Giuffré Editore

Divisione, collazione e conguagli

Giampiero Petteruti

Notaio in Castelnuovo di Garfagnana



1. La divisione nella recente giurisprudenza della Cassazione

Il tema della divisione nel diritto tributario è qui trattato limitatamente ai conguagli ed alla collazione, alla ricerca delle possibili soluzioni ai problemi che tali tematiche espongono in termini di tassazione aggravata.

Le problematiche dei conguagli si intrecciano con quelle delle masse plurime, così come si intrecciano i profili civilistici e fiscali della divisione, in una connessione non rigorosamente armonizzata a causa della diversità dei criteri adottati dal legislatore in vista degli interessi da soddisfare. Dal momento che il diritto tributario, pur vivendo di criteri propri, ripete dal diritto privato gli istituti giuridici, le premesse essenziali di ordine civilistico, qui esposte per sintesi, riguardano lo stato dell’arte relativamente allo scioglimento della comunione ed alla collocazione della divisione nelle categorie dei negozi giuridici. Partendo dal rapporto tra comunione e divisione[[1]], una prima notazione attiene alla differenza tra la comunione ereditaria e la comunione ordinaria, posto che la comunione ereditaria ha specificità e disciplina proprie, comprende varietà di diritti e posizioni soggettive, spazia da diritti reali a diritti di credito e posizioni contrattuali, ponendo questioni diverse da quelle della comunione ordinaria (una per tutte la collazione), ma in tutte le comunioni si riscontrano le medesime questioni del significato ed il valore sistematico da attribuire al concetto di quota e di contitolarità e della spiegazione del fenomeno dello scioglimento, alla stregua del diritto positivo. Circa la natura giuridica e la collocazione della divisione contrattuale nell’ambito delle categorie dei contratti a prestazioni corrispettive, degli atti con portata dichiarativa o costitutiva, degli atti solenni o non solenni, degli atti soggetti o non soggetti a regole negoziali assistite da nullità, è noto che si tratta di tematiche ampiamente dibattute e su cui i recenti interventi della giurisprudenza hanno inciso in maniera significativa (ed a volte sorprendente), ma è senz’altro vero che i precedenti consolidatisi nel tempo, quand’anche possano essere stati sottoposti a nuova analisi critica, hanno sicuramente influenzato le scelte del legislatore tributario quando ha dovuto disegnare le regole da applicare agli atti fiscalmente rilevanti. In particolare, la tradizionale attribuzione alla divisione di una portata dichiarativa non può non avere influenzato il legislatore in materia di imposta di registro allorché ha disciplinato la tassazione della divisione e di ciò si trovano chiare tracce, derivandone che di quella influenza bisogna tenere conto, nella disamina delle disposizioni, anche vagliando l’impatto di nuove posizioni teoriche. Quanto al perimetro oggettivo della comunione, che è un caposaldo delle operazioni di scioglimento, la giurisprudenza lo ricava, praticamente da sempre[[2]], dal primo articolo del titolo VII del libro sulla proprietà (art. 1100) il quale, nello stabilire le regole della comunione, prevede che se il titolo o la legge non dispongono diversamente si applicano le norme stabilite dagli articoli successivi. In forza di questa disposizione la giurisprudenza afferma che la perimetrazione della massa dividenda si definisce in stretta aderenza al titolo di acquisto, intendendo così che ad ogni titolo corrisponda una massa. Alla stregua di tale criterio, la stessa giurisprudenza ritiene che, in presenza di più titoli di acquisto, la divisione giudiziale richieda un apposito “consenso” di tutti i condividenti per poter trattare unitariamente il complesso dei beni con essi titoli acquistati, in assenza del quale lo scioglimento deve avvenire con tante divisioni separate per quanti fossero i “titoli”. Inoltre, richiede la formalizzazione del “consenso” secondo le regole generali per cui, in caso di comunione riguardante immobili, pretende la forma scritta ex art. 1350 n. 3 c.c. Circa il tempo in cui detto consenso debba essere prestato, non si rinvengono specifici apporti giurisprudenziali. 

Bisogna notare, a proposito di questa lettura, che la divisione contrattuale si atteggia diversamente da quella giudiziale, poiché l’intervento di tutti i condividenti e la relativa distribuzione dei beni in forma di assegnazioni deve necessariamente trovarli tutti consenzienti, per cui sarebbe artificioso pretendere che il consenso debba essere appositamente espresso, ben potendo essere implicito nella distribuzione che consideri unitariamente il complesso dei beni con più provenienze. Inoltre, di fronte ad una divisione contrattuale che riguardi beni provenienti da più titoli con assegnazioni sperequate se raffrontate ai singoli titoli, ma equilibrate nel complesso, parlare di conguagli sarebbe un fuor d’opera poiché, rispettate le proporzioni tra quote e porzioni sull’intero compendio, nessun assegnatario potrebbe pretendere alcunché ed anche i rimedi rescissori dovrebbero guardare al complesso e non alle componenti relative ai singoli titoli, allorché si trattasse di azionarli ex art. 763 c.c.

Per ciò che attiene alla natura stessa della divisione, che se non avesse portata fiscalmente dichiarativa e comportasse effetti traslativi potrebbe uscire dalla sfera applicativa dell’art. 3 Tariffa Parte prima del T.U. n. 131 del 1986 (T.U.R.), il problema è sorto in conseguenza della ben nota sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 25021/2019, che non ha riguardato specificamente la materia dei conguagli, ma ha acceso l’interesse a vagliare i riflessi fiscali con le sue affermazioni sulla portata derivativo-traslativa da attribuire alla divisione[[3]]. In verità, quei passaggi dedicati dalle sezioni unite alla natura giuridica della divisione e precipuamente della divisione ereditaria sono apparsi condizionati dalla preoccupazione di respingere da un lato la pretesa (apparsa in alcuni arresti giurisprudenziali) di inquadrare la divisione ereditaria negli atti mortis causa (pretesa cui è stata opposta dalla sez. un. la c.d. retroattività che ne connette gli effetti all’apertura della successione ma non ne altera la natura di atto tra vivi) e dall’altro di respingere una diversa disciplina delle nullità in tema di scioglimento della comunione in dipendenza della diversa formulazione degli articoli 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 (dei quali solo l’art. 17 menziona espressamente gli scioglimenti di comunione). All’esito di ampia analisi, in cui quei cenni alla portata sostanzialmente traslativa non hanno incarnato il ruolo di ratio decidendi, le sezioni unite hanno concluso per l’applicabilità anche allo scioglimento della comunione, ereditaria o non ereditaria, delle regole di negoziazione degli immobili “abusivi” dal momento che tutti gli scioglimenti di comunioni, anche di quelle ereditarie, appartengono agli atti inter vivos e che nessuna differenza vi è tra divisioni aventi ad oggetto immobili abusivi ante o post l. n. 47 del 1985, poiché l’art. 17 fa riferimento agli effetti (trasferimento, costituzione e scioglimento di comunione) mentre l’art. 40 si riferisce agli atti a prescindere dagli effetti abbracciando tutti gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali ... relativi ad edifici o loro parti, senza discriminare atti traslativi, non traslativi, dichiarativi ecc. ecc.[[4]]. In dipendenza di tali argomenti, quella affermazione incidentale sulla «c.d. natura specificativa, attributiva, che imporrebbe di collocarla tra gli atti ad efficacia tipicamente costitutiva e traslativa-costitutiva», è venuta a perdere ogni valore di elemento fondativo del giudizio finale ed è apparsa comunque neutralizzata nella parte conclusiva di quella stessa sentenza in cui si dice che «L'efficacia retroattiva della divisione … si traduce nella negazione di una successione fra i compartecipi, nel senso che il condividente viene considerato proprietario esclusivo del bene assegnatogli con effetto ex tunc, fin dal momento dell'apertura della successione, come se su quel bene non vi fosse stato – nel periodo intermedio intercorso tra la morte del de cuius e lo scioglimento della comunione – un rapporto di comunione tra gli eredi» (paragrafo 5.3 della sentenza).

