Gli enti ecclesiastici e attività notarile
Relazione tenutasi nell'ambito del convegno telematico "Il Terzo Settore nella prospettiva degli Enti Ecclesiastici", online dal 3 luglio 2020 al 31 dicembre 2020
Andrea Fusaro, Notaio in Genova, Ordinario di Diritto privato comparato, Università di Genova
1. La Riforma del Terzo Settore
La legge 6 giugno 2016, n. 106[[1]], in particolare l'articolo 1, comma 2, lettera b), ha previsto il riordino e la revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo Settore di cui al comma 1 del medesimo articolo, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un apposito Codice del Terzo Settore[[2]].
Il codice è stato adottato con il decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117[[3]]. In apertura esso ferma l'obiettivo ora indicato al fine di «sostenere l'autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l'inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione» (art. 1).
I principi generali sono fissati attraverso il riconoscimento del valore e della funzione sociale «degli enti del Terzo Settore, dell'associazionismo, dell'attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo», di cui «è promosso lo sviluppo salvaguardandone la spontaneità ed autonomia, e ne è favorito l'apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali» (art. 2). Il perimetro applicativo delle disposizioni è esteso «alle categorie di enti del Terzo Settore che hanno una disciplina particolare» purché non derogate e «in quanto compatibili» (art. 3). Per quanto non previsto dal Codice, agli enti del Terzo Settore «si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione»[[4]].
Il Titolo II è dedicato agli Enti del Terzo Settore in generale[[5]]. Lo scenario è composito: alcune tipologie preesistevano, altre hanno preso vita con il Codice; la disciplina risulta ora conservata, ora innovata.
La connotazione dell’ETS è, dunque, affidata al duplice requisito dello scopo perseguito e dell’attività svolta. Il primo è identificato nel «perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale» (art. 5). Il secondo è fatto consistere nell’esercizio – da parte di soggetti diversi dalle imprese sociali (incluse invece le cooperative sociali) – «in via esclusiva o principale» di «una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale». Sono considerate attività di interesse generale, se «svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l'esercizio», quelle indicate al primo comma dell’art. 5, attraverso un elenco solo in parte coincidente con quello dell’impresa sociale (art. 2 d.lgs. 3 luglio 2017, nell’ambito «delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 6 giugno 2016, n. 106, nonché delle finalità e dei principi di cui agli articoli 1 e 2 del presente Codice», tramite regolamento «da adottarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti». A fianco di queste sono consentite attività diverse (art. 6), alla duplice condizione che «l'atto costitutivo o lo statuto lo consentano» e «siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Cabina di regia di cui all'articolo 97, tenendo conto dell'insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate in tali attività in rapporto all'insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attività di interesse generale».
È separatamente contemplata la raccolta fondi, per tale intendendo (art. 7) «il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva». Agli ETS è consentito inoltre condurre «attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all'articolo 97 e il Consiglio nazionale del Terzo settore» (art. 7, comma 2).
Altro requisito degli ETS (prescritto dall’art. 5, primo comma) è l’assenza di scopo di lucro, che trova disciplina (all’art. 8) a fianco della destinazione del patrimonio, in virtù della comune previsione per cui «Il patrimonio degli enti del Terzo settore, comprensivo di eventuali ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate è utilizzato per lo svolgimento dell'attività statutaria ai fini dell'esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale». Quale realizzazione di tale precetto è presentato il divieto della «distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominate a fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo» (secondo comma). La previsione di maggior interesse figura nel terzo comma dove sono indicate le ipotesi di «distribuzione indiretta di utili», recuperando le indicazioni dettate da previdenti norme del settore. È consueto abbinare prescrizioni circa la devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento[[6]]. Si collega alla preclusione del lucro soggettivo la previsione – nel Codice sistemata più avanti – relativa alla presenza di dipendenti e al loro trattamento economico e normativo, garantito «non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81». All’evidente fine di limitare i privilegi si esclude che la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti possa essere «superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda» (art. 16). Integra un’innovazione di rilievo l’apertura degli ETS – purché dotati di personalità giuridica e iscritti nel registro delle imprese – ai patrimoni destinati a uno specifico affare ai sensi e per gli effetti degli articoli 2447-bis ss. c.c. (art. 10).
