Attività negoziale e strumenti di tutela del territorio
Una breve introduzione
Ringrazio, anzitutto, la Fondazione Italiana del Notariato e, in particolare, il Consigliere nazionale, Direttore della Scuola del Notariato e Amico carissimo, Diego Barone, per l’assai gradito invito alla odierna, prestigiosa iniziativa, sia pure onerato di un compito gravoso ma altrettanto importante. Concludere, infatti, una giornata molto ricca di spunti e di sollecitazioni, ma certamente foriera di ulteriori sviluppi, non è per nulla agevole, quantunque stimolante. Proverò, dunque, a fare sintesi, nella prospettiva indicata dal titolo del mio contributo, rispetto pertanto ad alcune delle tematiche che hanno formato oggetto delle articolate relazioni delle due sessioni, nella direzione contrassegnata da un complessivo quadro ricostruttivo al cui interno si colloca questa riflessione conclusiva.
Mi sia consentito, tuttavia, iniziare con alcuni ricordi che testimoniano i risalenti, stretti legami con la classe notarile, sin dalla prima lezione alla Scuola del Notariato catanese “Jacopo da Lentini”, ormai quasi venticinque anni or sono, in sostituzione, allora, del compianto professore Carmelo Lazzara, all’epoca Ordinario di Diritto civile nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania, e unitamente, in quella circostanza, alla carissima Gabriella Ardini, notaio peraltro proveniente dalla comune Scuola del mio Maestro, il professore Lucio Ricca, all’epoca Ordinario di Diritto privato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania, prematuramente scomparso subito dopo l’uscita dal ruolo. Da qui è nata una collaborazione costante che mi ha portato per circa un ventennio a insegnare stabilmente alla Scuola e a frequentare assiduamente le iniziative di aggiornamento e formazione che si sono susseguite sia a livello locale sia a livello nazionale (ultima in ordine di tempo quella organizzata “a mani riunite”, per usare un’espressione nota ai civilisti di estrazione germanica, con la Scuola Superiore della Magistratura, sul “Ruolo dell’autonomia privata nella tutela dei diritti delle persone”, nella splendida sede di Castel Capuano, a Napoli, dal 25 al 27 marzo 2024). In questo contesto si colloca poi il fecondo rapporto instaurato con i più bravi studenti dei miei corsi universitari (prima di Istituzioni di diritto privato e poi di Diritto civile), diversi dei quali sono adesso validissimi notai, sia nel Distretto notarile di Catania e Caltagirone sia altrove.
Metodo e merito nella professione notarile
Discutere, come oggi si è fatto, dei rapporti tra strumenti di tutela del territorio e attività notarile e, quanto al mio contributo, delle relazioni tra attività negoziale e strumenti di tutela del territorio, significa in buona sostanza, almeno dal mio punto di vista, muovere da un dato che risulta del tutto preliminare per la rilevanza che esso assume. Penso cioè al ruolo e alla funzione, con i connessi profili di qualificazione giuridica, del notaio, anche in termini di responsabilità, all’interno della dinamica delle relazioni tra pubblico e privato, che il convegno ha appropriatamente proposto e che indubbiamente appaiono inscindibilmente correlate con la sua figura. Sono noti al riguardo gli orientamenti, recentemente richiamati in un lavoro di sintetica ma puntuale visione di insieme, che ritengono il notaio «figura ibrida nella quale confluiscono i ruoli di pubblico ufficiale e di libero professionista»[[1]], in disparte la avvertita assenza di altrettanta chiarezza in ordine ai confini esistenti tra i due ruoli medesimi. È certa, comunque, la coesistenza tra pubblica funzione e libera professione, ciò che ha costituito la base, come ancora precipuamente avvertito, «per l’individuazione dei due predicati che tradizionalmente vengono ascritti alla funzione notarile: rispettivamente, la funzione di certificazione e la funzione di adeguamento»[[2]].
Storicamente, peraltro, il potere di attribuire pubblica fede ai documenti sottoscritti dal notaio viene riconosciuto solo a partire dalla seconda metà del secolo XI[[3]], rispetto alle pur risalenti origini della figura a cui tuttavia corrispondeva in età imperiale, quale notarius[[4]], uno schiavo che svolgeva sostanzialmente le funzioni di stenografo[[5]]. L’attività certificativa sarebbe stata normativamente riconosciuta dalla legge 16 febbraio 1913, n. 89, recante ordinamento del notariato e degli archivi notarili, meglio nota come legge notarile, il cui art. 1, comma 1 definisce i notari come «ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti». Parimenti, a garanzia dell’autonomia privata egli svolge altresì un’attività deputata ad assicurare l’adeguamento dell’intento empirico delle parti alle regole giuridiche, così da coniugare il raggiungimento del relativo scopo perseguito con il rispetto dei canoni dell’ordinamento, possibile solo attraverso una previa accurata indagine della volontà delle parti in corrispondenza con la voluntas legis[[6]].