A quel precedente bisogna aggiungere, proprio per la questione della ipotetica natura traslativa, Cassazione n.14105 del 24 maggio 2021, che ha dovuto stabilire se i beni assegnati ad un condividente (coniugato in regime di comunione) con obbligo di versare un conguaglio possano considerarsi, almeno proporzionalmente al conguaglio, oggetto di nuovo acquisto ricadente in comunione legale. 

La controversia vedeva una coniuge reclamare la contitolarità in corrispondenza del conguaglio, ex art. 177 c.c.[[5]]. Ebbene, la detta pronuncia ha portato aria nuova affermando che «la sentenza che, nel disporre la divisione della comunione, pone a carico di uno dei condividenti l’obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di conguaglio, persegue il mero effetto di perequazione del valore delle rispettive quote». A miglior esplicazione del congegno, soggiunge che «l’adempimento dell’obbligo del conguaglio non costituisce condizione di efficacia della sentenza di divisione, i cui effetti “dichiarativi – retroattivi” permangono impregiudicati» (e non lo sarebbero se la corresponsione del conguaglio avesse natura di nuova vicenda diversa dalla distribuzione e perciò “nuovo titolo”) e puntualizza che «lo scioglimento della comunione ereditaria con assegnazione di un bene ad un condividente (con obbligo di versare un conguaglio) non è qualificabile come atto di alienazione (cfr. Cass. 7 novembre 2017, n. 26351)».

Quindi per quanto riguarda gli sviluppi civilistici, anche dopo la sentenza delle sez. un., risulta possibile e preferibile ritenere la divisione non traslativa, con effetti costitutivi ma distributivi, però, come vedremo, tale conclusione giova all’analisi senza poter chiudere ogni questione tributaria, dal momento che in quest’ ultimo ambito la normativa detta apposite regole qualificatorie e di tassazione.

Passando, allora, al vero e proprio profilo fiscale della divisione, non è superfluo evidenziare che in questo ambito la ricchezza tassabile – in forma di beni oggetto della comunione e quindi oggetto della divisione appare in una dimensione tendenzialmente statica in quanto già di titolarità dei condividenti, per cui il fenomeno distributivo, che dà a ciascuno quanto (già) gli spetta, si potrebbe considerare estraneo alle manifestazioni di potenzialità contributiva da colpire con imposta indiretta, se non si rinvenissero ragioni giustificative della tassazione con imposta proporzionale (1%) al posto di una imposta fissa (che è così stabilita per le imposte ipotecaria e catastale). Ragione che, a quanto pare e senza particolare sicurezza, si potrebbe rinvenire nel vantaggio che ritrae il condividente dalla titolarità isolata (aspetto che nel contempo dovrebbe giustificare una minor tassazione sull'acquisto, proprio in vista della tassazione finale sulla crisi della comunione e che, per ragioni di coerenza, dovrebbe senz'altro regredire ove l'acquisto dei beni da dividere fosse assoggettato ad imposta fissa o addirittura esentato da imposta[[6]]). Tassazione proporzionale ancor meno convincente allorché, in presenza di conguagli, reali o fittizi, assume la dimensione di quella dei trasferimenti onerosi, rivelandosi incapace di arretrare, allo stato della prassi e di parte della giurisprudenza, perfino di fronte alla rinunzia al conguaglio (che invece dal punto di vista sostanziale si dovrebbe considerare idonea a privare il fenomeno di ogni carattere di onerosità). A ben vedere, un diverso approccio alla tassazione dei c.d. conguagli fittizi potrebbe già prospettarsi temperando la corrente e spesso acritica apologia del principio di capacità contributiva con un impiego congiunto dell'altro principio, quello di ragionevolezza, anch'esso di rango costituzionale[[7]]. 

Principio di ragionevolezza secondo cui la discrezionalità politica del Legislatore è libera ed insindacabile purché essa sia ragionevole, ovvero si basi su accurato bilanciamento di interessi che non comporti discriminazioni intollerabili fra situazioni similari. Condividendo tale approccio problematico, si tratterebbe di chiedersi perché si debbano trattare fiscalmente come vendite gli scostamenti tra quote e porzioni, senza tenere conto nemmeno della eventuale rinuncia contestuale attuativa – ed eventualmente anche programmatica – a qualunque conguaglio (rinuncia che, in dipendenza di una visione sostanziale che svaluti le formule e guardi alla reale portata dei fenomeni, impedirebbe, ad esempio, di ascrivere al tipo "trasferimento oneroso" una cessione etichettata come vendita in cui il "venditore" rimetta contestualmente il debito al compratore).

Venendo più specificamente al tema dei conguagli così come trattato dal legislatore, merita esaminare i recenti sviluppi di analisi giurisprudenziale e di prassi amministrativa, per vagliare quali possano essere gli scenari ancora inesplorati, facendo riferimento, come bussola che orienti pure l'analisi tributaria, al loro ruolo nel disegno del legislatore civilistico e mettendo a frutto gli ultimi sviluppi dell’analisi giurisprudenziale nel campo della divisione in generale, sviluppi che si rinvengono in una fioritura di pronunce costituenti un nuovo corso.


