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Il concetto di organizzazione adeguata al tipo di impresa (art. 2086, comma 2, c.c.): assetti organizzativi e obblighi degli organi di gestione e di controllo

Daniela Boggiali

Ufficio Studi Consiglio Nazionale del Notariato



1. L’obbligo di istituire adeguati assetti organizzativi

Il secondo comma dell’art. 2086 c.c., introdotto dal  Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), prevede quanto segue: «L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».

Sebbene la norma ponga in capo a chi amministra un obbligo chiaro di organizzare l’impresa al fine di prevenire o prontamente  affrontare situazioni di crisi, la sua formulazione non sembra implicare conseguenze immediate sul piano precettivo, in quanto riformula, in termini di "dovere", principi generali che attengono a norme deontologiche di corretta gestione dell’impresa, che appaiono volte realizzazione di istanze attinenti all'interesse pubblico, espresso dallo Stato o, comunque, dalla comunità sulla quale insiste l'azione del soggetto economico[[1]].

L’elemento che, allora, appare più rilevante, sul piano precettivo, sembra l’aver riferito la disposizione in oggetto alla sola impresa esercitata “in forma societaria o collettiva”. Ciò ha indotto parte della dottrina a ritenere che, alla luce di questa precisazione, la previsione in commento sia volta a disciplinare il rapporto negoziale tra amministratori e compagine sociale, ribadendo il senso generale degli obblighi cui essi sono tenuti in ragione delle più specifiche norme che ne regolano la posizione contrattuale[[2]].

Ne è una conferma il fatto che il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza è intervenuto sulla formulazione degli articoli del codice civile in materia di amministrazione di società di persone e di capitali (artt. 2257, 2380-bis e 2475 c.c.) introducendo, in ciascuna delle relative disposizioni, la previsione per cui l’istituzione degli assetti di cui all’art. 2086, comma 2, c.c., spetta esclusivamente agli amministratori.

Deve, peraltro, segnalarsi che l’originario intervento sugli artt. 2257, 2380-bis e 2475 c.c. prevedeva l’attribuzione alla competenza esclusiva degli amministratori della “gestione” dell’impresa e non, invece, della “istituzione” degli assetti di cui all’art. 2086 c.c.

In questo modo il legislatore sembrava identificare la gestione dell’impresa con la predisposizione dell’organizzazione, sancendo il principio della competenza esclusiva degli amministratori che per le SpA era già previsto nella precedente versione dell’art. 2380-bis c.c., ma che in materia di società personali e di società a responsabilità limitata si pone in contrasto con le norme del codice civile che consentono all’autonomia statutaria di articolare la ripartizione delle competenze gestorie tra amministratori e soci in deroga al modello legale, attribuendo ai soci poteri che possono variamente incidere sull’amministrazione della società.

Tale circostanza ha, all’indomani dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa, sollevato il dubbio della possibile abrogazione implicita delle norme che in materia di società di persone e di Srl consentono – attraverso il ricorso ad apposite clausole statutarie – di affidare ai soci poteri sull’amministrazione della società[[3]].

La questione è stata, sebbene implicitamente, risolta da legislatore stesso con l’emanazione del d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, il quale ha, appunto, riferito la competenza esclusiva degli amministratori all’ambito dell’istituzione degli adeguati assetti organizzativi, lasciando inalterata la facoltà dell’autonomia statutaria di avvalersi degli istituti che consentono – entro i limiti pur sempre previsti dalla legge – l’affidamento di competenze gestorie ai soci.

Tale distinzione tra gestione dell’impresa e predisposizione di assetti organizzativi era, peraltro, già evidente nella necessità di predisporre assetti adeguati ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, recante la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, ove emergeva una differenziazione tra gli aspetti organizzativi della amministrazione e quelli gestori.

Ciò posto, nella disciplina delle società per azioni l’affidamento di poteri gestori ai soci risulta confinato alla previsione dell’art. 2364, n. 5, c.c., che consente all’assemblea ordinaria di deliberare, oltre che sulle materie attribuite dalla legge alla competenza dell'assemblea, «sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti».

L’unica altra ipotesi di affidamento di poteri gestori a soggetti diversi dagli amministratori è quella contemplata dall’art. 2409-terdecies, comma 1, lett. f-bis), che in caso di adozione del sistema dualistico consente all’autonomia statutaria di affidare al consiglio di sorveglianza la competenza in ordine alla c.d. “alta amministrazione”, consistente nel potere di deliberare «in ordine alle operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione, ferma in ogni caso la responsabilità di questo per gli atti compiuti».

Diversamente, nelle società personali e a responsabilità limitata il legislatore ha riservato all’autonomia negoziale margini decisamente più ampi, il che rende opportuno l’esame, per tali modelli societari, della possibile ripartizione di competenze fra amministratori e soci non amministratori, che risulta variabile in funzione delle eventuali scelte statutarie.


