La detipizzazione: il giurista, il giudice e il notaio
Notaio in Bologna, Ordinario di Diritto civile, Università di Bologna
E avrei voluto, tra l’altro, essere presente anche per scambiare alcune idee con il Collega ed amico Andrea Fusaro su una questione a cui accennerò anche nel corso di questa mia relazione, sulla tipicità/atipicità del trust, trattata dalla Cassazione in forma di obiter dictum in una recentissima pronuncia del 19 aprile 2018 (n. 9637)[[1]].
Come mia consuetudine inizio il mio intervento svelando subito quelle che saranno le mie conclusioni nella speranza di essere così il più chiaro possibile visto anche l’ormai tardo orario. E cerco di spiegare anche la scelta del titolo di questa mia breve relazione che può tradursi in “dalla detipizzazione alla delegificazione”.
Un titolo che richiama il pensiero a noi tutti noto di Natalino Irti che già nel 1978, con il suo volume “L’età della decodificazione” aveva preconizzato lo sgretolamento progressivo del nostro sistema delle fonti normative[[2]]. Uno sgretolamento che lo ha portato, ancora Irti poi nel 2007, a parlare di “diritto nell’età della tecnica”[[3]]. E con altri autori[[4]] a parlare perfino di una ideologia della tecnica, con un sillogismo o calculability che sfugge di mano agli esseri viventi.
Cambia il modo di fare le leggi ma soprattutto cambia il modo di creare nuovi strumenti giuridici per gli operatori del diritto.
Sempre più dal “fatto” (economia) al “diritto” piuttosto che, potremmo dire, diritto inventato a tavolino per guidare l’economia anziché esserne guidati di corporativa memoria.
Si pensi, ad esempio, ai fenomeni nati dall’economia: prima al venir meno della soggettività come presupposto della trascrizione com’è avvenuto per le associazioni non riconosciute, al trust o simili segregazioni con un distacco di patrimonio nato dall’art. 2645-ter c.c., e ancora alle reti nate come fenomeno economico – di fatto – e solo dopo disciplinato dal legislatore ma solo come modello contrattuale e non come tipo (e a tal proposito si è parlato di transtipo[[5]]). Tipo a cui i giuristi un po’ più agees erano abituati a rapportarsi, come a una certezza del diritto[[6]].
Tipo rigido vuol dire più norme inderogabili, ma – come dirò – queste ultime sembrano ormai un lontano ricordo nel modus operandi del legislatore.
Ma oggi, da quello che Francesco Galgano e gli altri della sua generazione definivano lo “shopping del diritto”[[7]], siamo andati ancora oltre venendo meno anche al nostro stesso sistema giurisdizionale/ordinamentale. Perché quando c’è una atomica – e cioè la globalizzazione dei mercati prima e del diritto ora – si deve andare a vedere cosa è rimasto in piedi: restano i principi generali, i grossi divieti del nostro ordinamento, come la tutela del creditore (ex art. 2740 c.c.), così come il divieto di patto commissorio (art. 2744 c.c.) – anche se oggi è sempre più mitigato dall’introduzione del patto Marciano – come la tutela dei legittimari (di cui agli artt. 536 ss. c.c.) così come il divieto di patti successori (art. 458 c.c.) oggi mitigati anche loro dal patto di famiglia (art. 768-bis ss. c.c.) e dalle diverse segregazioni patrimoniali oggi riconosciute dal nostro ordinamento. Lo stesso procedimento di superamento del tipo lo avevamo già visto nel diritto societario con la riforma Vietti che aveva iniziato il percorso di scardinamento del “tipo societario” puntando sempre più sull’autonomia contrattuale dei soci di cui all’art. 1322 c.c., fino ad arrivare oggi ad avere società di capitali senza capitale (società a capitale ridotto e semplificate), società lucrative che non distribuiscono utili (Start-Up), e professionisti sempre più imprenditori (società di avvocati di cui al d.d.l. concorrenza l. 4 agosto 2017, n. 124; e reti di e con professionisti di cui al jobs act-autonomi legge 22 maggio 2017, n. 81).
