La funzione del notaio al tempo di internet.
Il ruolo dell’argomentazione negli atti notarili
Notaio in Pontassieve, Presidente Fondazione Italiana del Notariato, Consigliere Nazionale del Notariato
Anteriormente alla Rivoluzione francese, nell’Antico regime, la produzione del diritto dei privati era affidata in misura considerevole alla attività del notaio che, attraverso la interpretatio del vecchio diritto romano giustinianeo e del diritto canonico, costituiva lo strumento di adeguamento di quelle norme alle esigenze dell’esperienza giuridica medievale e postmedievale in continua crescita. Gli atti notarili si ponevano perciò quali autentiche fonti del diritto comune europeo[[1]].
Naturalmente le opinioni di notai, giudici, dottori si accumulavano l’una dopo l’altra; si formavano opinioni comuni, più che comuni, comunissime; tesaurizzate nei farraginosi formulari sei-settecenteschi, provocando la reazione risentita e critica di Muratori (Dei difetti della giurisprudenza, 1742) e Beccaria (Dei delitti e delle pene, 1764) contro il diritto comune monopolizzato da giudici e notai. La risposta alla ridda delle opinioni interpretative venne con il puntiglio codificatorio di Napoleone che cancella la precedente formazione alluvionale del diritto, riducendo tutto il diritto dei privati ad un’unica fonte, moderna, chiara, di facile consultazione: il Code Civil del 1804 (dal 1807 Code Napoleon). Il codice civile rivela la sua filiazione illuministica; esso è una fonte unitaria, specchio e cemento dell’unità dello Stato; è fonte completa ed esauriente, ma anche fonte esclusiva.
Complementare al Codice ed espressione della medesima ideologia giuridica postilluministica è la prima legge organica sul Notariato, che esprime le istanze del nuovo contesto politico-istituzionale e segna l’avvento del moderno nella storia europea dell’istituzione notarile. La legge francese del 25 Ventoso XI (16 marzo 1803), preceduta da un lavoro preparatorio durato oltre dieci anni, individua nel notaio l’organo fondamentale per la cura e la documentazione dell’autonomia dei privati[[2]].
Si tratta di un atto normativo non solo in stretta continuità cronologica con il Code Civil del 1804, ma decisamente collocato nell’ambito del disegno strategico della codificazione teso a idealizzare e irrobustire la figura del Principe ed a consegnare nelle sue mani la costruzione dell’ordine giuridico, onde pervenire al risultato del protagonismo dello Stato e della affermazione del suo monopolio nella produzione del diritto. Il che portava a fare assurgere la legge a fonte giganteggiante sulla struttura gerarchica delle fonti del diritto ed a ridurre in essa tutta l’articolazione rigidamente piramidale delle fonti subordinate. Coerentemente a queste premesse l’interpretazione del diritto si risolveva nella mera constatazione della volontà del legislatore ed il giurista esiliato nella bassa corte dell’esegesi[[3]].
La legge del 25 Ventoso costituisce l’indiscusso modello per gli ordinamenti notarili successivi in tutta l’area del notariato latino. Non tanto perché essa fu direttamente operante negli Stati annessi alla Francia, quanto perché a tale modello si ispirarono in diversa misura le leggi sull’ordinamento del Notariato, e tra esse, la prima legge notarile dell’Italia unita del 25 luglio 1875. In tutti gli ordinamenti di civil law verrà infatti mantenuta la stretta connessione con le corrispondenti codificazioni civili: la fisionomia della figura giuridica del notaio – tanto nei codici civili, quanto nelle leggi notarili – è costruita dall’angolo visuale della funzione documentale. Tale impostazione, già presente nei codici pre-unitari e nel c.c. 1865, permane ininterrottamente anche nella legislazione vigente.
Per limitare il nostro discorso all’Italia, la legge notarile vigente (l. 16 febbraio 1913, n. 89) definisce i notai ufficiali pubblici «istituiti per ricevere gli atti atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie i certificati, gli estratti» (art. 1). Nel codice civile si tratta della figura del notaio come un documentatore, il cui ufficio è costruito in funzione della costruzione di documenti rappresentativi della manifestazione di volontà dei privati, con valore non solo di atto pubblico (art. 2699 c.c.) ma anche in funzione fidefacente (art. 2700 c.c.).
La normativa in oggetto è collocata nel quadro della disciplina della prova documentale (art. 2699 ss. c.c.). Anche le ulteriori disposizioni del codice che riguardano l’attività notarile individuano nel notaio un formatore di documenti (v. artt. 2328 e 2330 c.c. per la costituzione di società per azioni; 2375 c.c. per i verbali di assemblea straordinaria, l’art. 2657 c.c. in tema di titoli idonei per la trascrizione nei pubblici registri immobiliari etc.).
L’impostazione caratteristica del positivismo giuridico – dominata dalla pesante ipoteca culturale esegetico-pandettistica – vede dunque nel notaio moderno, intendendo per modernità giuridica[[4]] il periodo successivo alla codificazione napoleonica, fino alla Costituzione repubblicana del 1948, un formatore di documenti, un documentatore al quale resta estraneo ogni compito progettuale.
Siamo quindi all’opposto della Bologna medievale, dove i maestri dell’ars notaria, ben inseriti nella polis, creavano diritto, giorno dopo giorno, attraverso la interpretatio, costruendo un modello evoluto e raffinato di sistemazione del diritto vivente. Non a torto un acuto civilista, che però era nato alla scienza giuridica come storico, parla di “estrastatualità” del diritto civile fino alla nuova visione che la Rivoluzione volle, progettò e realizzò[[5]].