1.1. Il rilievo della pubblicità
La disciplina della pubblicità integra uno degli aspetti maggiormente innovativi. Norma base è l’art. 11, che prescrive l’iscrizione degli ETS nel registro unico nazionale del Terzo settore e l’indicazione degli estremi dell'iscrizione medesima negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico (primo coma). Gli enti che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione anche nel registro delle imprese (secondo comma), salvo si tratti di imprese sociali, per le quali «l'iscrizione nell'apposita sezione del registro delle imprese soddisfa il requisito dell'iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore».
L’identificazione degli ETS è affidata all’impiego dell’acronimo o dell’indicazione distesa nella denominazione, da mantenere anche negli atti e nella corrispondenza nonché, valicando il modello dell’art. 2250 c.c., «nelle comunicazioni al pubblico» (art. 12, primo comma); tale integrazione della denominazione è preclusa agli altri enti (terzo comma).
Il quadro riepilogato sembra comporsi intorno alla natura costitutiva della pubblicità presso il registro del terzo settore e alla imprescindibilità della denominazione integrata. L’obbligo di iscrizione nel registro imprese dipende dall’esercizio di attività commercial in via esclusiva o prevalente. Segue la disciplina del bilancio. L’art. 13, che al primo comma prescrive per gli ETS la redazione del «bilancio di esercizio formato dallo stato patrimoniale, dal rendiconto finanziario, con l'indicazione, dei proventi e degli oneri, dell'ente, e dalla relazione di missione che illustra le poste di bilancio, l'andamento economico e finanziario dell'ente e le modalità di perseguimento delle finalità statutarie», al settimo comma prevede che «gli enti del Terzo settore non iscritti nel Registro delle imprese devono depositare il bilancio presso il registro unico nazionale del Terzo Settore».
L’obbligo di redazione del bilancio è imposto a tutti gli ETS (art. 13, comma 1)[[7]]. In ogni caso occorre rispettare la «modulistica definita con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il consiglio nazionale del terzo settore» (comma 3). La tenuta delle scritture contabili ai sensi dell'articolo 2214 c.c. è prescritta ai soli ETS «che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale» (comma 4), laddove «l'organo di amministrazione documenta il carattere secondario e strumentale dell'attività di cui all'articolo 6 nella relazione al bilancio o nella relazione di missione» (comma 6); essi sono inoltre tenuti a depositare presso il registro delle imprese «il bilancio di esercizio redatto, a seconda dei casi, ai sensi degli articoli 2423 e seguenti, 2435-bis o 2435-ter del codice civile» (comma 5). Tra le informazioni obbligatorie da rendere nei bilanci figura quella relativa al rispetto della previsione riguardante le retribuzioni dei dipendenti (art. 16, inciso 3).
Oltre al bilancio ordinario, agli ETS con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate superiori a un milione di euro è imposta la redazione di quello sociale «redatto secondo linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all'articolo 97 e il Consiglio nazionale del Terzo Settore, e tenendo conto, tra gli altri elementi, della natura dell'attività esercitata e delle dimensioni dell'ente, anche ai fini della valutazione dell'impatto sociale delle attività svolte»; esso deve venire depositato presso il registro unico nazionale del Terzo Settore, e pubblicato nel proprio sito internet (art. 14, comma 1). Inoltre gli ETS con «ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate superiori a centomila euro annui» devono «pubblicare annualmente e tenere aggiornati nel proprio sito internet, o nel sito internet della rete associativa di cui all'articolo 41 cui aderiscano, gli eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati” (comma 2). In aggiunta alle scritture contabili, agli ETS è imposta la tenuta di libri sociali (art. 15).
1.2. Il volontariato
Dopo le disposizioni dedicate agli ETS in generale (titolo secondo), il Codice contempla il volontariato, «fenomeno da incentivare, cultura da promuovere» (art. 19); esso è menzionato a fianco del volontario, con scelta lessicale innovativa (titolo terzo), sebbene il secondo sia considerato in funzione del primo: «gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività» (art. 17, comma 1).
