Giuffré Editore

Il condominio tra multiproprietà e condhotel

Giuseppe Trapani

Notaio in Zagarolo, Consigliere Fondazione Italiana del Notariato, Consigliere Consiglio Nazionale del Notariato


Dal vincolo alberghiero alla destinazione urbanistica turistico recettiva

Il ruolo decisivo svolto dal settore turistico nell’economia italiana è di tutta evidenza proprio per l’enorme ricchezza del patrimonio artistico e naturale del nostro Paese. 

Le tecniche di incentivazione di tale segmento economico sono variate nel tempo, mutando la loro conformazione in funzione degli interessi in gioco, alla ricerca di un difficile equilibrio tra l’incentivazione di un siffatto settore portante, la tutela dell’assetto territoriale e paesaggistico, la struttura rigida codicistica della proprietà e del condominio e la salvaguardia delle ragioni del consumatore, soggetto debole per antonomasia.

Lo scopo del legislatore diviene nel contempo sempre di più quello di diversificare l'offerta turistica, favorendo gli investimenti anche mediante la previsione di nuovi strumenti tecnico giuridici, con l’obiettivo di incentivare il turismo, migliorandone e diversificandone l’offerta, nonché agevolando la partecipazione dei privati alla proprietà delle strutture.

Espressione di una siffatta tendenza è senz’altro il d.p.c.m. 22 gennaio 2018, n. 13, fonte normativa della nuova fattispecie del condhotel. 

Le ragioni dell’attualità non possono essere analizzate prescindendo dall’origine delle disposizioni in argomento e dalla loro evoluzione e conformazione funzionale alla salvaguardia di interessi in gioco, di natura e origine diversa nel corso del tempo. 

Il vincolo turistico alberghiero che grava su un’unità immobiliare, ne conforma il diritto di proprietà in termini che hanno assunto una sempre maggiore profondità.

Un tale dato di esperienza è rilevabile proprio dagli strumenti sanzionatori previsti di tempo in tempo per la sua violazione, giunti in tempi più recenti ad applicare, alle ipotesi patologiche lo schema tecnico penalistico della lottizzazione abusiva, ogni qualvolta la modifica della destinazione d’uso di una residenza turistico-alberghiera originaria sia stata determinata mediante il ricorso a meccanismi contrattuali e in particolare sia stata realizzata attraverso la vendita di singole unità immobiliari a privati.

L’origine del vincolo può essere rinvenuta nel regio decreto legge del 1936 (R.d.l. 2 gennaio 1936, n. 274, convertito nella legge 24 luglio 1936, n.1692) che imponeva il mantenimento, nella contrattazione, della destinazione ad albergo degli immobili che, anteriormente al 3 marzo 1936, avessero avuto una destinazione alberghiera. In particolare, recitava l’art. 1 che gli edifici i quali, alla detta data, fossero interamente o prevalentemente destinati ad uso di albergo, pensione o locanda, per destinazione dei proprietari o per concessione risultante da contratto di affitto, non potevano essere né venduti né dati in locazione, per uso diverso da quello alberghiero, senza la relativa autorizzazione. 

La ricordata legge del 1936 – che operava su un piano squisitamente civilistico evocando un’origine del vincolo per destinazione dei proprietari o appunto per concessione che aveva la sua fonte nel contratto di affitto – imponeva semplicemente il rispetto della destinazione d’uso dell’unità immobiliare adibita ad albergo, allo scopo di salvaguardare il movimento turistico nazionale: la violazione della previsione normativa non dipendeva dalla sola vendita o la locazione “per uso diverso da quello alberghiero”, ma dalla concreta destinazione del bene diversa da quella originaria. 

La norma disponeva invero che l'immobile non potesse essere né venduto né dato in locazione per uso diverso da quello alberghiero senza l'autorizzazione degli organi competenti, che poteva essere concessa solo ove risultasse accertato che la destinazione alberghiera non fosse necessaria alle esigenze del movimento turistico. Soltanto quando, insomma, in modo espresso, le clausole negoziali avessero previsto un’alterazione della destinazione alberghiera, occorreva sottoporre la vendita o la locazione ad autorizzazione da parte dell’autorità pubblica preposta al turismo, a pena di nullità azionabile, tuttavia, unicamente dall'autorità pubblica «entro due anni dalla vendita o dalla locazione».