Il Novecento e la postmodernità giuridica
La legge notarile del 1913 ed il codice civile del 1942 – che individuano nella figura del notaio il soggetto cui si chiede unicamente di compilare l’atto con chiarezza e precisione – sono espressione di una stagione che un illustre storico del diritto ha definito dell’assolutismo giuridico, caratterizzata cioè dal monismo legislativo e da un interpretazione meramente dichiarativa, retta sulla convinzione della struttura logico-razionale (sillogistica) della interpretazione/applicazione della legge: il giudice potere nullo o “bocca della legge”, secondo la celebre formula di Montesquieu. Nel capitolo VI del libro XI dell’Esprit des lois il giudice è descritto (ma in realtà si tratta di un pensiero prescrittivo che vale per ogni interprete) come “être inanimé” attraverso il quale parla la legge. Perciò delle tre puissances dello Stato quella giurisdizionale è “en quelque façon nulle”.
È questo il postulato fondamentale del positivismo legislativo, riassumibile nel principio del monopolio legislativo della produzione del diritto. Il suo corollario sul piano metodologico (interpretativo) è: la legge è univoca e completa, include in se stessa, come suoi costrutti, tutti i casi possibili e quindi ha in sè la forza di produrre la regola della decisione per ogni caso concreto, mediante sillogismi automatici, la cui formulazione è il solo compito dell’interprete: les lois s’expliquent d’elles-mêmes. L’applicazione della legge non è che la riproduzione meccanica, in tutti i casi logicamente sussumibili nella fattispecie legale, di un significato normativo già compiutamente fissato una volta per tutte. Nella concezione del positivismo giuridico[[6]], sia della scuola dell’esegesi francese, sia della scuola pandettistica tedesca, l’interpretazione della legge postula una indipendenza assoluta della norma dal caso concreto, si sviluppa e si esaurisce interamente all’interno della dimensione terminologica, tra i cancelli delle parole[[7]].
È chiaro che ad un notaio-documentatore non avrebbe senso chiedere uno sforzo argomentativo oppure l’onere di fornire una motivazione delle scelte interpretative o delle soluzioni negoziali. Del resto, come sopra si accennava, in una civiltà giuridica statalistica e legalistica come quella moderna la stessa interpretazione/applicazione è collocata in un passivo non-ruolo; assegnare ad essa un ruolo attivo avrebbe significato incrinare irrimediabilmente le basi dell’edificio rigidamente legalitario. L’essenziale è solo ciò che volle e pensò il legislatore nel momento della produzione della norma, restando irrilevanti gli accadimenti successivi.
Ma il Novecento è stato un secolo in cui tutto è stato rimesso in discussione, specialmente nei decenni a noi più vicini.
L’avvento della condizione postmoderna in Europa viene fissato da Lyotard negli anni Cinquanta del secolo scorso. Sul piano generale la riflessione filosofica, a partire dagli anni Settanta del secolo XX, ha definito la condizione postmoderna del sapere come il tramonto delle grandi metanarrazioni che avevano caratterizzato la modernità: illuminismo, idealismo, marxismo. L’analisi è nota. L’età moderna era caratterizzata da grandi racconti, aventi per finalità la legittimazione politica e sociale del sapere. Le grandi ideologie del passato apparivano a Lyotard, Foucault, Derrida, incapaci di spiegare la realtà contemporanea, avendo perso coerenza e peso assiologico, nel momento in cui il sapere stesso diviene oggetto di circolazione, di scambio e di potenza esplicita: ad un sapere assoluto ed unico i postmoderni sostituiscono molti saperi specialistici, provvisori, frammentari, instabili, legati ad una situazione o a uno specifico contesto[[8]], con l’apertura di nuove chanches per il pensiero, non più condizionato dalla ricerca del “fondamentale” e più aperto verso il possibile, l’eventuale.
Secondo la nota formulazione di Popper[[9]], ogni teoria è sempre provvisoria, anche quando riteniamo di non avere più ragioni per dubitarne, senza speranze di fondatezza certa o di totalità assoluta. Il noto frammento postumo di Nietzsche è divenuto la pietra angolare del post modernismo, «non esistono veramente fatti, ma solo interpretazioni»[[10]].
Per quanto concerne la storia giuridica il secolo ventesimo si snoda lentamente, senza sbalzi improvvisi, ma solcato da eventi formidabili che determinano nuovi assestamenti ed anche in questo settore dell’esperienza un vero e proprio cambio di paradigma, all’insegna di un messaggio puntuale: prima dello Stato c’è il diritto. Limitandoci ai fatti essenziali funzionali al nostro discorso, occorre ricordare che l’evoluzione ha seguito un duplice percorso, quello teorico della rivoluzione ermeneutica e quello pratico del passaggio da un sistema delle fonti chiuso ad un sistema aperto[[11]]. Questi itinerari della scienza giuridica novecentesca meritano qualche breve considerazione.
Espressioni della postmodernità novecentesca
Iniziando dal pluralismo delle fonti, in luogo del monismo legislativo moderno, una prima espressione profondamente nuova della giuridicità novecentesca pare doveroso rintracciare nel contrassegno pluralistico della Costituzione repubblicana del 1948. Nella nuova Costituzione è la società che parla, che esprime il proprio volto pluralistico e complesso. La Costituzione non è e non vuole essere un codice, rifiuta i dettagli ed i comandi specifici, fissa principi (e quindi valori) espressi ed inespressi, rinvenibili nella soggiacente dimensione costituzionale, ossia riposti – per dirla con le parole di Mortati – in «certi fondamentali orientamenti sufficienti ad ispirare il sistema dei rapporti economici, religiosi, culturali etc.» sui quali una società si struttura[[12]].
Il pluralismo sociale, culturale e giuridico introdotto dalla Costituzione costituisce una prima breccia nella gerarchia delle fonti, fissata nell’art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile. Dapprima vista dai civilisti come un ingombrante ostacolo da esorcizzare o da ignorare, in una fase più matura impone ad essi la necessità di “rileggere” il codice civile in stretta connessione ed in dialettica con i principi della Carta, di familiarizzare con i due piani di legalità (costituzionale ed ordinaria), di cui il primo sovraordinato e depositario di una legittimazione suprema. La Costituzione contribuisce a rompere la logica della fattispecie poiché individua i principi che allargano l’ambito di riferimento dell’interprete, inducendolo a valutare i valori prevalenti nel contesto sociale in relazione ai beni, ai diritti ed interessi implicati nella concreta vicenda contrattuale o giudiziale[[13]].
