Giuffré Editore

Il condominio-consumatore: chi era costui?*

Alberto Celeste

Presidente Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Roma


Premesse

Che la vexatissima quaestio relativa alla natura giuridica del condominio non sia una problematica meramente teorica forse lo si tocca con mano proprio nel binomio “condominio-consumatore”, tante sono le ricadute pratiche conseguenti alla relativa soluzione. È, quindi, sempre attuale la considerazione per cui il c.d. pianeta condominio, per quanto lo si continui a studiare, ancora non ne sono chiari i contorni, risultano sfocate le dimensioni complessive, appare dubbia la reale consistenza: comunque, è un terreno che vale la pena esplorare, perché sicuramente complesso ma, al contempo, affascinante.  

In quest’ottica, la problematica avente ad oggetto la tutela del consumatore nell’àmbito condominiale rivela una nuova frontiera di indagine giuridica, ancora poco coltivata dalla dottrina[[1]], mentre, a livello giurisprudenziale, è stata esaminata dalla giurisprudenza, soprattutto di recente, con risultati, però, non del tutto appaganti. 

Invero, la questione è stata affrontata dai giudici di merito (con esiti altalenanti), è stata risolta dagli ermellini (con affermazioni tralaticie), è stata sollecitata alla Corte di giustizia dell’Unione europea (con risultati abbastanza deludenti) ed è rientrata all’esame dei tribunali nazionali (con maggiori incertezze interpretative).

Ma procediamo con ordine.


La cornice di riferimento normativo

Al riguardo, è opportuno delineare – preliminarmente, sia pure con la dovuta sintesi – la cornice di riferimento normativo.

In un primo momento, la legge n. 52 del 1996, recependo in Italia la direttiva 1993/13/CEE, aveva aggiunto, al titolo II del libro IV del codice civile, il capo IV-bis, rubricato “dei contratti del consumatore”, con l’inserimento, nel tessuto dello stesso codice, di cinque articoli, dal 1469-bis al 1469-sexies, disciplinanti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori[[2]].

Erano considerate “vessatorie” le clausole che, malgrado la buona fede, determinassero, a carico del consumatore, un “significativo squilibrio” dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto stipulato tra questi ed un professionista che, nell’àmbito della sua attività imprenditoriale o professionale, utilizzava il contratto avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi.

Si stilava, poi, un elenco esemplificativo delle suddette clausole vessatorie[[3]], che, però, costituendo una presunzione “relativa”, ammetteva, in sede giudiziale, la possibilità di provare il contrario – segnatamente, il rilievo che assumesse lo svolgimento di una “trattativa individuale” (purché consapevole, seria ed effettiva) – mentre altre clausole, inserite nella black list, si ritenevano vietate “quantunque oggetto di trattativa”. 

Si stabiliva, infine, che le suddette clausole fossero “inefficaci”, mentre il contratto in cui le stesse erano inserite continuava a mantenere la sua validità, consentendo, altresì, al singolo consumatore di invocare dal giudice competente l’inibitoria dell’uso di quelle clausole di cui venisse accertata l’abusività.

Successivamente, al fine di dare attuazione alla direttiva CE in materia di consumatori e di armonizzare la nostra legislazione a quella dei Paesi membri, si è approvato il d.lgs. n. 206 del 2005, sicché i summenzionati cinque articoli dal 1469-bis al 1469-sexies sono confluiti, senza sostanziali modifiche, negli articoli, rispettivamente, dal 33 al 37 del c.d. Codice del consumo (salvo, oggi, configurare una “nullità di protezione”, ossia sollevabile soltanto dalla parte debole, oltre che rilevabile d’ufficio)[[4]].

In buona sostanza, per applicare la tutela “antivessatoria”, occorrono attualmente due requisiti: a) oggettivo, perché il contratto deve essere riconducibile nell’alveo dei negozi relativi a “la cessione dei beni o la prestazione dei servizi”; b) soggettivo, perché il contratto deve essere riferibile alle due parti, definibili come “consumatore” – che è quella che qui rileva – e come “professionista”, da individuarsi nella persona fisica o giuridica, pubblica o privata, il quale, nel quadro della propria attività imprenditoriale et similia, utilizza il contratto concluso con il suddetto consumatore[[5]].


Le ipotesi concrete della realtà condominiale

La qualifica del consumatore per quanto riguarda i “contratti condominiali” può venire in gioco in variegate fattispecie, a conferma, appunto, che non trattasi di questione meramente teorica[[6]].

Si pensi ai contratti per la manutenzione dell’impianto di ascensore e di quello elettrico[[7]], alle forniture di servizi erogate dalle imprese di pulizia dello stabile e dei giardini, ai rapporti con le aziende municipalizzate eroganti luce gas e acqua, agli appalti per le opere di impermeabilizzazione del lastrico solare e di rifacimento della facciata, alle polizze delle compagnie assicurative concernenti la sicurezza del fabbricato[[8]], ai contratti con le banche presso cui è acceso il conto corrente condominiale, e quant’altro.

Le clausole vessatorie, in tali ipotesi, possono avere ad oggetto disposizioni contrattuali che escludono la responsabilità dell’appaltatore/fornitore, o limitano la facoltà di recesso della controparte[[9]], o impediscono la risoluzione del contratto, o stabiliscono interessi moratori eccessivi, oppure – e tale questione va risolta in prima battuta – indicano un foro territoriale diverso da quello di residenza o di domicilio del (potenziale) consumatore[[10]].