2. La divisione nei recenti arresti giurisprudenziali in materia tributaria

Rimanendo nel comparto squisitamente fiscale, si ricorda che il legislatore ha dettato in unico articolo del T.U. registro la disciplina della divisione, raccogliendo istanze di vario segno provenienti dal passato e, in un’ottica che viene definita antielusiva, ha perimetrato in modo puntuale la massa dividenda sul cui valore condurre il confronto tra i valori delle quote e delle porzioni. Per altro, si tratta di una evoluzione normativa che ha seguito le istanze provenienti dalla giurisprudenza civilistica sopra menzionata, a monte della quale sussisteva una impostazione fiscale assolutamente diversa, che considerava neutra l’aggregazione di più masse in sede di divisione[[8]].

Ricercando le disposizioni rivolte appositamente alla divisione, si riscontra che la disciplina dell’imposta di registro appare affiancata solo da previsioni in tema di imposte ipotecaria e catastale (per le quali è testuale la regola di applicazione delle sole imposte fisse e ciò mostra anche dal punto di vista fiscale che la portata traslativa non sia stata per nulla messa in conto dal legislatore, almeno in assenza di conguagli). Nessuna apposita previsione risulta presente in tema di imposta Iva ed in tema di imposte dirette. Ciò nonostante è proprio dalle scelte del legislatore in tema di imposta di Registro che si tende a ricavare, per induzione, le regole di tassazione del fenomeno “divisione con conguagli”, senza che risulti mai emerso un orientamento che, proprio distinguendo tra settori con apposita qualificazione (come quello dell’imposta di registro) e settori privi di qualificazione, abbia valutato se una diversa soluzione possa discendere in base al brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Eppure il dato emergente dalla disciplina delle imposte ipotecaria e catastale potrebbe costituire da solo l’indice della diversa natura (dal punto di vista tributario) e valere addirittura anche in caso di divisione con conguagli, poiché in queste imposte manca l’apposita previsione che compare nell’art. 34 T.U.R. 

Posto che secondo la visione “tradizionale” la divisione con conguagli vada ad essere considerata come fattispecie colpita in tutto o in parte da imposte di trasferimento, va ricordato, altresì, che molte discussioni si sono svolte sull’ individuazione della massa, perché è dalla sua particolare delimitazione che sono scaturite le tassazioni degli ipotetici scostamenti tra quote e porzioni, sia in caso di massa ereditaria (per la quale si è assistito ad un largo uso dello sbarramento alla computabilità delle donazioni oggetto di collazione), sia in caso di massa non ereditaria (per la quale il punto nodale è dato dalla pretesa necessità di fare riferimento ad unico titolo di acquisto).

Va allora rimarcato che siffatta individuazione della massa pecca particolarmente in caso di massa ereditaria a causa della nota formulazione dell’art. 34 secondo cui «La massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione». Come accennato, nel caso della comunione ereditaria quella delimitazione costringerebbe, secondo un orientamento più volte espresso dalla prassi e dalla giurisprudenza, ad espungere le operazioni di collazione, conducendo a qualificare conguagli le apparenti sperequazioni derivanti dalla considerazione del solo relictum. Si tratta di una conseguenza evidentemente inaccettabile, per il superamento della quale sono state proposte varie strade[[9]] e che, come vedremo, sembra aver trovato una nuova via ad opera della giurisprudenza di legittimità, ma preme qui sottolineare che la definizione che rinvia all’attivo ereditario si rivela inappropriata anche per altri aspetti. Infatti, cercando nel T.U.S. le regole di determinazione dell’asse ereditario netto, l’estraneità alla massa dei beni donati si ricaverebbe dal dover fare riferimento all’art. 8, secondo cui «Il valore globale netto dell'asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data dell'apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l'attivo ereditario, determinato secondo le disposizioni degli articoli da 14 a 19, e l'ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell'art. 46, comma 3». A tale disposizione si collega l’art. 12, che esclude dall’attivo una serie di beni e diritti, tra cui i beni culturali, le aziende e le partecipazioni di cui all’ art. 3 comma 4-ter T.U.S., i titoli del debito pubblico (fra i quali si intendono compresi i buoni ordinari del tesoro e i certificati di credito del tesoro, ivi compresi i corrispondenti titoli del debito pubblico emessi dagli Stati appartenenti all'Unione europea e dagli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo), gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati, i veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico, tutti beni che però sarebbe impensabile escludere dalla massa dividenda. Quindi delle due l’una: o si ammette che la perimetrazione stabilita dall’art. 34 vada armonizzata con le altre disposizioni del T.U.S. allargandola ai beni che non costituiscono l’attivo di computo della base imponibile, ma che sono componenti ereditari a tutti gli effetti, o si finisce per dover lasciare da parte anche titoli di Stato ecc. e tutti i beni che sono esclusi dalla base imponibile, non considerando i quali chi ne riceva assegnazioni vedrebbe azzerato il valore della sua porzione (presumendosi il conguaglio fittizio a carico degli altri condividenti).

Nel caso delle “altre comunioni”, l’art. 34 T.U.R. stabilisce che la massa è costituita dai beni risultanti da precedente atto che abbia scontato l'imposta propria dei trasferimenti, formulazione a sua volta difettosa[[10]] ma che, riferendosi al “precedente atto”, è stata costantemente intesa come rinviante al “titolo” (al singolare), seguendo la giurisprudenza civilistica di cui sopra e negando la cumulabilità di una pluralità di titoli a favore degli stessi soggetti. Tale orientamento si rinviene ancora nella recente ordinanza di Cassazione 5 ottobre 2021, n. 26917, sez. V (Rel. De Masi): «Il superamento della quota spettante di diritto a taluno dei condividenti, porta l'operazione divisionale fuori dello schema, di natura dichiarativa, proprio dello scioglimento della comunione, natura che giustifica la minore intensità della imposizione. L’esistenza di un conguaglio e la sua tassazione con l’imposta di trasferimento si determina in relazione al condividente assegnatario del bene di valore maggiore rispetto alla sua quota di diritto. La concreta misura del conguaglio rappresenta, invece, un dato per così dire "neutro", atteso che ai fini del trattamento tributario previsto dal d.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, "per ogni ipotesi di divisione in cui i condividenti ricevano beni di valore non corrispondente (quindi, maggiore o minore rispetto) a quello delle rispettive quote sulla massa comune, non rileva affatto che tale differenza di valore formi oggetto dell'assunzione di un'obbligazione pecuniaria con funzione compensativa a carico di chi riceve di più ed a favore di chi riceve di meno, ovvero di una rinunzia (con o senza corrispettivo) da parte di chi riceve di meno alla corresponsione di un equivalente pecuniario da parte di chi riceve di più"».