Il volontario è descritto come «una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà» (comma 2). In negativo «non si considera volontario l'associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni» (art. 17, comma 6). È allineato alla tradizione il divieto di remunerare le attività dei volontari (comma 3), cui possono riconoscersi esclusivamente rimborsi delle «spese effettivamente sostenute e documentate per l'attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall'ente medesimo»: al riguardo sono cresciute le cautele, sia attraverso la fissazione della misura massima entro una soglia particolarmente contenuta («purché non superino l'importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili»: comma 4), sia tramite la loro predeterminazione («l'organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso …»). Sono vietati rimborsi spese di tipo forfetario.
Parimenti ispirata a finalità antielusive è l’incompatibilità della condizione di volontario con «qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria». Mentre il rimborso spese è eventuale (art. 17, comma 4), obbligatoria è l’assicurazione «contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi» (art, 18, comma 1).
2. CTS e DIS
Si è segnalato come per accedere al TS l'assenza dello scopo di lucro sia necessaria, ma insufficiente, dal momento che occorre affiancare il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche, di utilità sociale, tramite l'esercizio di attività di interesse generale; qualsiasi altra iniziativa è consentita in quanto strumentale alla conduzione di quelle di interesse generale[[8]]. Seguono rispettivi elenchi di attività indicate dall'art. 5 CTS, oppure 2 DIS. Ogni altra non è gestibile in via "esclusiva o principale" da un ETS, oppure "stabile e principale" da una IS; quindi può essere condotta in quanto strumentale al perseguimento di quelle di interesse generale.
La considerazione degli enti religiosi da parte della disciplina del Terzo Settore[[9]] si pone in linea di continuità con il riguardo serbato dalle discipline antesignane, riassorbite nella riforma, in particolare le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (art. 10, nono comma, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460[[10]]) e l'impresa sociale (art. 1, terzo comma, d. lgs. 24 marzo 2006, n. 155[[11]]). In linea con la tradizione è proseguita la tendenziale estensione dei benefici previsti dalla legislazione di settore agli enti religiosi, nel rispetto delle loro peculiarità, senza tuttavia rinunciare ai requisiti caratteristici. Allo scopo è confermata la necessaria adozione di un regolamento da parte sia del CTS[[12]], sia del DIS[[13]].
3. L'accoglienza riservata agli enti religiosi civilmente riconosciuti
Queste fonti legislative si rivolgono agli «enti religiosi civilmente riconosciuti», con formula all'apparenza evocativa degli «enti ecclesiastici civilmente riconosciuti» contemplati dalla legge 20 maggio 1985, n. 222[[14]] la quale, ponendosi in discontinuità rispetto a precedenti interventi normativi[[15]], attribuisce la qualifica agli enti che abbiano la personalità giuridica nell'ordinamento dello Stato.
Si è osservato che, in alternativa, la locuzione «civilmente riconosciuti» potrebbe essere riferibile al novero di enti riguardati dall'art. 1 legge n. 361 del 2000, oppure ristretta a quelli che hanno un legame istituzionale con una confessione riconosciuta dallo Stato; questa seconda lettura prevale e si ha riguardo almeno alle confessioni con cui lo Stato ha un'intesa[[16]]. Rispetto alla nozione di ente religioso è centrale il nesso con il fine di religione o di culto ed è decisivo il legame istituzionale con una confessione riconosciuta dallo Stato[[17]]. È pacifica la ricomprensione degli enti delle confessioni religiose diverse dalla cristiana cattolica.
La disciplina della Riforma si applica agli enti religiosi civilmente riconosciuti «limitatamente allo svolgimento delle attività indicate», purché allo scopo sia adottato un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, da depositare nel Registro unico nazionale del Terzo Settore, che recepisca – rispettivamente – le norme del Codice del Terzo Settore o del Decreto dell'Impresa Sociale «nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti». Inoltre per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili (articolo 5, d.lgs. n. 117 del 2017; art. 2, d.lgs. n. 112 del 2017)[[18]].
