Giuffré Editore

L’esclusiva notarile in materia immobiliare tra legislazioni nazionali e normativa comunitaria


di Giancarlo Laurini

Presidente emerito Consiglio nazionale del Notariato


Mi è stato affidato il compito di svolgere qualche riflessione sul problema attuale e ricorrente della plausibilità di una “riserva di competenze” a favore di determinate Categorie, in una società sempre più aperta e che fa della libera (anche sfrenata …) concorrenza il regolatore supremo del mercato, non solo per i prodotti dell’impresa, ma anche per le prestazioni professionali.

Nella brochure di presentazione del Convegno si legge che il tema dell’accesso diretto ai Pubblici Registri «mette in gioco la sostituibilità delle tutele a favore degli utenti offerte da figure professionali selezionate e sorvegliate …» e che la querelle si allarga «quando vengono in gioco ulteriori soggetti, operativamente finitimi, quali gli istituti di credito e gli intermediari immobiliari».

Gli organizzatori del Convegno, in perfetta coerenza con il tema generale dell’incontro, hanno quindi messo subito le carte in tavola orientando il dibattito su uno dei settori caldi della concorrenza tra le professioni, che è appunto quello della rivendicazione delle competenze.

Da sempre il Notariato, a causa della “riserva di competenze” che i legislatori dei Paesi dotati di Notariato di tipo latino membri dell’Uinl o comunque siti all’interno dei sistemi di civil law o assimilabili gli attribuiscono, è oggetto di ricorrenti attacchi e polemiche da parte di altre Categorie professionali, che ne contestano la specifica e concreta utilità per la collettività, supportate purtroppo dall’Autorità Garante della Concorrenza, che interviene ad ogni piè sospinto, spesso – bisogna dirlo – su input di nostri colleghi che, con un eufemismo, definirei non troppo lungimiranti…

Due casi giudiziari hanno quest’anno agitato ulteriormente le acque, contribuendo però significativamente a fare chiarezza, a livello comunitario e nazionale: il caso Pringer, sfociato nella sentenza dell’Alta Corte di giustizia di Lussemburgo del 9 marzo 2017 e l’Affaire Pordenone, conclusosi con la sentenza della Corte d’appello di Trieste del 30 marzo 2107.

Cominciando dalla prima il quesito posto all’Alta Corte era se uno Stato membro dell’UE possa rifiutare la trascrizione nei Registri Immobiliari di un atto non autenticato da un notaio, come la legge nazionale prescrive, ma da un avvocato di altro Stato.

La questione era stata sollevata da un avvocato della Repubblica Ceca, che aveva “autenticato” un atto di compravendita di un immobile sito in Austria e che si era visto negare dal Registro fondiario austriaco la trascrizione dell’atto, in quanto la legge di quello Stato, al pari della maggioranza degli Stati membri dell’UE richiede, ai fini della pubblicità legale e dell’accesso ai pubblici registri, che l’autenticità delle firme apposte sull’atto sia certificata da un notaio o da un giudice (questa alternativa esiste in Austria, vigendovi il sistema “tavolare”, laddove in Germania ad esempio, sono necessari ambedue gli interventi).

La soluzione del problema, com’è intuibile, rivestiva e riveste un’importanza capitale per il futuro della professione notarile, che fonda (non solo in Europa) la ragione stessa della sua esistenza sulla sicurezza dei traffici e la stabilità dei rapporti economico-giuridici nel settore immobiliare e societario. Una stabilità garantita dalla presenza nella fase genetica dei rapporti e nelle loro mutazioni di un soggetto terzo che, negli ordinamenti che si ispirano al diritto e alla tradizione romano-germanica, controlla non soltanto la provenienza delle dichiarazioni e delle sottoscrizioni, ma anche la legalità delle transazioni e la loro rispondenza alla volontà delle parti (ma su questo punto ritornerò più avanti, anche se sembra superfluo in presenza di una platea di “addetti ai lavori”, in quanto – come abbiamo visto al recente Congresso di Palermo – questa seconda serie di controlli è quella che maggiormente resisterà agli attacchi della moderna tecnologia e del block chain ...).

Un controllo di legalità che dà concretezza all’idea, propria di quella tradizione giuridica e culturale, di ridurre al massimo la litigiosità nella fase post-contrattuale, gravata dagli elevati costi individuali e sociali propri in paesi di common law. E proprio per prevenire quella litigiosità, i legislatori nazionali dell’area del civil law, hanno apprestato rigide e secolari regole per la pubblicità legale, che rende opponibili ai terzi gli atti del settore immobiliare e societario, la cui rilevanza travalica i diritti e gli interessi delle parti in causa.