Quindi, dopo l’atomica della globalizzazione cosa è rimasto in piedi?
Il default invece che le inderogabilità, la nullità inequivoca ed i principi generali invece che i tipi – come ho già scritto in alcune occasioni – fino ad una delegificazione, e cioè all’eliminazione del ragionamento e soprattutto del vincolo inderogabile giuridico.
E così assistiamo all’elogio della interpretazione libera. Si tratta di un vero e proprio processo ermeneutico – come ricorda Guido Alpa – che Gadamer ha denominato “precomprensione”, nel senso che l’interprete compie addizioni al testo, il quale, in quanto tale, in sé e per sé, è muto[[8]]. Vi è, quindi, un ampio margine di libertà e cioè di discrezionalità di cui si avvale l’interprete. Cosicché emerge il notaio come interprete, con le sue formule e i suoi schemi.
In breve: dal fatto al jus: modificazioni dell’economia che impattano sempre più massicciamente anche sul ruolo degli interpreti giuridici.
E ancora più in breve dal jus positum tipico codicistico, al jus per consolidato orientamento prima giurisprudenziale poi anche dottrinale. E poi al jus per uso sociale, o socialmente in uso, quello delle prassi, le buone prassi sviluppatesi nel modo di fare diritto che comunque possono avere le loro conseguenze anche nel campo del disciplinare notarile.
Passando per il jus digitale obbligato nei suoi schemi, tutti controllati per definizione degli informatici sul piano dei principi generali. E sul punto ho sommessamente qualche perplessità. Anche perché quando la categoria si è messa a creare delle massime, all’interno di queste sono state inserite una serie di considerazioni che spesso prescindono dalla nullità o meno delle clausole analizzate e trattano di altri vizi minori; e se quindi anche i notai stessi non riescono a stabilire con certezza ed unanimità di pensiero – è capitato che le massime espresse dalle Commissioni di studio dei diversi Consigli siano confliggenti fra loro[[9]] – ciò che è nullo e ciò che non lo è, figuriamoci se può essere in grado di farlo una macchina che non ha la sensibilità “umana” del giurista.
Fino ad arrivare alle ultime frontiere del jus “solo citato”, cioè di un diritto che crea contratti non dettagliati e che richiede, dunque, una loro necessaria ricostruzione interpretativa. Ed è questo il caso del trust e del contratto di affidamento fiduciario della Legge “Dopo di noi” [[10]]: il primo, viene per la prima volta nominato in una legge italiana dopo anni di applicazione solo attraverso il riconoscimento giurisprudenziale dell’istituto; ed il secondo, assurto a nuova fattispecie contrattuale con la mera citazione, ma nato dalla penna di un singolo autore, Maurizio Lupoi, che ha tradotto la sua idea di un lavoro monografico in un contratto[[11]].
Tutte queste nuove forme sono destinate a rivestire una posizione sempre più centrale nel panorama generale e anche in questo campo le regole dei giuristi devono fermarsi al soft law, piuttosto che perdersi in disquisizioni approfondite ma spesso sterili – e i giuristi devono leccarsi le ferite – sulla novità di tipo di fonte del diritto: è ovvio che di fronte alla crisi del tipo, l’economia con la sua fantasia fa scorrere il diritto per rivoli diversi alla ricerca di modelli più che di tipi nuovi, modelli che passano e passano come nella moda.
Potremmo dire che la velocità delle trasformazioni e delle transazioni economiche non lascia tempo al divenire “tipo”. Dunque, restano semplici modelli.
E sono modelli che passano:
– per il diritto tributario fiscale, e da ultimo si pensi al leasing immobiliare abitativo;
– per la pubblicità immobiliare (e mobiliare) ma non solo[[12]], e si pensi al contratto preliminare (art. 2645-bis c.c.), alla cessione di cubatura (art. 2643, n. 2-bis, c.c.), ai patrimoni destinati con immobili (art. 2645-ter c.c.) ed al pignoramento per beni mobili (art. 2929-bis c.c.), ai vincoli pubblicistici (art. 2645-quater c.c.)[[13]] ed al Rent to buy (d.l. n. 133 del 2014 convertito in l. n. 164 del 2014)[[14]].