2. Adeguati assetti organizzativi e competenze gestorie nelle società personali

In materia di società personali è innanzitutto opportuno richiamare l’art. 2260 c.c., secondo cui gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato e gli amministratori rispondono verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale.

La circostanza per cui il legislatore pone a carico degli amministratori obblighi ulteriori rispetto a quelli patrimoniali verso terzi sembrerebbe confermare il fatto che:

– una cosa è il piano dell’organizzazione (intesa come istituzione di adeguati assetti organizzativi), che spetta esclusivamente agli amministratori, e della corrispondente responsabilità imputabile altrettanto esclusivamente agli amministratori;

– cosa diversa è, invece, il piano della operatività della società, che risulta articolata sul sistema legale dell’artt. 2257 c.c., fatte salve le possibili opzioni statutarie consentite nei diversi modelli di società personali.

Già prima dell’introduzione del codice della crisi d’impresa è stato, peraltro, rilevato come l’attribuzione, a uno o più soci, di talune competenze gestorie non trasformi questi ultimi in amministratori, sebbene con funzioni limitate, in quanto l’esercizio di competenze concernenti l’autorizzazione o la decisione in ordine a determinati atti gestori non si identifica con l’attività amministrativa nel suo complessivo iter, che comprende, oltre la fase decisionale, anche quella preparatoria e quella esecutiva. Pertanto, netta è la differenza «tra la posizione dei soci con poteri gestori e quella degli amministratori. Solo a questi ultimi, infatti, e non ai primi, spetta di porre in essere l’intero iter dell’attività gestoria, comprensivo della fase istruttoria, della decisione e della sua esecuzione»[[4]].

Se, quindi, per amministrazione si intende la direzione dell’attività economica svolta dalla società, che comprende la preparazione e l’attuazione degli atti funzionali al perseguimento dello scopo sociale, la gestione del patrimonio sociale e la direzione dei rapporti che la società pone in essere con soggetti terzi[[5]], la previsione per cui «L’istituzione degli assetti di cui all'articolo 2086, secondo comma, spetta esclusivamente agli amministratori» risulta coerente con l’attuale sistema normativo che, in materia di società di persone, consente l’attribuzione di determinati compiti gestori ai soci non amministratori.

Ciò posto, in materia di società personali occorre muovere dalla premessa per cui il sistema di ripartizione delle competenze gestorie e organizzative risulti diversamente modulato rispetto alle società di capitali, stante l’assenza di un obbligo di dotarsi di un organo assembleare per la formazione della volontà dei soci[[6]].

Secondo la dottrina prevalente, poiché il legislatore, nel disciplinare la struttura delle società personali, ha inteso assicurare snellezza ed agilità nell’assunzione delle decisioni, non sussisterebbero valide ragioni per ipotizzare la necessità della formazione di una volontà collegiale e il rapporto tra i soci si configurerebbe essenzialmente interindividuale[[7]].

L’assenza di un organo assembleare obbligatorio non esclude, però, l’esistenza di una distinzione di competenze tra, da un lato, l’assunzione di decisioni in ordine alle norme di funzionamento dell’ente – che ricade nell’ambito di applicazione della previsione dell’art. 2252 c.c., per il quale le modifiche del contratto sociale richiedono il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente –, e, dall’altro lato, amministrazione della società, da intendersi come organizzazione dell’attività d’impresa[[8]], di competenza degli amministratori secondo il modello delineato dagli artt. 2257 e 2258 c.c.[[9]].

Preso atto di tale distinzione tra funzione decisoria in materia di struttura organizzativa e funzione amministrativa, nell’ambito di quest’ultima l’assetto organizzativo della società potrebbe risultare variamente articolato.

Le principali norme di riferimento per l’amministrazione delle società di persone sono, appunto, rappresentate dagli artt. 2257 e 2258 c.c., dettati in tema di società semplice, ma applicabili alla società in nome collettivo e alla società in accomandita semplice in virtù, rispettivamente degli artt. 2293 e 2315 c.c.[[10]].

L’art. 2257 prevede il modello legale (“salvo diversa pattuizione”), per cui l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri. In tal caso ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta. Sull’opposizione decide la maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili.

L’art. 2258, invece, prevede la possibilità di optare per l’amministrazione congiuntiva: in tal caso è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali. Se però è convenuto che per l’amministrazione o per determinati atti sia necessario il consenso della maggioranza, questa si determina secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili. In queste ipotesi i singoli amministratori non possono compiere da soli alcun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società.

Peraltro, il modello di amministrazione congiunta potrebbe non costituire l’unica alternativa al sistema legale dell’amministrazione disgiunta, stante l’incipit dell’art. 2257 c.c., che fa salva la “diversa pattuizione”.

Proprio la previsione della possibilità, per l’autonomia statutaria, di derogare al modello legale ha dato luogo alla questione, tuttora dibattuta, se il potere di amministrare possa essere attribuito ad un terzo non socio, questione sulla quale allo stato attuale ancora non esiste un orientamento unitario. 

