Giuffré Editore

L’esecutore testamentario visto quale affidatario fiduciario

Vincenzo Cuffaro

Ordinario di Istituzioni di diritto privato, Università di Roma Tre


Una breve premessa

La prospettiva di riguardare l’esecutore testamentario nell’ambito della nozione di affidamento fiduciario, della quale siamo debitori nei confronti di Maurizio Lupoi[[1]], è certamente intrigante, soprattutto per chi ha avuto occasione di studiare la figura in un contesto tradizionale, tra gli istituti che nel Codice regolano le successioni per causa di morte[[2]].

La ricontestualizzazione della figura all’interno di un percorso esegetico che da una coesa lettura delle norme recupera esemplificazioni ed individua tecniche di affidamento, credo imponga di considerare prima il ruolo che l’esecutore svolge rispetto alla successione testamentaria, per poi mettere a fuoco i ‘vantaggi’ che possono derivare dal ricorso ad uno strumento la cui efficacia è stata sovente sottovalutata.

Anticipando l’esito della sommaria ricognizione, l’impressione di ovvietà che potrebbe suscitare l’indagine su una figura che ha come presupposto la fiducia riposta dal de cuius sulla persona designata, merita di essere superata dalla considerazione dei caratteri propri dell’istituto, idonei a delineare uno schema di affidamento particolarmente efficiente, ricavato direttamente dalle norme del Codice. 


La figura dell’esecutore rispetto alla asserita perdita di centralità del testamento

In controtendenza alla da tempo preconizzata ‘perdita di centralità del testamento’[[3]], proprio la figura dell’esecutore, qual è disciplinata negli artt. 700-712 c.c., non soltanto permette di valorizzare l’atto di ultima volontà, ma soprattutto esprime una potenzialità che, va riconosciuto, non sempre è stata colta a pieno.

È noto: il testamento, celebrato come l’espressione della signoria dell’individuo sui beni che si proietta anche oltre la vita, come segno ed espressione dell’autonomia privata il cui contenuto addirittura si sottrarrebbe al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322 comma 2 c.c.[[4]], porta con sé una intrinseca contraddizione. L’assetto di interessi che è consentito al testatore stabilire ed in larga misura imporre, diviene efficace quando l’autore dell’atto non è più in vita e dunque senza che l’autore possa verificarne la realizzazione[[5]].

Quanto più la scelta del testatore si discosta dall’assetto di interessi che la legge delinea in via generale nella attribuzione del patrimonio relitto, tanto più la realizzazione della volontà testamentaria è riposta sulla disponibilità dei destinatari ad assecondare le indicazioni del de cuius. Quanto più il testatore dubita che i successori faranno quanto da lui disposto, quanto più è preoccupato dell’effettivo rispetto di quanto ha stabilito, tanto più avverte l’opportunità se non la necessità di affidare l’esecuzione delle disposizioni ad altri che ne curi l’osservanza.

Questo vale certamente per le disposizioni di contenuto patrimoniale, per le quali la cupidigia dei successori potrebbe prevalere sull’intento del de cuius, ma vale forse soprattutto per i contenuti non patrimoniali dell’atto di ultima volontà, potenzialmente soggetti all’indifferenza se non al disinteresse degli eredi. Un significativo riscontro di tale elementare rilievo si trae, del resto, dal dettato dell’art. 629, comma 3 c.c.[[6]].

L’avvertita esigenza di presidiare l’esecuzione della volontà del de cuius trova risposta della figura dell’esecutore testamentario, il quale risulta dunque depositario di un affidamento ed in forza di tale affidamento titolare di un complesso di poteri, avendo come obiettivo riferimento del proprio agire non soltanto un interesse altrui ma soprattutto un interesse non più riferibile ad un soggetto esistente. D’altra parte, la circostanza che la scelta del testatore possa cadere anche su un erede o un legatario (art. 701, comma 1 c.c.) esprime la misura della (ed è proporzionale alla) fiducia che il testatore ripone nei successori.