La costituzione del ramo consente l’assunzione parziale della qualifica di ETS, evitando di assoggettare le attività religiose alla normativa statale. In questo modo all’interno dell’ente si creano due sfere distinte, come già era previsto per le Onlus. Nuova è invece la previsione del patrimonio destinato.
La disciplina del Terzo Settore è, dunque, applicata non all'intero ente, ma limitatamente al ramo, da intendersi nella sua totalità, cosicché essa riguarderebbe tutti i soggetti caratterizzati dal costitutivo carattere religioso del fine e dalla gestione di attività di Terzo Settore accanto a quelle religiose.
4. Il ramo
Il ramo delimita l'ambito di operatività della normativa del Terzo Settore rispetto agli enti ecclesiastici; attraverso di esso è disegnato un perimetro all'interno dell'ente religioso, al fine di includere le sue attività di interesse generale nel TS.
L'attività esercitata deve rientrare tra quelle ammesse, ossia elencate dall'art. 5 CTS, oppure 2 DIS. Le attività escluse, che non possono essere gestire invia esclusiva o principale, non sono annoverabili tra quelle del ramo; tali sono quelle di religione o di culto. Altre sono inseribili se strumentali a quelle di interesse generale.
Rispetto agli enti religiosi rilevano le voci: “interventi e prestazioni sanitarie” (art. 5, primo comma, lett. b, CTS; art. 2, primo comma, lett. b, DIS); “interventi e servizi sociali”, compresa l’ “accoglienza umanitaria” e l’ “integrazione sociale dei migranti” (art. 5, primo comma, lett. a e r, CTS; art. 2, primo comma, lett. a e r, DIS); “educazione, istruzione e formazione professionale”, nonché “formazione extra-scolastica finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica” (art. 5, primo comma, lett. d e l, CTS; art. 2, primo comma, lett. d e l, DIS); “organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale” (art. 5, primo comma, lett. i, CTS; art. 2, primo comma, lett. i, DIS); “organizzazione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso” (art. 5, primo comma, lett. k, CTS; art. 2, primo comma, lett. k, DIS).
Riveste particolare rilievo la menzione della "Beneficenza" all'art. 5 lett. u, CTS, che può ritenersi omologo della carità. Quindi dovrebbe esservi corrispondenza, ma è bene accertare che la costituzione del ramo non implichi la soggezione a vincoli eccessivi. Ancora dell' "alloggio temporaneo" all'art. 5 lett. q, CTS, anch'esso da valutare se meriti essere inserito nel TS, bilanciando i vantaggi fiscali ritraibili con la soggezione ai vincoli, inclusa la separazione contabile tra le attività religiose e quelle sociali.
5. ll regolamento
ll regolamento è proiettato al recepimento convenzionale delle disposizioni previste per ETS e IS «nel rispetto della struttura e delle finalità» degli enti ecclesiastici (art. 4, terzo comma, CTS; art. 1, terzo comma, DIS). È, notoriamente, delicata l'individuazione delle disposizioni da recepire, in particolare nell'ambito del CTS, dal momento che il DIS contiene espresse deroghe al recepimento di alcune disposizioni: artt. 6, comma 2, 11, comma 5, 12, comma 5, 14, comma 6. Più complicata la selezione delle disposizioni del CTS, da sfrondare considerando che non vengono in gioco le singole figure di ETS, inoltre che l'assetto dell'ordinamento e dell'amministrazione tratteggiato per le associazioni e fondazioni del TS non è compatibile con quello degli enti ecclesiastici, come segnala il legislatore con la dispensa dal diritto dell'associato all'informazione circa il contenuto dei libri sociali (art. 15, comma 4, d.lgs. n. 117 del 2017), e dal potere di denuncia all'organo di controllo o al Tribunale di fatti censurabili e irregolarità di gestione (art. 29, comma 3, d.lgs. n. 117 del 2017).