La dottrina che si è occupata di recente della questione, ha ricordato che «fino al 1947 nel diritto tributario al pari del diritto civile la nozione di “masse plurime” era sconosciuta e ciò consentiva manovre elusive: basti pensare, ad esempio, al caso in cui due comunisti, già comproprietari di un immobile, avessero deciso di acquistare in comunione alcuni titoli di stato per poi procedere all’assegnazione all’uno dell’intera proprietà dell’immobile e all’altro dell’intera proprietà dei titoli di stato (immediatamente monetizzabili). In tal modo essi sarebbero riusciti a realizzare la divisione senza assoggettarla (formalmente) alla più onerosa disciplina dei conguagli, ancorché tali conguagli fossero (sostanzialmente) presenti»[[11]].

Adottato il criterio della netta separazione per “titoli” e per evitare la possibilità di artificiose formazioni di masse (come nell’esempio sopra riportato) si è finito per sbarrare la strada a tutte le comunioni pluri-titolate, con rare eccezioni (di cui l’“unificazione” ex art. 34 T.U.R. ultimo comma rappresenta forse l’unico caso espressamente previsto e trattato).

Rappresentato in tal modo lo stato dell’interpretazione, vediamo quali novità si sono profilate in dipendenza di una serie di pronunce che hanno mutato l’angolo visuale ed hanno indicato una via, possibile e convincente (ma non ancora recepita dalla prassi amministrativa), per una rimodulazione degli assetti tributari ed un superamento per lo meno di alcuni degli inconvenienti segnalati.

Un nuova via, ancora non del tutto esplorata, che parte da Cassazione n. 17866 del 2010[12] per continuare in Cassazione 20119 del 2012[13], Cassazione n. 17512 del 2017[14] e Cassazione 28 marzo 2018, n. 760tutte orientate a non considerare tassabili con l’imposta dei trasferimenti le assegnazioni superiori alla quota di diritto quando la corresponsione del conguaglio valga a soddisfare le ragioni di chi riceva una porzione minore, purché l’ammontare di beni e conguaglio corrisponda alla quota di diritto.

Nuova via che pare consolidarsi con 

*Cassazione, sez. II, sentenza del 24 maggio 2021, n. 14105, (Rel. Abete)

*Cassazione, sez. V, ordinanza 29 ottobre 2021, n. 30956, (Rel. Russo)

*Cassazione, sez. V, ordinanza 9 novembre 2021, n. 32613, (Rel. Mondini)

Da queste ultime tre pronunce è dato ricavare una massima così riassumibile:

«Si applica l’imposta di registro nella misura dell’uno per cento in caso di divisione in esito alla quale il compendio (immobiliare) comune è assegnato ad uno dei condividenti con obbligo a carico di quest'ultimo di pagare all'altro un conguaglio pari al valore della quota. Ciò perché quando le parti hanno ottenuto comunque né più né meno del valore delle rispettive quote si è in presenza di divisione dichiarativa. Quindi, si applica l'aliquota degli atti di divisione, e non quella della vendita, giacché quest'ultima è utilizzabile, ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, soltanto ove al condividente siano attribuiti beni per un valore eccedente rispetto a quello a lui spettante e limitatamente alla parte in eccesso, mentre non rileva che la somma corrisposta a titolo di conguaglio provenga o meno dalla massa ereditaria, in quanto la norma citata non si riferisce alla provenienza dei beni, ma unicamente al loro valore. Il prelievo fiscale deve infatti rispettare il principio della capacità contributiva, il che significa, nella concerta fattispecie, verificare se per effetto della divisione nella sua interezza, e non già di una sola delle operazioni di cui essa si compone, vi è stato un arricchimento di uno o più coeredi che supera il valore della quota ereditaria. Pertanto l'atto di divisione della comunione ereditaria non può essere considerato, ai fini dell'imposta di registro, alla stregua di una vendita ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 34, anche qualora alcuni coeredi abbiano ricevuto beni in natura di valore superiore alla loro quota, se in ragione dell'effetto perequativo dei conguagli non vi è stata una attribuzione di ricchezza eccedente il valore della quota spettante a ciascun coerede».

Pur notando che se il conguaglio fosse “corrisposto” con “beni della massa” non si tratterebbe di “conguaglio” ma di mero apporzionamento[[15]], la posizione è sicuramente innovativa nella parte che apre al vero e proprio conguaglio (che è tale proprio, e solo, se soddisfatto con beni extra massa), perché con questa apertura il criterio di individuazione della sperequazione comportante l’imposta rafforzata sui conguagli, prima graniticamente mantenuto sulla scorta dell’art. 34 T.U.R., inizia a mostrare più di una crepa.

In effetti già in caso di unico bene indivisibile, che proprio a causa dell'indivisibilità debba necessariamente essere assegnato ad unica parte assegnataria, manca con sicurezza qualunque profilo di elusività e non si vede perché la cessazione dello stato di comunione debba trovare ostacolo nel trattamento tributario di sfavore. Ma, anche uscendo dallo stretto ambito dell’indivisibilità, il prelievo con le aliquote dei trasferimenti onerosi appare un forte ostacolo allo scioglimento della comunione, per cui è senza dubbio benefico ricondurlo dell’alveo di ragionevolezza con la menzionata lettura dell’art. 34 T.U.R. secondo cui la disposizione, nel prevedere che siano assegnati beni, non aggiunge che debba trattarsi di "beni della massa". 

Per altro, il problema della eventuale elusività dell’imposta sui trasferimenti – che potrebbero annidarsi in negozi di divisione attuati senza indicarne il titolo di provenienza e con cui si attribuissero ad un contraente non comproprietario beni in realtà appartenenti ad un solo altro contraente[[16]] – appare scongiurato dalla giusta pretesa della prassi (risoluzione n. 251399 del 14 gennaio 1979 del Ministero delle Finanze) di indicare il titolo di acquisto della massa. 

Poiché nel panorama giurisprudenziale compare anche l’orientamento tradizionale prima richiamato, orientamento rappresentato da Cass. civ., sez. trib., 01 dicembre 2020, n. 27409[[17]], che trova precedente in Cass. n. 3568/1974[[18]], è utile indagare se i due orientamenti siano effettivamente in contrasto oppure se riguardino due diverse specie di conguaglio.

A tale proposito risulta possibile distinguere l’ipotesi in cui il destinatario del “conguaglio” riceva beni o somme o meglio valori corrispondenti alla sua quota di diritto su quella determinata massa dividenda (conguaglio che viene definito perequativo) dall’altra ipotesi in cui il detto “destinatario” riceva più di quanto spettantegli (conguaglio c.d. compensativo), perché solo nella seconda ipotesi si potrà dire che egli abbia in fatto alienato. 