L’insistito riferimento alla fiducia quale tratto di caratterizzazione della figura, merita di essere precisato rimarcando che siamo di fronte non ad una fiducia per così dire non cieca, come avviene nel caso di cui all’art. 627 c.c.[[7]], bensì qualificata e corroborata dalle disposizioni che sovrintendono l’agire dell’esecutore testamentario.

Le disposizioni che nel Codice valgono a disciplinare l’esecutore testamentario impongono di considerare il profilo della qualificazione. Procedimento solo apparentemente classificatorio ed invece necessario per mettere a fuoco il ruolo che l’esecutore riveste nell’economia del fenomeno successorio. 

Occorre muovere dal rilievo che l’esecutore ha la disponibilità di beni del de cuius (art. 703, comma 2 c.c.), può amministrarli (art. 703, comma 4 c.c.) e financo venderli (art. 703, comma 4 c.c.) ed è investito di un potere agire per la realizzazione di scopi cui è estraneo (art. 703, comma 1 c.c.).

Ora, rispetto alla vicenda successoria vi sono altre ipotesi nelle quali la disponibilità di beni del de cuius è affidata ad altri che non sono l’erede o il chiamato all’eredità. Così è per il curatore dell’eredità giacente ed altresì per l’amministratore di cui all’art. 641 c.c. in caso di istituzione sottoposta a condizione sospensiva. Eppure, al di là di coincidenze estrinseche, vi è una differenza sostanziale che vale a dar rilievo alla figura dell’esecutore testamentario.

Il curatore come l’amministratore svolgono una funzione certamente, anzi esclusivamente, finalizzata alla conservazione del patrimonio, affidato loro ex lege in attesa che gli effetti successori si realizzino in capo al soggetto designato. Al contrario, per l’esecutore testamentario lo scopo di conservazione è servente rispetto a quello diverso e primario di realizzazione dell’intento che il de cuius ha consegnato nel testamento.

In tale prospettiva, il riferimento all’ufficio di diritto privato[[8]] non soltanto è calzante perché offre una spiegazione unitaria dei poteri dei quali è investito l’esecutore per la realizzazione di un interesse altrui, ma soprattutto esprime con formula positiva quell’affidamento fiduciario la cui considerazione, in effetti, è stata troppe volte negletta. 

L’interprete, forse fuorviato dalla collocazione topografica della disciplina, ha così mancato di cogliere che lo stesso codice offriva un modello di affidamento fiduciario rispetto al quale non soltanto è ricorrente il richiamo alla nozione di ufficio (artt. 700, comma 3; 707, comma 1; 708; 710; 711 c.c.) che esprime l’ipostatizzazione della funzione, ma è altresì esplicito il riferimento alla fiducia (art. 710 c.c.), cioè ad una tecnica di affidamento che riposa sulla attribuzione di poteri legati all’investitura finalizzata ad uno scopo.

In definitiva, dalle disposizioni che disciplinano la figura dell’esecutore testamentario, l’interprete non soltanto trae il convincimento circa l’esatta qualificazione della figura in termini di ufficio[[9]], ma soprattutto trae gli elementi idonei a definire uno schema generale, cioè un modello di regolamentazione normativa di affidamento fiduciario[[10]].

L’affidamento che il testatore realizza tramite la nomina dell’esecutore testamentario è tradizionalmente indirizzato alle disposizioni di contenuto patrimoniale dell’atto di ultima volontà e tuttavia è parimenti utile anche con riferimento ai contenuti non patrimoniali che, come è noto, possono costituire il contenuto del testamento.

Un recente episodio normativo ne offre persuasiva dimostrazione.

Il riferimento è alla disciplina del trattamento dei dati personali, ormai da anni presente nell’ordinamento, ma sulla quale si è di recente tornata ad appuntare l’attenzione degli interpreti a motivo dell’entrata in vigore del regolamento UE 2016/679 e dell’emanazione del d.lgs. n. 101/2018 con il quale si è voluta realizzare l’armonizzazione del cd. Codice privacy alle nuove regole[[11]].

