La concorrenza tra notai nella prospettiva disciplinare
Avvocato in Roma
Le questioni legate alla concorrenza hanno, da sempre, un peculiare rilievo nell’ambito della disciplina dell’attività notarile.
L’art. 147 della l. not., nel testo anteriore alla riforma dell’ordinamento disciplinare attuata con il d.lgs. n. 249 del 2006, così disponeva: «il notaro che in qualunque modo comprometta con la sua condotta nella vita pubblica o privata la sua dignità e reputazione e il decoro e il prestigio della classe notarile, o con riduzioni degli onorari e diritti faccia ai colleghi illecita concorrenza, è punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno e, nei casi più gravi, con la destituzione …».
La previsione era poi integrata dall’art. 14, r.d.l. 14 luglio 1937, n. 1666, il quale, facendo espressamente salvo il disposto dell’anzidetto art. 147, imponeva al notaio il divieto di fare concorrenza ai colleghi servendosi di procacciatori di clienti, di richiami e di pubblicità o di qualunque altro mezzo che non fosse confacente al decoro e al prestigio della classe notarile.
Per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 249 del 2006, l’art. 147, comma 1, lett. c), l. not. ha previsto la sanzionabilità della condotta del notaio che «fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, ovvero servendosi dell’opera di procacciatori di clienti, di richiami o di pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al pregiudizio della classe notarile».
Secondo la Suprema Corte la norma, rispettosa del principio di legalità, non vieta la concorrenza tra i notai (la cui liceità, anzi, implicitamente riconosce), ma ne vieta le forme illecite, identificando l’interesse meritevole di tutela nella salvaguardia della dignità e reputazione del notaio, nonché del decoro e nel prestigio della classe notarile[1].
La rilevanza del tema della concorrenza in ambito notarile è confermata dall’apparato di prescrizioni e norme deontologiche confluite nel capo III dei Principi di deontologia professionale dei notai intitolato “Della concorrenza” e distinto in due sezioni: della illecita concorrenza la prima; della pubblicità la seconda, le quali certamente integrano la disciplina della legge notarile con riferimento ai divieti imposti circa le modalità di esecuzione della prestazione notarile, nonché le forme di pubblicità compatibili con la specifica funzione, ribadendo la rilevanza disciplinare delle condotte illegali gli estremi della illecita concorrenza[2].
Il quadro normativo testé sommariamente descritto ha subito una prima, rilevante modifica, all’indomani della introduzione, nell’ordinamento delle libere professioni, ad opera del c.d. decreto Bersani (art. 2, d.l. n. 223 del 2006), di disposizioni abrogative dell’obbligo di tariffe fisse o minime.
La Corte di Cassazione, infatti, riconosciuta alla disciplina dell’anzidetto decreto Bersani la valenza di sistema di riforma economico-sociale volta ad assoggettare tutte le professioni ai principi di libera concorrenza di matrice comunitaria, ha sancito l’intervenuta abrogazione di tutte le tariffe professionali, ivi comprese quelle notarili. È perciò venuta meno, per la Cassazione, anche la rilevanza disciplinare della percezione da parte del notaio di un corrispettivo inferiore a quello a suo tempo previsto dalla tariffa, rimanendo per converso sanzionabile l’illecita concorrenza fra notai, che può ben esprimersi (non già con riduzione di onorari, diritti e compensi, ma) attraverso comportamenti e pratiche non confacenti alla dignità e decoro della funzione notarile e così, secondo l’esemplificazione datane dalla medesima Suprema Corte: «quando il notaio esegua la propria prestazione in modo sistematicamente frettoloso o compiacente o violi il principio di personalità della prestazione, ovvero provveda a documentare irregolarmente, anche da punto di vista fiscale, la prestazione resa, o ponga in essere comportamenti di impronta prettamente commerciale non confacenti all’etica professionale (si pensi all’acquisizione di rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi alla correttezza o al decoro o, ancora, all’offerta di servizi, come finanziamenti e anticipazioni di somme, che non rientrano nell’esercizio dell’attività notarile) o non adeguati alla diligenza del professionista avveduto o scrupoloso, o che possano comunque nuocere alla sua indipendenza, alla imparzialità e alla sua qualità di pubblico ufficiale»[3].