– per il costante orientamento giurisprudenziale e dottrinale come dice da ormai un ventennio la Cassazione in modo autoreferenziale rendendo sistema quella nomofilachia e cioè quell’adeguamento dei giudici al precedente illustre che ha avuto in uso per decenni per adeguarsi alle pronunce delle giustizie superiori.
– o addirittura, infine, – come detto – per la semplice citazione dell’istituto come ho detto per il caso del trust all’italiana nella legge Dopo di noi. Così passando da un “tipo debole”, che proprio a proposito delle reti – come già ricordato – fu definito “trans-tipo”, perché oltre al concetto di tipo per guardare ancora di più all’economia della realtà, a una assenza priva di un sottofondo di un tipo pur debole, anche solo socialmente in uso, così da far trasalire i giuristi e gli operatori più tradizionalisti.
E qui ci ha messo ora lo zampino l’obiter dictum della Cassazione 19 aprile 2018 citato, che interpreta la convezione dell’Aja come disciplina di un tipo “trust”, meritevole di tutela.
Istituti che nascono senza il vaglio della doppia conforme o almeno del provvedimento di urgenza convertito. Un disordine metodologico su cui non pare ci sia stata una riflessione da un punto di vista ordinamentale.
Nuove leggi, nuovi metodi ed anche il solo nominare, significa già far entrare nell’ordinamento un nuovo modello, magari sotto forma di modello e basta, con criteri guida piuttosto che con vincoli, fino al tema recente della causa in concreto[[15]], che da sempre richiede l’intervento del giurista perché non si inserisca qualche elemento di illiceità o contrarietà all’ordine pubblico fra le pieghe dei modelli, degli standards e dei contratti che entrano nel nostro sistema (anche attraverso appunto i legal standards).
E c’è da chiedersi: se faccio un trust fuori dal Dopo di noi e quindi senza agevolazioni fiscali – ma intanto lo faccio – quale sarà la conseguenza? La perdita delle agevolazioni o anche piuttosto l’inesistenza del modello fuori dal fiscalmente agevolato? L’obiter dictum della Cassazione più volte citato sembrerebbe consentirlo.
Ma se non è così quale sarà la sanzione per il notaio che stipula fuori dagli schemi ponendosi in un’ottica rolandiniana di creatore di formule?
Nullità (art. 28 e 138 l. not.), altre forme di invalidità (art. 136 l. not.), o mera inefficacia dell’atto?
A questo punto non si potrà prescindere da un’analisi della causa in concreto dell’atto per verificarne la meritevolezza degli interessi. Ovvio che se la causa dovesse risultare illecita ci troveremmo nel campo di applicazione dell’art. 1418 c.c., ma anche se il contratto fosse privo di una causa in concreto, non superando il vaglio della meritevolezza, ci troveremmo nel campo della nullità.
Ma un contratto stipulato fuori dai tipi, fuori dai modelli, potremmo dire un contratto nato dalla testa di Giove Notaio, pur superando il vaglio della meritevolezza, potrebbe anche portare ad una responsabilità ex art. 136 l. not. qualora fosse inefficace e fosse comunque un contratto reiterato dal notaio rogante.
Noi giuristi dei contratti e dell’economia dobbiamo comunque ora occuparci degli strumenti più diversi, di un susseguirsi di fonti che sempre di più, in un modo non regolato, si sovrappongono le une alle altre, facendo perfino parlare di “contratto alieno”[[16]] come piombato dallo spazio attraverso l’ingresso da altri ordinamenti con il meccanismo della globalizzazione, della sharing economy e del civil law che si modifica per il sempre maggiore ingresso di common law.
Il rapporto fra fonti non deve scandalizzare nessuno, non siamo nuovi nel nostro codice civile a queste interpolazioni. E si pensi al diritto sindacale che si rapporta a grandi linee ad una sola legge e tutto il resto è regolato dagli accordi: accordi quadro, accordi normativi e influenza senza il tipo forte della legge supportata dall’arma estrema dell’autonomia: lo sciopero.