Interessi individuali e ragioni della collettività. Le tecniche di composizione tra libertà, contemperamento e conformazione
Nel complessivo contesto delineato possono allora individuarsi, per come meglio proverò a rappresentare nel prosieguo, da un lato lo strumento contrattuale, massima espressione dell’autonomia privata patrimoniale, dall’altro gli strumenti di controllo (e, quindi, di tutela) del territorio, quali tecniche (privatistiche e pubblicistiche) funzionali ad assicurare (in taluni casi anche) la conformazione dell’atto di autonomia privata agli interessi (non individuali ma) generali, ossia dell’intera collettività. Questo intreccio privato-pubblico si misura attraverso le scelte che ai privati possono competere (nel senso che agli stessi sono consentite) a fronte delle limitazioni dell’esercizio dell’autonomia privata, in varie direzioni e con diversa valenza effettuale. Queste ultime, in particolare, possono operare sia per il tramite dell’applicazione degli istituti privatistici di tipo invalidante-sanzionatorio, come nel caso del ricorso alla categoria della nullità, sia pure oggi messo in discussione da qualcuno dei relatori sotto il profilo della reale funzionalità; sia per il tramite del riferimento agli istituti pubblicistici deputati, nelle forme previste, a garantire il rispetto di quanto predisposto a tutela di posizioni, ascrivibili alla generalità dei consociati e, dunque, di rango poziore. Se, pertanto, l’attività negoziale è veicolo e traino delle attività economiche, strumento di realizzazione della circolazione della ricchezza, costituendo essa la forma giuridica della libertà di iniziativa economica privata ai sensi dell’art. 41 Cost., sia pure nei limiti originari, ma anche nuovi, ivi previsti, la stessa non può porsi in contrasto con interessi di carattere generale, della cui tutela lo Stato è responsabile. Da qui, peraltro, la conferma della stretta relazione tra interessi individuali e interessi collettivi nel rapporto tra libertà e legalità, rispetto a cui il notaio si presenta come figura imprescindibile per realizzare l’una, quanto al soggetto privato, e l’altra, quanto al soggetto pubblico, proprio attraverso la duplice funzione in precedenza evidenziata.
Possono così richiamarsi talune classi di casi, certamente non esaustive, di ausilio per comprendere in quale maniera e con quali modalità può realizzarsi quanto sopra sinteticamente rappresentato, traducendo esse la varia operatività degli strumenti di tutela del territorio. Vi sono infatti situazioni rispetto alle quali l’ordinamento interviene, e decisamente, per contrastare un certo tipo di attività materiale con riflessi negativi quanto alla corrispondente circolazione immobiliare (è questo il caso dell’abusivismo edilizio e della prevista nullità dell’atto negoziale dispositivo). Vi sono poi situazioni ove può ravvisarsi, all’interno delle forme negoziali di esercizio dell’iniziativa economica privata, una stringente relazione tra il contenuto dell’atto di autonomia privata e l’incidenza della prevista regolazione legale di natura imperativa, preordinata alla tutela di un certo tessuto socio-economico e, dunque, funzionale allo stesso territorio di riferimento (è questo il caso della circolazione di immobili in corso di costruzione sia in ordine alla disciplina dell’atto sia in ordine alla disciplina del rapporto). Vi sono altresì situazioni in cui l’ordinamento non esclude l’operare dell’atto di autonomia privata in quanto esso non è negativamente valutato, pur tuttavia lo indirizza, sostanzialmente conformando (in maniera diversamente articolata) la circolazione immobiliare, verso la soddisfazione (o in via di primaria assunzione o in via di assicurata permanenza) di interessi non individuali (è questo il caso della insistenza sul bene privato di vincoli storico-artistici o di usi civici). Vi sono ulteriori situazioni ove il miglior utilizzo del territorio, nell’ottica della più efficiente razionalizzazione, viene realizzato attraverso la combinazione di atti di autonomia privata e adesivo intervento pubblico (è questo il caso dei trasferimenti di volumetria o cessioni di cubatura, in uno con le convenzioni urbanistiche). Vi sono, infine, situazioni nelle quali l’ordinamento interviene a supporto e sviluppo dell’autonomia privata quanto alla realizzazione di iniziative di rilievo generale e collegate a una valorizzazione delle risorse naturali presenti sul territorio medesimo (è questo il caso degli enti del terzo settore rispetto alle comunità energetiche rinnovabili).
Di ciò si proverà a dare conto in un duplice percorso, deputato per un verso a segnalare ambiti sia di risalente sia di più recente interesse, indirizzato per altro verso a indagare, proprio per il tramite del ruolo assunto della relative regulae iuris di riferimento, specifiche vicende di rilievo.
4. Ambiti tradizionali e nuovi settori di intervento
Nel molteplice e articolato complesso tipologico sopra brevemente delineato, nella classica dicotomia legge-autonomia privata, segnatamente contrattuale, si collocano dunque, rispetto all’attività notarile per come inquadrata in ordine al ruolo del notaio, sia settori, per così dire, tradizionali, uno per tutti la materia urbanistica, oggi interessata dalla recentissima novella di cui alla legge 24 luglio 2024, n. 105, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni edilizia e urbanistica, sia anche settori nuovi, ma non meno importanti, ritenuti giustamente sfidanti, nel delineato quadro della tutela ambientale e della sostenibilità nel processo di sviluppo socio-economico. In ordine al primo, si può sinteticamente rilevare che la cosiddetta legge salva-casa è in realtà un limitato intervento, sia pure di rilievo, con cui, lasciando impregiudicata la questione relativa al più volte richiesto, completo riordino del decreto del Presidente della Repubblica, 6 giugno 2001, n. 380, contenente il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, si è operato in tema di procedure di regolarizzazione degli immobili, mutamenti di destinazioni d’uso e accertamento di conformità urbanistica. Le introdotte significative semplificazioni non hanno peraltro dissipato tutta una serie di dubbi, a partire dall’intervento sui cosiddetti titoli abilitativi e sullo stato legittimo dell’immobile, intrecciandosi in questa vera e propria giungla normativa questioni di politica del diritto ed esigenze di tutela di diritti fondamentali, come è quello all’abitazione e alla connessa tutela costituzionale del risparmio attraverso cui consentirvi l’accesso. Peraltro, in ordine alla circolazione immobiliare non può ritenersi che vi siano stati cambiamenti di sorta, atteso che la commerciabilità degli immobili deve essere esclusa solo se nell’atto traslativo o di divisione è assente la dichiarazione del titolo edilizo con cui è stata approvata l’attività edilizia o di recupero[[7]].