Pionieristico in questa “rilettura” fu Rosario Nicolò in due note voci enciclopediche, poi venne Pietro Rescigno, seguito da Stefano Rodotà, Pietro Perlingieri e, in seguito, da molti altri studiosi[[14]], che hanno richiamato l’esigenza di ripensare le categorie dogmatiche della tradizione civilistica nel quadro della legalità costituzionale.
Un secondo fenomeno che realizza una fuoriuscita dai rigidi schemi attraverso i quali si esprime la cultura giuspositivistica è rappresentato dal progressivo affermarsi del diritto europeo, un ordinamento giuridico che trae origine da un assetto organizzativo economico, da un mercato comune. Riconoscendo un ruolo rilevante al diritto di formazione giudiziale (Corte di giustizia di Lussemburgo e Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo). Questo innovativo farsi del diritto contribuisce ad affermare il pluralismo delle fonti attraverso il riconoscimento della fonte dottrinale e giurisprudenziale. Diffusamente quindi si parla oggi di discipline multi livello[[15]].
Un ultimo accenno va fatto a un’altra espressione tipicamente postmoderna, che sarebbe indebito trascurare considerato il suo ruolo crescente, e cioè la cosiddetta globalizzazione giuridica. La quale consiste in una singolare circostanza peculiare al maturo capitalismo moderno che stiamo vivendo: a fronte delle esigenze stingenti dello sviluppo economico ormai a proiezione globale della impotenza degli ordinamenti ufficiali (statali o sovrastatali o internazionali) sono i protagonisti del mercato sempre più globale a pretendere il conio di nuovi disciplinamenti del traffico economico, di nuovi assetti e categorie giuridiche; i quali nati e consolidati nella prassi quotidiana e perciò grezzi ed informi, abbisognando di adeguati rivestimenti tecnici vengono affidati al cesello di grandi studi professionali, di grandi law firms[[16]]. Questo tiers ordre juridique[[17]] è stato definito lex mercatoria, pensando ai mercanti medievali inventori di tanti appropriati strumenti organizzativi dei loro affari a livello locale ed europeo.
L’accostamento, pur con le necessarie differenziazioni, non appare improprio: si tratta – allora come oggi – di una genesi spontanea, spiccatamente esperienziale, ossia del prodotto di una prassi economica vivace; dunque di qualcosa di estra-statuale che non esiste a livello ufficiale, almeno fino a quando qualche legislatore nazionale si adegua alla prassi e la fornisce di veste legislativa, (come è recentemente accaduto in Italia con riferimento allo schema negoziale del rent to buy, recepito dal d.l. n. 133 del 2014 convertito dalla l. n. 164 del 2014). Allora, come oggi, si tratta di istituti nuovi di zecca che, coerenti alle richieste del mercato, allignano prontamente e prontamente si diffondono a livello globale (livello che, nel tardo medioevo, si limitava ovviamente all’Europa occidentale dal Mediterraneo al Baltico).
In conclusione, negli ultimi decenni del Novecento lo scenario del sistema delle fonti del diritto privato muta completamente diviene più complesso. Umberto Breccia qualifica il paesaggio giuridico disegnato dai redattori dell’art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al codice civile «un ordine irreale, un sistema perduto»[[18]]. Una disposizione galleggiante, quasi senza radicazioni, nell’ordinamento della Repubblica, al pari, come vedremo tra un momento, dell’art. 12, cioè delle regole sulla interpretazione della legge.
La revisione epistemologica della teoria dell’interpretazione
Come si accennava nella conclusione del secondo paragrafo di questo contributo, il discorso sull’odierno paesaggio giuridico sarebbe incompleto se non si ricordasse, nelle linee essenziali, il profondo ripensamento, un’autentica rivoluzione, che si è registrato sul problematico tema dell’interpretazione giuridica.
Anche se l’itinerario può farsi risalire alle analisi dello storicismo tedesco, in particolare a Friedrich Schleiermacher (1768-1824) studioso dei testi, è stato Hans Georg Gadamer, che, su un piano di pura speculazione filosofica, sviluppando intuizioni di Heidegger, si era posto il problema del carattere essenziale dell’attività intellettiva dell’interpretare, del rapporto tra interprete e testo.
Questo filosofo afferma, muovendo dall’esistenzialismo, che la comprensione non rappresenta una forma di conoscenza, ma un modo di essere dell’esserci, per cui l’essere sviluppa la capacità del poter essere, del poter conoscere, del poter affrontare determinate situazioni. La comprensione afferma Gadamer è «il carattere ontologico originario della vita umana stessa», e riconosce all’ermeneutica giuridica un “significato esemplare”, come recita l’intitolazione di un capitolo centrale della sua innovativa opera Wahrheit und Methode (1960).
La verità elementare che Gadamer disseppellisce – tanto elementare, quanto intimamente eversiva – è la inseparabilità del momento della produzione della norma dal momento della interpretazione applicazione. Gadamer chiarisce che la interpretazione non si esaurisce nella spiegazione di un testo conchiuso ed indisponibile, ma è piuttosto intermediazione necessaria e vitale tra le proposizioni astratte della legge e la concretezza storica che l’interprete ha di fronte. Punto di partenza è la precomprensione (Vorvestrtandnis) che abbiamo di un testo, sedimentata nel linguaggio. Ciò avvia un circolo ermeneutico tra interpretante e interpretandum in cui per giungere al significato del testo giova certamente indagare l’intenzione dell’autore, ma è possibile coglierlo anche al di là della sua intenzione. Il giurista coglie il «senso della legge in base al caso specifico e in vista di questo caso»[[19]].