E ancora, si pensi oggi anche al “contatto sociale” assurto (o meglio, proposto) come una nuova fonte delle obbligazioni[[17]]. In un recente intervento si è parlato (Orlandi) proprio del contatto sociale come di una nuova forma di responsabilità civile che prescinde dall’esistenza di un contratto inteso nel senso stretto del termine, laddove tra il danneggiato ed il danneggiante sussista una particolare relazione sociale tale da ingenerare un legittimo affidamento e considerato dall’ordinamento giuridico come idoneo a determinare specifici doveri comportamentali non riconducibili al dovere generico di non ledere l’altrui sfera giuridica dell’art. 2043 c.c.
Secondo parte della dottrina e la giurisprudenza, il contatto sociale qualificato deve essere annoverato tra gli atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità all’ordinamento giuridico ex articolo 1173 c.c., ed il tema della fase delle trattative/contatto è un tema che potrebbe coinvolgere l’opera del notaio. Ne consegue che anche la violazione di obbligazioni specifiche che trovano la loro fonte (non già in un contratto ma piuttosto) nel contatto sociale qualificato determina una responsabilità di tipo contrattuale. E i contatti si svolgono nei nostri studi o attraverso gli stessi.
Di questo nuovo quadro delle fonti se ne è discusso di recente in varie occasioni convegnistiche fra civilisti, e si sono distinte due diverse posizioni, e cioè quella di coloro che tengono i cosiddetti “formanti” come elementi staccati che contribuiscono alla nascita di nuovi istituti, e invece quella di coloro che ritengono che l’economia copra già tutto il possibile della multiformità delle variabili e noi giuristi ritagliamo dei tipi il più possibile giuridificati fra i più frequentemente utilizzati che abbiano bisogno di regole, di confini e di rinforzi.
Capisco, emerge una forma di disagio. Il giurista senza rete (come al circo, rete nel senso materiale del termine, la paura del vuoto senza una possibilità di essere ripescati), ma è il mondo globalizzato che ci costringe a lavorare in queste condizioni.
La giurisprudenza si è trovata ad intervenire con pronunce a sezioni unite sul diritto che nasce dalla giurisprudenza stessa, e dal loro canto le categorie dei professionisti vengono supportate da studi degli Uffici delle stesse ben organizzati a livello scientifico-informativo sul piano nazionale: centri studi che sorreggono nelle scelte oscure.
Cosicché il passo dalla detipizzazione alla delegificazione è davvero breve. Si trovano sempre più strumenti alternativi e multidisciplinari per la risoluzione dei conflitti.
Ed ecco che anche i notai potrebbero e dovrebbero assumere in questa “nuova età del diritto” un nuovo ruolo di interpreti, un ruolo che in realtà non è per loro del tutto nuovo, ma che richiama gli albori di questa professione quando il notaio rivestiva anche un ruolo di creatore di formule.
Il notaio, sin dalle origini delle formule cioè il notaio post Rolandiniano dei contratti e fino alla crisi del tipo legale, o meglio della trasformazione dello stesso tipo all’interno del quale si potrà offrire quell’ adattamento o “adeguamento” che è il termine più appropriato, si è sempre posto come risolutore del caso concreto in quell’ottica di prevenzione dei conflitti che è un valore aggiunto importante[[18]].
Si può parlare di fonti legali o formule contrattuali, fino ad arrivare ad un tipo che è sempre meno “legale” e sempre più connesso alla utilizzazione di rilevanza sociale. All’uso concreto che se ne fa nei contratti ogni giorno stipulati e registrati.
Giungendo sino al punto estremo in cui possa affermarsi che il “tipo” sono le formule notarili, gli strumenti giuridici inventati o adottati dai notai stessi.
Potremmo dire, “con un ritorno alle origini”. Corsi e ricorsi storici.
In fondo lo stesso Rolandino, che esportava le sue formule in Europa, è stato il primo esempio di globalizzazione del diritto. Le formule circolando si rafforzano nella loro forza non cogente ma persuasiva (potremmo dire).