Accettata tale distinzione, nel caso che vi siano tre condividenti, Tizio, Caio e Sempronio, che dividano massa ereditaria del valore 3000 e Tizio riceva beni per 1500, Caio per 1500 e Sempronio per 1000 (500 da ciascuno degli altri due) il conguaglio risulterebbe perequativo per Sempronio che riceverebbe valore corrispondente alla quota di diritto. Nel caso che ricevesse 1500 e non 1000, delle due l’una: o i valori delle altre porzioni sarebbero stati alterati oppure il “conguagliato” ha preteso più del dovuto per uscire di scena ed il di più è frutto di una operazione traslativa perché ha “venduto” beni per 1000 al prezzo di 1500 e quindi il conguaglio deve essere colpito dall’imposta di trasferimento almeno per 500.

Nonostante la nutrita serie di pronunce, sembrava permanere un elemento di debolezza nelle affermazioni sopra riportate, perché la visione del fenomeno pareva appannata dal riferimento al solo accipiens. In altre parole, considerare che la corresponsione della somma “a conguaglio” a chi non ricevesse beni (o ne ricevesse meno di quanto spettantegli) comportasse attribuzione proporzionale alla quota, sembrava frutto di una visione unilaterale/parziale che trascurasse l’opposta posizione dell’onerato del conguaglio, guardando al quale appariva lampante l’assegnazione in suo favore di beni della massa di entità superiore alla quota di diritto.

Ebbene, il completamento dell’articolato percorso ed il superamento anche di questo apparente elemento di debolezza del ricorso a beni extra massa, si rintraccia in un passaggio di Cassazione n. 30956 del 29 ottobre 2021 in cui si menzionano proprio le due facce del conguaglio e se ne recupera l’armonia, non guardando alla quantità di beni ma al bilancio economico che scaturisce considerando porzioni assegnate e conguaglio. 

Vale a dire che, guardando al maggior assegno di beni che comporta il conguaglio come complesso di «valore dei beni decurtato del valore conguaglio», ed al minor assegno con diritto a conguaglio come «valore di beni addizionato del valore del conguaglio» si rimane pur sempre nell’ambito del fenomeno distributivo che, come affermato da Cassazione n. 14105 del 24 maggio 2021, conserva la natura di fenomeno con effetto totalmente risalente all’apertura della successione secondo la c.d. retroattività e totalmente al di fuori del concetto di alienazione.

La complessiva novità, giunta a maturazione espositiva con questa ultima ricostruzione, porta a chiedersi, però, cosa vada a residuare della normativa sulla pluralità di masse, posto che gli sbilanciamenti derivanti dall’attribuzione solo ad uno (o ad alcuni dei condividenti) dei beni di una certa provenienza e l’attribuzione all’altro (o agli altri) dei beni di altra provenienza ricadrebbero ancora nei conguagli attuati con beni extra massa in entrambe le coeve divisioni. Coerenza vorrebbe che anche qui si escludesse materia tassabile con l’aliquota dei trasferimenti quando il bilancio di ciascun assegnatario trovasse rispondenza nella quota di diritto sulle singole masse. 

Come si vede la materia dei conguagli e delle masse plurime risulta a questo punto mescolata e sembrerebbe che della previsione dell’art. 34 rimanga poco o nulla[[19]]. 

Viene invece in rilievo la particolare materia dei conguagli fittizi che, proprio perché fatti emergere non dall’accordo tra le Parti, ma da autonome valutazioni in rettifica da parte del Fisco, non riescono a poter beneficiare del congegno negoziale di riequilibrio capace di neutralizzare l’ipotetico scompenso. Con il risultato di non poter mettere a frutto le menzionate conclusioni della Suprema Corte e di far ritornare in ballo tutte le relative questioni sulla tassabilità come vendite.

Posto che vi sia spazio, almeno ipotetico, per ottenere una pronuncia di incostituzionalità di quella presunzione di onerosità, ci si chiede se la profilata rinunzia senza corrispettivo a conguagli anche futuri possa almeno far attrarre il conguaglio fittizio alla disciplina degli atti gratuiti, con un trattamento fiscale meno gravoso nei casi in cui vi fossero rapporti di parentela ed aliquote portanti effettivamente una minor tassazione. 


3. La collazione nella divisione ereditaria

Passiamo ora al problema fiscale della collazione nella divisione ereditaria, tema già sopra accennato e più volte trattato dalla Commissione Studi, evidenziando come risultasse incongrua la rigida lettura dell’art. 34 che portasse a rifiutare il computo dei beni conferiti per imputazione e conducesse il raffronto tra quote e porzioni computando solo i beni del relictum. Per chi non avesse avuto occasione di occuparsi del problema va ricordato che esso trae origine ancora una volta dalla formulazione dell’art. 34, secondo il quale «la massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione». Così perimetrata la massa, è stato variamente affermato dalla prassi e dalla giurisprudenza tributaria – fino a divenire criterio operativo da rispettare in sede di autoliquidazione dell’imposta di registro da parte del Notaio – che nella tassazione della divisione non possa tenersi conto dei beni oggetto di collazione, perché essi non concorrono a formare l’asse ereditario. La soluzione che respinge la computabilità dei beni oggetto di collazione è stata espressa anche di recente dalla Cassazione con l’ordinanza 27 aprile 2021, n. 11040, sez. V (Rel. Pepe)[[20]], commentata su CNN notizie del 18 giugno 2021.

Da ciò la singolare conseguenza che chi avesse ricevuto in vita donazioni che assorbissero in tutto o in parte il valore della porzione spettante sull’ammontare della massa civilisticamente costituita da donatum oggetto di collazione più relictum, andrebbe a risultare assegnatario di una porzione inferiore alla quota di diritto o nel caso limite a non risultare assegnatario di beni del relictum, con l’effetto a carico dei condividenti (e di tutti i condividenti: si veda a tale proposito Trib. Lecce, 4 febbraio 2020) di dover corrispondere l’imposta con i criteri dei trasferimenti onerosi sulla parte di valore che invece sia civilisticamente coperta proprio dalla collazione per imputazione, con una duplicazione (imposta di donazione a monte e imposta di vendita a valle) che non trova alcun margine di giustificabilità. 

Per correggere la distorsione non sono mancate proposte operative, alle quali si rinvia[[21]], ma la prassi amministrativa si è attestata su posizioni che costituiscono un rigido rifiuto di qualunque criterio correttivo.