In tal modo Gadamer – al quale i più fanno risalire l’ermeneutica giuridica contemporanea – sposta l’attenzione dell’interprete dall’ontologia alla storia e offre ai giuristi l’occasione per un ripensamento del problema dell’interpretazione, che si realizzò dapprima nel dialogo instauratosi con il civilista tedesco Esser, e poi tra Esser ed il civilista italiano Luigi Mengoni. Successivamente Mengoni e molti filosofi del diritto, tra i quali Giuseppe Zaccaria, ribadiscono l’intuizione gadameriana della creatività dell’interpretazione[[20]].
Vi è ulteriormente da aggiungere che il carattere valutativo dell’attività notarile non riguarda soltanto il momento dell’individuazione della norma applicabile al fatto concreto, concernendo anche la ricostruzione del caso stesso da regolare.
Così come, infatti, la norma è il risultato dell’interpretazione della disposizione di legge, anche la fattispecie concreta da regolare non è un dato oggettivo che preesiste all’atto notarile, essendo la sua definizione anch’essa affidata al notaio. Attraverso l’esercizio di una discrezionalità che va oltre quella insita nell’attività interpretativa delle norme di legge sostanziale, investendo la ricerca, la scelta e la valutazione dei fatti e dei documenti oggetto dell’istruttoria. Il fatto, dunque, non è puro accadimento ma accadimento problematico al quale il notaio deve attribuire un senso o significato, per mezzo delle proprie categorie di significato[[21]].
Trasformazioni della figura giuridica del notaio. La prassi notarile e gli “orientamenti notarili” in materia societaria
Per quel che interessa ai fini della metamorfosi della funzione notarile, conviene tentare di fissare le svolte innovative determinate dal pluralismo delle fonti e dalla rivoluzione gadameriana, rispetto alla vecchia figura del notaio del primo Novecento.
Statalismo e legalismo sottesi alla legge notarile ed al codice civile avevano tre scopi fondamentali: collocare l’applicazione/interpretazione fuori dal processo di produzione del diritto; concepire il notaio come un soggetto tenuto alla semplice intelligenza del contenuto di volontà delle parti e tradurlo in un linguaggio e in una forma giuridica conforme alla legge, riducendosi il suo ruolo ad una mera presa d’atto, con distacco totale tra il notaio e le parti, tra interprete e testo; eludere il problema – di fatto ineludibile – della frizione tra testo della legge e vita reale, tra immobilità del comando fissato sulla carta e mobilità del magma sociale cui la legge ed il contratto sono destinati.
Poliarchia delle fonti del diritto e revisione ermeneutica richiamano invece ad alcune “verità” prima ignorate o rimosse: il testo non è affatto una realtà autosufficiente, ma ha al contrario compiutezza solo con l’interpretazione, che immerge la regola legislativa nella storia quotidiana; l’applicazione notarile costituisce, come la comprensione e la spiegazione, un aspetto costitutivo dell’atto interpretativo inteso come unità; l’interpretazione notarile non è operazione meramente conoscitiva ma è, appunto, comprensione, intermediazione tra la volontà delle parti, il testo legislativo e l’attività dell’interprete. Il notaio viene valorizzato quale attore primario della costruzione della soluzione negoziale, dovendo giudicare del fatto, poi del diritto e, infine costruire il contratto, che sarà poi a sua volta interpretato da altri.
Per calare al nostro campo di indagine e volendo procedere ad una verifica nel campo dell’esperienza quotidiana in ordine alla profonda trasformazione strutturale e funzionale che l’attività notarile ha registrato negli ultimi decenni, è sufficiente spostare l’attenzione dai testi di legge alla prassi negoziale notarile, cioè a quel complesso di soluzioni operative adottate dai notai e ripetute nel tempo.
Il notaio, essendo collocato al pari del giudice nella estrema trincea dove i cittadini chiedono soluzioni immediate per i loro problemi, non potrà sottrarsi al dovere elementare di corrispondervi; e vi corrisponde unicamente se, accanto all’esegesi delle norme legislative, egli si fa concretamente interprete, cioè mediatore tra fatti sopravvenuti e diritto ufficiale, o addirittura inventore.
Di fronte ai bisogni nuovi e novissimi della mutevole realtà il notaio potrà trovare la soluzione tecnica adeguata ad ordinare la fattispecie che le parti sottopongono al suo giudizio attraverso due strade. La prima è quella di trasfigurare vecchi arnesi dell’officina giuridica dando loro nuovo vigore. Come è accaduto con la permuta (attualizzata durante la fase dell’espansione edilizia nella permuta del terreno con i futuri appartamenti da costruire) o con la servitus altius non tollendi, (utilizzata per per cedere la cubatura di un fondo al vicino, finché il legislatore ha ribattezzato le cessioni di cubatura sorte negli studi notarili come diritti edificatori, richiamandoli nell’art. 2643, n. 2-bis, c.c.)[[22]]. In alternativa, il notaio di fronte alla carica normativa di alcuni fatti può conferire loro un conio tecnico, scovando appoggi o coperture formali all’interno del mondo giuridico ufficiale. Prima o poi, presto o tardi il legislatore interviene, come è stato per il trust, per il negozio di affidamento fiduciario, per il rent to buy di immobili.
In questi casi il notaio, senza che lui lo voglia, forte solo della propria perizia tecnica e della propria disponibilità all’ascolto della storia (che è storia minuta, umile, non rumorosa, ma che è la storia quotidiana delle persone), fa un autentico salto di piano: il documentatore diventa anche produttore di diritto[[23]].
Nel diritto commerciale l’apporto della prassi è ancora più evidente: basti pensare all’importanza che hanno assunto nel settore (non solo per le grandi società, ma soprattutto per quella moltitudine di piccole realtà che pare rappresentare la spina dorsale della nostra economia) alcune clausole che, seppure con formulazioni differenti ma accomunate dalla medesima finalità socio economica, sono il prodotto di un’accorta opera di interpretazione ed applicazione notarile, quali le clausole di prelazione e di gradimento, le clausole di co-vendita (tag along), le clausole di trascinamento (drag along).