Rispetto poi al secondo, l’individuato modello di partecipazione, quanto allo sviluppo sostenibile del territorio, rappresentato dalle Comunità energetiche rinnovabili (CER), trova oggi un ulteriore, significativo termine di raffronto nella possibilità alle stesse recentemente riconosciuta di qualifica quale Ente del Terzo Settore (ETS) dalla legge 26 luglio 2023, n. 95, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 2023, n. 57, recante misure urgenti per gli enti territoriali, nonché per garantire la tempestiva attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza per il settore energetico, il cui art. 1, comma 1 ha confermato, attraverso un richiamo diretto, la possibilità che il fine e le attività svolte da una CER siano riconducibili alle attività di interesse generale degli ETS; correlativamente, l’art. 5, comma 1, lett. e), decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, Codice del terzo settore, contenente per l’appunto l’elencazione delle attività di interesse generale, è stato modificato con l’aggiunta di un espresso richiamo «alla produzione, all’accumulo e alla condivisione di energia da fonti rinnovabili a fini di autoconsumo, ai sensi del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199»[[8]].
Proprietà immobiliare e circolazione giuridica. I beni di interesse storico-artistico e gli usi civici
In ordine poi al precedentemente richiamato rapporto tra regole di legge, attività negoziale e tutela del territorio, sia rispetto alla conservazione dell’esistente assetto sia rispetto alla relativa destinazione di natura pubblicistica, con tratti di comune mantenimento della preesistente situazione giuridica deputata ad assicurare una particolare fruizione con caratteri di generalità, un particolare ambito di relazione è rinvenibile nel settore (anch’esso oggi ampiamente affrontato) della circolazione giuridica dei beni immobili in proprietà privata. Al riguardo, come noto, ogni sistema giuridico organizza e predispone, in ragione delle esercitate opzioni di politica del diritto rispetto ai modelli economici di riferimento, apposite regole preordinate ad assicurare la circolazione della ricchezza, in relazione alle diverse forme assunte e assumibili da quest’ultima, quale complesso di beni materiali e immateriali, così traducendosi la corrispondente rilevanza a livello economico e il consequenziale riconoscimento a livello normativo[[9]]. In questa sede non si tratta, ovviamente, di riprendere tradizionali principi generali e note categorie giuridiche, si pensi al riguardo alla classica distinzione tra beni mobili e beni immobili e alla disciplina codicistica della forma degli atti e, segnatamente, dei contratti contenuta nell’art 1350 c.c.[[10]]; occorre piuttosto evidenziare i possibili diversi criteri ordinanti quanto alla specifica funzione che gli stessi sono destinati ad assolvere, dedicando particolare attenzione ai diritti reali immobiliari[[11]].
È possibile allora in merito distinguere tra regole circolatorie preclusive e regole circolatorie permissive, operandosi rispetto a queste ultime un ulteriore, articolato distinguo tra regole di piena (e massima) ammissibilità circolatoria e regole di limitata (e controllata) ammissibilità circolatoria. La prospettata differenziazione opera dunque su diversi piani, provvedendo propriamente a segnalare il fine al quale tende la relativa disciplina circolatoria. Da un lato, dunque, regole permissive tout court, deputate cioè a consentire, senza limitazione alcuna e nel senso della più ampia ammissibilità, i trasferimenti della ricchezza oppure regole permissive ma con possibilità circolatoria limitata, dirette cioè a consentire, sulla base di determinati presupposti o entro limiti prefissati, i trasferimenti della ricchezza (rispetto, ad esempio, ai soggetti, all’oggetto oppure quanto alle modalità), espressione pertanto di un controllo che non esclude ma solamente limita l’atto dei privati rispetto alla finalità circolatoria. Dall’altro, invece, in senso diametralmente opposto, regole preclusive, destinate cioè a escludere in maniera assoluta (attraverso la tecnica del divieto) i trasferimenti della ricchezza, a motivo di ritenuti rilevanti interessi sovraordinati, che determinano quindi un’assenza di potere dispositivo da parte del titolare[[12]].
Si è pertanto in presenza di distinti regimi circolatori, servendo tale terminologia a indicare un complesso di regole di disciplina degli atti che vi fanno riferimento[[13]] e in ordine alla cui relativa rilevanza debbono qui segnalarsi, quanto ai controlli (e ai vincoli) di natura pubblicistica sulla proprietà privata, per un verso la disciplina del beni (non solo in verità immobili) di interesse storico, culturale e artistico, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio; per altro verso, la regolazione dell’assai risalente fenomeno (di impatto economico e di interesse giuridico) dell’assicurato godimento (in forme diverse e a determinate collettività) di beni immobili (segnatamente appezzamenti di terreno) da cui trarre svariate utilità, tipiche comunque all’origine di un’economia prevalentemente agricola e pastorale ma con importanti e permanenti strette connessioni con la tutela del paesaggio. Entrambi i contesti di riferimento suggeriscono alcune brevi riflessioni alla luce di recenti decisioni giudiziali, rese peraltro ai massimi livelli, l’una del giudice di legittimità in funzione nomofilattica[14], l’altra del giudice delle leggi[[15]].
Quanto alla prima, relativa al caso di Palazzo Giustiniani a Roma, rispetto al complesso sistema delineato nelle originarie previsioni degli artt. 5 e 29 della legge 20 giugno 1909, n. 364, sulle antichità e le belle arti, con la disposta inalienabilità dei beni di interesse artistico in assenza della denuncia al Ministero della pubblica istruzione e la prescritta nullità di pieno diritto delle alienazioni in violazione dei divieti ivi contenuti, possono qui richiamarsi gli affermati principi di diritto. L’uno, concernente la ravvisata giurisdizione del giudice amministrativo quanto alla domanda di accertamento del diritto di proprietà nei confronti della pubblica amministrazione se il fatto estintivo di quello costitutivo del diritto fatto valere è un provvedimento amministrativo di esercizio della prelazione artistica, emanato sulla base di una norma attributiva del relativo potere e non in carenza assoluta di potere. L’altro, secondo cui la dichiarazione di nullità, di cui all’art. 29 l. n. 364 del 1909, delle alienazioni effettuate contro i divieti contenuti nella legge stessa è condizione di legittimità dell’esercizio del potere di prelazione previsto dall’art. 6 della medesima legge.
