Conclusione dei lavori della seconda sessione
Siamo giunti al termine dell’intensa giornata di studio e di riflessione dedicata al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, e credo che possa trarsi un bilancio nettamente positivo. Merito, in primo luogo, del notaio Diego Barone, che ha individuato temi di sicuro interesse e di pressante attualità, e che li ha affidati a relatori decisamente all’altezza del compito.
I lavori sono stati serrati, funzionali alle comprensibili esigenze dell’eletta classe notarile, che attende suggerimenti e proposte capaci di orientarla e indirizzarla, ma capace essa stessa, in ogni singolo componente, di affrontare e risolvere di volta in volta i delicati problemi posti sul tappeto dalla pratica a fronte di una legislazione non sempre organica e spesse volte decisamente oscura.
A questo punto dovrei dunque – secondo programma – trarre le conclusioni. Compito, questo, suscettibile di variegate letture. Non raramente, ci si sottrae ad esso, in forma diselegante, invocando le molte ore trascorse e la sopravvenuta stanchezza. Altre volte, si adduce a discolpa la varietà dei temi e la conseguente impossibilità di formulare organici rilievi finali.
Per parte mia, vorrei provare a tendere un filo, a ricercare una linea, suddividendo idealmente le questioni affrontate in tre distinte aree: l’organizzazione dell’impresa; le modalità di gestione della crisi; l’espulsione dal mercato dell’impresa irriducibilmente compromessa.
Il primo territorio è stato arato in particolare dall’avv. Daniela Boggiali, impegnatasi nell’illustrare con grande profitto il concetto di organizzazione adeguata al tipo di impresa di cui al nuovo art. 2086 comma 2 c.c. L’imprenditore che operi in forma societaria, o più genericamente collettiva, deve assicurare all’impresa un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla sua natura e alle sue dimensioni per consentire la tempestiva rilevazione di un’eventuale crisi, e deve porre le condizioni per il suo superamento, adottando le misure necessarie al recupero della continuità aziendale.
Ma quali sono gli strumenti per affrontare le difficoltà insorte e per pervenire all’auspicato recupero? È questo il secondo tema della giornata, particolarmente affollato di perspicaci e variegate risposte, considerato che molteplici sono gli accorgimenti e le modalità miranti alla gestione della crisi che si affaccia minacciosamente sulla vita dell’impresa.
Una prima soluzione è stata illustrata stamane dal prof. Mosco: la decisione degli amministratori della società di accedere a uno degli strumenti di regolazione della crisi. Vengono così in luce il ruolo della governance, il suo compito e le sue competenze anche nel confronto con lo spazio – assai ridotto – residuato ai soci alla luce del più volte evocato art. 120-bis del codice della crisi e dell’insolvenza. Gli amministratori sono chiamati ad adottare in solitudine le decisioni sull’accesso allo strumento prescelto, sul contenuto della proposta, sulle condizioni del piano, e tutto questo senza alcun intervento dell’assemblea sociale.
Ma anche la strada della nuova finanza costituisce un’opzione, puntualmente tratteggiata in mattinata dal prof. Meo: finanza interinale, finanza ponte, finanza offerta dai soci. E preziosa è stata al riguardo la sua diagnosi sulle ragioni della diffidenza legislativa in argomento.
Ulteriori modalità per affrontare le nubi che si addensano sul cielo dell’impresa sono costituite dalle operazioni di fusione e scissione, anch’esse suscettibili di molteplici modulazioni: precoci, differite, condizionate all’omologazione. Il notaio Magliulo, autentico maestro nel campo, ha richiamato l’attenzione anche sul ruolo dei creditori, legittimati all’opposizione, e su quello dei soci, ridimensionati nelle prerogative, ma non del tutto esautorati.
Anche il ricorso all’aumento di capitale, su cui si è speso il notaio prof. Trimarchi, rientra nel novero dei possibili accorgimenti per il superamento della crisi. Può dirsi, anzi, che gli strumenti di ricapitalizzazione esprimono il contemperamento tra la necessità dell’impresa di superare la situazione di indebitamento, da un lato, e l’aspettativa del ceto creditorio, dall’altro.
A quest’ultimo tema si ricollegano le nitide osservazioni del notaio Francesco Paolo Petrera, che ha preso le mosse dalle tradizionali regole del codice civile – in caso di perdita, necessità di adeguare il capitale nominale a quello reale attraverso una tempestiva ricapitalizzazione, ovvero arrivare alla liquidazione – per poi soffermarsi sulle norme derogatrici che discendono dal codice della crisi e dell’insolvenza nonché dal diritto emergenziale Covid. Le statuizioni sospensive degli obblighi codicistici di ricapitalizzazione e la non operatività delle cause di scioglimento in caso di perdita esprimono – ci è stato persuasivamente illustrato – una precisa motivazione: quantunque la ragione giustificatrice dell’espulsione dal mercato oggettivamente sussista, il legislatore ha inteso offrire alla società con gravi perdite la possibilità di accedere comunque alle misure di regolazione della crisi, così discostandosi dal tradizionale precetto racchiuso nell’imperativo “capitalizza o liquida”.
E perveniamo così alla terza provincia del dibattito odierno: il tema della liquidazione, e dunque la fase conclusiva della vita sociale, quella che il prof. Orlandi, con sagace intuizione, ha appellato “il patrimonio senza futuro”. Siamo al recupero delle attività e al pagamento delle passività, ed il tema è stato affrontato con taglio pratico ma al contempo con grande raffinatezza, muovendo dal conflitto tra credito chirografario scaduto, pagato con priorità (o che dir si voglia: in danno) del credito privilegiato non scaduto. Viene qui in gioco la disciplina dell’azione revocatoria, e in particolare la regola secondo la quale l’adempimento del debito scaduto non è revocabile, se valido ed efficace.
Con questi cenni alle tre aree alle quali ho tentato di ricondurre i lavori della giornata l’itinerario può dirsi esaurito: i primi segnali della crisi; le varie misure possibili; infine la vicenda destinata a sfociare nell’estinzione del soggetto societario e nella cancellazione dal registro delle imprese. Il cerchio si chiude, e si concludono così i lavori odierni, per i quali meritano un vivo ringraziamento la Fondazione Italiana del Notariato con il suo presidente notaio Areniello e con i suoi validissimi funzionari nonché l’Università Luiss Guido Carli, istituzioni che ormai da tempo promuovono annualmente incontri e dibattiti miranti al congiunto coinvolgimento di competenze notarili e accademiche. In non minore misura il ringraziamento va ai relatori, dai quali sono giunte preziose e illuminanti indicazioni sugli ardui temi da ciascuno di essi affrontati, nonché al notaio Diego Barone, anima silente ma attiva e vivace nell’assolvere il gravoso compito organizzativo. L’ultimo, ma non ultimo, grazie va ai partecipanti al convegno, e quindi a tutti coloro che ci hanno onorato dell’ascolto e dell’attenzione nelle dense ore di questa impegnativa giornata.