Con riferimento alla interpretatio notarile una speciale menzione meritano gli “orientamenti” e le “massime” di diritto societario, elaborate dai comitati regionali o da apposite commissioni create dai Consigli notarili, poiché costituiscono un notevole esempio di diritto di matrice extralegale. Si tratta di consolidazioni di prassi applicative con attitudine a svolgere un ruolo ordinante assai più incisivo di una semplice guida offerta ai singoli notai. Essi non rappresentano atti isolati, legal opinion di un singolo studioso sia pure autorevole, ma regole che, impegnando appunto la riflessione collettiva di una comunità di esperti, possessori di uno specifico sapere professionale, godono di una effettività giuridica sostanziale; costituiscono, in altre parole, una soft law, un canale privato di produzione del diritto che si affianca a quelli ufficiali, dando luogo a una prassi uniforme e tramandabile che si afferma come diritto applicato, ponendosi nel sistema delle fonti – in sinergia con l’interpretazione giudiziale – quale sede privilegiata di interpretazione/applicazione del diritto societario contemporaneo[[24]]. Un diritto che nasce “in basso” e dal basso e che dopo una dialettica interna alla categoria viene offerto al pubblico dibattito della comunità scientifica.
La motivazione dell’atto notarile
Se la teoria dell’interpretazione è radicalmente mutata, unitamente al metodo giuridico, durante la post modernità novecentesca; se oggi la gerarchia delle fonti ha lasciato il posto ad una rete di fonti; può ancora risolversi la funzione notarile nel compilare l’atto con chiarezza e precisione?
Riconoscere la polisemia dei testi normativi, rende evidente il momento discrezionale (ma non arbitrario) in ordine alla scelta, tra i possibili sensi del testo legale, del significato da attribuire alla disposizione normativa. La disposizione costituisce in definitiva lo “spazio di possibilità” entro il quale identificare, attraverso l’interpretazione, la norma. Il notaio giurista ogni volta che interpreta è dunque chiamato a una scelta, a una “motivata decisione” e diventa mediatore tra testo e realtà sociale. Riconoscere che esiste una pluralità di fonti del diritto, in buona parte di matrice extra legale, rende evidente la complessità e difficoltà dell’interpretazione notarile nel tempo presente[[25]].
Si tratta di pura teoria? Al contrario, queste considerazioni conducono alla conclusione che la funzione notarile ha subito nel corso degli ultimi decenni un profondo mutamento. La funzione del notaio contemporaneo non può risolversi nella deduzione della regola del caso concreto dalla norma, fatto di pura logica, ma deve più congruamente sostanziarsi in una scelta ermeneutica che risulti ragionevole e giustificata in un quadro sistematico di apprezzamento della fattispecie concreta, come ci ricorda la giurisprudenza sui doveri di informazione del notaio[[26]].
Il notariato ha iniziato faticosamente a prendere atto che il ricorso al dato legale non è più sufficiente; che occorrono strumenti ermeneutici più sofisticati di fronte ai dubbi interpretativi che emergono dalla complessa realtà sociale; che occorre partire dal “caso” reale, ossia dal problema per la cui soluzione il testo di legge deve essere compreso, integrando il pensiero problematico nel pensiero sistematico.
Il rinnovamento del metodo giuridico implica che ciascuno di noi deve compiere oggi un complesso sforzo ermeneutico, assumere la responsabilità di decisioni problematiche, adeguare l’approccio tradizionale alle mutate e mutevoli esigenze sociali. Per confezionare un testo contrattuale che consenta di raggiungere gli effetti voluti dalle parti e riconosciuti dall’ordinamento è oggi necessario un articolato procedimento di interpretazione/applicazione che muova bensì dal dato normativo, ma che sia anche misurato sui valori costituzionali e sovranazionali, sulle clausole generali[[27]], sulla ricomposizione delle asimmetrie informative, sulla ricerca di una giustizia sostenibile, alla luce della prassi di matrice giurisprudenziale e amministrativa[[28]].
Il notaio contemporaneo trova, dunque, il quid proprium della sua attività nella partecipazione alla costruzione del diritto vivente, che oggi appare solo in minima parte lasciato alle norme di fonte legale. Accanto alla prassi amministrativa, alla giurisprudenza delle corti, la prassi notarile è creatrice di diritto e rappresenta un modello non conclamato e appariscente, ma evoluto e idoneo a incidere in profondità sulla sistemazione del diritto vivente[[29]]. I compiti del notaio sono dunque più complessi di quelli che svolgeva nel secolo scorso. La sua formazione deve pertanto essere ripensata alla luce di questi nuovi fenomeni.
In questa prospettiva, recuperata la consapevolezza del rinnovato coinvolgimento del giurista nella produzione del diritto, nelle vicende negoziali nelle quali l’apporto creativo del notaio risulta più cospicuo, potrebbe essere opportuno non limitarsi al mero richiamo dei dati legislativi ma illustrare in modo sintetico e conciso le ragioni, anche normative, che supportano quella soluzione, attraverso un discorso giustificativo argomentato in modo più o meno complesso, inserendo la disposizione legislativa nella rete delle fonti utilizzate. Una consapevole voce del notariato ha posto la questione alla fine degli anni Settanta del Novecento, suggerendo in luogo di inutili premesse storiche di «chiarire i motivi logici e giuridici e le scelte operate, richiamando i precedenti giurisprudenziali, dottrinali e notarili»[[30]].
La riflessione scientifica e il dibattito collettivo si è a lungo occupato della motivazione delle sentenze, viceversa l’utilità/necessità di una motivazione per gli atti notarili è un tema alquanto trascurato. Tuttavia la motivazione/argomentazione degli atti notarili potrebbe davvero rappresentare un sostegno centrale degli atti più complessi, per esprimere a pieno quella mediazione tra fatto e diritto nella quale si risolve in gran parte la funzione del notaio contemporaneo.