Sopraggiunge ora la Cassazione, con ordinanza 3 agosto 2021, n. 22123, sez. V (Rel. Balsamo), che ha sottoposto a vaglio critico la sopra riportata posizione “tradizionale”, con argomentazioni che rappresentano una interessante inversione di rotta, che si spererebbe definitiva.

Si parte ancora una volta dall’art. 34 T.U.R., secondo cui "la massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione" da integrare con le puntualizzazioni sopra fatte circa la necessità di una lettura correttiva che superi le componenti dell’attivo sopposte a tassazione ed inglobi anche quelle “esenti” (punto 5.3 del testo dell’ordinanza, che mette bene in luce come non debbano mai confondersi la base imponibile con la perimetrazione della massa). 

La Corte, adottando criteri diversi da quelli proposti dagli studi della Commissione Studi tributari (ma con singolare assonanza di termini in taluni passaggi), sottolinea che l’interpretazione in stretta aderenza alla lettera della disposizione (interpretazione meramente letterale) non appare soddisfacente perché cozza con il sistema del codice civile. E tenuto conto che la massa ereditaria si determina sulla base dell'art. 737 c.c. (che impone l'obbligo della collazione al fine di riequilibrare in sede di apertura della successione gli assetti patrimoniali alterati dalle donazioni poste in vita dal de cuius), non appare meritevole di adesione una opzione ermeneutica diretta ad individuare una nozione di massa ereditaria difforme da quella civilistica, senza che ciò trovi più giustificazioni in norme che non risultano sopravvissute alla l. n. 262 del 2006. La massa ereditaria è, allora, quella individuabile secondo i criteri civilistici laddove la collazione è l'atto con il quale gli eredi, discendenti o coniuge del defunto, conferiscono alla massa ereditaria le liberalità ricevute in vita da parte di quest'ultimo, salvo che non siano stati da ciò dispensati. Ai sensi degli artt. 724 e 725 c.c., la massa da dividere è dunque costituita sia dai beni relitti dal defunto sia dal credito verso l'erede donatario.

Seguitando nell’analisi, la Corte afferma che «una diversa interpretazione finirebbe con il creare uno iato tra istituto civilistico e imposizione fiscale[[22]], finendo con il conseguire effetti distorsivi nel campo tributario. Risulta così necessaria un'interpretazione differente, costituzionalmente orientata, che conduce a leggere l'art. 34 T.U.R. in accordo con la disciplina codicistica, nel senso di comprendere i beni del compendio successorio individuato secondo le norme civilistiche. Qualora non si tenesse conto della collazione, infatti, si stravolgerebbe il criterio di imputazione delle quote. La norma tributaria in scrutinio, difatti, non contiene alcuna deroga alle disposizioni dettate dal codice civile per quanto riguarda la ricostruzione del patrimonio ereditario, della devoluzione e della formazione delle quote. La massa attiva, pertanto, deve comprendere necessariamente anche il valore delle donazioni collazionate e l'imputazione dei debiti secondo quanto prescritto dall'art. 724 c.c.».

Meno limpida è, però, l’esposizione del pensiero della Corte in ordine alla perimetrazione della materia imponibile, al punto che parrebbe far nascere il dubbio che si debba tassare l’intero compendio di computo e non (come è corretto che sia) la sola parte costituita dal relictum residuato alla data della divisione.

In effetti un passo dell’ordinanza, ricostruiti i principi, afferma che «la base imponibile per calcolare l'imposta di registro sulla divisione dovrà essere determinata sulla somma del valore del bene caduto in successione e del valore del bene collazionato per imputazione» e così sembra voler attrarre a tassazione anche i beni che non formino oggetto di assegnazione (in quanto costituenti oggetto di collazione per imputazione e quindi meri parametri di computo). In realtà la corretta articolazione del complessivo pensiero emerge nel penultimo paragrafo, che conclude l’analisi asserendo che «Risulta, pertanto, evidente la fondatezza della tesi difensiva del notaio volta a far rientrare, per effetto della collazione, il bene nella massa ereditaria: di talché, in sede di divisione ereditaria, tenendo conto del donatum non si configura una differenza tra quote né una duplicazione della imposizione, tenuto conto che la collazione è funzionale alla determinazione della massa ereditaria e delle quote di diritto, mentre l'imposta di registro troverà applicazione sulla parte effettivamente caduta in successione»[[23]].

Un commento apposito a questa pronuncia si legge in CNN notizie dell'11 agosto 2021, ma sembra che finalmente l’effetto distorsivo possa considerarsi superabile. Si attende, come al solito e si spera non invano, che la prassi amministrativa si adegui alla giurisprudenza.


NOTE:

[1] Per il quale rapporto sia consentito rinviare a G. PETTERUTI, Impatto della sentenza sez. un. n. 25021/2019 sulle imposte di trasferimento, relazione al Convegno della Fondazione Italiana per il Notariato, tenuto a Milano il 17 gennaio 2020, su “Questioni fiscali di interesse notarile tra provvedimenti normativi, documenti di prassi e orientamenti giurisprudenziali”.

[2] Cass., sez. un., 18 ottobre 1961, n. 2224 (in Foro it., 1962, I, 1549), secondo cui «l’acquisto di beni in comunione, attraverso titoli diversi, dà luogo alla “sommatoria” di tante comunioni ciascuna regolata dal suo titolo». «Ciascun compartecipe non vanta sulla totalità dei beni, che deriva dalla somma di tutti i beni delle diverse comunioni, un diritto unico, ma tanti diritti, ciascuno per la quota corrispondente ad ogni titolo e relativo ai beni acquistati da quel titolo». La posizione venne assunta in precedenza da Cassazione n. 1556 del 30 agosto 1947 poi seguita da varie sentenze tra cui 20 dicembre 1963, n. 3196, 18 ottobre 1972, n. 3116, 24 gennaio 1973, n. 223, 30 ottobre 1974, n. 3331, 17 gennaio 1975, n. 194, 7 novembre 1977, n. 7740, n. 30 marzo 1985, n. 2231, 15 maggio 1992, n. 5798.

[3] Cfr. G. PETTERUTI, Il trattamento fiscale della divisione dopo la sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 25021/2019relazione al convegno di studio del 17 gennaio 2020 della Fondazione Italiana per il Notariato, “Questioni fiscali di interesse notarile tra provvedimenti normativi, documenti di prassi e orientamenti giurisprudenziali”; G.PETTERUTI – A.PISCHETOLA, L'incidenza della sentenza della Cassazione n. 25021/19 sul trattamento fiscale della divisione, Studio tributario n. 183-2019/T, in CNN notizie del 24 gennaio 2020. 