Il dilemma di Amleto

Dunque, la questione è semplicemente la seguente, richiamando il dilemma di Amleto di shakespeariana memoria: il condominio è o non è consumatore?[[11]]

Semplificando al massimo, posto che il nostro ordinamento non ha riconosciuto al condominio la personalità giuridica – oggetto di dibattito nella legislatura che aveva partorito la legge n. 220 del 2012 di riforma della relativa normativa, abbandonando, però, l’idea – se privilegiamo la qualifica di ente (collettivo), riguardo al soggetto contraente, ce ne allontaniamo, mentre ce ne avviciniamo se poniamo riferimento al destinatario finale del bene o del servizio oggetto del medesimo contratto. 

In realtà, non è così semplice come sembra, atteso ci dovremmo arrivare in via interpretativa, sempre in difetto di una norma tranchant – che dica, a chiare note, “il condominio è un consumatore” – sicché, allo stato, l’unica norma a cui fare riferimento è l’art. 3, lett. a), del d.lgs. n. 206 del 2005 (c.d. Codice del consumo), che definisce consumatore «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta».


Lo stato della giurisprudenza

Stante che la normativa consumeristica è abbastanza recente, le pronunce giurisprudenziali – prima di merito e, poi, di legittimità – che si sono occupate dell’argomento risalgono a questo millennio.

Il refrain che si legge – soprattutto nelle decisioni della magistratura di vertice – è il seguente: «al contratto concluso con il professionista dall’amministratore del condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applicano, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, gli artt. 1469-bis ss. c.c., atteso che l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale»[[12]].


Il coinvolgimento della Corte di giustizia dell’Unione europea

Tale ricostruzione non è stata ritenuta soddisfacente da un magistrato meneghino[[13]], il quale ha coinvolto la Corte di giustizia dell’Unione europea.

In particolare, si è chiesto, in via preliminare, il parere sulla questione se la nozione di consumatore, quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE, osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto, quale il condominio nell’ordinamento italiano, che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista, sia quanto al potere di trattativa sia quanto al potere di informazione.

Il giudice del rinvio, una volta sospettato che clausola contenuta nel contratto intercorso tra le parti avrebbe potuto essere considerata vessatoria ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. f)del Codice del consumo – trattavasi, nella specie, di interessi moratori oltremodo elevati, come tali configuranti quell’importo “manifestatamente eccessivo” che non poteva essere convenuto in caso di ritardo nell’adempimento – per poter ritenerla “nulla”, ha dovuto, prima, rinvenire nel condominio-contraente un consumatore.

Il giudice milanese ha dubitato che il condominio possa essere avere lo status di consumatore, sia che lo si consideri un ente di (mera) gestione oppure un soggetto giuridico autonomo rispetto ai condomini, attesa la difficoltà di considerare il condominio una persona fisica, e ciò alla luce della nozione accolta di consumatore, sia a livello di legislazione europea e domestica, riferita appunto alla sola persona fisica.   

Proprio muovendo dalla definizione normativa di consumatore nonché dalla giurisprudenza europea che ha accolto una nozione restrittiva di consumatore e, pur evidenziando come tale nozione assuma carattere oggettivo, ossia prescinde dalle conoscenze concrete che l’interessato può avere o dalle informazioni dalle quali egli realmente dispone, il giudice di rinvio è giunto a ritenere che il condominio non possa essere considerato consumatore, non essendo una persona fisica.

Tuttavia, lo stesso giudice si è reso conto che esiste la possibilità che soggetti non rientranti in questa rigida dicotomia (persona fisica – persona giuridica) possano trovarsi, sia quanto al potere di trattativa sia quanto al livello di informazione, in una situazione di inferiorità rispetto al professionista tale da giustificare una tutela (sostanziale e processuale) idonea a sostituire, ad un equilibrio apparente tra le parti, un equilibrio reale, tale da riportare le parti in un rapporto di sostanziale parità.

Dunque, il giudice del rinvio, sollevando la questione pregiudiziale, aveva chiesto segnatamente alla Corte della giustizia UE se la nozione di “consumatore” – quale accolta dagli artt. 1, par. 1, e 2, lett. b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 – potesse calzare alla qualificazione di un soggetto, quale il condominio nell’ordinamento italiano, che non era riconducibile né alla persona fisica né alla persona giuridica, allorquando tale soggetto concludesse un contratto per scopi estranei all’attività professionale.

I giudici di Lussemburgo[[14]] si sono espressi nel senso che tali articoli «devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno, in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche ad un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico, quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’àmbito di applicazione della suddetta direttiva».

Si tratta di una risposta che è apparsa ai più abbastanza deludente[[15]], soprattutto da chi auspicava soluzioni che dessero certezza nella soluzione delle fattispecie concrete: in disparte che non si poteva pretendere, in quella sede, che si risolvesse la vexatissima quaestio di cui sopra, in effetti, la sentenza consta di tre paginette, peraltro piene di travisamenti (ad esempio, si dà per scontato che il condominio nell’ordinamento italiano sia una “persona giuridica” o lo si qualifica ripetutamente come “soggetto di diritto”).

Comunque, il messaggio della Corte europea è abbastanza chiaro: da un lato, si dà atto che il condominio non è una “persona fisica” e, quindi, non può essere considerato un consumatore, tuttavia, dall’altro, si evidenzia che la direttiva 93/13/CEE aveva offerto solo “un’armonizzazione parziale e minima” delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive, lasciando, però, impregiudicata la possibilità, da parte dei singoli Stati membri, di garantire – sempre nel rispetto del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – un “più elevato livello di protezione” per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle contenute nella medesima direttiva.