Venuta meno, pur nella costanza dell’assetto normativo formale, a causa della svolta “ordinamentale” e della rivoluzione ermeneutica, alle quali si è fatto sopra sintetico riferimento, la possibilità per il notaio contemporaneo di assicurare la “certezza” degli effetti perseguiti dalle parti, potrebbe risultare utile, nelle situazioni più complesse, rendere palese nell’atto notarile il percorso logico e giuridico sottostante alle scelte negoziali e redazionali adottate. Se la soluzione negoziale costituisce una “invenzione della ragione” essa dovrebbe essere costruita sulla densità dell’argomentazione e basata su una congrua motivazione. Tanto più nella fase attuale, nella quale lo Stato, prima al centro della gestione dei conflitti, attraverso il monopolio della giurisdizione, tende a ritirarsi in parte da tale attività, (ri)proponendo l’autonomia privata, e quindi il contratto, come tecnica e fonte della composizione dei conflitti[[31]].
La riscoperta della complessità dell’ordinamento giuridico pone il legislatore ed il giudice in una situazione di interrelazione con altre fonti o, come oggi si suol dire, all’interno di una rete. Rete in cui ha acquisito spazio ed incisività il notaio che unisce competenze giuridiche specifiche ed – insieme – imparzialità.
È proprio in grazia di questa specifica competenza e della imparzialità, alla quale il notaio è tenuto e di cui è portatore, che egli trae il fondamento democratico della propria attività professionale. Democratico perché è proprio quanto chiede a lui la stessa società civile pretendendo da questo operatore del diritto le necessarie e solide intelaiature per ordinare il complesso magma sociale ed economico. Ed è questa una ragione ulteriore per la quale le scelte ermeneutiche operate dal notaio devono risultare argomentate, cioè ragionevoli e giustificate da una sobria e concisa motivazione, che, da un lato, le rende più chiare ed intellegibili e, dall’altro, renda palese la causa in concreto e, ove occorra i motivi, spesso non irrilevanti per il diritto, come risulta dall’art. 1345 c.c.
Attraverso una maggiore attenzione al percorso argomentativo sotteso ai propri atti il notaio contemporaneo potrebbe rafforzare ed irrobustire il proprio ruolo ordinante, di artefice del rinnovamento, anche in senso democratico del diritto vivente. Raccogliendo l’invito, da tempo formulato da una consapevole riflessione scientifica[[32]] ad operare per dar vita ad un nuovo ordine giuridico, sensibilmente diverso da quello introdotto da circa due secoli nell’Europa continentale.
[1] P. GROSSI, L’Europa del diritto, Roma-Bari, 2007, 30 ove il rilievo che la prassi aborrisce l’uso di una modellistica rigida «i suoi stampi sono duttili e mutevoli, con un affidamento totale alle intuizioni del notaio» G. GORLA, Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981.
[2] Per gli opportuni riferimenti cfr. F. MAZZANTI PEPE – G. ANCARANI, Il Notariato in Italia dall’età naopleonica all’Unità, Roma, 1983; F. MAZZANTI PEPE, La legge del Ventoso: un modello tra tradizione e innovazione, in Studi e Materiali, 2003, 1, 271 ss.; M. PALAZZO, Ars notaria e cultura giuridica dopo la legge del 25 Ventoso, ivi, 2004, 2, 115 ss.; S. TONDO, Tradizione codicistica e notariato, in Vita not., 2012, 1, 3 ss. Per un disteso esame in chiave storico-giuridica del ruolo del notaio in Francia, cfr. J. HILAIRE, La scienza dei notai. La lunga storia del Notariato in Francia, Milano, 2003.
[3] Sull’ordine giuridico della modernità ha lungamente riflettuto P. GROSSI, Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, 1998. Recentemente ha ben descritto il superamento del legicentrismo, G. BENEDETTI, La cultura del civilista al risveglio del sonno dogmatico, in Oggettività esistenziale dell’interpretazione. Studi su ermeneutica e diritto, Torino, 2014.
[4] Per evitare possibili e forse probabili fraintendimenti sui caratteri della modernità e posmodernità giuridica, è utile rimandare alla lettura del contributo di P. GROSSI, Introduzione al Novecento giuridico, Roma-Bari, 2012.
[5] Il riferimento è, ovviamente, a F. VASSALLI, Estrastatualità del diritto civile (1951), ora in Scritti giuridici, III, t. II, Milano, 1960.
[6] Questo sintagma sta a indicare la concezione che identifica il diritto nei comandi “posti” da un’autorità munita del potere di coazione; positivismo giuridico vale statalismo e legalismo. Il rischio, spesso verificatosi, è il distacco dei testi dalla realtà socio-economica e il costo conseguente è un carattere eminentemente formale del diritto. Cfr. U. SCARPELLI, Cos’è il positivismo giuridico, Napoli, 1965. Altro è il positivismo filosofico (e quindi occorre guardarsi da una fallace assonanza) che significa rifiuto di ogni richiamo alla trascendenza e di ogni metafisica. Esistendo solo la realtà immanente, è consequenziale che, sul piano delle scienze, il primato vada a quelle naturali, anche il primato epistemologico. Il cultore delle scienze morali (e quindi anche il giurista) deve reperire in quel cospicuo forziere, metodologia, principi, strumenti, linguaggio. Cfr. E. GARIN, Storia della filosofia italiana, III, Torino, 1966, 1269.
[7] N. IRTI, I cancelli delle parole, Napoli, 2015.
[8] J.F. LYOTARD, La condition postmoderne (1979), trad. it. di C. Formenti, La condizione postmoderna, IV ed., Milano, 1989. Sempre attuali le riflessioni di M. FERRARIS, Tracce, Nichilismo Moderno Postmoderno (seguito da Il postmoderno vent’anni dopo), Milano 2006. Con specifico riferimento alla postmodernità nel diritto, oltre alla riflessione di P. GROSSI, Introduzione al Novecento giuridico, cit., cfr. V. SCALISI, Fonti-Teoria-Metodo. Alla ricerca della regola giuridica nell’epoca della postmodernità, Milano, 2012; G. MINDA, Postmodern Legal Movements Law and Jurisprudence at Century’s End, New York and London, 1995, trad. it. di COLLI – BARBERIS (a cura di), Teorie postmoderne del diritto, Bologna 2001; M. VOGLIOTTI, Tra fatto e diritto. Oltre la modernità giuridica, Torino, 2007; P. PELLEGRINO, Introduzione alla cultura del postmodernismo giuridico, Roma, 2012.