Per quanto qui di interesse, in ordine al rapporto tra l’atto dispositivo compiuto in assenza di denuntiatio e il vincolo rappresentato dalla prelazione legale, il giudice nomofilattico attribuisce alla dichiarazione governativa di nullità dell’atto di alienazione una funzione che non sembra in linea con le previsioni della l. n. 364 del 1909. Invero, nel caso di specie, ai precedenti proprietari di Palazzo Giustiniani era stato notificato, con atto del 23 ottobre 1909, l’importante interesse artistico del bene e, al momento della stipula della compravendita, erano pertanto certamente operanti, ratione temporis, sia l’art. 5 l. n. 364 dl 1909, ai cui sensi, rispetto alle cose di cui sia stato portato formalmente a conoscenza l’importante interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico, «Colui che come proprietario o per semplice titolo di possesso (le) detenga […], non può trasmetterne la proprietà o dimetterne il possesso senza farne denuncia al Ministero della pubblica istruzione», sia il relativo art. 29, in forza del quale «Le alienazioni, fatte contro i divieti contenuti nella presente legge, sono nulle di pieno diritto». La radicale sanzione prevista mal dunque si coniuga con la possibilità di una pronuncia giudiziale diversa da quella (eventualmente) meramente dichiarativa. Infatti, in ipotesi (come quella in esame) di omessa denuncia l’atto negoziale dispositivo non produrrebbe alcun effetto traslativo, essendo preclusa qualsiasi modificazione giuridica in tal senso dalla disposta nullità di pieno diritto[[16]]. In disparte ogni più puntuale rilievo in questa sede sulla confermata previsione della nullità nella disciplina che nel tempo si è sostitutivamente succeduta (ossia, prima la legge 1° giugno 1939 n. 1089, recante tutela delle cose d’interesse artistico o storico[[17]], poi il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, e, infine, il già menzionato d.lgs. n. 42 del 2004), appare difficile valutare questa continuità di scelta normativa in termini diversi da una chiara presa di posizione di netta contrarietà nei confronti dell’operare difforme dei privati. Risulta pertanto irrilevante, nel caso di specie, l’omessa dichiarazione governativa prevista dal regio decreto legge 22 novembre 1925, n. 2192, recante la quale non avrebbe potuto rimediare in alcun modo alla mancata produzione degli effetti dell’atto traslativo compiuto in assenza della richiesta denuncia[[18]].
Quanto, invece, alla seconda, la dichiarata illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3 della legge 20 novembre 2017, n. 168, recante norme in materia di domini collettivi, nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime di inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati, si innesta su un contenzioso relativo a due procedure esecutive immobiliari in cui erano stati posti in vendita, sul presupposto della loro alienabilità, beni pignorati gravati da usi civici[[19]]. Una volta entrata in vigore, nelle more dei due giudizi, la disciplina di cui alla l. n. 168 del 2017 e, pertanto, la richiamata previsione di generale inalienabilità di tutti i beni collettivi (senza dunque alcuna distinzione, come sopra riferito), il giudice rimettente ha ravvisato la necessità di sciogliere il rilevato dubbio di legittimità costituzionale quanto all’operata parificazione, ritenuto non manifestamente infondato per violazione degli artt. 3, 24 e 42 Cost., onde potere decidere in ordine all’emissione del decreto di trasferimento relativamente alle procedure esecutive interessate.
La decisione della Corte costituzionale, che ritiene per l’appunto fondata la questione, si segnala altresì per avere sostanzialmente spostato la ormai pluridecennale attenzione giudiziale in materia dai consueti, contrastati rapporti tra ordinamento statale e ordinamenti regionali; essa costituisce dunque un importante punto di riferimento sia, ovviamente, in ordine alla soluzione adottata, che appare certamente condivisibile, sia, più in generale, quanto all’inquadramento dei diritti di uso civico e al relativo regime circolatorio[[20]]. Rispetto proprio a quest’ultimo profilo viene richiamata la comunque risalente dicotomia tra «iura in re aliena, gli usi civici che gravano sulla proprietà privata e iura in re propria, il demanio civico»[[21]], unitamente alla rilevata «permanenza del vincolo paesaggistico, che continua a conformare la proprietà privata pur se liberata dagli usi civici»[[22]]. A fronte dell’operato distinguo di cui all’art. 3, comma 1, l. n. 168 del 2017 quanto ai beni (tutti egualmente collettivi, indipendentemente dalle forme giuridiche del godimento) rispetto alle differenti tipologie di diritti che ivi insistono (ossia, da un lato, i diritti di uso civico su beni privati altrui, ma anche in proprietà pubblica e, dall’altro, il patrimonio civico o demanio civico in proprietà collettiva), si rileva l’incongruenza della contrapposta unicità della soluzione normativa prevista per il relativo regime giuridico, indicato dall’art. 3, comma 3, l. n. 168 del 2017 in linea di continuità per tutti i beni collettivi (anche quelli che, essendo in proprietà di soggetti pubblici o soggetti privati, non appartengono per espressa previsione di legge al patrimonio civico o demanio civico, non essendo dunque in proprietà collettiva) in termini di inalienabilità, non suscettibilità di usucapione e perpetua destinazione. In particolare, se ne accerta la incompatibilità con gli artt. 3 e 42, comma 2, Cost. proprio alla luce della ratio della complessiva disciplina contenuta nella l. n. 168 del 2017. Per un verso, infatti, il giudice delle leggi evidenzia la primaria, comune rilevanza della destinazione del bene piuttosto che l’incidenza della corrispondente titolarità (se cioè collettiva oppure, diversamente, pubblica o privata), in ordine dunque alla soddisfazione dell’interesse sotteso. In tal senso, cioè, la distinzione tra le situazioni giuridiche soggettive, che pure non è secondaria, appare parimenti funzionale alla realizzazione dell’interesse a cui le stesse risultano preordinate[[23]], rilevando qui, dal punto di vista delle categorie giuridiche, i noti e indagati rapporti tra beni e cose in senso giuridico[[24]], nella misura in cui, relativamente alla «fattispecie degli usi civici in re aliena, il medesimo bene è oggetto sia del diritto di proprietà, che qui non è collettiva, bensì pubblica o privata, sia del diritto collettivo di uso civico»[[25]]. Per altro verso, poi, la piena tutela degli usi civici, ossia dei diritti di uso civico non ancora liquidati e gravanti sulla proprietà privata, è comunque assicurata da quei tratti che li accomunano, pur escludendosene la riconducibilità, ai diritti reali tipizzati, cioè, tra gli altri, inerenza e ius sequelae[[26]], unitamente alla prevista presenza (e permanenza) del vincolo paesaggistico.