In questo contesto si pone il problema di verificare se quelle rigide regole nazionali siano conformi alle direttive comunitarie tendenti a facilitare, tra l’altro il libero esercizio della professione forense e la libertà di prestazione dei servizi nei paesi membri dell’UE, individuando conseguentemente la linea di demarcazione tra le competenze dell’Unione europea e quelle degli Stati membri nel settore del diritto immobiliare e, per certi aspetti, dell’amministrazione della giustizia non contenziosa.

Per quanto concerne la competenza dell’UE in questi settori, essa è molto limitata in quanto, come dimostra anche il recente Regolamento sulle successioni internazionali, è stata sempre rispettata la sovranità degli Stati membri nella complessa organizzazione dei Registri immobiliari, lasciando ad essi la competenza esclusiva a fissare le condizioni formali e sostanziali per l’accesso ad essi. Così come nessuna competenza è riconosciuta all’Unione sulla disciplina e l’organizzazione nazionale dell’attività forense e notarile, oltre che nel vasto settore delle attività pubbliche, nel quale gli Stati membri sono liberi di delegarne alcune a determinate professioni. 

In questo quadro normativo non è pertinente il richiamo alla libertà della prestazione di servizi voluta dalla direttiva, per giustificare il diritto di un avvocato di accedere al Registri immobiliari di un paese nel quale esso è riservato ad altre categorie professionali. Ciò in quanto, anche secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto di partecipazione dell’avvocato straniero all’esercizio della professione nello stato di accoglienza si estrinseca nei limiti e secondo le modalità proprie del sistema organizzativo vigente nel paese di accoglienza.

In realtà, nella grande maggioranza degli Stati membri dell’UE, la redazione di atti autentici ai fini della trascrizione nei Registri immobiliari, costituisce una mission che promana dal potere pubblico e che gli Stati dell’area del civil law hanno conferito ai notai in quanto titolari di un ufficio pubblico soggetto al controllo ed al potere disciplinare diretto dello Stato. Il che, oggettivamente, accresce di molto l’affidabilità degli atti da essi stipulati. Una fiducia perdurante, anche se con qualche ammaccatura …

D’altra parte, il reg. UE 2017/1191 tendente a favorire la libera circolazione dei cittadini, anche attraverso la semplificazione nella utilizzazione di alcuni documenti pubblici nell’ambito dell’UE, dopo che il reg. UE 1024/20 aveva soppresso l’a-postille come garanzia dell’autenticità, riguarda unicamente i documenti relativi allo stato civile, avendo i governi degli Stati membri espressamente rifiutato di prendere in considerazione gli atti relativi alla proprietà immobiliare, come invece aveva previsto e avrebbe voluto la Commissione nella sua proposta iniziale. Così dando un chiaro segnale di rispetto del potere sovrano degli Stati in materia di organizzazione delle procedure di accesso ai registri immobiliari[1].

Per quanto concerne le scritture, come quella “autenticata” dall’avvocato ceco, le direttive e i regolamenti comunitari non comportano alcuna proiezione transfrontaliera dei loro effetti oltre la mera efficacia esecutiva, che si ferma davanti alle procedure immobiliari, regolate dalla competenza esclusiva nazionale.

La Corte, facendo proprie le conclusioni dell’Avvocato generale, ha messo un punto fermo sia sui diversi e rispettivi campi di applicazione delle normative comunitarie e di quelle nazionali (autonome e al tempo stesso complementari), sia riconoscendo la legittimità, anche nell’ottica europea, delle linee di demarcazione nazionali tra le competenze di categorie professionali contigue, quali quelle degli avvocati e dei notai. E lo ha fatto sottolineando[2] che i Registri fondiari nei paesi nei quali vi è il Notariato di tipo latino rivestono un’importanza decisiva, soprattutto nelle transazioni immobiliari, settore nel quale costituiscono una componente fondamentale dell’amministrazione preventiva della giustizia, mirando a garantire una buona applicazione della legge e la certezza del diritto per gli atti stipulati tra i privati. Funzione che rientra tra i compiti e le responsabilità dello Stato e si ricollega, più in generale, alla tutela della buona amministrazione della giustizia, che costituisce un motivo imperativo di interesse generale[3].

D’altra parte, già nella sua nota sentenza del 24 maggio 2011, (C 53/08, EU:C:2011:338, punto 96), la Corte aveva affermato che il fatto che le attività notarili perseguano obiettivi di interesse generale, miranti in particolare a garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati, costituisce una ragione imperativa di interesse generale che consente di giustificare eventuali restrizioni all’articolo 49 Tfue derivanti dalle specificità proprie dell’attività notarile: inquadramento rigido e programmato nella struttura organizzativa dello Stato di cui sono oggetto i notai per effetto delle procedure di selezione che sono loro applicate; limitazione del loro numero e delle loro competenze territoriali; remunerazione regolamentata, indipendenza, incompatibilità e inamovibilità.