In una realtà nella quale acquista sempre maggior rilievo il patrimonio digitale[[12]], espressione riassuntiva usata per indicare convenzionalmente il novero dei dati e delle informazioni che l’individuo custodisce negli apparecchi tecnologici dei quali ha la disponibilità ovvero affida a depositi telematici gestiti da provider – un complesso di situazioni rispetto al quale non è per altro sempre agevole procedere ad una netta distinzione tra profili patrimoniali e profili non patrimoniali – la disciplina nazionale reca una precisa disposizione circa la sorte dei dati digitali riguardanti la persona deceduta. 

La previsione dell’art. 2-terdecies, qual è ora presente nel Codice privacy, prevede espressamente che l’interessato, cioè la persona cui appartengono i beni digitali, possa affidare ad altri l’esercizio dei diritti di cui agli artt. da 15 a 22 del regolamento quando non sarà più in vita. Diritti che nella tassonomia del regolamento riguardano tra l’altro l’accesso, la cancellazione, la portabilità dei dati. Ebbene, benché la disposizione si esprima in termini di ‘mandato’, non sembra possa seriamente dubitarsi che tale incarico possa essere affidato all’esecutore testamentario, venendo così a costituire un aspetto specifico dei compiti dell’esecutore, arricchendone i contenuti rispetto a interessi che hanno come punto di riferimento quei particolari beni ed interessi che appartengono all’individuo, quali sono conformati nella attuale economia digitale.

La giurisprudenza domestica non ha ancora avuto modo di affrontare il tema, ma una recente decisione della Corte Suprema Tedesca (sentenza 12 luglio 2018) offre un esempio significativo dei conflitti che possono determinarsi tra i superstiti ed i gestori dell’identità digitale. La presenza di tale novero di controversie se, da un lato, vale a segnalare come le posizioni contrattuali tramite le quali l’individuo interagisce con gli altri non possano restare estranee alla vicenda successoria giacché esprimono aspetti della identità digitale che sarebbe riduttivo ritenere definitivamente perenti con la cessazione della vita della persona; dall’altro, permette di cogliere l’opportunità di far ricorso ad una figura di sperimentata efficienza, qual è l’esecutore testamentario, per superare gli ostacoli cui si andrebbe incontro lasciando al solo strumento contrattuale la gestione dei potenziali conflitti.

Rispetto a questi ed a consimili ordini di problemi, analogamente a quelli determinati dalla esecuzione delle più tradizionali disposizioni attributive di contenuto patrimoniale, l’ufficio dell’esecutore testamentario continua dunque a rivestire una sorta di plausibilità rinforzata, tale da confermare, anche rispetto alle nuove realtà del mondo digitale, la funzione di strumento di efficienza del testamento. 


La disciplina positiva e l’efficienza della figura

Dalla disciplina che il Codice detta riguardo all’esecutore testamentario si ricavano plurime indicazioni che valgono a delineare in maniera chiara la struttura della figura, offrendo positiva conferma dell’efficienza dello strumento messo a disposizione del testatore. Uno strumento del quale sono precisati in maniera dettagliata i caratteri, in misura tale da candidarlo a modello di affidamento fiduciario. Su tali caratteri merita ora fermare l’attenzione.

Innanzitutto per quanto attiene alle modalità di designazione. Designazione per la quale è necessario un atto che tuttavia rispetti la forma del testamento. In questo senso, milita non solo la lettera della norma (art. 700, comma 1 c.c.) ma soprattutto la sicura accessorietà della designazione alle disposizioni di ultime volontà, consentendo così di rilevare che la designazione non deve necessariamente essere contestuale, potendo anche essere affidata ad un testamento successivo, ovvero costituire l’unico contenuto di un testamento, o ancora sopravvivere alla revoca delle disposizioni in quanto sostituite da altre rispetto alle quali risulti comunque efficiente la funzione dell’esecutore[[13]].

Il riferimento necessario all’atto testamentario vale inoltre a marcare la differenza rispetto all’altra ipotesi, già in precedenza richiamata, di nomina di un terzo incaricato di provvedere in merito al patrimonio digitale. Ove tale designazione sia affidata, come pure è possibile, ad uno scritto che non rivesta la forma testamentaria[[14]], il risultato sarà meno efficiente, non potendo venire in considerazione le regole e le cautele che sovrintendono e accompagnano lo svolgimento dell’ufficio.