[9] Sul pensiero di Popper cfr. G. BRIANESE (a cura di), Congetture e confutazioni di Popper e il dibattito epistemologico post-popperiano, Torino, 1988.
[10] F. NIETZSCHE, Frammenti postumi (1885-1887), VIII, t. 1, trad. it. a cura di G. Colli – M. Montinari, Milano, 1975, 299. Per una lettura di Nietzsche come filosofo dello smascheramento cfr. E. FINK, La filosofia di Nietzsche, Venezia, 1977.
[11] Per una sintesi anche in chiave storico giuridica della evoluzione del sistema delle fonti e della teoria dell’intepretazione giuridica, si veda A. GENTILI, Senso e consenso. Storia, teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti, Torino, 2015, 4 ss. L. LOMBARDI VALLAURI, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, 1967. Più recentemente B. PASTORE, Interpreti e fonti nell’esperienza giuridica contemporanea, Torino, 2014, 32 ss.
[12] C. MORTATI, Costituzione (dottrine generali), in Enc. del diritto, Vol. XI, Milano, 1962, 162. Sul significato postmoderno della Costituzione, P. GROSSI, La Costituzione italiana quale espressione di un tempo giuridico posmoderno, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013.
[13] N. LIPARI, La codificazione nella stagione della globalizzazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 880 ss.; per una diversa valutazione N. IRTI, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, 36 ss.
[14] Nel 1960 R. NICOLÒ, nella voce Codice Civile, in Enc. dir., VII, Milano, prende atto dell’ingombrante evento novissimo rappresentato dalla Costituzione e con essa inizia a fare i conti, sviluppando i problemi individuati nel 1964 nella voce Diritto civile, sempre nella Enc. dir., XII. Con il progetto ben chiaro di recuperare una vasta gamma di situazioni collettive entro i confini del diritto privato, l’allievo di Santoro Passarelli, P. RESCIGNO dedica una grossa attenzione alle formazioni sociali nel solco dell’art. 2. Cost. Rilevanti i saggi raccolti in Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Bologna, 1966 e vol. 2. (1967-1987), Bologna, 1988. La prolusione maceratese dell’allievo romano di Nicolò, S. RODOTÀ, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, si legge in Riv. dir. comm., I, 1967, 83, ristampata con prefazione dell’A. dal titolo Quarant’anni dopo, Napoli, 2007. Le posizioni di P. PERLINGIERI, possono ritrovarsi nella prolusione camerte Produzione scientifica e realtà pratica:una frattura da evitare, in Riv. dir. comm., 1969, 455 ss., ora in ID. Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1989, 1 ss. La vicenda culturale cui si accenna nel testo è ampiamente descritta in P. GROSSI, La cultura del civilista italiano – Un profilo storico, Milano, 2002.
[15] G. ZACCARIA, Trasformazione e riarticolazione delle fonti del diritto,oggi, in ZACCARIA (a cura di), La comprensione del diritto, Roma-Bari, 2012.
[16] P. GROSSI, Globalizzazione,diritto, scienza giuridica (2002), in Società, diritto, Stato – Un recupero per il diritto, Milano, 2006. F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2010.
[17] A. PELLET, La lex mercatoria, “tiers ordre Juridique?” Remarque ingenues d’un internationaliste de droti public in Souveraineté etatique et marches internationaux à la fin du 20 siècle – Melanges en l’honneur de Phiplippe Kahn, Paris, 2000, 53 ss.
[18] U. BRECCIA, Immagini della giuridicità contemporanea tra disordine delle fonti e ritorno al diritto, in Politica del diritto, 2006, 366.
[19] H.G. GADAMER, Verità e metodo, (1960), trad. it. di G. Vattimo, Milano, 2000, 441.
[20] Da ultimo, P. GROSSI, L’invenzione del diritto, Roma-Bari, 2017. Il tema degli spazi e dei confini dell’interpretazione della legge rappresenta uno snodo centrale nel dibattito giuridico contemporaneo, non appare casuale che la rivista Questione giustizia abbia dedicato ad esso l’intero numero 4/2016, con contributi, tra gli altri, di Nicolò Lipari, Alberto Giusti, Luigi Ferrajoli.
[21] Cfr. J. ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto: fondamenti di razionalità nella prassi decisionale del giudice (1972), Napoli, 1983. Secondo questo autore la precomprensione si svolge in primo luogo a livello del fatto e prosegue con riguardo alla norma da applicare.
[22] Su questa specifica vicenda cfr. G. TRAPANI, I diritti edificatori, Milano, 2014.
[23] Per un’ampia riflessione sul ruolo della prassi notarile in tema di situazioni reali si veda il volume, Il contributo della prassi notarile alla evoluzione delle situazioni reali, in Quaderni della Fondazione italiana del Notariato, 2015, 1, con Prefazione e Conclusioni di P. GROSSI. Un’interessante indagine sul tema delle reciproche interferenze dei diversi formanti in G. BEVIVINO, Il ruolo delle massime notarili nel dialogo tra i diversi formanti, in Contr. e impr., 2016, 6, 1559 ss. Riafferma il ruolo creativo del notaio F. DI MARZIO, Sulla prassi notarile, in Giustiziacivile.com, 24 febbraio 2017. Di notevole interesse il Quaderno n. 38 della rivista Notariato, Milano, 2017, che raccoglie gli Atti del convegno toscano del settembre 2016 dedicato alla “Prassi notarile come fonte del diritto”.
[24] Sul ruolo delle massime notarili cfr. M. SILVA – M. ZACCARIA, Orientamenti notarili societari, in Dig. civ., sez. comm., aggiornamento, Torino, 2015, 425; G. BEVIVINO, Il ruolo delle massime notarili nel dialogo tra i diversi formanti, cit.