Si trattava, peraltro, di una nullità relativa (e non assoluta), alla quale dava luogo non il solo mutamento di titolarità del diritto di proprietà o della locazione, in difetto del relativo provvedimento tutorio, bensì esclusivamente i contratti di vendita o di locazione contenenti clausole dirette a determinare la perdita della destinazione alberghiera del bene.

Il quadro d’insieme mutava ulteriormente nel 1981 per effetto di una pronuncia della Corte costituzionale, che intervenendo formalmente a valutare la legittimità dell'art. 5 del d.l. 27 giugno 1967, n. 460, sopra ricordato, dal punto di vista specifico della lesione del principio di eguaglianza affermava essere quest’ultima priva di giustificazione, proprio perché gli alberghi edificati o ristrutturati dopo la guerra erano gravati da un vincolo destinatorio a fronte di benefici e di contributi dei quali questi ultimi avevano goduto in tale periodo laddove a fronte della proroga di un termine vincolistico già lungo da un punto di vista temporale che concerneva le strutture preesistenti, non vi era alcuna provvidenza economica che la giustificasse.

La legge 17 maggio 1983, n. 217, immediatamente successiva alla ricordata pronuncia del Giudice delle leggi, mirava, allora, innanzi tutto, a garantire l'equilibrato sviluppo delle attività turistiche e di quelle connesse, e in considerazione della loro rilevanza sotto il profilo sociale ed economico, recependo gli assunti della sentenza n. 4 del 1981 prima cennata, in conformità al dettato costituzionale, faceva cessare il potere dello Stato sul vincolo alberghiero, attribuendo il potere legislativo su di esso alle Regioni, che potranno, altresì, determinare i criteri per la sua modulazione, estensione e rimozione. 

Tale norma, tuttavia, non solo offriva alcuni spunti definitori di particolare interesse, ma introduceva un vincolo destinatorio non solo di rango, ma di fonte pubblicistica, funzionale alla conservazione e alla tutela del patrimonio ricettivo, la cui regolazione è devoluta alla competenza normativa delle regioni. 

La situazione cambia ancora una volta con la legge statale 29 marzo 2001, n. 135, integrata dal d.p.c.m. 13 settembre 2002 che ha recepito la Conferenza Stato-Regioni del 14 dicembre 2002. Con tale ultima normativa, muta ancora una volta l’assetto complessivo della materia; viene abrogata la legge 17 maggio 1983, n. 217 e si verifica un’omogeneizzazione delle varie attività di ricezione turistica, con l’effetto del venir meno delle peculiarità dell'attività alberghiera rispetto alle restanti attività ricettive. In particolare, il dato principale delle nuove disposizioni era costituito dallo spostamento dell’asse della questione alberghiera in modo netto dalla circolazione dell'immobile al soggetto che opera in modo imprenditoriale. Conferma di un siffatto assunto si può agevolmente desumere dalla statuizione che «il carattere turistico viene conferito all'impresa unicamente dalla tipologia di attività svolta» (art. 1, quarto comma della citata Conferenza Stato-Regioni). 

La mancanza di una specifica previsione normativa faceva, poi, venir meno pertanto anche la questione della nullità per violazione del vincolo di destinazione alberghiera per effetto della stipulazione di un atto dispositivo. 

L’espressa abrogazione per effetto del d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 (rubricato “Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio”) della ricordata legge statale 29 marzo 2001, n. 135 conferma tale ultimo indirizzo fatto proprio dal legislatore. 

Il Codice del turismo non regola più la disciplina alberghiera dal punto di vista della conformazione della proprietà, ma si limita a definire le linee di tutela del consumatore dettando, con riguardo ai contratti specifici esattamente indicati, le norme introdotte nel titolo IV, capo I, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (il cd. codice del consumo).