Ecco, quindi, che un orientamento, da parte della magistratura italiana, volto a garantire maggiormente il consumatore, estendendo l’àmbito di applicazione della tutela contemplata dalla direttiva ad un “soggetto giuridico” come il condominio, che persona fisica non è, si inscrive nell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla citata direttiva.

Del resto, in altri ordinamenti, si è superato ampiamente il limite del “soggetto umano – persona fisica” per qualificare il consumatore: ad esempio, la Grecia, la Spagna ed i Paesi Bassi ampliano quest’ultima figura fino a ricomprendervi le persone giuridiche; l’Inghilterra considera consumatore anche il piccolo imprenditore; la giurisprudenza francese suggerisce di sostituire la nozione di consumatore con quella di non professionel; in Germania, pur essendo statuito dalla legislazione vigente che il condominio ha una soggettività giuridica autonoma rispetto alla soggettività dei singoli componenti, e pur essendo la nozione di “consumatore” espressamente circoscritta dal codice civile alle sole persone fisiche, la Corte di Cassazione tedesca non ha esitato a ritenere invocabile anche da parte del condominio l'applicazione delle norme di attuazione delle direttive europee di tutela del consumatore, ogni qual volta i contratti siano stati conclusi dall'amministratore per procurare beni o servizi destinati a soddisfare esigenze dell'edificio condominiale e delle parti comuni.

La sentenza della Corte di giustizia assume, altresì, una particolare valenza, in quanto consente di ritenere che l’estensione della nozione di consumatore anche al condominio potrebbe essere adottata, a livello giurisprudenziale, anche nelle procedure di sovraindebitamento, consentendo al condominio di accedere al piano del consumatore, anche se la scarsa giurisprudenza di merito si è espressa in senso contrario, segnatamente evidenziando che il legislatore abbia voluto differenziare le due nozioni di consumatore, prevedendo nella legge sul sovraindebitamento una nozione più specifica[[16]], rispetto a quella contemplata nel Codice del consumo, dal momento che esige che i debiti della “persona fisica” derivino “esclusivamente” da atti compiuti “per scopi estranei all'attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta”.

Resta impregiudicata, ovviamente, una scelta a livello legislativo in tal senso, come è avvenuto, di recente, nell’ordinamento italiano, dove, ai fini dell’estensione del perimetro applicativo della tutela consumeristica, si registra la new entry delle microimprese – ossia di «tutte le entità, società di persone o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica adottata, esercitano attività artigianali a titolo individuale o familiare» – ad opera del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito in legge n. 27 del 2012. 


La soluzione della fattispecie concreta

La palla è, quindi, ritornata al magistrato meneghino[[17]], il quale, tuttavia, prima di affrontare ex professo la questione che ci riguarda da vicino, ha dovuto risolvere alcune (abbastanza spinose) questioni preliminari.

Interessa la materia consumeristica, in particolare, l’interrogativo sulla facoltà, in capo al giudice nazionale, di rilevare d’ufficio l’abusività della clausola contenuta nel contratto concluso dal professionista con il consumatore, atteso che il condominio ingiunto non aveva invocato, inizialmente, la qualità di consumatore, dichiarando, però, di volersi avvalere della disciplina speciale in un secondo momento.

La risposta è stata positiva alla luce del principio di effettività, il quale «richiede che il giudice nazionale, adìto nel contesto di una controversia vertente su un contratto che possa rientrare nell’àmbito di applicazione della citata direttiva, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine o possa disporne su semplice domanda di chiarimenti, sia tenuto a verificare se l’acquirente possa essere qualificato come consumatore, anche se quest’ultimo non ha espressamente rivendicato questa qualità»[[18]].

Una volta qualificato il condominio opponente come consumatore – v. funditus appresso – il giudice ambrosiano ha dovuto superare l’eccezione, sollevata dal professionista, circa il giudicato (implicito ed esterno) formatosi sulla questione della vessatorietà della clausola oggetto del rilievo officioso di cui sopra, atteso che vi era stato, in proposito, un precedente decreto ingiuntivo non opposto da parte del condominio.

Considerata la clausola come “vessatoria”, ai fini dell’art. 34, comma 4, del Codice del consumo, si è, poi, esclusa la “trattativa individuale” – che sola consente di non configurare vessatorie le clausole di un contratto concluso tra l’imprenditore ed il consumatore – risultando l’accordo di mediazione in esame muto quanto all’esistenza di una trattativa (specifica, seria ed effettiva), a nulla rilevando, per un verso, che il relativo verbale fosse stato sottoscritto dal legale del condominio e, per altro verso, che il contenuto della mediazione fosse stato preventivamente sottoposto all’assemblea.

Pertanto, disapplicata integralmente la clausola vessatoria e rideterminato l’importo degli interessi moratori convenzionali – dovuto nel periodo 2001/2016 oggetto del giudizio – alla luce del tasso legale ex art. 1224, comma 1, c.c., il dispositivo della sentenza in commento è stato nel senso di ridurre drasticamente la complessiva somma indicata nel precetto da € 20.651,47 a € 568,77.


L’indagine sul requisito soggettivo

Il punto nodale della controversia era, a monte, la questione della configurabilità del condominio come consumatore, che il Tribunale di Milano ha risolto non nella prospettiva – definita “sfuggente”, specie se riferita alla formuletta fumosa dell’ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti – della teoria del soggetto, ma in quella del rapporto giuridico. 