Tutto ciò porta necessariamente ad un ripensamento del ruolo del notaio, che non deve restare legato al passato, ma che deve muoversi – come ha sempre fatto nella sua evoluzione storica che ho ripercorso in un mio precedente lavoro[[19]] – anticipando i tempi e mostrandosi pronto a cavalcare il cambiamento. Il notaio diventa guida dei nuovi contratti, soprattutto in un momento storico, come quello attuale, in cui i contratti sono fuori dagli schemi tipici, sono ibridi o addirittura “transtipici”, o tipizzati solo per gruppi, dove si forniscono normativamente solo alcuni – veramente pochi in realtà – elementi di base lasciando alle parti piena autonomia nel cucirsi l’abito su misura per le loro esigenze specifiche.
Il notaio deve, quindi, tornare ad essere quello che era ab origine: un intermediario fra la volontà delle parti che a lui si sono rivolte e gli obblighi ed i doveri imposti dallo Stato, sempre meno Stato centrale sempre più Stato globalizzato, come nel periodo medievale in cui il contratto prendeva la propria forza dalla stessa auctoritas del notaio.
Se togli le regole di diritto, tutto pattina un po’ sul ghiaccio. E allora c’è bisogno di creare delle nuove certezze, delle massime interpretative, in un momento in cui la inequivocità della nullità si fa sempre più principio dell’ordinamento. E l’Ufficio Studi nazionale come le commissioni dei diversi Consigli, producono diritto attraverso le massime societarie e le interpretazioni dei nuovi contratti (si pensi allo studio del CNN n. 3-2017/C sul trust sconvolgentemente adesivo a una visione di ingresso ordinamentale del trust nel nostro sistema).
La nullità inequivoca che dalle sue origini sul finire degli anni 90 è arrivata a noi costante ma cambiata nei suoi lineamenti, maturata nelle pronunce della Suprema Corte[[20]]. Fino all’ultima veste con la sentenza n. 15892/2011 con cui i giudici di legittimità statuiscono che “a fini di nomofilachia” si deve intendere come inequivoca quella nullità dichiarata da una pronuncia della cassazione ed ai fini disciplinari notarili le norme si assumeranno come violate successivamente al decorso di un termine ragionevole dalla pubblicazione della detta decisione.
Tempus regit actum dall’affermazione della massima. Una sorta di vacatio interpretativa.
E con le parole di Shakespeare potremmo quasi dire “Waiting for Cassazione“.
E va da sé che ognuno di noi farà i suoi calcoli con rigore o meno di questo processo interpretativo ed applicativo che parte dalle Co.re.di.
Il richiamo è a un mio lavoro che avevo scritto insieme a Galgano per il commentario Scialoja Branca subito all’indomani della riforma societaria Vietti 2003/2004[[21]]. Una riforma tutta incentrata sull’autonomia contrattuale dei soci, che spostò l’ago della bilancia dalla società/istituzione alla società/contratto, ma che creò un po’ di “disagio” ai Notai nuovi omologatori delle società a partire dalla legge n. 240 del 2000.
Ecco, in quella occasione feci una distinzione fra le nullità codicistiche facilmente reperibili nell’art. 1418 c.c. e nullità collocate negli altri articoli del nostro codice civile; le nullità del tipo e, nel caso di specie, del tipo societario dettate dal legislatore nelle norme del codice dedicate ai singoli tipi di società; ed infine alle nullità virtuali, criptiche, che l’interprete deve ricercare nei principi generali dell’ordinamento come inderogabili, di applicazione necessaria, ma che siano inequivoche per costante orientamento giurisprudenziale e dottrinale.
In questo nuovo quadro delle fonti del diritto potrebbe inserirsi anche un nuovo modo di fare contratti.
Non voglio allargarmi al campo filosofico del contratto, ma è già in uso da tempo nel nostro ordinamento affidare grosse parti del diritto alla logica del contratto: si pensi al diritto del lavoro.