Sull’argomento è quindi intervenuta l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (in prosieguo, breviter, l’Autorità o l’Agcm) che, con la segnalazione del 4 luglio 2014, inviata ai sensi degli artt. 21 e 22, l. n. 287 del 1990 in merito a “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014”, ha espressamente proposto l’eliminazione integrale della lettera c) dell’art. 147, comma 1, l. not. «laddove prevede ingiustificate forme di controllo sulla libertà dei notai di organizzare la propria attività e di determinare i propri onorari».
E, da ultimo, il legislatore, recependo almeno in parte le sollecitazioni dell’Agcm, con l’art. 1, comma 144, della l. n. 124 del 2017 (“Legge annuale per il mercato e la concorrenza”), ha provveduto a riformulare il testo dell’art. 147, comma 1, lett. c) nei termini seguenti: «si serve dell’opera di procacciatori clienti o di pubblicità non conformi ai principi stabiliti dall’art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137».
Risulta così espunto, dalla previsione della legge notarile ora vigente, il riferimento alla illecita concorrenza ed alla qualificabilità come tale di specifiche condotte precisamente individuate dalla norma; fra queste, peraltro, conservano rilevanza disciplinare solo l’utilizzo di procacciatori ed il ricorso a pubblicità non conformi ai principi enunciati dal d.p.r. n. 137 del 2012, mentre vengono cancellati, oltre agli illeciti “tariffari” già messi fuori gioco dalla Corte di Cassazione, gli illeciti riconducibili ai richiami ed alle pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche e la fattispecie residuale costituita dall’uso di «qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al prestigio della classe notarile»[4].
L’or ricordato intervento dell’Agcm rappresenta, nell’economia della presente esposizione, l’anello di congiunzione con una dimensione nuova del tema trattato, vale a dire la rilevanza anticoncorrenziale (dell’esercizio) del potere disciplinare. Argomento, questo, di stretta attualità, alla luce della istruttoria avviata, nel gennaio del 2017, dall’Agcm nei confronti del Consiglio notarile di Milano, cui viene contestato, fra l’altro, di aver fatto «un uso anticoncorrenziale del potere disciplinare».
La tendenza dell’Autorità a sindacare – sotto il profilo delle norme sulla concorrenza – l’attività degli ordini professionali non rappresenta certo una novità. Essa affonda le sue radici nel consolidato orientamento secondo cui la nozione di “impresa”, alla quale occorre far riferimento per l’applicazione della l. not. n. 287 del 1990, è quella risultante dal diritto comunitario (ora eurounitario) e si riferisce a tutti i soggetti, qualunque sia il loro status giuridico, che svolgono in modo indipendente un’attività economica (intesa come prestazione di beni o servizi dietro un corrispettivo) e, quindi, sono “attivi” in uno specifico mercato; per questo sono ormai considerati “imprese”, ai (soli) fini specifici della tutela della libera concorrenza, anche gli esercenti le professioni intellettuali che offrono sul mercato, dietro corrispettivo, prestazioni suscettibili di valutazione economica. Corollario obbligato di tale premessa è la qualificabilità, in termini di “associazioni di imprese”, degli ordini professionali e, conseguentemente, la scrutinabilità, alla stregua delle norme antitrust, delle deliberazioni dagli stessi adottate, senza che rilevi, in contrario, lo svolgimento, da parte degli ordini medesimi, di funzioni pubblicistiche e l’avere uno statuto di diritto pubblico. Principi, quelli testé richiamati, riaffermati anche di recente dalla giurisprudenza della Corte di giustizia per la quale, appunto, la nozione eurounitaria di impresa – rilevante, ripetesi, ai soli fini dell’applicazione della normativa sulla concorrenza – include anche l’esercente di una professione intellettuale, con la conseguenza che il relativo ordine professionale può essere qualificato alla stregua di un’associazione di imprese ai sensi dell’art. 101 Tfue[5]. In linea generale, la superiore impostazione, di recente ribadita dal Consiglio di Stato nei riguardi del Consiglio nazionale forense[6], trova riscontro, sul piano interno, nell’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione secondo cui la nozione d’impresa, nell’ambito del diritto comunitario della concorrenza, abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle modalità di finanziamento. Si tratta, cioè, di una nozione per certi aspetti più economica che giuridica, o almeno non giuridico-formale, nel senso che la sua essenziale connotazione risiede nell’esercizio organizzato e durevole di un’attività economica sul mercato, a prescindere dal modo in cui i singoli ordinamento nazionali definiscono l’ente o la persona fisica alla quale la suddetta attività economica fa capo[7].
Non è, peraltro, la prima volta che l’Agcm si interessa dell’attività dei Consigli notarili.