Ciò premesso, la circostanza che le attività connesse all’autenticazione degli atti relativi alla costituzione o al trasferimento di diritti reali immobiliari siano riservate a una specifica categoria di professionisti depositari della fede pubblica, sui quali lo Stato esercita un particolare controllo, rappresenta – secondo la Corte – una misura proporzionata secondo i principi europei e adeguata a conseguire gli obiettivi di buon funzionamento del sistema di pubblicità legale in considerazione del fatto che, in ogni caso, l’autenticità delle firme apposte in calce a taluni atti dagli avvocati non è assimilabile all’attività di autenticazione svolta dai notai che, come ricordato, non si limitano a certificare l’identità delle parti, ma garantiscono la legalità del negozio. 

Una funzione peculiare che si proietta nel futuro pur in presenza delle conquiste tecnologiche di questi ultimi anni che, per la loro invasività e la capacità di scalfire compiti e competenze che sembravano non poter mai prescindere dalla intelligenza umana, restringono e restringeranno sempre più il campo dell’intervento insostituibile dell’uomo. Com’è ampiamente emerso dalle due interessanti Tavole rotonde svoltesi al recente Congresso nazionale di Palermo, in cui il block chain ha fatto la sua comparsa nel mondo notarile, in uno scenario nel quale il notaio si pone rispetto a questa straordinaria novità delle prospettive ancora indefinibili, come mediatore culturale responsabile del contenuto dalla transazione a prescindere dalla garanzia della “provenienza” dei dati che, prima o poi, una raffinata tecnologia potrà comunque assicurare …

Concludendo su questo primo punto, dedicato all’inquadramento nella normativa comunitaria dei sistemi di pubblicità legale attraverso i Registri Immobiliari dei singoli Stati membri, la Corte di giustizia ne ha dunque riaffermato inequivocabilmente l’autonomia nel disciplinarli, fino a prevedere anche la competenza esclusiva di una determinata Categoria professionale in considerazione dei particolari requisiti di, formazione, selezione e controllo. 

E vengo velocemente al secondo caso richiamato e noto, come “l’Affaire Pordenone”, nel quale la Corte d’appello di Trieste, con la sentenza del 30 maggio 2017 ha ribaltato il “Provvedimento” del 17 marzo 2017 col quale il Tribunale di Pordenone aveva ordinato al Conservatore dei Registri immobiliari la trascrizione di un trasferimento immobiliare da lui rifiutata in quanto l’atto era stato sottoscritto nell’ambito di “negoziazione assistita” per la separazione tra coniugi, con la sola certificazione di autografa dei difensori, senza l’autentica notarile prevista dall’art. 5, comma 3, d.l. n. 132 del 2014, convertito in l. n. 162 del 2014 per il quale «se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» (comma 3).

Ora, a prescindere dalla irritualità di un Provvedimento assunto dal Tribunale e non dal Presidente ai sensi dell’art. 745 c.p.c., appare ingiustificabile lo stato della nostra legislazione civilistica e processuale e, per tutto quanto sopra detto, equiparare la «certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni da parte degli avvocati» all’«autentica delle sottoscrizioni da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato». 

D’altra parte, e per altro verso, è improponibile una generale equiparazione tra l’Accordo di negoziazione (munito di nullaosta / autorizzazione) e i Provvedimenti giudiziali, richiamando il 3° comma dell’art. 6, secondo il quale «l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono [...] i procedimenti di separazione personale». Si fa infatti derivare da questa norma, una pretesa volontà del legislatore di equiparazione tout court - come scrive Ferruccio Auletta in un suo lucidissimo Commento critico al Provvedimento - tra contratto risolutivo degli obblighi matrimoniali (con eventuali effetti modificativi di diritti reali) e sentenza restitutiva dello stato libero, laddove l’accordo tiene semplicemente luogo di un provvedimento giudiziale ai soli fini della modifica dello status personale, senza per questo in un titolo idoneo alla trascrizione, non compreso tra quelli previsti dall’ art. 2657 c.c.

Né l’accordo può essere incluso tra gli “altri atti” suscettibili di trascrizione, in quanto in questo caso è la stessa legge ad averla esclusa all’art. 5, comma 3, cit., indicando espressamente i requisiti formali necessari affinché l’ “accordo” possa essere trascritto.

Detto questo sul piano squisitamente processuale, credo che non ci sia migliore conclusione della discussione sulla trascrivibilità o meno dell’accordo di negoziazione senza l’autentica notarile delle sottoscrizioni, del passaggio centrale delle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello di Trieste:

«La necessità di un controllo pubblico è principio e cardine del sistema della pubblicità immobiliare che non può consentire a soggetti privati, pur qualificati, ma certamente legati al rapporto professionale alle parti che assistono e quindi privi del requisito della terzietà, di certificare con la propria sottoscrizione atti che poi devono trovare ingresso nel complesso sistema delle trascrizioni e delle intavolazioni deretto garantire certezza dei diritti».