Una parte della dottrina, infatti, lo ammette[[11]], mentre altri autori, invece, escludono la possibilità di affidare l’amministrazione di una società di persone ad estranei[[12]], e anche in giurisprudenza manca un indirizzo interpretativo costante[[13]].

Tale quadro normativo risulta ulteriormente articolato nelle società in accomandita semplice, laddove il comma 2 dell’art. 2320, c.c. stabilisce che «i soci accomandanti possono … prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza», disposizione che è da mettere in correlazione con quanto previsto dai precedenti commi che precludono all’accomandante di compiere atti di amministrazione, trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari (comma 1), assumendo egli, in caso di violazione del divieto, responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e ferma restando la possibilità di una sua esclusione ai sensi dell’art. 2286 (comma 2).

Se, da un lato, v’è chi ritiene che la norma valga principalmente a preservare il principio di tipicità dell'accomandita semplice[[14]], dall’altro lato si è ritenuto che essa istituisca una necessaria correlazione tra potere economico e rischio economico, nell'interesse non solo dei soci e dei creditori ma, in generale, di un responsabile esercizio dell'attività d'impresa, esprimendo il principio secondo cui potere e responsabilità necessariamente sono connessi nell'ordinamento delle società personali[[15]].

Ciò spiegherebbe perché il divieto sussista anche per gli atti interni e per le obbligazioni sociali di fonte legale, per i quali non si pone la questione della tutela dell'affidamento dei terzi incolpevoli, che sono normalmente in grado di conoscere la qualifica ed i poteri dei soci attraverso la pubblicità commerciale[[16]].

Da un punto di vista operativo, quale che sia la l’interpretazione più corretta delle ragioni giustificatrici del divieto di immistione, occorre rilevare come ai fini dell’assunzione della responsabilità illimitata sia sufficiente anche un unico atto o comportamento dell'accomandante, non essendo, invece, necessario il compimento sistematico o reiterato di atti di ingerenza[[17]].

Peraltro, l’ambito applicativo del divieto di immistione risulta avere una portata ampia, in quanto il comma 1 dell’art. 2320 c.c. si riferisce al compimento di “atti di amministrazione” e al trattamento e alla conclusione di affari in nome della società[[18]].

La prima eccezione al divieto di ingerenza è rappresentata dal rilascio, ex art. 2320, comma 1, c.c. di "procura speciale per singoli affari", la quale potrebbe avere ad oggetto non solo i singoli atti e contratti, ma anche intere categorie di operazioni identiche, in ragione della serialità degli affari, a condizione che l’ambito delle facoltà dell’accomandante sia, appunto, “predeterminato”[[19]].

La procura agli accomandanti può, dunque, avere ad oggetto una pluralità di atti, anche generici, purché strumentali alla realizzazione di una operazione economica individuata in maniera specifica[[20]].

Peraltro, laddove ricorrano tali presupposti, i poteri gestori dell’accomandante sembrano prescindere dalla sua posizione di socio, in quanto derivano esclusivamente dalla procura, con la conseguenza che l'accomandante non agisce come tale, né come socio, bensì come un qualunque procuratore terzo, estraneo rispetto alla società[[21]].

Fra gli atti consentiti ai soci accomandanti, che non contrastano con il divieto di immistione, rientrano, inoltre, se l'atto costitutivo lo consente, le autorizzazioni e pareri per determinate operazioni.

L'autorizzazione è atto interno che non condiziona la validità dell'atto autorizzato compiuto dall'accomandatario, ma, se la necessità di essa risulti dal contratto stipulato, incide sulla sua efficacia[22].

L'autorizzazione può infatti costituire un limite ai poteri sia di gestione, sia di rappresentanza dell'accomandatario; dall'autorizzazione concessa dall'accomandante non deriva peraltro l'obbligo in capo all'accomandatario di agire, perché essa è vincolante solo nell'an della richiesta, ma se l'accomandatario agisce è tenuto a rispettare la volontà dell'accomandante[23].

Da ciò è anche possibile desumere la distinzione rispetto ai pareri: questi ultimi, sebbene debbano essere necessariamente richiesti, non vincolano l'attività degli accomandatari mentre le autorizzazioni, se non rilasciate, precludono loro il compimento degli atti gestori ad esse subordinati.

Più in generale, i poteri di partecipazione del socio accomandante alla gestione della società sono vincolati dai parametri della specialità delle operazioni da compiere e della subordinazione al potere decisionale degli accomandatari.

Ciò non significa che gli accomandanti siano completamente esclusi dall'amministrazione della società, bensì che gli stessi risultano titolari di diritti di partecipazione alla gestione sociale differenti rispetto a quegli accomandatari per qualità ed intensità, in quanto sono privi di poteri di iniziativa individuale e la loro autonomia decisionale è pur sempre subordinata al potere di direzione dell'impresa riconosciuto ai soli soci accomandatari[24].