Una simile prospettiva – ad avviso del giudicante – risulta meglio in grado di contemperare, da un lato, la tutela effettiva del consumatore (cui è ispirata la ormai ventennale giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia) e, dall’altro, l’esigenza di non comprimere indebitamente l’autonomia privata del professionista in conseguenza di una «strabordante applicazione della disciplina speciale di derivazione eurounitaria». 

Ne discende la mancata possibilità di applicare in modo incondizionato la giurisprudenza della Suprema Corte che, con il ritornello tralaticio di cui sopra, comportava il rischio[[19]] di ritenere consumatore anche un condominio interamente adibito allo svolgimento di attività commerciali e/o professionali, con conseguente (ingiustificato) indebolimento della tutela dell’imprenditore che, con un simile condominio, contratti. 

In quest’ordine di concetti, diviene necessario accertare quale sia, in concreto, la destinazione degli immobili ricompresi nel condominio, considerando consumatore solo quel condominio che risulti composto da unità immobiliari almeno “prevalentemente” (argomentando dal considerando 17 della direttiva 2011/83/CE) di proprietà di persone fisiche e da queste ultime utilizzate per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Un simile criterio appare – secondo il Tribunale di Milano – quello meglio in grado di risolvere la delicata questione del regime giuridico degli atti compiuti da un imprenditore con una “parte plurisoggettiva”, tanto almeno ove, con riferimento al condominio, venga in rilievo un atto di amministrazione e/o conservazione delle cose comuni, in relazione al quale la posizione del singolo condomino resta assorbita nell’organizzazione del gruppo. 

Ebbene, dalla documentazione depositata dal condominio – non contestata ex adverso – era risultato che solo n. 6 unità immobiliari (per complessivi 187 millesimi) avevano la destinazione a negozio e che le restanti 51 abitazioni erano di proprietà di persone fisiche, concludendo (in modo lapidario) nel senso che “l’odierno condominio è consumatore”. 


L’amministratore di condominio come professionista

Occorre, in via preliminare, sgombrare il campo da un equivoco, che potrebbe distrarre dalla focalizzazione del reale problema, conseguendone che al condominio non si applichi mai la disciplina di tutela del consumatore.

Infatti, si è valorizzato che il condominio sia assistito da un professionista, ossia dall’amministratore, il quale non può considerarsi un soggetto sprovveduto o privo delle conoscenze tecnico-giuridiche adeguate a consentirgli di comprendere esattamente il contenuto delle clausole contrattuali sottoscritte, dovendo avere, invece, un sufficiente potere negoziale, specie alla luce della Riforma del 2013 (v. il novello art. 71-bis, lett. g, disp. att. c.c.) e del d.m. n. 140/2014 (riguardo ai corsi di formazione/aggiornamento) che hanno accentuato la “professionalità” nell’esperimento di tale incarico[[20]].

In proposito, è sufficiente replicare che la parte sostanziale del contratto è il condominio, e non l’amministratore – cui, peraltro, la citata giurisprudenza tradizionale fa riferimento in termini di “mandatario con rappresentanza” – e che l’eventuale assistenza del consumatore da parte di un professionista non è stata mai enfatizzata, da parte della giurisprudenza europea, per escludere la tutela prevista in favore del consumatore[[21]].

Dunque, non osta alla qualifica del condominio come consumatore la professionalità del servizio svolto dall’amministratore – che, peraltro, potrebbe essere un condomino, come tale, (purtroppo) non necessariamente “formato” e “aggiornato” – in considerazione della circostanza che l’acquisto di beni o servizi, da parte del condominio, non vincola l’amministratore in quanto tale, bensì i singoli condomini (sono questi ultimi, peraltro, e non l’amministratore, a sostenere le spese del prodotto o del servizio acquistato).


Le critiche all’opzione sulla prevalenza

Lo stesso Tribunale di Milano si rende conto che la soluzione accolta espone il fianco a critiche, soprattutto, considerando le eventuali difficoltà nell’accertamento della concreta situazione dedotta in giudizio, ma ritiene che il criterio adottato, nella massima parte, sia destinato a risultare risolutivo, salva la possibilità di “illuminare eventuali situazioni di chiaroscuro mediante il ricorso ad iniziative istruttorie officiose e/o ad elementi indiziari”.

Tuttavia, va evidenziata, innanzitutto, la non agevole conoscenza circa il reale assetto proprietario del condominio da parte del terzo, al momento della negoziazione, mediante ricerche presso i registri immobiliari, acquisizione delle schede catastali, produzione del rendiconto, esibizione dell’anagrafe condominiale, ecc.

Le perplessità riguardano soprattutto il fatto che si troverebbero a beneficiare della tutela consumeristica soggetti di diritto – in specie, società, fondazioni, associazioni, ecc. – che, in quanto non persone fisiche, ad essa sarebbero sottratti ex lege, o, per esempio, persone fisiche che, locando gli appartamenti dello stabile, esercitano la loro precipua attività professionale di agenti immobiliari.

Va, poi, presa in adeguata considerazione la (ben possibile) variabilità della composizione della compagine condominiale, che metterebbe a rischio la sorte dei contratti conclusi dal condominio-consumatore qualora, a seguito di successive compravendite, il numero dei condomini-persone fisiche diminuisca, con corrispondente aumento dei condomini-persone giuridiche.

Infine, il riferimento alla prevalenza potrebbe apparire ingiusto, considerando il sistema “misto” delle maggioranze vigente nella materia condominiale: si pensi, ad esempio, al condominio composto di quattro condomini, di cui tre sono persone fisiche che, insieme, totalizzano 100 millesimi ed il quarto è una società titolare di 900 millesimi.