Alla luce di queste premesse, altresì tenendo conto della necessità di rispettare la struttura degli enti ecclesiastici, si è suggerito di circoscrivere la recezione alle norme generali sugli ETS (artt. 4 – 16) e a quelle sull'attività di volontariato (artt. 17 – 19). Si è, quindi suggerito che nel regolamento trovi posto: l'individuazione delle attività (artt. 5 e 6 CTS), le prescrizioni relative all'assenza di scopo di lucro (art. 8 CTS), alla destinazione e devoluzione del patrimonio (art. 9 CTS), le regole su libri sociali e bilancio (artt. 13 – 15), il trattamento economico dei lavoratori (art. 16 CTS), attività di volontariato e patrimoni destinati. In quanto funzionalmente equiparabile allo statuto, deve individuare le regole sulla gestione e la rappresentanza[[19]]. Voci competenti hanno segnalato le opportunità ricavabili da una rete associativa di enti ecclesiastici ETS[[20]].
Esso deve essere adottato «in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata» e venire depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore o, per le imprese sociali, nel Registro delle imprese.
6. Il patrimonio destinato
Mentre non è segnalata alcuna particolare problematicità circa la separata tenuta delle scritture contabili, invece richiede un certo sforzo ermeneutico e ricostruttivo la prescrizione relativa alla costituzione di un patrimonio destinato per lo svolgimento di tali attività (articolo 5, d.lgs. n. 117 del 2017; art. 2, d.lgs. n. 112 del 2017).
Esso è suscettibile di essere inteso semplicemente quale dotazione patrimoniale oggetto di un vincolo contabile interno[[21]], oppure come vera e propria separazione esternamente ostensibile. In quest'ultima ipotesi si apre l'ulteriore alternativa tra fondare la segregazione sulle previsioni del CTS e DIS, oppure far capo agli artt. 2447-bis e 2645-ter c.c., postulando la costituzione di patrimoni destinati in conformità a tali disposizioni[[22]].
NOTE
[1] Recante delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. Si segnala il commento di G. PONZANELLI, Terzo settore: la legge delega di riforma, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 726.
[2] Nella riunione del 12 maggio 2017 il Consiglio dei ministri adottò una preliminare deliberazione e richiese il parere del Consiglio di Stato, che è stato espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 31 maggio 2017. Il 20 giugno 2017 non si è realizzata l’intesa in sede di Conferenza unificata. Nella seduta del 28 giugno 2017 il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva i due decreti legislativi recanti il Codice del terzo settore e la nuova disciplina dell'Impresa sociale; il 18 e il 19 luglio sono stati pubblicati in Gazzetta i due decreti legislativi di riordino del cinque per mille (d.lgs. n. 111 del 2017) e dell’impresa sociale (d.lgs. n. 112 del 2017); il 3 agosto è entrato in vigore il d.lgs. n. 117 del 2017, Codice unico contenente le disposizioni fiscali per gli enti non lucrativi e le nuove regole per le Onlus, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale.
[3] Adottato a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), legge 6 giugno 2016, n. 106 (17G00128), pubblicato sulla G.U. n. 179 del 2-8-2017 - Supplemento Ordinario n. 43
[4] Fatto salvo quanto previsto dal capo II del titolo VIII, le disposizioni del Codice non si applicano agli enti di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (art. 3, comma 3, d.lgs. n. 117 del 2017).
[5] Per tali intendendo «le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore» (art.4, 1 comma). Sono espressamente emarginate «le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti, ad esclusione dei soggetti operanti nel settore della protezione civile alla cui disciplina si provvede ai sensi dell'articolo 32, comma 4. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del presente comma i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d'Aosta» (art. 4, comma 2). Agli enti religiosi civilmente riconosciuti il decreto in oggetto si applica «limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 5, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo Settore». Inoltre per lo svolgimento di tali attività è prescritta la costituzione di un patrimonio destinato e la separata tenuta delle scritture contabili di cui all'articolo 13.
[6] Sono qui riproposte prevedendo che «in caso di estinzione o scioglimento, il patrimonio residuo è devoluto, previo parere positivo dell'Ufficio di cui all'articolo 45, comma 1, e salva diversa destinazione imposta dalla legge, ad altri enti del Terzo Settore secondo le disposizioni statutarie è o dell'organo sociale competente o, in mancanza, alla Fondazione Italia Sociale. Il parere è reso entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta che l'ente interessato è tenuto a inoltrare al predetto Ufficio con raccomandata a/r o secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, decorsi i quali il parere si intende reso positivamente. Gli atti di devoluzione del patrimonio residuo compiuti in assenza o in difformità dal parere sono nulli» (art. 9).