Ciò non esclude, peraltro, che gli accomandanti possano collaborare nella conduzione degli affari e contribuire alla gestione ed al funzionamento dell'ente, a condizione, però, che tali attività rispettino i limiti delineati dall’art. 2320 c.c., al fine di evitare di incorrere nel divieto di immistione, cui discende l’assunzione di responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, con conseguente rischio di fallimento, e la possibilità di subire l’esclusione dalla società[25].


3. Adeguati assetti organizzativi e competenze gestorie nelle s.r.l.

Nelle società a responsabilità limitata, l’attuale formulazione del comma 1 dell’art. 2475 c.c. prevede che «L’istituzione degli assetti di cui all'articolo 2086, secondo comma, spetta esclusivamente agli amministratori. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci presa ai sensi dell'articolo 2479».

Tale disposizione va, poi, integrata con il primo comma dell’art. 2479 c.c., secondo cui «i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione».

Una disposizione che parte consistente della dottrina legge nel senso di ricomprendere nel potere di avocazione ivi previsto, non soltanto le ipotesi di autorizzazione o di approvazione di atti di gestione, bensì la stessa assunzione di autonome decisioni gestionali da parte dei soci, adottate anche su iniziativa di componenti della stessa compagine sociale, senza preventiva né successiva approvazione da parte degli amministratori, e quindi immediatamente eseguibili da parte degli amministratori titolari del potere di rappresentanza. Fino a rinvenirvi un argomento decisivo per sostenere la stessa rinunziabilità all’istituzione di un organo amministrativo[[26]]. 

L’ulteriore integrazione è data dall’art. 2468, comma 3, c.c., che prevede la possibilità di riservare a singoli soci particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società, anche questi comunemente intesi come non limitati alla sola nomina (e revoca) di uno o più amministratori, ma comprendenti il diritto ad essere richiesti di autorizzazioni preventive, di veto o, addirittura, di decisione, in ordine al compimento di determinate operazioni gestorie (ex multis: acquisto o alienazione di immobili o diritti reali immobiliari; iscrizione di ipoteche su beni immobili sociali; cessione o affitto di azienda o di rami di essa), a prescindere dal fatto che si ricopra o meno la carica di amministratore[[27]].

Infine, a corollario di quanto sopra, viene in rilievo il comma 8 dell’art. 2476, c.c., per il quale «sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi».

Sulla base di tali previsioni, una parte consistente della dottrina aveva dato, con riferimento alla disciplina post riforma, una risposta affermativa alla possibilità di una radicale cancellazione del modello bipolare collettività-amministratori, affidando alla prima l’intera gestione dell’impresa e sopprimendo i secondi[[28]].

In senso opposto si collocava altra e parimenti consistente parte della dottrina, che ritiene indefettibile la compresenza di un organo amministrativo accanto alla collettività dei soci[[29]].

Insopprimibilità che viene argomentata, insieme col disposto del comma 5 che individua le materie non avocabili dai soci, dallo stesso comma 1 dell’art. 2479, con la previsione della competenza proprio degli amministratori, oltre che dei soci che rappresentino almeno un terzo del capitale, a sottoporre argomenti alla decisione dei soci: da un lato, dunque, l’attribuzione di competenze ai soci da parte dell’atto costitutivo non potrebbe esaurire ogni argomento, poiché altrimenti il potere di iniziativa che la norma attribuisce al tempo stesso a soci e amministratori resterebbe privo di significato; dall’altro lato, questi ultimi sopravvivrebbero alla riserva pattizia di competenze ai soci tanto da poter essi stessi chiamare i soci a pronunciarsi su uno o più argomenti.

In tale prospettiva, si tende, quindi, a delineare un assetto di competenze fra organo amministrativo e collettività dei soci che è variabile in funzione delle scelte statutarie o della rimessione di taluni argomenti alla decisione dei soci su richiesta degli stessi amministratori o di una parte qualificata del capitale, ma nel quale sono comunque presenti delle limitazioni, restando di esclusiva pertinenza dell’uno o dell’altra alcune funzioni specificamente individuate dal legislatore.

E così, per gli amministratori, il limite nella competenza gestoria resta con riferimento alla decisione di compiere operazioni che comportino una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci, decisione che è riservata alla competenza dei soci (art. 2479, comma, 2, n. 5), c.c.).

Per i soci, invece, il limite è costituito dalle materie indicate dall’art. 2475, comma 5, c.c., in tema di redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione o scissione, decisioni di aumento del capitale ai sensi dell'art. 2481, di esclusiva spettanza degli amministratori. 

In secondo luogo, si tende a distinguere, nell’ambito della gestione, fra decisione in ordine al compimento degli atti e loro effettiva esecuzione: una distinzione che troverebbe conferma nella norma che sancisce la responsabilità solidale degli amministratori con quella dei soci che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società (art. 2476, comma 8, c.c.).

Tale previsione dimostrerebbe come lo spostamento verso i soci della competenza dell’organo amministrativo non sia effettivo o, comunque, integrale, perché permane appunto la responsabilità solidale degli amministratori, che sussiste a prescindere dal livello di coinvolgimento dei soci, se meramente autorizzativo, approvativo o pienamente decisorio.