Al riguardo, va ricordato che sono due i requisiti su cui si basa la nozione legislativa di consumatore: uno soggettivo, espresso in termini positivi, ossia essere una “persona fisica”, ed uno oggettivo, delineato in termini negativi, ossia essere un soggetto che agisce per “scopi estranei” all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

Il magistrato del capoluogo lombardo privilegia il primo, dando per scontato il secondo, laddove un’indagine più approfondita avrebbe potuto rivelare fallace l’equazione persona fisica uguale destinazione abitativa, in disparte l’eventualità che la persona fisica potrebbe, nella stessa unità immobiliare, soddisfare in parte esigenze personali e svolgervi in parte l’attività professionale (si pensi ad uno studio di un commercialista o di un avvocato).

In altri termini, per qualificare il condominio come consumatore e beneficiare della disciplina consumeristica, viene accolto come significativo soltanto il discrimen “quantitativo” tra persone fisiche e persone giuridiche proprietarie di unità immobiliari, tralasciando di verificare, sul versante “qualitativo”, se le unità immobiliari siano utilizzate o meno per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Insomma, correlando il tutto ad un’indagine di fatto, il condominio, oggetto della controversia esaminata dal Tribunale di Milano, “è consumatore”, mentre quello dell’edificio confinante potrebbe non esserlo, e parimenti il primo potrebbe non esserlo più allorché si modifichi la qualità giuridica dei proprietari delle singole unità immobiliari.


L’inappagante recente intervento dei giudici di Lussemburgo

Ancora meno appagante è la recente risposta, data dalla Corte di giustizia dell’Unione europea[[22]], su rinvio pregiudiziale dell’Autorità giudiziaria bulgara, occupandosi segnatamente di un contratto concluso tra i singoli condomini o l’assemblea, da un lato, e l’amministratore di condominio, dall’altro (c.d. contratto di amministrazione di condominio).

Invero, ai fini dell’applicazione della disciplina consumeristica fissata dalla direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993, la Corte parte dalla premessa che una persona fisica, proprietaria di un appartamento in un immobile in regime di condominio, deve essere considerata un “consumatore”, ai sensi di tale direttiva, soltanto qualora essa stipuli un contratto con un amministratore di condominio, purché non utilizzi tale appartamento per scopi che rientrano esclusivamente nella sua attività professionale.

Inoltre, la stessa Corte prende atto che la compagine condominiale può essere “soggettivamente composita”, siccome formata da persone fisiche non esercenti esclusivamente attività professionale nell’immobile in condominio, persone fisiche esercenti esclusivamente siffatta attività professionale e persone giuridiche.

Ne consegue che, vista l'oggettiva difficoltà di una ricostruzione unitaria del fenomeno, inevitabilmente si ha la necessità di una soluzione basata sulle qualità specifiche di ciascuna parte che concorre a formare il “gruppo”, applicando, poi, a ciascuno il trattamento giuridico corrispondente alla qualità che riveste in quell'atto[[23]].

Per fare un esempio, in un contratto stipulato tra il condominio, previa approvazione assembleare, e l’amministratore “professionista”, per la gestione e la manutenzione delle parti comuni dell’edificio condominiale – in cui sono presenti unità immobiliari destinate ad abitazione appartenenti a persone fisiche e locali commerciali di proprietà di società – l’amministratore potrebbe inserire una clausola che gli consente di recedere quando voglia, o di trattenere integralmente la somma versata all’atto della stipula, o di pretendere una penale pari al doppio del suo compenso in caso di morosità nelle rate mensili.

L’amministratore – dimessosi dall’incarico o comunque cessato – intendendo agire nei confronti del condominio per ottenere la condanna al pagamento della penale o l’accertamento della legittima ritenzione del compenso erogatogli, cita allora il condominio, in persona del nuovo amministratore; a questo punto, quest’ultimo dovrebbe eccepire l'incompetenza territoriale del giudice adìto in rappresentanza dei soli condomini “consumatori” e per gli altri no, oppure dovrebbe far valere la nullità di protezione delle clausole vessatorie sul recesso e sulla penale sempre soltanto nell’interesse dei condomini “consumatori” e per gli altri no, e via dicendo[[24]].


La diversa ipotesi ricostruttiva

Stante l’insoddisfazione per la soluzione accolta dal Tribunale di Milano – peraltro, sconfessato da una coeva pronuncia dell’Arbitro Bancario Finanziario[[25]] – e l’inappagante recente intervento dei giudici di Lussemburgo, si tenta di ricostruire diversamente la fattispecie, prestando maggiore attenzione al secondo elemento distintivo della nozione di consumatore, cioè lo “scopo” dell’atto di consumo, sviscerandone, sul piano applicativo, l’intrinseco contenuto.

Tale indagine trova conforto nelle riflessioni della dottrina più attenta che ha proposto di escludere la normativa consumeristica in riferimento agli atti compiuti dal professionista attraverso cui viene perseguito, soltanto in via immediata e diretta, un interesse professionale, distinguendo tra “atti della professione”, in cui rientrerebbero i contratti conclusi nell’àmbito dell’attività caratteristica dell’impresa, ed “atti relativi alla professione”, annoverando tra questi ultimi gli atti legati soltanto funzionalmente alla suddetta attività.