Basti qui ricordare le pronunzie del Tar Lazio n. 8343, n. 8346 e n. 8349 del 30 luglio 2014 che hanno confermato le sanzioni irrogate dall’Autorità ad alcuni Consigli notarili distrettuali in conseguenza dell’adozione di delibere ritenute restrittive della concorrenza, perché asseritamente preordinate alla reintroduzione delle tariffe obbligatorie dopo l’abrogazione delle stesse disposta dal c.d. “decreto Bersani”. In particolare, secondo l’impostazione propugnata dall’Agcm ed avallata dalle richiamate decisioni del Tar Lazio (attualmente sub iudice perché impugnate dinanzi al Consiglio di Stato), l’attività notarile, in quanto costituita da prestazione in forma indipendente di servizi dietro corrispettivo, costituisce attività economica soggetta, in linea di principio, al rispetto delle norme comunitarie in materia di concorrenza. Conseguentemente, i Consigli notarili distrettuali sono qualificati alla stregua di associazioni di imprese quando adottano atti che sono idonei ad incidere sul profilo economico dell’attività professionale svolta dagli iscritti[8]. Al riguardo è appena il caso di notare che per la Corte di Cassazione[9] «i notai, nei limiti delle loro rispettive competenze territoriali, esercitano la loro professione in condizioni di concorrenza; e la circostanza che le attività notarili perseguano obiettivi di interesse generale […] non è sufficiente a far considerare quelle attività come una forma di partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri» (ciò che le sottrarrebbe all’applicazione delle norme a tutela della concorrenza). A fondamento di tale enunciazione, la Suprema Corte ha richiamato le giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla condizione di nazionalità per l’accesso al Notariato (apprezzata alla stregua delle norme del Trattato sulla libertà di stabilimento), secondo cui «nei limiti delle loro rispettive competenze territoriali, i notai esercitano la loro professione […] in condizioni di concorrenza, circostanza che non è caratteristica dell’esercizio dei pubblici poteri»[10]. L’aspetto più innovativo dell’odierno approccio volto a sindacare, sotto il profilo (anti)concorrenziale, l’esercizio del potere disciplinare consiliare, risiede invece, nel fatto che, in tal modo, il controllo dell’Agcm finisce per investire non più (e non solo) atti dei Consigli aventi portata ed effetti generali, ma singoli e specifici procedimenti disciplinari, peraltro già definiti, a volte addirittura con sentenza irrevocabile.
Sotto questo profilo, la più recente iniziativa dell’Agcm sembra porsi in contrasto, anzitutto, con l’indirizzo della Suprema Corte secondo cui le norme sulla concorrenza non si applicano, ai sensi dell’art. 8, comma 2, l. not. n. 287 del 1990, ai Consigli notarili che avviino l’iniziativa disciplinare atteso che, limitatamente allo svolgimento dell’attività di vigilanza, essi non regolano i servizi offerti dai notaio sul mercato, ma esercitano prerogative tipiche dei pubblici poteri[11].
La presa di posizione dell’Autorità pare confliggere, inoltre, con le indicazioni di principio rivenienti dal parere n. 5679/2010 con cui il Consiglio di Stato ha precisato come l’applicabilità del diritto della concorrenza debba, il linea di massima, escludersi a fronte dell’esercizio di funzioni pubbliche da parte dell’ordine professionale, il quale, nei procedimenti disciplinari, valuta casi concreti e non pone atti aventi effetti generali sui mercati, valutabili alla stregua di intese restrittive della concorrenza, essendo rimesso comunque all’apprezzamento dell’autorità dotata di generale competenza ai sensi dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – Tfue (così per l’Italia l’Agcm) di verificare in concreto se, in singoli casi, stante la possibilità di qualificare gli ordini come associazioni di imprese, si sia verificato un accordo anticoncorrenziale poi tradottosi anche in forma di uno o più provvedimenti disciplinari (giammai rilevando il provvedimento disciplinare di per sé come intesa o pratica concordata).