In altre parole, se la responsabilità dei soci può al più aggiungersi, a diverso titolo, a quella degli amministratori ma non sostituirsi ad essa, vuol dire che comunque, nell’ambito della vicenda gestoria un ruolo a questi ultimi continua necessariamente ad esser riservato[[30]]. 

Ed il nocciolo duro di tale ruolo sarebbe costituito proprio dalla inderogabilità della competenza esecutiva degli amministratori, specie quando questa comporta il rispetto di obblighi, di deposito o iscrizione nel registro delle imprese o di altro genere, posti espressamente dalla legge a loro carico[[31]].

È nella fase esecutiva che gli amministratori possono valutare l’eventuale dannosità dell’operazione autorizzata o decisa da soci, con il conseguente potere/dovere di non porla in essere.

Il che, in definitiva, escluderebbe che si possa discorrere di competenza gestoria dei soci pienamente alternativa rispetto a quella degli amministratori nella Srl, in cui piuttosto elemento qualificante sarebbe la cogestione dell’impresa da parte di amministratori e soci, con vicendevole funzione di monitoraggio sui rispettivi atti di gestione[[32]].

Ed analogo discorso viene condotto con riguardo ai particolari diritti ex art. 2468, comma 3, c.c., ove questi si articolino in funzione non meramente elettiva, ma involgano la decisione, l’autorizzazione o il veto al compimento dell’atto di gestione.

Ora, l’aver sancito, nel comma 1 dell’art. 2475 c.c., che l’istituzione degli assetti organizzativi “spetta esclusivamente agli amministratori” sembrerebbe confermare la maggiore attendibilità della ricostruzione che ritiene la presenza dell’organo amministrativo tuttora come imprescindibile, in funzione della individuazione dei destinatari del dovere di attuare il precetto dell’art. 2086, comma 2, c.c.

Tuttavia, un qualche margine di dubbio potrebbe residuare, laddove nonostante la formale istituzione dell’organo, sia possibile comunque rinvenire nel singolo socio o nella collettività dei soci la figura dell’amministratore di fatto, il quale è, però, normalmente soggetto a responsabilità ex art. 2476, c.c., non in via solidale ai sensi del comma 8 della citata norma, ma diretta ed al quale spetterebbe altresì di comportarsi secondo i dettami dell’art. 2086 secondo comma c.c. novellato.

Si può, quindi, ritenere che il Codice della crisi d’impresa non abbia determinato alcun significativo effetto sul piano delle regole statutarie afferenti il riparto di competenze gestorie tra soci e amministratori, risultando invece plausibile concludere nel senso che questo incide essenzialmente sul piano della responsabilità per l’attuazione dei doveri sanciti nell’art. 2086 c.c.


NOTE:

[1] F. DI MARZIO, Obbligazione, insolvenza, impresa, Milano, 2019, 134.

[2] M.S. SPOLIDORO, Note critiche sulla «gestione dell'impresa» nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. soc., 2019, 253 ss.

[3] V. gli Studi d'Impresa n. 58-2019/I. N. ATLANTE – M. MALTONI – A. RUOTOLO, Il nuovo articolo 2475 c.c. Prima lettura, Studio n. 58-2019/I, in CNN Notizie del 18 marzo 2019, e 110-2019/I; D. BOGGIALI – N. ATLANTE, Riflessi del nuovo Codice della crisi d’impresa sull’amministrazione delle società di persone, in CNN Notizie del 25 giugno 2019.

[4] O. CAGNASSO – C. SARACINO, L’amministrazione e il controllo, in G. COTTINO – O. CAGNASSO, Le nuove società di persone, Bologna, 2014, 143.

[5] Tale nozione di amministrazione è data da G. BOLAFFI, La società semplice, Milano, 1947, 293, che a sua volta richiama l’orientamento di H. RATHSBURG, Die Geschäftsfürung der öffenen Handelsgesellschaft, Leipzig, 1909.

[6] Principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità: v. Cass. 9 luglio 1973, n. 1977, in Foro it., 1973, 2998, secondo cui «Nelle società di persone non e prevista l'assemblea quale organo della società e, pertanto, non è obbligatorio il metodo assembleare per la formazione della maggioranza». Nello stesso senso, Cass. 10 gennaio 1998, n. 153, in Giur. it., 1998, 721, Vita not., 1998, 1641 e in Dir. fall., 1998, 452, con nota di G. RAGUSA MAGGIORE, Collegialità e maggioranza nell'esclusione del socio nelle società personali, la quale afferma quanto segue: «Nella disciplina legale delle società di persone manca la previsione dell'organo e del metodo assembleare, con la conseguenza che, dovendosi adottare la delibera di esclusione di un socio (per la quale è richiesta la maggioranza dei soci non computandosi tra questi quello da escludere), non è necessario che siano consultati tutti i soci, né che essi manifestino contestualmente la propria volontà attraverso una delibera unitaria, essendo sufficiente raccogliere le singole volontà idonee a formare la richiesta maggioranza e comunicare la delibera di esclusione al socio escluso, affinché egli sia posto in condizione di esercitare la facoltà di opposizione dinanzi al tribunale».