Ai fini della (rafforzata) tutela consumeristica – tanto per fare un esempio – una cosa è il contratto di leasing sottoscritto dal titolare dello studio dentistico per il godimento di macchinari volti all’igiene orale (atto della professione), altra cosa è il contratto di manutenzione dell’impianto di ascensore, che serve sì ai clienti per raggiungere lo studio ma si rivela meramente strumentale all’attività odontoiatrica (atto relativo alla professione).

La focalizzazione della disamina sull’elemento dello scopo appare particolarmente soddisfacente, poichè permette di correlare la qualifica di consumatore – non ad una “formalistica” condizione permanente del soggetto, bensì – alla “sostanziale” attività dello stesso ed alla finalità dell’atto negoziale di consumo posto in essere. 

In quest’ottica, by-passando ogni scrutinio concreto sulla prevalenza, si potrebbe opinare che tutti i “contratti condominiali”, tout court, in quanto volti alla conservazione/manutenzione delle parti dell’edificio o al funzionamento dei servizi comuni, non sono mai connessi all’attività imprenditoriale/professionale eventualmente esercitata nella singola unità immobiliare di cui si compone lo stabile in regime di condomino.

In fondo, verrebbe sottolineata la posizione di “debolezza contrattuale” allorquando ci si interfaccia con fornitori e appaltatori: invero, il condomino, quand’anche rivesta la qualifica di professionista, è del tutto privo di conoscenze specifiche in materia di contrattualistica condominiale, tale da renderlo ferrato ed accorto rispetto al professionista che opera abitualmente in tale settore, il quale, al contrario, assume una posizione di netto vantaggio informativo e negoziale (in altri termini, la situazione di subalternità va ritenuta quasi in re ipsa, e si determina anche quando il professionista, che pure agisca per scopi attinenti alla professione, operi in un settore estraneo all’attività svolta dalla controparte).


Conclusioni

Sarebbe auspicabile che la disciplina consumeristica possa essere applicata prescindendo da ogni verifica soggettiva concernente la concreta composizione della compagine condominiale, considerando il condominio in toto quale consumatore in ragione della condizione concreta di “inferiorità” negoziale, in cui versa il soggetto nei confronti del professionista (appaltatore/fornitore) che svolge quella specifica attività.

Tale situazione si verifica, infatti, nel momento in cui il professionista, eventualmente presente nella compagine condominiale, pur agendo per scopi attinenti alla sua attività lavorativa, opera su un campo estraneo ad essa e, quindi, si rivela più bisognoso di tutela a causa della sua soggezione (intellettuale, psicologica, economica) rispetto alla controparte che agisce nell’esercizio del suo lavoro. 

D’altronde, anche i giudici di Lussemburgo[[26]] si sono mostrati sensibili a privilegiare l’indagine “oggettiva” nel perimetrare la figura del consumatore – in opposizione a quella di “operatore economico”[[27]] – ossia prescindendo dalle conoscenze che il soggetto può avere o/e dalle informazioni di cui disponga (si legge che «il giudice nazionale deve considerare tutte le circostanze del caso concreto e, in particolare, la natura del bene o del servizio del contratto considerato, idonee a dimostrare i fini per i quali il bene o il servizio è acquisito»).

Pertanto, stante la mancanza di una definizione legislativa del condominio e l’altalenante ricostruzione giurisprudenziale, anche nella massima composizione[[28]], riguardo alla sua natura, è preferibile – anche nella prospettiva di armonizzazione del diritto europeo – spostare l’accento sul versante oggettivo, valorizzando lo “scopo estraneo” inteso come quella finalità non riconducibile direttamente all’attività imprenditoriale.

In quest’ottica, il contratto così stipulato dall’amministratore, in nome e per conto del condominio, ma vincolante i singoli condomini in quanto utenti finali, per la conservazione ed il funzionamento delle parti comuni, non rivelerebbe alcun collegamento con l’attività eventualmente svolta da colui che negozia con il professionista, non essendo dirimente che tali cose/impianti/servizi comuni siano in relazione di accessorietà rispetto all’unità immobiliare singola dove si svolge la suddetta attività. 

In parole povere, il bene somministrato o la prestazione offerta, oggetto del contratto condominiale, rispettivamente, di somministrazione o di appalto, non sarebbe mai “espressione della professione”, pur essendo alla stessa strumentale, sicché può considerarsi consumatore anche colui che acquista la merce o richiede il servizio nell’àmbito dell’attività professionale svolta, qualora la relativa stipula non sia inquadrabile tra le manifestazioni precipue di tale attività.

Ciò consentirebbe, tra l’altro, di evitare scivolosi accertamenti, anche sotto l’aspetto probatorio, sulla prevalenza, in base alle carature millesimali, dei soggetti proprietari delle singole unità immobiliari (potendo le persone fisiche ivi presenti svolgere nel loro interno attività professionali o utilizzare promiscuamente le stesse), oppure sulla predominanza dello scopo (non essendo agevole indagare la reale intenzione del contraente circa l’utilizzo del bene).

È, dunque, auspicabile, per soddisfare l’esigenza di certezza delle soluzioni applicative ed accogliendo la sollecitazione volta a rimodulare l’àmbito di applicazione del Codice del consumo sulla base degli effettivi bisogni di protezione del soggetto debole, che la qualificazione del condominio come consumatore sia risolta in modo assolutizzante, sì da non dover esaminare, volta per volta, possibili scenari contrastanti, anche nell’ottica di incentivare l’effetto volano che la realtà condominiale inevitabilmente innesta sui fenomeni economici di contorno[[29]].