Considerazione conclusiva

La conclusione positiva fin qui raggiunta sulla compatibilità con la legislazione nazionale e con la normativa europea, della riserva di competenza del notaio nel settore immobiliare (e, devo aggiungere, prima o poi il problema si porrà anche per gli accordi di negoziazione che necessitano di pubblicità nel Registro delle imprese …), comporta inevitabilmente la necessità per noi tutti di una riflessione profonda sulle prospettive future di questa ed altre riserve di competenza, soprattutto del notaio.

E la riflessione va fatta sia sul piano tecnico – giuridico, sia su quello più squsitamente etico – culturale.

Sotto il primo profilo, il Notariato ha la sua linea Maginot sull’efficienza e l’infungibilità del suo intervento, in quanto un sistema di pubblicità legale ben funzionante e che dia sicurezza non solo sulla provenienza, ma sui contenuti della transazione, è indispensabile ed essenziale (come l’individuazione per legge dei titoli acquisitivi) per la completa realizzazione della garanzia costituzionale dell’articolo 42 circa i modi di acquisto e godimento della proprietà da parte dei privati. Questi devono infatti poter contare anche sull’affidabilità delle risultanze dei Pubblici Registri in ordine alla situazione giuridica del bene, soprattutto di fronte alla sempre maggior facilità di accesso ai dati in essi contenuti da parte di soggetti diversi, che aumenta l’esigenza che la loro immissione avvenga con la garanzia della massima sicurezza giuridica, attraverso un rigoroso controllo degli atti destinati alla pubblicazione.

«E in questo è difficilmente surrogabile – per usare una espressione di Ferruccio Auletta – la funzione notarile, intesa in maniera oggettiva quale esito di una articolata struttura pubblica nella quale i singoli ufficiali roganti costituiscono terminali di un complessivo apparato istituzionale che offre attualmente un’ottima performance». Ma sappiamo che in Italia si tende a riformare ciò che funziona, piuttosto che ciò che non funziona …

Se questo è vero, com’è vero, il Notariato deve dedicare massima attenzione – come in verità ha fatto in passato, magari a fase alterne … – all’evoluzione tecnologica con l’obbiettivo dichiarato di utilizzarla per il migliore svolgimento della sua funzione istituzionale di controllo e garanzia, continuando a dimostrare nei fatti i limiti oggettivi alla surrogabilità dell’intelligenza umana, anche con tecnica più sofisticata e con sistemi informatici più a la page … se si vuol mantenere l’attuale alto livello di affidabilità della pubblicità legale.

Sotto il profilo che ho definito etico-culturale, in una società sempre meno colta e rigorosa, molto attenta alle conquiste della “tecnica”e meno alla qualità delle prestazioni professionali, messe all’asta tra gli offerenti meno cari, il Notariato deve avere la forza e l’intelligenza di mettere da parte l’autolesionista concorrenza al ribasso e puntare sulla più alta qualità del servizio per rilanciare il suo ruolo e la sua affidabilità come cerniera insostituibile in alcuni snodi della vita socio economica del Paese. 

La discussione in Parlamento della proposta di legge sull’equo compenso, portata avanti da tutti gli Ordini professionali, è certamente un’occasione da non perdere. 

[1] Allo stesso modo, il Regolamento europeo delle successioni internazionali, al pari di quelli in materia di regimi patrimoniali tra coniugi e di effetti patrimoniali delle unioni civili adottati nei vari Paesi, prevedono nel loro campo di applicazione una estensione transfrontaliera degli effetti propri dell’efficacia probatoria formale dei documenti pubblici, senza alcuna possibilità di accesso degli stessi ai Registri immobiliari, che resta regolato dalle leggi nazionali e, conseguentemente, escluso dal campo di applicazione dei succitati tre regolamenti.

[2] «L’articolo 1, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati, dev’essere interpretato nel senso che non si applica ad una normativa di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, che riserva ai notai l’autenticazione delle firme apposte sui documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari ed esclude, per l’effetto, la possibilità di riconoscere in tale Stato membro una siffatta autenticazione effettuata da un avvocato stabilito in un altro Stato membro. L’art. 56 Tfue dev’essere interpretato nel senso che non osta a una normativa di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, che riserva ai notai l’autenticazione delle firme apposte in calce ai documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari ed esclude, per l’effetto, la possibilità di riconoscere in tale Stato membro una siffatta autenticazione effettuata, secondo il suo diritto nazionale, da un avvocato stabilito in un altro Stato membro».

[3] (V., in tal senso, la sentenza del 12 dicembre 1996, Reisebüro Broede, C 3/95, EU:C:1996:487, punto 36).