Residua quindi il vincolo urbanistico d’uso turistico recettivo che, come ha osservato il Consiglio di Stato, è appunto di tipo conformativo, non soggetto a decadenza e contestabile dagli interessati solo mediante impugnazione tempestiva dello strumento urbanistico generale. È di conseguenza inammissibile l’impugnazione del piano particolareggiato che recepisce una siffatta destinazione, decorso il termine per la proposizione del ricorso contro l’atto presupposto. 

Le nullità poste dal Codice del consumo a presidio degli interessi in gioco, sono oggi funzionali non alle esigenze di tutela del turismo come elemento portante dell’economia nazionale, ma alla salvaguardia delle ragioni del consumatore dinanzi al potere che un contraente forte e professionale in senso tecnico può esercitare. 

Si tratta di regole dettate per i rapporti B2C (Business to consumer), che operano su un piano di squisita ed esclusiva contrattualità inerente la prestazione di servizi turistici e che lasciano scoperti non solo le relazioni B2B (Business to business) e C2C (Consumer to consumer), ma anche i profili aventi ad oggetto la circolazione del bene destinato al turismo, la cui disciplina è devoluta integralmente attualmente alle regole edilizie ed urbanistiche. 

Residua, infatti, soprattutto, a questo punto, l’esame del vincolo di destinazione turistico alberghiero, la cui conformazione è oggi devoluta alle Regioni ed ai Comuni in occasione della definizione delle norme urbanistiche ed edilizie nonché dei Piani regolatori. Si tratta, insomma, di definire quali effetti possano discendere dalla qualificazione amministrativo-urbanistica del bene in termini di immobile a destinazione alberghiera o più in generale turistica e delle conseguenze sul piano della sua circolazione, in ipotesi di violazione di esse. 

Il ricorso a clausole negoziali ben precise può certo limitare il rischio e chiarire la reale portata degli accordi pattizi intercorsi, ma non appare del tutto sufficiente.

Dalla sua violazione, che non costituisce certamente come nel 1936 il presupposto per l’applicazione delle ricordate norme speciali, discendono conseguenze rilevanti senz’altro da un punto di vista della conformazione della responsabilità contrattuale, ferme le considerazioni che saranno svolte più innanzi in ordine al permanere del vincolo di destinazione alberghiera sulle singole porzioni in cui il bene è stato suddiviso, senza il rispetto delle norme regionali in materia urbanistica ed edilizia. 

Un siffatto vincolo non è certamente oggi caducato per effetto dell’attività negoziale dispositiva, né per converso la presenza tout court del vincolo destinatorio non rispettato, di per sé, inficia in ogni caso la validità del negozio posto in essere. Se è, infatti, violato per effetto dell’assetto negoziale definito delle parti il vincolo alberghiero gravante sull’immobile, sorge, invece, il problema delle eventuali sanzioni civilistiche che possano affettare l’atto medesimo. 

La questione delle conseguenze discendenti dal mancato rispetto del vincolo alberghiero si pone poi in ogni caso non solo per le strutture alberghiere in senso stretto, caratterizzate da una forte unitarietà anche strutturale, ma anche per le strutture alberghiere diverse ed in particolare per le residenze turistico-alberghiere (R.T.A.) e per i villaggi-albergo. 


La multiproprietà alberghiera e la Residenza Turistico Alberghiera

È multiproprietà alberghiera la species di multiproprietà, caratterizzata dal fatto che oggetto del godimento turnario è una struttura recettizia collegata all’esercizio di un’impresa alberghiera, bene il cui statuto trova una precisa regolamentazione nella legislazione nazionale e regionale, impositive dello speciale e tipico vincolo di destinazione. 

Nel testo originale delle disposizioni del codice del consumo, la destinazione alberghiera dell’immobile oggetto dei contratti di multiproprietà era ammessa sulla base del dato testuale delle norme. Infatti, proprio a seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 427 del 1998 ed ancor di più dopo l’entrata in vigore del codice del consumo che all’art. 69 lettera d) (nel dettato originario) è bene immobile ricadente nell’ambito applicativo delle disposizioni de quibus «un immobile anche con destinazione alberghiera o parte di esso per uso abitazione o per uso alberghiero o per uso turistico-alberghiero su cui verte il diritto oggetto del contratto». Un inciso dell’art. 70 primo comma lettera c) n. 2 (nel testo originario) del Codice medesimo richiamava le leggi regionali che disciplinano l’uso dell’immobile con destinazione turistico alberghiera.