NOTE:

* Il presente contributo sviluppa, aggiornandola, la relazione tenuta al convegno di studio su “Dieci anni dopo la riforma del condominio: antiche questioni irrisolte e nuove problematiche”, organizzato a Cagliari il 20 maggio 2022, dal Consiglio Notarile di Cagliari, Lanusei e Oristano, i cui atti sono in corso di pubblicazione per i tipi di Akademeia.

[1] V., in passato, le acute osservazioni di G. TERZAGO, Condominio e tutela del consumatore, in Riv. giur. edil., 2001, I, 866, in nota a Trib. Bologna, 3 ottobre 2000; cui adde A. CELESTE, Regolamento contrattuale e tutela del consumatore-condomino, in Immobili & diritto, 2011, 10, 24.

[2] L. GATT, Art. 1469-bis, comma 2, c.c. Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, in Nuove leggi civ. comm., 1997, IV, 832.

[3] In argomento, v., in particolare, A. SCARPA, Le clausole vessatorie nel regolamento di condominio, in Rass. loc. e cond., 1999, 481.

[4] In termini generali, v. E. MINERVINI, Dei contratti del consumatore in generale, Utet, Torino, 2014, 38; A.P. SCARSO, Il contraente “debole”, Torino, 2006, 237; nello specifico, G. TERZAGO, Regolamento di condominio: clausole e codice del consumatore, in Immobili & diritto, 2006, 9, 7.

[5] Sul punto, si rinvia a M. ASTONE, Ambito di applicazione soggettivo. La nozione di “consumatore” e “professionista”, in G. ALPA – S. PATTI (a cura di), Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, Milano, 2003, 165.

[6] Tra i vari contributi, più recenti, sull’argomento, si segnalano: R. CALVO, Complessità personificata o individualità complessa del condominio-consumatore, in Giur. it., 2020, 1320; D. FORESTA, Condominio e consumatore: un connubio possibile, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 1171; A. SCARPA, Vecchi paradossi e nuove certezze in tema di parziarietà delle obbligazioni condominiali e tutela consumeristica del condominio, in Immobili & proprietà, 2019, 12, 707; G. CERDONIO CHIAROMONTE, Tutela consumeristica e parte soggettivamente complessa, in Riv. dir. civ., 2019, 25; C. BERTI, La figura del consumatore e la sua soggettività giuridica, in Resp. civ. e prev., 2018, 1694; L. BACIUCCO, Il condominio e la figura del consumatore, in Riv. giur. sarda, 2015, I, 334; G. DE CRISTOFARO, Gli amministratori di condominio e le loro associazioni, fra Codice del consumo e legge n. 4 del 2013 sulle professioni non organizzate, in Studium iuris, 2014, 801; L. MEZZASOMA, Il consumatore e il professionista, G. RECINTO L. MEZZASOMA S. CHERTI (a cura di), in Diritti e tutele dei consumatori, Napoli, 2014, 31; M. DONA V. SAVASTA, Il condominio inteso come consumatore: nuovi scenari di tutela e difficoltà applicative, in nota Trib. Modena 20 ottobre 2004, che può leggersi in Merito, 2005, 6, 20.

[7] V., soprattutto, P.P. BOSSO, I contratti del condominio e il condominio come consumatore. Introduzione e principi generali, in Arch. loc. e cond., 2017, 14; G.V. TORTORICI, Il condominio-consumatore e i diversi rapporti contrattuali, in Immobili & diritto, 2008, 10, 6.

[8] C. BELLI, Condominio “consumatore”: nullità di protezione delle clausole vessatorie nei contratti di assicurazione e intervento integrativo del giudice, in nota a Trib. Genova 14 febbraio 2012, che può leggersi in Giur. mer., 2013, 282.

[9] A. SCARPA, Appalto di servizi condominiali, recesso unilaterale del condominio-committente e tutela del condominio-consumatore, in Rass. loc. e cond., 2003, 416.

[10] I. MEO, L'individuazione del foro competente nei contratti conclusi fuori sede, in nota a Trib. Bari 21 settembre 2008, in Immobili & diritto, 2009, 2, 44.

[11] V., per tutti, G.A. CHIESI  M. STURIALE, Condominio: “essere o non essere” (consumatore), in Immobili & proprietà, 2020, 8-9, 493.

[12]  V., tra le altre, Cass. 22 maggio 2015, n. 10679, in Arch. loc. e cond., 2015, 647, la quale ha aggiunto, in argomento, che deve considerarsi valida la clausola compromissoria per arbitrato irrituale, che attribuisca soltanto ad una delle parti la facoltà di declinare la competenza arbitrale e di chiedere che la controversia sia decisa dal giudice ordinario, poiché tale derogabilità unilaterale della clausola è in linea con i limiti di esercizio dell'autonomia privata ed è coerente con la tendenza di sistema favorevole al riconoscimento della giustizia pubblica quale forma primaria di soluzione dei conflitti; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2001, n. 10086, in Corr. giur., 2001, 1436, con nota di R. CONTI, la quale ha avuto modo di chiarire, per un verso, che l'art. 1469-bis, comma 3, n. 19), c.c., introdotto con l'art. 25 della legge n. 52 del 1996, non fissa – a differenza di quanto altrove espressamente stabilito dal legislatore (art. 12 del d.lgs. n. 50 del 1992 e art. 10 del d.lgs. n. 427 del 1998) – un foro esclusivo per il consumatore, ma si limita a presumere vessatoria, fino a prova contraria, la clausola con cui si stabilisca come sede del foro competente sulla controversia una località diversa da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore, conseguendone che, stante l'inefficacia di detta clausola e l'efficacia per il resto del contratto, ex art. 1469-quinquies c.c., divengono pienamente operativi i fori generali di cui agli art. 18 e 19 c.p.c., ed il foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione di cui all'art. 20 c.p.c., e, per altro verso, di precisare che gli artt. 1469-bis ss. c.c. – privi di efficacia retroattiva in relazione ai contratti stipulati prima della loro entrata in vigore, in virtù del generale principio di irretroattività della legge – sono applicabili al contratto rinnovato tacitamente successivamente all'entrata in vigore della legge n. 52 del 1992, che, con l'art. 25, ha aggiunto, nel libro IV del codice civile, il capo XIV-bis contenente i suddetti articoli, atteso che, in tal caso, si verifica una nuova regolamentazione tra le parti dei loro rapporti, sia pure configurata per relationem sulla base delle precedenti clausole contrattuali, fondata su un reciproco consenso espresso tacitamente, ma in maniera inequivoca.