In secondo luogo, ha certo rilievo la struttura che può assumere l’ufficio, in quanto è la stessa legge a prevedere che possano essere designati più esecutori. In tal modo l’ufficio può assumere un carattere articolato, particolarmente utile quando diversi siano i compiti che il testatore affidi agli esecutori, per l’espletamento di ciascuno dei quali siano utili particolari competenze.

Dalla prescrizione per cui, in assenza di diversa disposizione, gli esecutori devono agire congiuntamente (art. 700, comma 2 c.c.) si ricava agevolmente la norma che consente di apprezzare la duttilità dell’affidamento in funzione non soltanto della già segnalata possibilità di ripartire i compiti tra vari esecutori, ma anche della diversa misura della fiducia che il testatore può così meglio calibrare. La designazione di una pluralità di esecutori è per il testatore di maggior presidio alla effettiva realizzazione dei compiti affidati ed assolve altresì ad una funzione di ulteriore garanzia circa l’operato dei designati, mentre la possibilità di escludere l’affidamento congiunto, con la conseguente suddivisione dell’incarico esecutivo, può risultare meglio rispondente alle concrete esigenze perseguite.

Ancora sul piano della efficienza va poi apprezzata la disciplina che la legge delinea quanto alla possibilità di sostituzione della persona designata.

È innanzitutto previsto (art. 700, comma 1 c.c.) che sia lo stesso testatore a disciplinare la sostituzione quando l’esecutore (e, naturalmente, gli esecutori) non possa o non voglia accettare l’incarico[[15]]. In tal modo il testatore può regolare l’aspetto operativo dell’affidamento, ampliando preventivamente il novero delle persone designate e disponendo direttamente quanto alla individuazione di altri nell’assunzione dell’ufficio. Né basta, in quanto la fiducia che il testatore ripone nel designato può assumere una dimensione ancora più pregnante sino al punto di autorizzare lo stesso esecutore a procedere alla sostituzione quando non possa continuare l’incarico (art. 700, comma 3 c.c.). Previsione, quest’ultima, di stretta interpretazione quanto alle ragioni che consentono all’esecutore di declinare l’ufficio[[16]], la cui operatività presuppone – a differenza delle sostituzioni di cui al primo comma dell’art. 700 c.c. – che l’esecutore designato abbia comunque accettato l’incarico.

In definitiva, se la regola sulla sostituzione risulta opportunamente articolata, potendo nel testamento essere stabilita sia in via preventiva, dopo che la designazione sia comunque divenuta efficace, sia in via successiva, durante lo svolgimento dell’incarico, l’ambito dell’autonomia riconosciuta al testatore non può tuttavia spingersi al punto di demandare ad un terzo (che non sia già stato designato come esecutore) la nomina. Alla percorribilità di tale ipotesi è infatti di ostacolo il carattere fiduciario della designazione e soprattutto la opacità di un risultato che finirebbe per determinare una sovrapposizione di ruoli tra il terzo che designa ed il terzo designato[[17]].

La riflessione sulla disciplina della sostituzione merita di essere completata considerando la possibilità per il testatore di declinare la sostituzione anche al di là dell’ipotesi, espressamente individuata, in cui l’esecutore ‘non possa’ continuare lo svolgimento dell’ufficio, prevedendo altresì il caso in cui l’esecutore ‘non abbia’ svolto l’incarico, ad esempio entro un termine determinato. È da ritenere infatti ammissibile che il testatore preveda una designazione condizionata al realizzarsi di uno specifico obiettivo il cui mancato verificarsi può determinare la sostituzione; in tal modo l’incarico assegnato risulta ancora più incisivo, con l’approntamento di uno strumento che assicura al testatore il rispetto dell’intento perseguito. La soluzione prospettata trova un argomento testuale nella previsione di cui all’art. 710 c.c., ove è esplicito il riferimento al venir meno della fiducia che il de cuius aveva riposto nell’esecutore. Sembra infatti di poter osservare che se in via generale la menomazione della fiducia giustifica l’esonero dall’ufficio, a maggior ragione deve essere riconosciuto allo stesso testatore il potere di indicare, facendo ricorso alla condizione, uno specifico accadimento quale indice del venir meno della fiducia e ragione che determini la sostituzione.