[7] G. COTTINO, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 167; G. FERRI, Delle società, sub artt. 2247-2324, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 150; F. GALGANO, Diritto commerciale, II, Bologna, 1996, 71; V. BUONOCORE, Società in nome collettivo, in Comm. Schlesinger, Milano, 1995, 104; M. GHIDINI, Società semplice, cit., 16. In giurisprudenza, Trib. Monza, 10 aprile 1990, in Foro pad., 1991, I, 200; Trib. Napoli, 7 ottobre 1986, in Società, 1987, 389, con nota di Morano. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’unanimità o la maggioranza richieste per le decisioni nelle società di persone possono essere raggiunte attraverso la raccolta dei consensi dei singoli soci, anche separatamente, non essendo necessaria una riunione convocata preliminarmente, la concessione ai soci di un termine o la predeterminazione degli argomenti (Cass. 10 maggio 1984, n. 2860; Cass. 15 luglio 1996, n. 6394, in Società, 1996, 1410). Una parte minoritaria della dottrina ritiene che il metodo collegiale trovi applicazione in ogni gruppo organizzato, quindi anche nelle società di persone: in questo ambito alcuni sostengono che il metodo collegiale si applichi per tutte le decisioni sociali (G. BOLAFFI, La società semplice, cit., 242 e 302), altri per le sole decisioni da prendersi a maggioranza (F. FERRARA – F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1996, 303). Per queste indicazioni, F. ANNUNZIATA, Sub art. 2252, in BONILINI – CONFORTINI – GRANELLI (a cura di), Codice civile ipertestuale, II, Torino, 2001, 3624.

[8] G. BOLAFFI, La società semplice, cit., 302, distingue tra organizzazione della società, ossia del soggetto che esercita l’attività d’impresa, e organizzazione dell’impresa, ossia dell’attività economica esercitata professionalmente per la produzione o lo scambio di beni o servizi.

[9] P. BENAZZO, Autonomia statutaria e quozienti assembleari nelle società di capitali, Padova, 1999, 262; ASSOCIAZIONE PREITE, in OLIVIERI – PRESTI – VELLA a cura di, Il diritto delle società, Bologna, 2006, 378.

[10] O. CAGNASSO, La società semplice, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, 146 ss.; F. GALGANO, Diritto commerciale, II, Le società, Bologna, 1997, 58 ss.; ID., Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova, 1960; ID., Degli amministratori di società personali, Padova, 1963; V. SALAFIA, L’amministrazione delle società personali, in Società, 1999, 1285 ss.; U. BELVISO, Contratto di società e contratto di amministrazione nelle società di persone, in Riv. soc., 2001, 713 ss.; G. GHIDINI, Società semplice, in Enc. giur., XXXIX, Roma, 1993, 16 ss.; ID., Le società personali, Padova, 1973, 359 ss.; M. BUSSOLETTI, Società semplice, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 917 ss.; A. MIGNOLI – R. NOBILI, Amministratori (di società), in Enc. dir., II, Milano, 1958, 131 s.; F. VASSALLI, Responsabilità d'impresa e potere di amministrazione nelle società personali, Milano, 1973, passim, A. VENDITTI, Collegialità e maggioranza nelle società di persone, Napoli, 1955, passim; B. LIBONATI, L’amministratore non socio di società in nome collettivo, in Riv. dir. comm., 1965, I, 426 ss.; F. DI SABATO, Società in generale. Società di persone, in Tratt. Perlingieri, Napoli, 2005, 159 ss.; G. COTTINO – M. SARALE – R. WEIGMANN, Società di persone e consorzi, in Tratt. Cottino, Padova, 2004, 137 ss.; A. MIRONE, Il procedimento deliberativo nelle società di persone, Torino, 1998, passim.; S. TAURINI, Adozione del metodo assembleare per la formazione della volontà dei soci nelle società personali, in Società, 2003, 36 ss.

[11] G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2. Diritto delle società, cit., 108; R. COSTI – G. DI CHIO, Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale diretta da Bigiavi, Torino, 1991, 441; G. FERRI, Delle società, in Comm. cod. civ. Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 1982, 171; G. MINERVINI, In tema di esclusione del socio amministratore unico di collettivo, in Dir. e giur., 1947, 248; P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, 1974, 339; F. TASSINARI, La rappresentanza nelle società di persone, Milano, 1993, 143; F. VASSALLI, Responsabilità d’impresa e poteri di amministrazione nelle società personali, Milano, 1973; R. GUGLIELMO, Riflessi della riforma del diritto societario sull’amministrazione delle società di persone, in Studi e materiali, 2005, 1205 ss., spec. 1213, e in Riv. not., 2006, 1199 ss., spec. 1215 ss. C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, Le società commerciali, Torino, 1935, 109, secondo cui l’amministratore può essere estraneo, perché non sarebbe possibile «negare alla società, in mancanza di un espresso divieto, il diritto che spetta ad ogni subietto di diritto, di farsi rappresentare da chi gode la sua fiducia».