Consequenziale risulta quindi affermare che «L’inalienabilità della proprietà privata gravata da usi civici non ancora liquidati non presenta […] alcuna ragionevole connessione logica con la conservazione degli stessi e, per il loro tramite, con la tutela dell’interesse paesistico-ambientale […]. L’interesse del legislatore del 2017 di dare continuità all’interesse paesistico-ambientale, anche una volta che gli usi civici siano stati per ipotesi liquidati (art. 3, comma 6) è correlata alla mancata irreversibile trasformazione del territorio prima della eventuale liquidazione, ma non palesa alcuna connessione con le vicende circolatorie del diritto di proprietà antecedenti al possibile ricorso a tale procedimento»[[27]].
Non è dunque in discussione il disegno legislativo nel complesso, certamente animato dai migliori intenti organizzativi, in un intrecciato rapporto tra godimento collettivo, tipologie di beni deputati ad assicurarlo e corrispondenti profili di qualificazione normativa rispetto alle situazioni giuridiche soggettive insistenti sui beni medesimi e relativo regime circolatorio. L’eliminata, per via giudiziale, unica e comune disciplina circolatoria consegna un quadro coerente e conforme (anche) ai principi costituzionali di tutela della proprietà privata, senza pregiudizio alcuno per gli interessi delle collettività beneficiarie, permettendo così la decisione «della Consulta […] di risolvere il tema della validità degli atti di trasferimento dei beni gravati da usi civici con riferimento anche alle possibili cautele che dovranno adottare gli operatori del diritto con particolare riferimento alla classe notarile»[[28]].
6. Disciplina e tutela privatistica in costruendo
Venendo adesso all’ultimo dei settori qui brevemente passati in rassegna, l’attenzione sarà rivolta all’attività edificatoria, che, proprio per l’incidenza determinata sull’assetto territoriale, è oggetto, dal punto di vista pubblicistico, di regolazione edilizia e urbanistica. Sotto il profilo privatistico, oltre a quanto già in precedenza riferito in termini generali, può invece segnalarsi la disciplina, ormai risalente ma destinataria di recenti interventi legislativi, contenuta nel decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, recante disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210[[29]]. Possono al riguardo mettersi in evidenza, per quel che qui può rilevare, le questioni concernenti i profili soggettivi e oggettivi, la garanzia fideiussoria, tutte attinenti alla dimensione del contratto come atto, e l’assicurazione dell’immobile, relativa alla dimensione del contratto come rapporto[[30]], nonché il contenuto contrattuale[[31]]. In questo complessivo contesto si segnalano, perché di significativa importanza, il tema dell’area di operatività (e, dunque, di copertura) della disciplina in esame, sia con riferimento alla nozione di immobile da costruire (secondo la previsione dell’art. 1, comma 1, lett. d, d.lgs. n. 122 del 2005), sia con riguardo alla correlata applicabilità dal punto di vista temporale (quanto alla previsione dell’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 122 del 2005), peraltro recentemente aggiornata con l’introduzione di un comma 1-ter da parte dell’art. 387 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che contiene una regola di corrispondente adeguamento, per l’appunto sotto il profilo temporale, alle introdotte modifiche.
Un particolare rilievo assume, poi, la previsione relativa all’indicazione degli estremi del permesso di costruire o della richiesta nel caso in cui non fosse stato ancora rilasciato (art. 6, comma 1, lett. i, d.lgs. n. 122 del 2005)[[32]], con la singolare e non condivisibile conseguenza che, in assenza anche della richiesta, la nuova disciplina non potrà trovare alcuna applicazione. Si tratta della classica ipotesi di cosiddetta vendita su carta o in pianta, secondo quanto disposto, altresì, dall’art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 122 del 2005, su cui, in stretta connessione con il senso di questa disamina, può risultare di interesse qualche, sia pur breve, precisazione[[33]]. Gli immobili da costruire, ossia l’oggetto della programmata acquisizione, sono normativamente individuati, appunto, come quelli per i quali «sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità» (art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 122 del 2005). Viene dunque così assicurata una tutela massima rispetto al termine finale di realizzazione del bene; diversamente sembra invece doversi ritenere rispetto al momento iniziale della decorrenza della tutela. Al riguardo, infatti, appare centrale la richiesta del permesso di costruire come requisito di operatività della tutela rispetto agli immobili da costruire. Proprio allora muovendo dal riferimento alla presentazione del permesso di costruire come elemento iniziale dell’arco temporale di tutela, i giudici di legittimità (in maniera per la verità coerente con la lettera della legge) hanno escluso dall’àmbito di applicazione della disciplina di tutela il contratto preliminare avente a oggetto edifici esistenti soltanto «sulla carta», ossia già allo stato di progetto ma per i quali non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire o un titolo equipollente[[34]]. Il dettato normativo e la consequenziale interpretazione fornita dalla giurisprudenza creano non poche difficoltà. Nella pratica, infatti, è possibile che al momento della stipula del contratto preliminare di vendita immobiliare non sia stata depositata la richiesta di permesso di costruire, anche a fronte della corresponsione di un acconto da parte del promissario acquirente, che rimane così sprovvisto delle nuove, e più incisive, tutele. Il giudice delle leggi ha però recentemente affermato la legittimità della scelta normativa ritenendola, quale opzione di politica regolatoria del mercato, essenzialmente discrezionale[[35]]. Resta il dubbio, tuttavia, che la discrezionalità politica costituisca piuttosto una scelta (in questo caso) irrazionale, sembrando irragionevole escludere dal raggio di tutela gli acquirenti di un bene per il quale ancora non è stato richiesto neanche il permesso di costruire.