E allora perché non trasferire anche altri temi (delle Holding alle partecipate) alla logica privato/pubblica dell’accordo privatistico con i soggetti in campo. Parlare di contratto è sempre più frequente anche in politica, ma non è sbagliato: solo che la politica, come il sindacato, non conosce la regola del pacta sunt servanda.
E dunque il sostegno giuridico va cercato aliunde: con conseguenze risarcitorie e di perdita di opportunità, chances, in un quadro reticolare: il sistema.
Dunque, senza arrivare a una funzionalizzazione, che giunge generalmente dall’interesse superiore della produzione nazionale, di corporativa memoria, qui più modernamente si potrebbe pensare ad uno scopo del tipo incremento della competitività e dello sviluppo delle imprese mirato al dialogo ed al sistema economico globale ed alla moltiplicazione o anche solo incremento delle occasioni di scambio.
Gli esempi della nostra storia politico-economico-sindacale sono gli accordi quadro, le parti politiche dei contratti collettivi, delle dichiarazioni di intenti, le lettere di patronages che hanno l’effetto di moltiplicare ed allargare le sedi di contrattazione.
Bologna è stata da pochi giorni premiata a New York per la sua attività relativa ai patti di collaborazione con le imprese da parte della pubblica amministrazione, ed il polo di Bologna, con Milano e Padova, costituisce (come recentemente è stato detto) il nuovo triangolo industriale italiano con fatturati più alti rispetto al resto del Paese: interazioni privato/pubblico che si svolgono sul piano dei contratti, dei patti, con parole e clausole che ci sono familiari.
Un complesso di relazioni lavorative industriali produttive con l’effetto anche composto, e cioè ulteriore – potremmo dire moltiplicatore – dei contatti, dei patti e delle possibili direzioni di sviluppo nell’ottica del raggiungimento di una complessiva competitività e sviluppo dell’intero sistema economico.
Ma qui mi fermo con una massima anzi con un twitt conclusivo.
In tempi in cui tutto è sempre più contratto e meno legge, più soft law e meno norme inderogabili, quindi anche meno sanzioni, ovvero piuttosto sanzioni che diventano solo deontologiche e non più disciplinari, bisogna però stare attenti che non diventi tutto meno competenza notarile a scapito di una espansione e avvicendamento delle competenze degli avvocati.
[1] Si v. Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2018, n. 9637.
[2] Cfr. N. IRTI, L’età della decodificazione, Milano, 1978, 613 ss.
[3] Cfr. N. IRTI, Il diritto nell’età della tecnica, 2007.
[4] Si v. G. VARDARO, Tecnica, tecnologia e ideologia della tecnica nel diritto del lavoro, in Pol. dir., 1, 1986.
[5] Si v. il mio Reti e contratto di rete, Padova, 2012, e bibliografia ivi citata. Per una prima definizione di "norme transitipiche" si v. O. CAGNASSO, La concessione di vendita. Problemi di qualificazione, Milano, 1983, in cui l'Autore si riferisce al complesso di norme che vanno oltre i confini del tipo astratto, norme cioè che non identificano un nuovo contratto ma piuttosto servono da base per un duplice passaggio logico di astrazione e deduzione, attraverso il quale dalla norma viene estratto (o astratto) un principio, denominato principio transtipico, dal quale è possibile ricavare le norme adatte al caso concreto.
[6] Così U. BRECCIA, La nozione di tipico e atipico: spunti critici e ricostruttivi, in Tipicità ed atipicità nei contratti, in Quad. di giur. comm., Milano, 1983, 11 ss., secondo cui i nuovi contratti hanno in comune «i caratteri propri delle fattispecie contrattuali di nuova generazione: la cd. atipicità standardizzata»; e ancora U. MAJELLO, I problemi di legittimità e di disciplina dei negozi atipici, in Riv. dir. civ., 1987, I, 498 ss.; sul tema si v. anche P. RESCIGNO, Note sulla atipicità contrattuale, in Scritti per Mario Nigro, Milano, 1991, I, 513.