[4] La vera novità di questa sentenza è stata, invece, asserire che la divisione endo-concorsuale e la divisione endo-esecutiva possano beneficiare dell’eccezione all’ applicabilità delle nullità, perché ascrivibili anch’esse pienamente agli atti dette procedure e quindi disciplinate dall’art. 46 comma 5 del T.U. Edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001) e dall’art. 40 commi 5 e 6 della l. n. 47 del 1985.

[5] Non pare inutile segnalare che la prassi notarile, dovendo occuparsi del trasferimento di beni divenuti di un soggetto in forza di una divisione per la quale egli abbia dovuto corrispondere un conguaglio a favore di altri condividenti, appare prudentemente orientata a chiedere l’intervento del coniuge in regime di comunione legale, contribuendo ad indurre, nella percezione sociale, la sensazione che la fattispecie si colori proprio di portata traslativa o para-traslativa, con intuibili possibilità di risvolti negativi in termini di fiscalità aggravata.

[6] Si pensi, per esempio, agli acquisti con agevolazioni per l'agricoltura o in esenzione da imposta a favore di persone con meno di 36 anni, agli acquisti di quote sociali, agli acquisti per donazione di cui all’art. 3 del T.U. n. 346 del 1990, agli acquisti per donazione nei limiti della franchigia, agli acquisti con l’esenzione per la formazione del compendio unico, a quelli disciplinati dall’art. 32 del d.P.R. n. 601 del 1973, ecc.

[7] La Corte costituzionale ha definito la ragionevolezza “razionalità pratica” (sentenza n. 172 del 1996), potendosi intendere con ciò un uso della ragione che si avvicina al “senso comune” per moderare la discrezionalità del legislatore (cfr. I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle Corti europee, Quaderno di studi della Corte costituzionale predisposto in occasione dell’incontro trilaterale tra Corte costituzionale italiana, Tribunale costituzionale spagnolo e Corte costituzionale portogheseluglio 2013). 

[8] Normale del Ministero delle Finanze 1 marzo 1880 pubblicata nel Bollettino Ufficiale del Demanio e Tasse, citata da E. TIMPANO, Il negozio di messa in comunione nello scioglimento di masse plurime, in Vita not., 2010, 2, 671. 

[9] G. PETTERUTI, Divisione. Individuazione della massa nelle ipotesi successorie e non successorie. Riflessi delle assegnazioni sulla configurabilità di conguagli fittizi, Studio tributario n. 24-2015/T, in CNN notizie del 23 giugno 2015 (www.notariato.it/sites/default/files/24-15-t.pdf).

[10] Il riferimento a precedente atto che abbia scontato l’imposta propria dei trasferimenti conserva un vero valore disciplinare e capacità di abbracciare tutti i trasferimenti solo considerando il riferimento alla tipologia emblematica degli atti di trasferimento (quelli ascrivibili alle operazioni incise da imposta) senza con ciò escludere gli atti che siano esenti da ogni imposta pur trattandosi di trasferimenti (quali gli atti esenti: acquisti onerosi per la formazione del compendio unico, acquisti onerosi a favore di soggetti sotto 36 anni, donazioni entro franchigia, donazioni esenti, trasferimenti nella mediazione giudiziale ecc.).

[12] Cass. n. 17866 del 2010In tema di imposta di registro, in caso di scioglimento della comunione ereditaria (nella specie con sentenza) mediante assegnazione dell'intero bene ad alcuni comproprietari, con versamento, da parte loro agli altri condividenti di somme in denaro pari al valore delle quote, si applica l'aliquota propria degli atti di divisione e non la regola, prevista dall'art. 34 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (secondo cui la divisione con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente) essendo irrilevante che la somma corrisposta non provenga dalla massa ereditaria, atteso che l'art. 34 cit. non si occupa della provenienza dei beni assegnati, ma soltanto del loro valore

[13] Cass. n. 20119 del 2012In tema di imposta di registro, in caso di scioglimento della comunione ereditaria (nella specie, per divisione giudiziale) mediante assegnazione dei beni in natura e versamento di conguagli in denaro, ove i coeredi abbiano ricevuto il valore delle rispettive quote, si applica l'aliquota degli atti di divisione e non l'aliquota degli atti traslativi, atteso che quest'ultima è applicabile, ai sensi dell'art. 34 del d.P.R. n. 131 del 1986, soltanto nel caso in cui ad un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente quello a lui spettante e limitatamente alla parte in eccedenza, mentre non rileva che la somma corrisposta a titolo di conguaglio provenga o meno dalla massa ereditaria, in quanto la norma citata non si riferisce alla provenienza dei beni, ma unicamente al loro valore.

[14] Cass. n. 17512 del 2017. In tema di imposta di registro, in caso di scioglimento della comunione ereditaria mediante assegnazione di beni in natura ad un condividente e versamento agli altri eredi di somme di danaro pari al valore delle loro quote, si applica l'aliquota degli atti di divisione, e non quella della vendita, atteso che quest'ultima è utilizzabile, ai sensi dell'art. 34 del d.P.R. n. 131 del 1986, soltanto ove al condividente siano attribuiti beni per un valore eccedente rispetto a quello a lui spettante e limitatamente alla parte in eccesso.

[15] L’affermazione potrebbe risalire alla considerazione del denaro e dei crediti ereditari come oggetto di immediata divisione secondo il brocardo “nomina et debita ereditaria ipso iure dividuntur” (che però non si considera accolto nell’attuale sistema. Così Cass., sez. un., 28 novembre 2007, n. 24657: «I crediti del "de cuius", a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell'art. 752 c.c. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta dal precedente art. 727, il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché dal successivo art. 757, il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l'unico credito succede nel credito al momento dell'apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione, ed è, inoltre, confermata dall'art. 760, che escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, necessariamente presuppone che i crediti siano inclusi nella comunione)».

[16] E si noti che la risoluzione 526 del 2019 ha ammesso l’unificazione in un caso in cui che le due comunioni “fuse” intercorrevano fra soggetti diversi.

[17] Cass. civ., sez. trib., 01 dicembre 2020, n. 27409: il d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 34, pone una presunzione assoluta (iuris et de iure), in forza della quale l'eccedenza di valore dei beni assegnati rispetto alla quota sulla massa comune (c.d. conguaglio) è invariabilmente sottoposta al trattamento tributario della compravendita, non rilevando che i condividenti che ricevono di più assumano un'obbligazione avente ad oggetto una prestazione pecuniaria (di corrispondente ammontare) con funzione compensativa in favore dei condividenti che ricevono di meno, né che i condividenti che ricevono di meno rinunzino (per spirito di liberalità, verso un corrispettivo o a scopo di adempimento) a ricevere una prestazione pecuniaria (di corrispondente ammontare) dai condividenti che ricevono di più, dal momento che la mutevole funzione delle pattuizioni intercorse al riguardo tra i condividenti viene ad essere neutralizzata dalla predeterminazione normativa dell'unicità di trattamento tributario.