[13] Trib. Milano 1° aprile 2019, commentata, tra gli altri, da S.P. CERRI, Il condominio è qualificabile come consumatore? La questione rimessa alla Corte di giustizia, in Corr. giur., 2020, 199; da P. PETRELLI, Rimessa la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea sull’applicabilità al condominio della disciplina consumeristica, in Condominioelocazione.it., 21 giugno 2019; nonché da C. BELLI, La neverending story del “condominio-consumatore” va alla Corte di Giustizia UE, in Consulenza, 2 agosto 2019.

[14] Corte giust. UE 2 aprile 2020, C-329/19.

[15] Tra i vari commenti, si segnalano: F. TRUBIANI, Applicabilità delle tutele consumeristiche al condominio: (nonostante l’intervento della Corte della giustizia UE) un dubbio ancora da sciogliere, in Resp. civ. e prev., 2020, 5, 1502; C. BELLI, Per la Corte di giustizia UE il condominio in Italia può essere un consumatore, in Consulenza, 4 maggio 2020; G. DE CRISTOFARO, Diritto dei consumatori e rapporti contrattuali del condominio: la soluzione della Corte di giustizia UE, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 842; G. SPOTO, Il condominio non è un consumatore ma ha le stesse tutele, in Corr. giur., 2020, 893; P. PETRELLI, La Corte di giustizia dell’Unione europea si pronuncia sull’applicabilità al condominio della disciplina consumeristica, in Condominioelocazione.it, 9 aprile 2020.

[16] P. PETRELLI, Il condominio può accedere al piano del consumatore in casi di sovraindebitamento?, in Condominioelocazione.it., 25 aprile 2020, in nota a Trib. Bergamo, 16 gennaio 2019; F. NAPOLITANO, Sulla legittimazione del condominio ad accedere alle procedure di risoluzione della crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2020, 274; A. SCARPA, Il condominio sovraindebitato non è un consumatore, in Quotidianogiuridico.itM. TARANTINO, Sovraindebitamento: il condominio può accedere al piano del consumatore per rinegoziare i propri debiti?, in Condominioweb.com.

[17] Trib. Milano, 26 novembre 2020, commentata da A. CELESTE, Il condominio è (finalmente) “consumatore” sia pure solo se le unità immobiliari dell’edificio risultino prevalentemente di proprietà di persone fisiche, in Condominioelocazione.it, 11 gennaio 2021.

[18] Così Corte giust. UE 4 giugno 2015, C-497/13.

[19]  Concretamente verificatosi, ad esempio, nel caso deciso da Trib. Massa, 26 giugno 2017, in Condominioelocazione.it.

[20] V., per tutti, A. BREGOLI, L'amministratore di condominio: un nuovo professionista al servizio (anche) della collettività?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 9.

[21] V., ex multis, Corte giust. UE 11 marzo 2020, C-111/17.

[22] Corte giust. UE 27 ottobre 2022, C-458/21.

[23] Per un primo commento, v. G.A. CHIESI, Condominio e disciplina consumeristica: Un nuovo intervento della CGUE, in Diritto e pratica condominiale, 3 novembre 2022.

[24] In senso critico, v. A. SCARPA, Il punto, in Diritto e pratica condominiale, 4 novembre 2022.

[25] V., in particolare, la decisione 10 novembre 2020, n. 19783, commentata da A. CELESTE, Il condominio è un “non consumatore: a dirlo è l’arbitro bancario finanziario, in Condominioelocazione.it., 1° marzo 2021; cui adde R. GRISAFI, Il condominio può essere classificato come “consumatore”? Note in tema con particolare riguardo alla disciplina in materia di trasparenza bancaria, in Studium iuris, 2014, 1142.

[26] Corte giust. UE 3 settembre 2015, C-110/14.

[27] Corte giust. UE 25 gennaio 2018, C-498/16.

[28] Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148, in Immobili & diritto, 2008, 6, 38, con nota di A. CELESTE e L. SALCIARINI; Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19663, in Corr. giur., 2015, 1531, annotata da A. CARRATO; Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2019, n. 10934, in Immobili & proprietà, 2019, 387, commentata da M.G. MONEGAT.

[29] Si pensi al c.d. superbonus dell’edilizia 110% contemplato nell’àmbito della legislazione emergenziale correlata al fenomeno pandemico da Covid-19, ma nella prospettiva di essere istituzionalizzato, sia pure con diverse percentuali di agevolazione fiscale, nell’àmbito dei programmi dell’attuale Governo, da poco insediatosi.