[12] V. BUONOCORE, Società in nome collettivo, in Commentario al codice civile Schlesinger, 1995, 103; O. CAGNASSO, La società semplice, in Trattato di diritto civile Sacco, Torino, 1998, 152; G. COTTINO, Le società, Padova, 1999, 79; F. GALGANO, Diritto commerciale. Le società, Bologna, 2001, 65; M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, 418; A. SALAFIA, Amministrazione della società e procura institoria, in Soc., 1991, 748; L. MOSSA, Trattato del nuovo diritto commerciale, Milano, 1942, I, 202.

[13] Sono a favore della tesi dell’amministratore estraneo: Trib. Torino, 8 ottobre 1984, in Soc., 1985, 497; App. Bari ,1° febbraio 1960, in Giur. It., 1962, 90; in senso contrario, invece, Cass., 25 gennaio 1968 n. 218 in Giur. it., 1968, 1202, la quale ha deciso incidentalmente che gli amministratori di società di persone debbono essere necessariamente soci; Trib. Milano, 22 dicembre 1983, in Soc., 1984, 790; Trib. Alessandria, 25 marzo 1999, in Riv. not., 1999, 1026; Trib. Foggia, 29 febbraio 2000, in Giur. It., 2001, 989; Trib. Catania, 19 dicembre 2003, in Società, 2004, 881, con nota di Fumagalli; Trib. Udine, 29 aprile 2018, in CNN Notizie del 19 novembre 2018, con nota di A. RUOTOLO – D. BOGGIALI, La questione dell’amministratore estraneo nelle società personali. Per Trib. Cagliari, 11 novembre 2005, in Riv. giur. sarda, 2006, 2, 383, la nomina, da parte dei soci di una società in nome collettivo, di un amministratore terzo, investendo profili attinenti all'economia generale, "lato sensu" riconducibili all'ordine pubblico economico, lungi dal configurare un legittimo esercizio di autonomia privata, si risolve in una modifica essenziale degli elementi caratterizzanti il prescelto schema societario, non consentita e, come tale, non meritevole di alcuna tutela.

[14] In giurisprudenza, Cass., 17 marzo 1998 n. 2854; Cass., 27 aprile 1994 n. 4019; secondo M. BUSSOLETTI, Società in accomandita semplice, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 968, il divieto sarebbe espressione del principio di tipicità di cui all'art. 2249 c.c. che richiede la necessaria presenza di due categorie di soci quale requisito fondamentale della Sas, dall'interesse degli stessi accomandatari a che la loro illimitata responsabilità sia accompagnata dall'esclusività del potere gestorio, dall'esigenza della società di trovare credito sul mercato.

[15] In tal senso, Cass., 19 dicembre 1978, n. 6085; Cass., 22 giugno 1978, n. 3092; Cass., 3 ottobre 1997, n. 9659, in Giur. comm., 1999, II, 526; Cass., 26 giugno 1979, n. 3563, in Giust. civ., 1979, I, 1850. La dottrina, in particolare, reputa che si tuteli l'interesse generale garantendo, attraverso la correlazione potere-responsabilità, l'esercizio consapevole dell'attività economica (F. GALGANO, Diritto commerciale, II, Le società, Bologna, 2001, 65 e 112 ss.), affermandosi, altresì, che sono vari gli interessi tutelati dalla disposizione, nel fine ultimo di reprimere gli abusi della responsabilità limitata del socio accomandante (M. BUSSOLETTI, Società in accomandita semplice, cit., 968; P. MONTALENTI, Il socio accomandante, Milano, 1985, 318).

[16] Cass., 19 dicembre 1978, n. 6085, in Giust. civ., 1979, I, 422 e in Foro it., 1979, I, 2092.

[17] Cass. ,6 giugno 2000, n. 7554, in Soc., 2000, 1445, con nota di G. FASOLINO, Quali margini per la partecipazione degli accomandanti alla gestione della società? Nello stesso senso: Cass., 7 dicembre 2012, n. 22246, in Giust. civ., 2013, I, 594 ss., secondo cui «La responsabilità illimitata del socio accomandante ingeritosi nell'amministrazione della società, sancita dall'art. 2320 cod. civ. che, a tal fine, lo equipara all'accomandatario, non è collegata a vicende personali o societarie suscettibili di pubblicizzazione nelle forme prescritte dalla legge, ma deriva dal dato meramente fattuale di tale ingerenza e non è destinata a venir meno per effetto della sola cessazione di quest'ultima»; Trib. Genova, 5 maggio 1995, in Fall., 1996, 179, con nota di GAFFURI.