[25] Sui mutamenti della funzione notarile nella realtà contemporanea cfr. C. CACCAVALE, L’esercizio della funzione notarile: appunti a margine della controversa questione della rinunzia anticipata dell’azione di restituzione, in Notariato, 2015, 1, 7 ss.; R. LENZI, La metamorfosi della funzione notarile nella lente del dovere di informazione, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 761; ID., La funzione notarile come fattore ordinante, in FURGIUELE (a cura di), I maestri italiani del diritto civile, Salvatore Romano, Napoli, 2015, 387 ss.; M. PALAZZO, Per un ripensamento del ruolo del notaio nel mutato sistema delle fonti del diritto, in Notariato, 2014, 584 ss.; ID., La prassi notarile singolare e post moderna forma di normatività, in Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali, Quaderni della Fondazione italiana del Notariato, 2015, 1, 10 ss.
[26] Per una sintesi sul dovere di informazione e chiarimento del notaio cfr. M. COCCA, Gli obblighi di informazione del notaio, in Riv. not., 2013, 1339; R. DE MATTEIS, Le responsabilità dei professionisti, in ROPPO – BENEDETTI (diretto da), Tratt. dei contratti, Milano, 2014, III, 667 ss.; F. MARINELLI – F. CAROCCIA, Contratto d’opera e prestazione d’opera intellettuale, in PERLINGIERI (diretto da), Tratt. dir. civ. del Consiglio Nazionale del Notariato, Napoli, 2013, 235 ss.; G. MUSOLINO, Contratto d’opera professionale, SCHLESINGER (fondato da), BUSNELLI (diretto da), Il Codice civile, Commentario, Milano, 2014, 541 ss; R. LENZI, Funzione e responsabilità del notaio nell’età dell’inquietudine, in Il diritto civile tra principi e regole, I, Liber amicorum per F.D. Busnelli, Milano, 2008, 605 ss. Nel senso che il notaio deve rappresentare alle parti le diverse possibili soluzioni interpretative v. Cass., 29 marzo 2007, n. 7707 in Vita not., 2007, 839; sul dovere di consulenza giuridica v. Trib. Trento, 17 giugno 2016, n. 649, in Riv. not., 2017, 2, 357. Per la responsabilità del notaio per violazioni del dovere di consulenza fiscale cfr. Cass., 13 gennaio 2003, n. 309 in Resp. civ., 2003, 723; Cass., 16 dicembre 2014, n. 26369 in Giur. it., 2015, I, 548 con nota di Rizzuti.
[27] Anche la recente apertura della giurisprudenza di legittimità nei confronti del carattere virtuale della nullità di protezione, costituisce certamente una lettura innovativa del sistema delle clausole generali. Si veda Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242. Sul tema dei principi e clausole generali si veda il recente volume G. D’AMICO, (a cura di), Principi e clausole generali nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico, Milano, 2017.
[28] A conferma della “essenza giurisdizionale” della funzione notarile nella complessa fase storica contemporanea, sembra emergere nella prassi l’esigenza di una “motivazione” dell’atto. Tra i molti esempi cfr. Trib. Pescara, 7 luglio 2008, in www.ilcaso.it: «la mancata deduzione di circostanze che giustificano la costituzione del fondo patrimoniale ovvero dei bisogni che lo stesso è destinato a soddisfare può costituire la prova presuntiva della simulazione del negozio».
[29] Riconoscere che l’essenza del diritto è identificata in un ordinamento, non già in un insieme di comandi e di norme, implica per il giurista la necessità di fare i conti con valori ed interessi circolanti nella società ed esser pronto ad adeguare l’interpretazione a quanto avviene nel mondo circostante. L. MENGONI, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, in Jus, 1976, 3, 26 (ora in Diritto e valori, Bologna, 1985, 40) con significativa attenzione per il ruolo professionale svolto dall’interprete osserva che «nella situazione ermeneutica propria del giurista positivo, gli elementi non giuridici o pregiuridici (ideologici in senso ampio) della precomprensione sono filtrati dalla tradizione dogmatica del ceto professionale cui appartiene».
[30] Il riferimento è all’Editoriale di S. SANTANGELO, Schematismi e creatività, in Vita not., 1979, 4, 427 ss. Il problema della motivazione degli atti notarili è, significativamente, ripreso da P. BARILE, Riflessioni di un costituzionalista sulla professione di notaro, in Vita not., 1984, 36 ss., spec. 40. Ho cercato di registrare cesure e continuità tra quei contributi ed i nostri giorni in M. PALAZZO, Sabatino Santangelo e la teoria dell’interpretazione giuridica, in Vita not., 2017, 1, 49 ss. Riteneva già «una tipica distorsione del ruolo ... la convinzione che vede nel notaio fondamentalmente un documentatore», N. LIPARI, Rinnovamento del diritto privato e funzione del notaio, in Riv. not., 1973, 1033 ss.
[31] Per un aggiornato quadro sul tema del degiurisdizionalizzazione v. A. PROTO PISANI, Premesse generali (e una proposta), nonché gli ulteriori contributi raccolti in AA.VV., Degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato, Torino, 2015; nonché M. BOVE, La giustizia privata, Trento, 2015, ove si evidenzia che il contratto rappresenta il principale strumento di risoluzione della lite alternativo all’intervento di un giudice statale. Da qui il rilievo del notaio, quale terzo imparziale e pubblico ufficiale come figura professionale idonea a comporre interessi confliggenti di diversa natura, nel quadro di un nuovo e diverso rapporto tra autorità dello Stato e autonomia delle parti.
[32] P. GROSSI, L’Europa del diritto, Roma-Bari, 2007, 254-255. Recentemente l’invito ad un dialogo istituzionale intorno ai principi costituzionali ed a «trarre dalla realtà lo stimolo per ampliare, estendere e generalizzare le indicazioni del legislatore» con l’obbiettivo del «contratto democratico», viene da E. NAVARRETTA, Il contratto “democratico” e la giustizia contrattuale, in Riv. dir. civ., 2016, 5, 1262 ss.