Ebbene, per un paradosso, tali disposizioni non sono state riprodotte nel testo del codice del consumo novellato nel 2011, probabilmente perché il legislatore si è preoccupato principalmente della salvaguardia del soggetto debole del rapporto, il consumatore.

La carenza di qualsivoglia dato positivo che richiami la destinazione alberghiera e l’eliminazione dei pregressi dati positivi, non impediscono tuttavia né la conformazione da parte dell’operatore turistico, in concreto, della multiproprietà alberghiera, né la fruizione turnaria di immobili anche di tipo alberghiero. Sarà infatti possibile, nonostante la carenza di appositi richiami normativi nel Codice del consumo, accanto alla scelta di tale ultima ipotesi, l’adozione della variante della multiproprietà reale, con attribuzione di poteri reali ai turnisti, che anch’essa non confligge con il vincolo di destinazione di tipo turistico recettivo. 

Entrambe le fattispecie (multiproprietà alberghiera in senso stretto e multiproprietà reale) sono caratterizzate dalla specificità del bene (a vocazione alberghiera) e del vincolo destinatorio su di esso imposto.

Vi è tuttavia una caratteristica peculiare che connota la multiproprietà di tipo alberghiero: al titolare di un diritto di time sharing alberghiero compete un godimento indiretto atteso che egli non può fruire dell’immobile nel proprio periodo «senza l’intervento e la cooperazione del gestore alberghiero, essendo concretamente impossibile l’esercizio di autonomi e diretti poteri dominicali sulla frazione spazio-temporale acquistata quando questa sia gestita in forma alberghiera»; si tratta, insomma, di attribuire al titolare della multiproprietà alberghiera un godimento fondato «su una comproprietà (dell’albergo o delle camere), ma che si esercita poi concretamente verso il Gestore e solo con la sua cooperazione».

Una tale peculiarità, tuttavia, aveva condotto a ritenere che la fattispecie non avesse i caratteri di uno schema autonomo di multiproprietà, rispetto alla multiproprietà societaria ed immobiliare. Si tratta, infatti, di una forma di multiproprietà che partecipa delle caratteristiche della multiproprietà immobiliare e societaria, il cui tratto essenziale è individuato nei vincoli ai quali è sottoposta la struttura immobiliare e dallo statuto peculiare dell’impresa alberghiera. 

In estrema sintesi, due sono quindi le caratteristiche della multiproprietà alberghiera: il godimento turnario e ciclico attribuito ad una serie di soggetti fruitori e la presenza di un ente collettivo che assume la cura della struttura e dei beni comuni ed eroga i servizi di natura alberghiera.

In concreto, tuttavia, la qualificazione delle fattispecie dipende dal grado di incisività dell’intervento gestorio, caratterizzato dalla unitarietà e dalla tendenziale preminenza: il gestore può, infatti, assumere la qualità di imprenditore alberghiero o presentarsi come semplice amministratore di un complesso immobiliare, con una congerie di modulazioni concrete del rapporto di prestazione dei servizi propri di siffatta tipologia di struttura (quali in via esemplificativa portineria, reception, cambio biancheria, pulizia, uso di piscine, beauty center, bar ristorazione) che possono influire sulla qualificazione dogmatica della fattispecie. 

Al riguardo, la realità del diritto del multiproprietario convive infatti, con profili di obbligatorietà diversamene modulati, ma funzionali all’esercizio della fruizione della unità immobiliare a ciò destinata. In via esemplificativa, spesso nei contratti di multiproprietà di tipo alberghiero non si ravvisano elementi sufficienti ad individuare l’unità immobiliare sulla quale insiste il diritto; ebbene, anche laddove il diritto del turnista sia ridotto ad una frazione millesimale sul bene immobile, nonostante proprio per tale ragione difetti il collegamento con una specifica unità (che verrà scelta di volta in volta dall’imprenditore ed a lui assegnata), non viene meno il carattere reale della fattispecie e con esso la possibilità dell’impiego per il venditore professionale del termine multiproprietà. 