[7] Quello «degli enti del Terzo settore con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate inferiori a 220.000,00 euro può essere redatto nella forma del rendiconto finanziario per cassa» (comma 2).
[8] «Sono enti del Terzo Settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo Settore» (art. 4 d.lgs. n. 17 del 2017). È allineata la nozione e qualifica di impresa sociale: «1. Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile, che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività» (art. 1 d.lgs. n. 112 del 2017).
[9] L. SIMONELLI, Gli enti religiosi civilmente riconosciuti e la riforma del terzo settore, in A. FICI (a cura di), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, ESI, 2018, 307; A. PEREGO, Enti religiosi, Terzo settore e categorie della soggettività tributaria, in Jus- online, 2019, 3.
[10] Art. 10, comma 9, d.lgs. n. 460 del 1997: «Gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese e le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, sono considerati Onlus limitatamente all'esercizio delle attività elencate alla lettera a) del comma 1; fatta eccezione per la prescrizione di cui alla lettera c) del comma 1, agli stessi enti e associazioni si applicano le disposizioni anche agevolative del presente decreto, a condizione che per tali attività siano tenute separatamente le scritture contabili previste all'articolo 20-bis del decreto del Presidente delle Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall'articolo 25, comma 1». Circolare MEF 26. 6. 1998, n. 168
[11] Art. 1, comma 3, d.lgs. 24 marzo 2006 n. 155: «Agli enti ecclesiastici e agli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese si applicano le norme di cui al presente decreto limitatamente allo svolgimento delle attività elencate all'articolo 2, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di scrittura privata autenticata, che recepisca le norme del presente decreto. Per tali attività devono essere tenute separatamente le scritture contabili previste dall'articolo 10. Il regolamento deve contenere i requisiti che sono richiesti dal presente decreto per gli atti costitutivi».
[12] Art. 4, comma 3, d.lgs. n. 117 del 2017: «Agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 5, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo Settore. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'articolo 13».
[13] Art. 1, comma 3, d.lgs. n. 112 del 2017: «Agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, recepisca le norme del presente decreto. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'articolo 9».
[14] Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi.
[15] Art. 10 d.lgs. n. 469 del 1997; art. 1, comma 3, d.l. n. 155 del 2006; art. 1, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004; art. 1, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004.
[16] L. SIMONELLI, Gli enti religiosi civilmente riconosciuti e la riforma del terzo settore, cit., 311.
[17] C. CARDIA, Principi di diritto ecclesiastico, Torino, V ed., 2019, 321.
[18] Art. 4, comma 3, d.lgs. n. 117 del 2017: «Agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 5, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo Settore. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'articolo 13». Art. 1, comma 3, d.lgs. n. 112 del 2017: «Agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, recepisca le norme del presente decreto. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'articolo 9».
[19] A. PERRONE – V. MARANO, La riforma del Terzo settore e gli enti ecclesiastici: un rischio, un costo o un’opportunità? In Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statochiese.it), 2018, 35, 1 ss.
[20] A. PERRONE – V. MARANO, La riforma del Terzo settore e gli enti ecclesiastici, cit., 11.
[21] È stata individuata corrispondenza nell’istituto canonico della “fondazione non autonoma” di cui ai canoni 1303 e ss. del Codice di diritto canonico, sottolineandosi l'identica ratio giuridica, ossia che la destinazione patrimoniale non comporta l’esistenza di un nuovo, autonomo soggetto di diritto, bensì la creazione di un mero vincolo di destinazione: A. BETTETINI, Riflessi canonistici della riforma del Terzo settore, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statochiese.it), 2018, 20, 11 ss.
[22] G.M. COLOMBO, Obblighi contabili del ramo ETS degli enti religiosi, in Cooperative- Enti non profit, 2018, 8.