Quale ulteriore e certo non secondario profilo di rilievo in ordine all’efficienza della figura, merita ricordare come l’assunzione dell’ufficio – che consegue alla necessaria accettazione dell’incarico (art. 702 c.c.) – attribuisca all’esecutore un complesso di poteri che trovano come punto di riferimento l’atto di ultima volontà; poteri che è dunque consentito al testatore concretamente modulare. 

Senza che sia necessario ripercorrere qui nel dettaglio il diverso ambito segnato dall’essere o meno l’esecutore investito dell’amministrazione del patrimonio del de cuius[[18]], è piuttosto opportuno rimarcare come l’assunzione dell’ufficio, valga a determinare il capo all’esecutore il sorgere di un potere particolarmente connotato sul piano funzionale, quello cioè di curare ed ottenere l’adempimento delle disposizioni testamentarie. Così, quando ad esempio si afferma che l’esecutore ha azione nei confronti dell’erede per l’adempimento del legato malgrado l’inerzia del legatario, non si intende certo prospettare una (inesistente) cura dell’interesse del legatario, quanto sottolineare che l’investitura propria dell’ufficio legittima la cura della realizzazione di un risultato interamente riconducibile all’affidamento fiduciario.

In questa prospettiva, non è revocabile in dubbio che, indipendentemente dal possesso dei beni, l’attività dell’esecutore è funzionalmente proiettata nel tempo ben al di là del limite cronologico segnato per il possesso dei beni perché l’investitura nell’ufficio sussiste per tutto il tempo necessario a realizzare le disposizioni di ultima volontà. Le previsioni del codice circa i limiti temporali (art. 703 c.c.) e materiali (art. 707 c.c.) del possesso dei beni si collocano infatti su un piano diverso da quello dell’esercizio dell’ufficio, il quale si protrae fino al compimento integrale dell’incarico assegnato per la realizzazione delle disposizioni testamentarie[[19]]. L’espletamento del compito potrebbe infatti risultare non breve, ad esempio quando si tratti di procedere alla divisione del compendio ereditario (art. 706 c.c.) o ancora quando il testatore affidi all’esecutore l’incarico di vendere i beni e di suddividerne il ricavato tra eredi e legatari.

La considerazione della molteplicità dei compiti che possono essere affidati all’esecutore, apre la strada ad un ultimo novero di rilievi.

La norma dell’art. 706 c.c., a tenore della quale è escluso che l’incarico di procedere alla divisione possa essere affidato all’erede o al legatario quali esecutori (con la conseguenza che l’affidamento è inefficace quando l’erede o il legatario siano stati nominati all’ufficio), vale infatti ad illuminare un ulteriore profilo di rilievo proprio della figura. 

Nel disegno del Codice l’esecutore deve essere funzionalmente estraneo a potenziali conflitti d’interesse, perché deve provvedere a curare la realizzazione delle disposizioni testamentarie, con una attività solo attenta al rispetto della volontà del de cuius che su di lui ha riposto fiducia. Ancora una volta, il riscontro normativo sulla rilevanza del profilo fiduciario può essere trovato nella lettera della norma dell’art. 710 c.c. che appunto al venir meno della fiducia attribuisce rilievo ai fini della revoca dell’ufficio. Soluzione, questa, drastica ma inevitabile per interrompere l’operato di chi, per la realizzazione dell’incarico fiduciario, è investito del potere sui beni ereditari. 

Ebbene, la situazione di fiducia, l’affidamento fiduciario che il testatore ripone con la designazione dell’esecutore, è dalla legge ritenuta oggettivamente compromessa quando l’incarico dell’esecutore riguardi la divisione del compendio e ciò a motivo del ragionevolmente prevedibile conflitto d’interesse in cui verserebbe erede (o legatario) nominato esecutore. 

