3
Tab. 4
Quali prospettive per l’arbitrato e la mediazione
Dall’insieme dei dati nazionali e milanesi esce un panorama Adr in movimento e in crescita ma ancora frenato nelle dimensioni complessive. I numeri di arbitrato e mediazione sono necessariamente differenti ma in entrambi i casi segnalano una strada ancora lunga da fare per una piena loro affermazione nel nostro Paese.
Per quanto riguarda l’arbitrato, i numeri, come già evidenziato, non indicano certamente una capacità e una funzione deflattiva dello strumento. Si tratta ancora di un mercato di nicchia, con caratteristiche di forte selettività che tuttavia segnala interessanti aperture. Ed è su queste aperture che - penso soprattutto al ruolo dell’istituzione arbitrale - occorre lavorare.
L’arbitrato non sarà né a breve né a lungo termine un sistema di risoluzione delle controversie con numeri da tribunale, non può supplire alle carenze della giustizia statale. Può però, a determinate condizioni, diffondersi più ampiamente e a tutti i livelli: penso alle piccole e medie imprese.
Una delle condizioni essenziali è l’apertura a nuove generazioni professionali: formare e coinvolgere nuovi e giovani professionisti, così da allargare il bacino degli arbitri ed evitare che le nomine coinvolgano una cerchia troppo ristretta di professionisti. Le istituzioni arbitrali dovrebbero assumere questa condizione e svolgere un’ampia rotazione degli incarichi, così oltretutto riducendo i conflitti di interesse e i problemi di indipendenza e imparzialità degli arbitri. Il tema della terzietà e neutralità degli arbitri è, infatti, un altro elemento su cui far leva per promuovere e sviluppare l’idea di un arbitrato garantito e trasparente.
Tra l’altro, queste nuove generazioni di professionisti avvicinati all’arbitrato scriveranno clausole compromissorie ben fatte nei contratti e negli statuti così da eliminare o almeno ridurre problemi e questioni che sorgono durante la procedura, spesso proprio in ragione di una cattiva redazione delle clausole.
Una seconda condizione è la garanzia di tempi e costi sostenibili per le imprese che accedono all’arbitrato: anche in questo caso il ruolo dell’istituzione arbitrale è fondamentale per combattere l’idea di un arbitrato caro e elitario. Si tratta di proporre tariffe chiare, contenute e soprattutto prevedibili: le parti all’inizio dell’arbitrato vogliono sapere quale sarà il costo da sostenere per la procedura (posto che l’allocazione finale dei costi è sempre stabilita dagli arbitri che, come i giudici in una sentenza ordinaria, decidono comunque la soccombenza o la compensazione delle spese).
Quanto alla mediazione, la prospettiva - e l’obiettivo - principale mi pare ancora quello di una crescita culturale dello strumento. Ho già accennato al fatto che rendere obbligatorio il tentativo di mediazione in alcune materie ha aiutato parecchio la conoscenza e la diffusione dello strumento. Tuttavia la vera misura è data dalla crescita della mediazione facoltativa cioè del tentativo di mediazione che la parte esperisce anche se non è obbligata dalla legge a farlo, proprio perché è consapevole dei benefici che ne può ricavare in termini di efficacia, di effettività, di risparmio di tempi e costi e di ripristino delle relazioni con la controparte.
Questa crescita culturale interessa trasversalmente le parti (i singoli cittadini, le imprese) ma anche i professionisti - avvocati, notai, commercialisti - e gli stessi giudici la cui sensibilità verso l’uso della mediazione (delegata) sta progressivamente crescendo[7].
[1] Mi riferisco, in particolare per la mediazione, al controllo che il Ministero di giustizia opera con il Registro degli organismi di mediazione ovvero con il Registro degli enti di formazione in mediazione, https://mediazione.giustizia.it.
[2] Si tratta del Nono rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, Isdaci, 2017, https://www.camera-arbitrale.it/Documenti/09-nono-rapporto-giustizia-alternativa.pdf.
[3] Gli esempi più noti sono l’Icc di Parigi https://iccwbo.org/dispute-resolution-services/arbitration; in Germania il Dis di Colonia www.disarb.org; in Svezia la Stockholm chamber of commerce http://www.sccinstitute.com; in Austria il Vienna international arbitral center www.viac.eu; in Gran Bretagna la London court of international arbitration www.lcia.org.
[4] Valga in questo senso l’esempio del d.lgs. n. 132 del 2014 che delinea il cosiddetto “arbitrato deflattivo” prevedendo il tentativo di trasferimento in sede arbitrale di procedimenti pendenti davanti all’autorità giudiziaria. L’esperimento al momento non ha prodotto alcun risultato significativo.
[5] In arbitrato l’elemento principale di determinazione della nazionalità di un arbitrato è la sede legale (o giuridica) dell’arbitrato, da non confondere con il luogo pratico di svolgimento delle udienze arbitrali.
[7] I dati 2016 del Ministero segnalano che le mediazioni demandate dal giudice sono l’11% del totale, oltre 19.000, con una crescita elevata che va dalle 489 mediazioni del 2013 alle 7.699 del 2014, alle 18.062 del 2015 e, appunto, alle 19.128 del 2016.