[18] Ad esempio, secondo Cass. 27 aprile 1994 n. 4019, cit., «l'attività dell'accomandante che, anche in caso di mere trattative, agisca come falsus procurator si traduce nella violazione della regola di cui all'art. 2320 c.c., in quanto, pur non producendo gli effetti dell'atto di amministrazione, e pur non impegnando la società, è tuttavia sintomatico di un processo patologico che incide negativamente sulla posizione che la legge riserva all'accomandatario».

[19] G. COTTINO – R. WEIGMANN, Società di persone e consorzi, in Tratt. Cottino, Padova, 2004, 216; P. MONTALENTI, Il divieto di immistione del socio accomandante: una sentenza innovativa, in Giur. it., 1995, I, 2, 40 ss.; D. SANTORO, Il divieto di immistione negli affari sociali, in Tratt. società di persone Busi – Preite, 2015, 2107, per il quale, ad esempio, sarà possibile affidare all'accomandante, con procura speciale, l'assunzione di maestranze, sfruttando ad es. la sua competenza professionale quale psicologo del lavoro, o ancora conferirgli la facoltà di contrarre mutui fino ad un determinato ammontare. In entrambi gli esempi si tratta, infatti, di operazioni ben individuabili ex ante nella loro obiettiva portata.

[20] P. MONTALENTI, Società in accomandita semplice, in Dig. comm., Torino, 1997, XVI, 246.

[21] M. BUSSOLETTI, Società in accomandita semplice, cit., 965.

[22] Cass. 10 agosto 1992 n. 9454, in Giur. comm., 1994, II, 811.

[23] M. BUSSOLETTI, Società in accomandita semplice, cit., 965; P. MONTALENTI, Il socio accomandante, cit. 188.

[24] Sulle caratteristiche della subordinazione della posizione degli accomandanti v. A. VIVIANI, Il principio di maggioranza e l'esclusione dell'unico accomandatario di Sas, nota a Cass. 8 aprile 2009, n. 8570, cit.

[25] D. BOGGIALI, L’ingerenza del socio accomandante nella gestione della società, in Società e contratti, bilancio e revisione, 1, 2017, 39 ss.

[26] Così N. ATLANTE – M. MALTONI – A. RUOTOLO, Il nuovo articolo 2475 c.c. Prima lettura, cit.

[27] Ancora, N. ATLANTE – M. MALTONI – A. RUOTOLO, Il nuovo articolo 2475 c.c. Prima lettura, cit.

[28] In questi termini, M. CIAN, Le decisioni dei soci. Le competenze decisorie dei soci, in Tratt. Srl Ibba – Marasà, IV, Padova, 2009, 35 ss. Sulla stessa linea, ex multis, R. LENER – A. TUCCI, Decisioni dei soci e responsabilità degli amministratori, in Age, 2003, 282; L. SALVATORE, L’organizzazione corporativa nella nuova Srl: amministrazione, decisione dei soci e il ruolo dell’autonomia statutaria, in Contr. e impr., 2003, 1344. 

[29] G.D. MOSCO, Funzione amministrativa e sistemi di amministrazione, in Tratt. S.r.l. Ibba – Marasà, V, Padova, 2012, 16 ss.; F. GUERRERA, La responsabilità «deliberativa» nelle società di capitali, Torino, 2004, 72; G.C.M. RIVOLTA, I regimi di amministrazione nella società a responsabilità limitata, in P. ABBADESSA – G.B. PORTALE, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2007, 537 ss. per il quale occorre evitare di cadere in un equivoco nominalistico perché la possibilità di investire della funzione amministrativa tutti i soci o l’unico socio nella società unipersonale è fuori discussione, in quanto sussiste anche nella società per azioni, ma l’identità tra le persone dei soci e degli amministratori non esclude la diversità dei ruoli e delle funzioni e la soggezione a regole diverse nell’una e nell’altra veste. Secondo l’A., chi svolge organicamente il compito di gestione è amministratore anche se non ne assume formalmente il nome ed è soggetto ad una disciplina che non si riduce a quella del rapporto partecipativo; O. CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in Tratt. Cottino, Padova, 2007, 219 ss.; F. CORSI, Le nuove società a responsabilità limitata, Milano, 2003, 236. Nell’ambito degli orientamenti notarili, si segnala la massima I.C.3 del Comitato Triveneto dei Notai del settembre 2004, Configurabilità necessaria di un organo amministrativo, secondo cui, «stante la natura di società di capitali della Srl, deve ritenersi indispensabile la presenza formale di un organo amministrativo, anche nel caso che lo statuto preveda che l’amministrazione spetti necessariamente a tutti i soci. In quanto le qualifiche di amministratore e di socio sono distinte, anche se rivestite dagli stessi soggetti».

[30] G.D. MOSCO, Funzione amministrativa e sistemi di amministrazione, cit., 26 s.; G.C.M. RIVOLTA, I regimi di amministrazione nella società a responsabilità limitata, cit., 537 s.

[31] G.D. MOSCO, Funzione amministrativa e sistemi di amministrazione, cit., 23.

[32] G.D. MOSCO, Funzione amministrativa e sistemi di amministrazione, cit., 24 ss., spec. 28 ss.