Che si tratti di un ordine di problemi che non può ritenersi compiutamente risolto sembra emergere altresì da un successivo intervento giudiziale che ha questa volta dichiarato fondato la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 1 l. n. 210 del 2004, 1, comma 1, lettera d, e 9, comma 1, d.lgs. n. 122 del 2005, in riferimento all’art. 3 Cost.[[36]]. Si è ritenuta infatti discriminatoria l’esclusione degli acquirenti su pianta o carta dall’ambito di operatività della disciplina in esame rispetto alla tutela offerta dall’attribuito diritto di prelazione nell’acquisto dell’immobile ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 122 del 2005, da far valere nella vendita forzata dell’immobile, conseguente alla situazione di crisi del costruttore. La prevista limitazione, in rapporto sia alla ratio della richiamata preferenza sia all’assetto di interessi ove la preferenza medesima si colloca, è stata così ritenuta in evidente contrasto con il principio di eguaglianza, non trovando fondamento alcuno l’operata (ma ingiustificata) distinzione tra categorie di soggetti. Secondo il giudice delle leggi, infatti, «non appresta, invero, protezione a chi nutra un mero affidamento nella realizzazione dell’immobile, come nel caso della tutela offerta dall’obbligo del costruttore di prestare la fideiussione, rispetto al quale la citata sentenza n. 32 del 2018 ha ritenuto non irragionevole l’esclusione dalla disciplina di affidamenti meno consolidati e, pertanto, meno meritevoli di tutela. Al contrario il diritto di prelazione sorte ex lege sul duplice presupposto che l’immobile sia stato realizzato e che l’alloggio sia stato destinato, dopo la consegna, ad abitazione principale dell’acquirente o del coniuge o di un parente di primo grado. Il diritto di prelazione, attraverso la pretesa a essere preferiti a parità di condizioni nella vendita forzata, persegue, dunque, la finalità di preservare un interesse giuridico attuale, il diritto inviolabile all’abitazione, che scaturisce, sul presupposto dell’avvenuta consegna dell’immobile all’acquirente o al promissario acquirente, dalla destinazione dell’alloggio a soddisfare un bisogno esistenziale primario della persona e della sua famiglia»[[37]].
NOTE:
[1] P. ROMEO, La responsabilità professionale del notaio, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, 1612, richiamando al riguardo Cass., 16 dicembre 2014, n. 26369, in Giur. it., 2015, 548, con nota di M. RIZZUTI, Gli ultimi interventi della Cassazione in materia di responsabilità notarile.
[2] P. ROMEO, La responsabilità professionale del notaio, cit., 1612, con riferimento al pensiero di M. D’ORAZI FLAVONI, La responsabilità civile nell’esercizio del notariato, in Scritti giuridici, Consiglio notarile di Roma, 1965, II, 965 e alla menzione, quanto alla funzione di adeguamento, contenuta in Cass., 23 maggio 2006, n. 12113, in Vita not., 2006, 1513; adde, con particolare riguardo ai profili di responsabilità disciplinare, S. TOMASI, Applicazioni rigoriste e interpretazioni adeguatrici in tema di responsabilità notarile, nota a Cass., 30 luglio 2020, n. 16433 e Cass., 31 luglio 2020, n. 16519, in Giur. it., 2021, 2068 ss.
[3] Al riguardo M. AMELOTTI, Notaio (dir. rom.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 552, rileva la continuità tra l’originario l’istituto del notariato, che fa risalire al medioevo, e l’attuale connotazione moderna.
[4] Segnala U. GUALAZZINI, Documentazione e documento (dir. interm.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 563 ss., la lentezza del processo di attribuzione al notarius o tabellio di quelle prerogative e di quelle mansioni che, in seguito, lo investiranno della delicatissima pubblica funzione; altresì M. TALAMANCA, Documentazione e documento (dir. rom.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 553 ss.; più di recente M.G. SCACCHETTI, Notaio nel diritto romano, in Dig. civ., XII, Torino, 1995, 241 ss.
[5] Una puntuale ricostruzione riassuntiva può leggersi in F. RUSSO, La responsabilità professionale del notaio, Dissertazione per il Diploma di licenza magistrale, Scuola Superiore di Catania – Mediterranean University Center, Anno accademico 2016-2017, Catania, 2017.
[6] Si tratta di indicazioni ricavabili dai molteplici contributi dottrinali in merito, tra cui, solo per limitare il richiamo alle voci enciclopediche, M. DI FABIO, Notaio (dir. vig.), in Enc dir., XXVIII, Milano, 1978, 565 ss.; ID., Notaio, in Enc. dir., Aggiornamento, III, Milano, 1999, 791 ss.; M. MAZZOLA, Notaio e notariato, in Dig.. civ., XII, Torino, 1995, 230 ss.; G. VELLANI, Notaio e notariato, in Dig.. pubbl., X, Torino, 1995, 169 ss.
[7] In tal senso Cass., sez. un., 22 marzo 2019, n. 8230, pubblicata in diverse riviste e per la cui disamina, all’interno di un complessivo discorso di carattere generale, può qui rinviarsi a G. PETRELLI, La nullità urbanistica alla luce della sentenza delle sezioni unite n. 8230/2019, in Biblioteca on line della Fondazione Nazionale del Notariato, ove ampie indicazioni bibliografiche di riferimento.
[8] Parimenti è accaduto quanto alla corrispondente modifica, in ordine alle attività d’impresa di interesse generale, dell’art. 2, comma 1, lett. e) decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, di revisione della disciplina in materia di impresa sociale, nel contesto degli «interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali».