Il precetto legale, nell’escludere che la divisione possa essere affidata all’esecutore testamentario quando questi sia erede, vale dunque indirettamente a confermare il connotato proprio della figura, là dove pone l’accento sulla essenzialità che riveste la fiducia quale tratto necessario e caratterizzante l’esecutore testamentario rispetto ad altri affidamenti successori nei quali è più probabile la presenza di un interesse confliggente con quello del de cuius.

In tale prospettiva di ribadita trasparenza della fiducia, la nomina dell’esecutore si conferma essere per il testatore una certo non inutile precauzione.

                                                                                                                   

[1] M. LUPOI, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, Milano, 2018; ma, prima ancora, ID., Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014.

[2] V. Cuffaro, Gli esecutori testamentari, in RESCIGNO (diretto da), Tratt. dir. priv., seconda ed., VI, Torino, 1997, 353; ID. L’esecutore testamentario, in CALVO – PERLINGIERI (a cura di), Diritto delle successioni, Napoli, 2009, T. II, 1141 ss. Per una più analitica indagine sul tema v. G. BONILINI, Degli esecutori testamentari, in Cod. civ. Commentario Schlesinger, Milano, 2005.

[3] Qual è registrata anche nella manualistica: cfr., ad es., S. MASUCCI, La successione mortis causa in generale, in Diritto civile diretto da N. Lipari e P. Rescigno, II, tomo I, Milano, 2009, 7.

[4] Come ritiene la giurisprudenza, ma v. le risalenti considerazioni di E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, 400.

[5] Scrive di «efficacia regolamentare di tipo claudicante» S. PAGLIANTINI, Motivi del testatore, struttura e attuazione dell’atto dispositivo, in Libertà di disporre e pianificazione ereditaria, Napoli, 2017, 125.

[6] Ed infatti, rispetto al dettato di tale norma viene delineata la figura di ‘esecutore speciale’: v. C. COPPOLA, Le disposizioni a favore dell’anima, in BONILINI (diretto da), Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, II, Milano, 2009, 349 ss.

[7] Cfr. N. LIPARI, Il negozio fiduciario, Milano, 1964, 359 ss.

[8] Sia consentito rinviare a V. CUFFARO, Gli esecutori testamentari, cit. 356.

[9] sulla quale concorda la giurisprudenza: di recente Cass., 26 novembre 2015, n. 24147.

[10] Sulla morfologia dell’affidamento fiduciario è doveroso rinviare a M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, cit., 376 ss.

[11] Da ultimo, sul tema v. CUFFARO – D’ORAZIO – RICCIUTO (a cura di), I dati personali nel diritto europeo, Torino, 2019.

[12] Cfr. G. RESTA, La morte digitale, in Dir. inf., 2014, 891 ss.; ID. La successione nei rapporti digitali e la tutela post-mortale dei dati personali, in CUFFARO – D’ORAZIO – RICCIUTO (a cura di), I dati personali nel diritto europeo, cit., 1361 ss. Sul patrimonio digitale, v. altresì V. BARBA, Contenuto del testamento e atti di ultima volontà, Napoli, 2018, 282 ss.

[13] Ma v. G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico, Milano, 1954, 7, ove il rilievo che quando la designazione dell’esecutore sia meramente accessoria alle disposizioni sui beni, la revoca di queste dovrebbe implicare anche la revoca della designazione.

[14] Come del resto ad esempio avviene per l’incarico relativo alla sorte di corrispondenza, epistolari, memorie dopo la morte dell’autore o del destinatario: art. 93, ult. comma, l. 22 aprile 1941, n. 633 sulla protezione del diritto d’autore.

[15] Sul tema della sostituzione, ampiamente, G. VICARI, L’esecutore testamentario, in RESCIGNO (diretto da), Tratt. breve dir. succ. e don., Padova, 2010, 1322-1325.

[16] V. CUFFARO, Gli esecutori testamentari, cit., 359; conf. G. BONILINI, Degli esecutori testamentari, cit., 138.

[17] Contra G. BONILINI, op. cit., 141 ss., che all’esito di una ricognizione dei possibili argomenti sembra propendere per la soluzione affermativa.

[18] Sia consentito rinviare agli scritti di cui alla nt. 2.

[19] Per una recente conferma giurisprudenziale v. Cass., 14 giugno 2016, n. 12241.