Le enunciazioni del Consiglio di Stato, espresse con specifico riferimento alle decisioni rese dal Consiglio nazionale forense (che, nell’ambito forense, è giudice di appello del procedimento disciplinare composto da soli professionisti), sembrano valere, a fortiori, con riguardo alla vicenda attualmente sottoposta all’esame dell’Agcm. Se è vero, infatti, come afferma il Consiglio di Stato, che l’atto conclusivo del procedimento disciplinare (quello che, irrogando la sanzione, produce effetti nella sfera giuridica del condannato) è sottratto al sindacato dell’Agcm anche se adottato da un organo composto da soli professionisti, analogo principio dovrebbe trovare applicazione, allora, in relazione alla mera richiesta di apertura del procedimento disciplinare, che è evidentemente un minus rispetto al provvedimento finale e sulla quale, nell’ambito disciplinare notarile, si pronunciano prima un organo “misto” (la CO.RE.DI, presieduta da un magistrato) e poi due organi giurisdizionali quali la Corte di appello e la Corte di Cassazione. In altri termini, se “giammai” rileva come intesa o pratica concordata il provvedimento disciplinare, men che meno può rilevare la richiesta di (adozione di) provvedimento disciplinare.
È appena il caso di osservare, infine, che i principi enunciati dalla menzionata pronuncia n. 9041/16 della Cassazione sono stati, da ultimo, recepiti dal legislatore che, con l’art. 1, comma 495, l. not. n. 205 del 2017, ha aggiunto all’art. 93, l. not. il comma 1-bis a tenor del quale «Agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287».
L’art. 8, comma 2, l. not. n. 287 del 1992, rubricato “Imprese pubbliche e in monopolio legale” a sua volta dispone che: «Le disposizioni (sul divieto di intese anticoncorrenziali, sull’abuso di posizione dominante e sul controllo delle concentrazioni) non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati».
La già rilevata inapplicabilità delle regole di concorrenza alle singole vicende disciplinari potrebbe indurre a ritenere che la disposizione come sopra introdotta nell’art. 93-ter l. not. si riferisca agli atti consiliari generali propedeutici alla instaurazione del procedimento, (atti) dei quali occorrerebbe valutare la proporzionalità e indispensabilità rispetto alla missione di interesse pubblico che mirano a perseguire, dovendosi altresì verificare l’inesistenza di misure alternative parimenti idonee allo scopo, ma meno restrittive della concorrenza[12].
L’espressione “funzionali” adoperata dal legislatore, d’altra parte, evoca la giurisprudenza della Suprema Corte che qualifica le potestà attribuite ai Consigli notarili distrettuali dagli artt. 93, 93-bis e 93-ter l. not. come «espressamente funzionali alle attribuzioni, ad essi spettante per legge, di controllo del regolare esercizio dell’attività notarile, nonché di eventuale promovimento dell’azione disciplinare»[13].
Qualunque sia, comunque, la portata della disposizione in esame e la delimitazione oggettiva del suo parametro precettivo, è assolutamente condivisibile l’opinione[14] di chi ritiene che ammettere la possibilità per l’Agcm di intervenire contro l’azione disciplinare dei Consigli notarili confliggerebbe con la ratio della nuova norma, comportando «l’insorgere del rischio di violazione del principio ne bis in idem, laddove, se la decisione dell’Agcm fosse impugnata, potrebbe anche portare ad una pronuncia del Consiglio di Stato di fatto opposta a quella della Corte di Cassazione che abbia eventualmente confermato la validità del provvedimento disciplinare»; e ciò, mentre il legislatore «ha introdotto la norma in discussione proprio per evitare questo potenziale conflitto giurisdizionale e tra poteri».
[1] In tal senso, tra le più recenti, Cass. n. 2527/17.
[2] Così F.P. LOPS - A. LA PLACA, in P. BOERO-M. IEVA (a cura di), La legge notarile, sub art. 147, Milano, 2014, 817.
[3] Così, Cass. n. 3715/13, n. 9358/13, n. 9793/13, n. 10042/13 e n. 10234/13.
[4] In tema di pubblicità, per riferimenti alla disciplina vigente prima delle modifiche introdotte dalla l. not. n. 127 del 2017, cons. Cass. n. 9041/16.
[5] Sent. 18 luglio 2013, causa C-136/12, Consiglio nazionale dei geologi c. Agcm.
[6] Con la decisione n. 1164/16.
[7] Così Cass., sez. un., n. 30175/11 che, sulla scorta di tali enunciazioni, ritenendo non rilevante, ai fini in rilievo, la qualifica di ente pubblico attribuita dall’ordinamento italiano alla Agenzia del territorio, ne ha sancito l’assoggettamento alla disciplina antimonopolistica, in ordine al mercato dell’utilizzazione economica delle informazioni commerciali, tratte dalla consultazione dei pubblici registri ipotecari e catastali.