[9] Il pensiero corre necessariamente, anche in ordine ai criteri individuati per risolvere i vari problemi della circolazione giuridica, all’opera di F. CARNELUTTI, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, per la cui attenta analisi, adesso, F. ADDIS, Francesco Carnelutti e la teoria giuridica della circolazione, in G. PERLINGIERI (a cura di), AA. VV., Rileggere i «classici» del diritto civile italiano (1920-1935), Napoli, 2024, 143 ss.
[10] Su cui, tra diversi e più di recente nella manualistica, R. CALVO, Diritto civile, II, Il contratto3, Bologna, 2023, 113 ss.; per una disamina espressamente dedicata S. SICA, Atti che devono farsi per iscritto, Art. 1350, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2003; sui rapporti tra risalente tradizione e nuove esperienze legislative in tema di forma contrattuale, nitidamente, R. AMAGLIANI, Profili della forma nella nuova legislazione sui contratti, Napoli, 1999.
[11] Mi fa piacere qui ricordare al riguardo i vari contributi contenuti in F. PREITE – M. DI FABIO (a cura di), Codice della proprietà e dei diritti immobiliari, Milano-Torino, 2015.
[12] D’obbligo qui il richiamo, sia pure in termini generali, al risalente, ma sempre concettualmente stimolante, contributo di S. PUGLIATTI, L’atto di disposizione e il trasferimento dei diritti, ora in ID., Scritti giuridici, III, 1948-1957, Milano, 2011, 115 ss.
[13] Viene presa qui in prestito una formula utilizzata, all’interno di un articolato percorso argomentativo, da G. GABRIELLI, Regime patrimoniale della famiglia, in Dig. civ., XVI, Torino, 1997, 334, sia pure con riguardo alle tematiche di ordine patrimoniale familiare e, in particolare, al regime patrimoniale della famiglia.
[14] Si tratta di Cass., sez. un., 26 gennaio 2024, n. 2481, in Rass. dir. moda e arti, 2023, 2, 196 ss., con nota di F. RUSSO, Sulla validità ed efficacia degli atti di alienazione di beni di interesse storico artistico in caso di omessa denuncia. Il caso di Palazzo Giustiniani (Cass., sez. un., 26 gennaio 2024, n. 2481).
[15] Ossia Corte cost., 15 giugno 2023, n. 119, in Nuova giur. civ. comm., 2023, I, 1280 ss., con nota di S. TOMASI, Usi civici e limiti alla circolazione della proprietà.
[16] Ad avviso di G. CASU, Beni culturali e contrattazione immobiliare – Studio 23 giugno 1998, n. 2011, in www.notariato.it/it/ufficio_studi, la formula «nullità di pieno diritto» avrebbe avuto solamente «lo scopo di evitare che la nullità richiedesse la pronuncia giudiziaria ai fini della sua operatività, come talvolta si richiedeva nel sistema del codice civile del 1865, e come espressamente si desumeva dall’omologa norma contenuta nell’art. 1 del r.d.l. 22 novembre 1925, n. 2192, che, nel regolare la materia poi trasfusa nella legge 1089, stabiliva la formale dichiarazione di nullità da parte della pubblica amministrazione». Del resto, la stessa Cass., 15 luglio 1944, n. 438, in Rep. gen. Ann. giur. it., Torino, 1948, 85, si era pronunciata nel senso che «la sanzione (della nullità) funziona per il solo fatto dell’inosservanza dell’obbligo della denunzia, indipendentemente dall’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato».
[17] Da ultimo richiamata, ratione temporis, da Cass., 15 luglio 2024, n. 19350, in www.ilcaso.it, a proposito dell’incidenza del vincolo artistico e culturale non soltanto sull’immobile, ma anche sugli arredi, sulle decorazioni, sui cimeli storici e sulla relativa licenza di esercizio con riferimento alla vicenda che ha portato alla convalida della intimata licenza di finita locazione dell’Antici Caffè Greco, considerato immobile rappresentativo della vita artistica e culturale della città di Roma; si è infatti al riguardo ritenuto che la richiamata classificazione del bene immobile in esame, sulla base di un provvedimento amministrativo emesso ai sensi degli artt. 1 e 2 l. n. 1089 del 1939, oggetto di contratto di locazione a suo commerciale, comporti solamente per il proprietario l’obbligo di garantire la continuità della destinazione del bene nei termini indicati dal provvedimento istitutivo di quel vincolo.
[18] Giustamente allora F. RUSSO, Sulla validità ed efficacia, cit., rileva che «non appare nel giusto la Corte nel ritenere la dichiarazione governativa condizione di legittimità dell’esercizio del potere di prelazione giacché la relativa portata, meramente dichiarativa, in nessun modo avrebbe inciso sulla situazione di fatto già creatasi in forza dell’operare delle norme».
[19] Sulla complessa materia degli usi civici, nel quadro di una compiuta ricostruzione della relativa evoluzione normativa, A. JANNARELLI, Passato e presente degli “usi civici” nel diritto vivente: dalla legge del 1927 a quella del 2017. Brevi cronache di un’evoluzione incompiuta, in Riv. dir. agr., 2002, II, 121 ss.
[20] Giova qui ricordare che di recente Cass., 29 maggio 2023, n. 15035, in www.ilcaso.it, ha ribadito che il notaio incaricato della stipula di un atto avente a oggetto diritti reali immobiliari è tenuto a verificare l’eventuale sussistenza di usi civici mediante l’acquisizione del certificato di destinazione urbanistica del bene, escludendo nel caso di specie la relativa responsabilità per l’avvenuto regolare espletamento di tale attività (quantunque gli usi civici fossero menzionati in una risalente perizia ma non risultassero dall’acquisito certificato di destinazione urbanistica).
[21] Corte cost., 15 giugno 2023, n. 119, cit., 1284.