[18] Cass. 3568/1974. «Le assegnazioni che hanno luogo nella divisione di beni mobili o immobili non sono considerate traslative di proprietà dei beni assegnati se il condividente riceva una quota corrispondente ai suoi diritti; se invece vi è conguaglio, o la quota assegnata è superiore a quella spettante, la divisione, in relazione al conguaglio o al maggiore assegno, è considerata a carattere traslativo e come tale soggetta al tributo proporzionale. Ne deriva che l'ufficio del registro, al fine di procedere all'accertamento del tributo, debba sottoporre a giudizio di valore l'intero compendio oggetto della divisione per effettuare il raffronto proporzionale della quota assegnata rispetto al tutto, in relazione alla quota di comproprietà spettante».

[19] In tal senso, G. FRANSONI, op. cit. 

[20] «In base al d.lgs. n. 346 del 1990, l'imposta di successione è applicabile solo in quanto l'asse ereditario relitto abbia un valore economico positivo e sia idoneo a determinare un effettivo incremento patrimoniale a favore dei successori. La base imponibile del tributo si identifica perciò col valore netto dell'asse ereditario e delle singole quote e quindi col valore complessivo dei beni e diritti costituenti l'attivo ereditario, diminuito delle passività (art. 8, comma 1). Il valore delle donazioni soggette a collazione viene, invece, aggiunto al valore dell'asse ereditario globale netto, nonché a quello delle singole quote, secondo la formula usata dal legislatore all'art. 8, comma 4, ai soli fini della determinazione dell'aliquota applicabile, fermo restando che le aliquote così determinate si applicano al solo valore dei beni caduti in successione. In altri termini l'istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell'asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d'imposta. Gli stessi principi debbono essere applicati, in base al rinvio operato dall'art. 34, anche per la individuazione della massa comune ereditaria sulla quale verranno calcolate le quote di diritto. L'interpretazione normativa sopra indicata ha trovato conferma nel principio affermato da questa Corte (Cass. n. 25929 del 2018) secondo cui "In tema d'imposta di registro dovuta sugli atti di divisione ereditaria, il d.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, prevedendo che la massa comune è costituita dal valore dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione, richiama le disposizioni relative a quest'ultima imposta (nella specie, il d.P.R. n. 637 del 1972, art. 7), le quali identificano la base imponibile con il valore netto dell'asse ereditario e delle singole quote, prevedendo che del valore delle donazioni soggette a collazione si tenga conto soltanto ai fini della determinazione delle aliquote, da applicarsi al solo valore dei beni caduti in successione: ne deriva che l'istituto della collazione non trova applicazione nella determinazione della base imponibile, la quale è costituita esclusivamente dall'incremento patrimoniale verificatosi in favore dei successori, senza che assuma alcun rilievo il valore dei beni già appartenenti a questi ultimi, il cui assoggettamento a tassazione si tradurrebbe d'altronde in una duplicazione d'imposta, trattandosi di beni sui quali, nella normalità dei casi, è stata già pagata l'imposta sulle donazioni". Risulta, pertanto, evidente l'infondatezza della tesi difensiva dei contribuenti volta a far rientrare, per effetto della collazione, il bene nella massa ereditaria: di talché, in sede di divisione ereditaria, la differenza tra la quota determinata senza tener conto del donatum e quella risultante a seguito dell'aggiunta dei beni oggetto di collazione dal donatario deve considerarsi conguaglio».

[21] G. PETTERUTI, Il valore attribuito ai diritti assegnati tra diritto tributario e impugnative negoziali, in Atti del Convegno della Fondazione per il Notariato tenutosi a S. Margherita di Pula il 30-31 maggio 2008; G. PETTERUTIQuesito tributario n. 236-2014/T, in CNN notizie 9 maggio 2014; G. PETTERUTI, Divisione. Individuazione della massa nelle ipotesi successorie e non successorie. riflessi delle assegnazioni sulla configurabilità di conguagli fittizi, Studio Tributario n. 24-2015/Tin CNN notizie del 23 giugno 2015.

[22] In questo trovandosi in linea con quanto riportato in G. PETTERUTI, Tassazione di divisione preceduta da collazione e da prelevamento attuato mediante compensazione volontaria, quesito tributario n. 236-2014/T, in CNN notizie del 9 maggio 2014. Si ricorda che la tesi che include i beni donati nella massa rilevante per l’imposta di registro è stata sostenuta In dottrina da G. SCARANO, Delle masse plurime, in N. D’AMATI (a cura di), La nuova disciplina dell’imposta di registro, Torino, 1989, 229, e da F. FORMICA, voce Divisione nel diritto tributario, in Dig. comm., Torino, 1990, 101.

[23] Una diversa ricostruzione di quel passo, che così conquisterebbe effettiva vitalità (ma ancora una volta non si armonizzerebbe con il penultimo paragrafo sopra evidenziato), potrebbe discendere dal percorso argomentativo della Corte diretto ad allineare principi tributari e principi civilistici e che considera l'obbligo di collazione una sorta di credito rientrante nella massa. Ci si riferisce al punto in cui l'ordinanza così recita: «La massa ereditaria è, allora, quella individuabile secondo i criteri civilistici laddove la collazione è l'atto con il quale gli eredi, discendenti o coniuge del defunto, conferiscono alla massa ereditaria le liberalità ricevute in vita da parte di quest'ultimo, salvo che non siano stati da ciò dispensati. Ai sensi degli artt. 724 e 725 c.c., la massa da dividere è dunque costituita sia dai beni relitti dal defunto sia dal credito verso l'erede donatario». Valorizzando detto punto, il valore dei beni conferiti – considerato alla stregua di un diritto di credito – aumenterebbe effettivamente quello della massa dividenda, finendo per incrementare la base imponibile (che per questa via andrebbe a differenziarsi da quella rilevante per l'applicazione dell' imposta di successione). Ma così argomentando si attribuirebbe ai beni oggetto di collazione per imputazione un ruolo improprio e diverso da quello che nel disegno codicistico è solo il presupposto degli altrui prelevamenti dalla massa dividenda (che resta l'unica a formare oggetto della base imponibile).