[8] Quanto esposto nel testo, evidentemente, non significa, però, né che i notai debbano essere equiparati agli (o qualificati come) imprenditori per qualsiasi altro aspetto di rilevanza giuridica di tale figura (ed al di fuori, quindi, dell’applicazione della normativa antitrust), né tantomeno che la soggezione del Notariato alla disciplina di tutela della concorrenza sia piena e per così dire indiscriminata. Al contrario, così come ribadito dall’avv. gen. Cruz De Villalon nella causa C-47/08, e come riconosciuto anche da informata dottrina (A. GENOVESE, Regolazione e concorrenza nell’offerta di servizi notarili, in www.orizzontideldirittocommerciale.it, 10 ss. e V. CAPUANO, Tariffe notarili e disciplina della concorrenza: una soluzione dall’ordinamento giuridico dell’Unione europea?, In Quaderni di diritto mercato tecnologia, 2013, 3, 12 ss.), i servizi notarili sono certamente, ai sensi del diritto comunitario antitrust, “servizi di interesse economico generale” (art. 106 Tfue): essi sono dunque esentati dal rispetto delle norme generali di concorrenza, se e in quanto tali norme «ostino all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro [è cioè ai produttori dei servizi] affidata». Ed analoga formulazione si rinviene nell’art. 8, l. n. 287 del 1990 a tenor del quale «Le disposizione di cui ai precedenti articoli non si applicano alle imprese che, per disposizione di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale […] per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati».
[9] In termini, Cass. n. 3715/13 e n. 9358/13, cit.
[10] Così Corte giust. 24 maggio 2011, causa C-47/08. Da notare che anche la posizione della Commissione europea è nel senso della soggezione, in principio, dei notai alle norme sulla concorrenza, così come risulta dalla Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali del 9 febbraio 2004.
[11] Così Cass. n. 9041/16, in dichiarata adesione all’insegnamento della Corte di giustizia in base al quale le misure dettate dagli ordini professionali, pure se in ipotesi produttive di effetti restrittivi della concorrenza, sono ammissibili quando risultano necessarie per il corretto esercizio della professione, conformemente alle modalità organizzative dello Stato membro interessato (in tal senso Corte giust., 19 febbraio 2002, causa C-309/95, Wouters).
[12] In tal senso, O. POLLICINO - E. MARASÀ, Nuovo articolo 93-ter, comma 1-bis, della legge notarile: esenzione totale dei notai dalle regole di concorrenza? Contrarietà ai principi comunitari? Niente affatto, in www.medialaws.eu del 27 febbraio 2018.
[13] Così Cass. n. 24962/16. La ricostruzione ipotizzata nel testo, pur se coerente con l’indirizzo del richiamato parere del Consiglio di Stato n. 5679/10, potrebbe, peraltro, far sorgere alcune criticità. Data la impugnabilità dinanzi al giudice amministrativo dei provvedimenti amministrativi dell’Agcm (ex art. 33, l. n. 287 del 1990 e 133, lett. l) del Codice del processo amministrativo), si determinerebbero le condizioni per eludere l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale non è consentita l’impugnazione innanzi al giudice amministrativo degli atti dei consigli notarili funzionali all’esercizio dell’azione disciplinare (in particolare, di quelli adottati ai sensi dell’art. 93, comma 1, n. 1 e degli art. 93-bis e 93-ter, l. not.), atteso che, ai sensi dell’art. 113, ultimo comma Cost., il giudice ordinario è munito in tale materia di giurisdizione esclusiva, estesa anche al sindacato sugli atti presupposti dell’irrogazione della sanzione disciplinare, impugnabili, pertanto, innanzi ad esso, purché nel rispetto dell’art. 100 c.p.c. (così Cass., sez. III, n. 20054/13, sulla scia delle enunciazioni di Cass., sez. un., n. 13617/12; in senso conforme, da ultimo, Cass., sez. II, n. 12732/15 e n. 24962/16).
In altri termini, l’or citato indirizzo della Suprema Corte, già recepito da alcune decisioni dei giudici amministrativi (così, per esempio, Tar Lombardia sez. I n. 1720/14 e, più di recente, Cons. Stato, sez. VI, n. 2777/15), finirebbe per essere aggirato posto che, per il tramite del ricorso attraverso il provvedimento dell’Agcm che censuri – sotto il profilo concorrenziale – l’atto di vigilanza consiliare, il giudice (amministrativo) competente a pronunciarsi sul ricorso verrebbe a conoscere di tale atto pur non essendo munito di giurisdizione al riguardo.
[14] O. POLLICINO - E. MARASÀ, op. cit.