[22] Corte cost., 15 giugno 2023, n. 119, cit., 1285, segnalandone, a differenza del già previsto meccanismo liquidatorio, il tratto innovativo.
[23] Sul rapporto tra l’interesse, quale presupposto del procedimento di qualificazione, e la situazione giuridica soggettiva consequenziale, per tutti, L. BIGLIAZZI GERI – U. BRECCIA – F.D. BUSNELLI – U. NATOLI, Diritto civile, 1.1., Norme, soggetti e rapporto giuridico, Torino, 1987, 260 ss.
[24] Su cui, autorevolmente, S. PUGLIATTI, Beni e cose in senso giuridico, ora in ID., Scritti giuridici, IV, 1958-1964, Milano, 2011, 429. Per una ricostruzione dei relativi ordini di problemi e degli sviluppi dottrinali sul punto rinvio, nel contesto deputato a indagare la configurazione giuridica dell’istituto della multiproprietà, a G. DI ROSA, Proprietà e contratto. Saggio sulla multiproprietà, Milano, 2002, 82 ss.
[25] Corte cost., 15 giugno 2023, n. 119, cit., 1286.
[26] Sulle tradizionali caratteristiche distintive delle situazioni reali, in contrapposizione alle quelle obbligatorie, riassuntivamente nella manualistica, tra diversi e da ultimo, R. CALVO – A. CIATTI CÀIMI, Diritto privato6, Bologna, 2024, 74 ss.; adde G. DI ROSA, Diritti reali di godimento e diritti reali di garanzia, in F. PREITE – M. DI FABIO (diretto da), Codice della proprietà e dei diritti immobiliari, Milano-Torino, 2015, sub art. 810, 24 ss.; ampiamente, nella trattatistica, M.L. CHIARELLA, Diritti reali di godimento, in P. PERLINGIERI (diretto da), Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del notariato, Napoli, 2020, 1 ss. L’indagine più compiuta al riguardo, sia dal punto di vista storico-ricostruttivo, nella articolata disamina della cultura giuridica susseguitasi nel tempo, sia per quanto attiene alle ricadute operative rispetto alle scelte effettuate dal legislatore del 1942, si deve comunque ad A. BELFIORE, Interpretazione e dommatica nella teoria dei diritti reali, Milano, 1979.
[27] Corte cost., 15 giugno 2023, n. 119, cit., 1287.
[28]S. TOMASI, Usi civici e limiti alla circolazione della proprietà, in Nuova giur. civ. comm., 2023, I, 1291, segnalando peraltro la necessità, ai fini della certezza del diritto, del ricorso de iure condendo « ad alcuni strumenti quali l’indicazione, con riferimento ai terreni, di tali diritti nei certificati di destinazione urbanistica rilasciati dai Comuni oppure prevedere un regime di trascrivibilità degli stessi facendo leva sul meccanismo di cui all’art. 2645-quater c.c.».
[29] Per una prima, articolata disamina può rinviarsi, tra diversi, a G. PETRELLI, Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, 2005; nonché al volume collettaneo Tutela dell’acquirente di immobili da costruire: applicazione del d.lgs. 122/2005 e prospettive, Milano, 2006.
[30] Sulla distinzione, all’interno della vicenda contrattuale, tra la dimensione del fatto rispetto a quella del rapporto, esemplarmente, L. RICCA, Contratto e rapporto nella permuta atipica, Milano, 1974, 39 ss.
[31] Si riprende qui, con ulteriori sviluppi e adeguati aggiornamenti, l’ordine di idee seguìto in G. DI ROSA, Circolazione immobiliare e contrattazione preliminare, in Riv. dir. civ., 2011, in particolare 119 ss. e ripreso in ID., Il diritto delle obbligazioni e dei contratti. Lineamenti di parte generale, Torino, 2024, 313 ss. Il tipo di problemi a cui si accennerà brevemente in testo ha formato oggetto di una compiuta indagine, all’interno peraltro di un lavoro di più ampio respiro, da parte di G. GUZZARDI, La permuta atipica. Tratti ricostruttivi e regole operazionali, Torino, 2019, 197 ss.; per qualche ulteriore, specifico riferimento, tra i tantissimi contributi, ID., Fallimento del venditore e acquisto di immobile da costruire, nota a Trib. Padova, 30 maggio 2019, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 1206 ss. e ID., Tutela del promissario acquirente di immobili da costruire e abuso del diritto, commento a Cass., 12 luglio 2022, n. 21966, in Pactum, 2022, 549 ss.; in precedenza G. D’AMICO, Vendita dell’immobile da costruire e fallimento, in Dir. fall., 2007, 213 ss.
[32] Indicazioni in verità non richieste dalla disciplina pubblicistica di riferimento, se non per i contratti definitivi, ossia traslativi, di cui all’art. 46, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, ma che rilevano in positivo, come correttamente evidenziato da G. RIZZI, Il contenuto del contratto preliminare, in Consulente immobiliare, 2005, 1729, al fine di consentire l’ottenimento dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a concludere il contratto ai sensi e per gli effetti dell’art. 2932 c.c.
[33] Per significativi rilievi critici al riguardo, in un segnalato contesto di luci e ombre della normativa in esame, A. LUMINOSO, La compravendita8, Torino, 2015, 197 ss.
[34] Si tratta della decisione di Cass., 10 marzo 2011, n. 5749, in Notariato, 2011, 383 ss., con nota di G. LIOTTI, La Suprema Corte si pronuncia sui requisiti di validità del preliminare di vendita “sulla carta” e in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 952 ss., con nota di U. STEFINI, L’applicazione della normativa di tutela degli acquirenti di immobili da costruire e il problema degli immobili per i quali non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire
[35] Il riferimento è a Corte cost., 19 febbraio 2018, n. 32, in Foro it., 2018, I, 1493.
[36] Si richiama qui la decisione di Corte cost., 24 febbraio 2022, n. 43, in www.ilcaso.it.
[37] Corte cost., 24 febbraio 2022, cit.