[7] Si v. F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005, in cui si evidenzia come nell’era della globalizzazione il diritto muta rapidamente sull’onda della nuova lex mercatoria, ed i diritti nazionali non sono più chiusi dentro i loro confini politici, ma «bensì aperti alla competizione, quali modelli fruibili per una sorta di “shopping” del diritto».
[8] Così G. ALPA, Giuristi e interpretazioni. Il ruolo del diritto nella società postmoderna, Genova, 2017, 7 ss.
[9] Si v. il mio Gli atti e i verbali societari. Controlli e massime notarili, in F. GALGANO (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 2006.
[10] Sull’introduzione nel nostro ordinamento di nuovi contratti attraverso la mera citazione in una disposizione normativa si v. quanto già detto nel mio Legge sul “Dopo di noi” e separazione patrimoniale. Brevi note a margine di un convegno, in Vita not., 2016, 3, 1161 ss.
[11] Si v. M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014.
[12] Più in generale sul tema dell'elasticità della trascrizione e sull'ampliamento normativo degli atti trascrivibili si v. il mio La trascrizione immobiliare, in G. VISINTINI (a cura di), Trattato di diritto immobiliare, Padova, 2013, 2, 409 ss.; e G. PETRELLI, L'evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare. trascrizioni, annotazioni, cancellazioni: dalla “tassatività” alla “tipicità”, Napoli, 2009, 310 ss.
[13] L'art. 2645-quater c.c. nasce dal dialogo con la giurisprudenza, ed in particolare sul punto appare fondamentale una pronuncia della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2009, n. 318, la quale ha come suo leit motiv il superamento del “dogma” della tassatività. Così G. RIZZI, La trascrizione degli atti costitutivi di vincolo (art. 2645-quater c.c.), in Atti del Convegno tenutosi a Cortina, 13 febbraio 2013; e il mio La pubblicità immobiliare di atti e convenzioni per servizi e vincoli di interesse pubblico: una norma di origine giurisprudenziale, in Giust. civ., 2, 2015, 155 ss.
[14] Cfr. quanto detto nel mio Rent to buy nelle leggi 80 e 164 del 2014: ora dunque emptio tollit locatum?, in Contr. e impr., 1, 2015, 12 ss.; A. FUSARO, Rent to buy, Help to Buy, Buy to rent, tra modelli legislativi e rielaborazioni della prassi, in Contr. e impr., 2, 2014, 419 e ss.; D. DE STEFANO, F. DE STEFANO, L. STUCCHI, G, DE MARCHI, Help to buy favorire la ripresa delle transazioni immobiliari, in Federnotizie, novembre 2012, 41 ss.; E. MATANO, I nuovi modelli di contrattazione immobiliare a confronto con gli strumenti tradizionali, nella relazione al Convegno “Rent to buy” Le "nuove frontiere" della circolazione degli immobili", Santa Maria Capua Vetere, 19 giugno 2014.
[15] Cfr. R. ROLLI, Causa in astratto e causa in concreto, in F. GALGANO (diretta da), Le monografie di contratto e impresa, Padova, 2008, 111.
[16] Si v. G. DE NOVA, Il contratto alieno, Torino, 2010; e ancora ID., Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011.
[17] Sul punto si v. M. FRANZONI, Il contatto sociale non vale solo per il medico, in Resp. civ. e prev., 2011.
[18] E sul ruolo del Notaio come creatore di formule si v. il mio D.d.l. Concorrenza: il notaio fra Stato e mercato, in Notariato, 3, 2015.
[19] Cfr. il mio Il Notaio fra regole dello Stato e regole del mercato, in Vita not., 1, 2015.
[20] Per una disamina delle prime pronunce della Suprema Corte in tema di nullità inequivoca si v. il mio La nullità inequivoca, in Contr. e impr., 3, 1998.
[21] Sulla riforma societaria si v. F. GALGANO – P. ZANELLI, Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca (artt. 2328 – 2329 – 2330 – 2331), Società per azioni, Bologna, 2006; ed in particolare sulla nuova massimazione notarile che tenta di riportare un po' di chiarezza in materia di controlli omologatori, si v. il mio Gli atti e i verbali societari. Controlli e massime notarili, cit.