Accade sovente, infatti, che l’acquirente non diviene comproprietario delle parti a vocazione comune (che sono catastalmente individuate e riservate al venditore); la disponibilità di esse da parte del gestore è garantita mediante un contratto di locazione o di affitto di azienda stipulato tra il gestore stesso ed il venditore. La prassi ha fatto ricorso anche ad altre tipologie negoziali quali il contratto di mandato, l’associazione in partecipazione e l’appalto di servizi alberghieri.

Nella posizione giuridica del venditore subentrano, poi, all’atto dell’acquisto del diritto i singoli multiproprietari. A costoro, in virtù della titolarità del diritto loro spettante, è attribuito un diritto di prenotazione il cui esercizio assicura la fruizione di una camera d’albergo sempre diversa nel periodo riservato ad un prezzo molto inferiore a quello offerto al pubblico; in tali casi il multiproprietario vanta anche un diritto di credito nei confronti del gestore del complesso.

Non necessariamente poi il gestore è anche il venditore, ben potendo essere un soggetto terzo titolare dell’impresa alberghiera. 

Il rapporto contrattuale può quindi articolarsi sotto diverse forme ed in particolare può conformarsi in concreto come:

– bipartito (venditore, che sia anche gestore / ed acquirente); o

– tripartito (venditore / gestore (diverso dal venditore) / ed acquirente).

Nello schema base di multiproprietà alberghiera, non è possibile rinunciare ai servizi prestati dall’impresa, ma anzi il titolare è obbligato a comunicare – con modalità e momenti esatti – l’eventuale mancato utilizzo dell’alloggio in un certo tempo, affinché quel periodo di fruizione possa essere messo diversamente a reddito, mediante una locazione parte dei quali canoni andranno versati al multiproprietario. 

La prassi ha sviluppato una declinazione della multiproprietà alberghiera diretta ad attenuare il rapporto relazionale indiretto sopra descritto, senza tuttavia eliminarlo, con l’immobile il cui godimento turnario ha formato oggetto di acquisto e conseguentemente il mutamento pressoché continuo dell’unità oggetto della fruizione sulla base delle esigenze di prenotazione, allo scopo evidente di accentuare il gradimento dei consumatori e di ottenere nel contempo un sostegno finanziario che possa contribuire alla conservazione ed alla valorizzazione del patrimonio alberghiero nazionale. 

Si tratta della specie di multiproprietà alberghiera definita come residenza turistico alberghiera (o R.T.A.) nella quale il godimento turnario ha ad oggetto un’unità (sia essa camera, suite o appartamento, dotata di servizio autonomo di cucina), facente parte di un complesso immobiliare avente destinazione alberghiera, comunque dotata di una gestione unitaria. 

Una tale soluzione ha trovato il favore non solo degli utilizzatori che in tal modo ottengono un’unità esattamente identificata ex ante in una struttura di pregio senza affrontare il costo maggiore dei servizi alberghieri o della seconda casa, con una certa assimilazione con la multiproprietà immobiliare, ma anche delle imprese per le quali la parziale vendita delle unità del complesso costituisce certamente un buon sistema di finanziamento. 

Lo schema maggiormente utilizzato, che ricorda in parte la multiproprietà immobiliare, si compone di due segmenti: il primo consistente nel trasferimento all’acquirente di una quota di comproprietà pro indiviso dell’intera struttura alberghiera; il secondo, nella previsione di un regolamento di comunione che moduli il godimento turnario della unità che ne forma oggetto per un certo periodo di tempo (finanche essere perpetuo), accompagnato comunque da un contratto di albergo stipulato con la impresa alberghiera (che potrebbe non coincidere con il titolare della proprietà della struttura). In tale caso, la durata ed il periodo di fruizione del bene immobile, inseriti in un regolamento di tipo contrattuale non sono modificabili se non all’unanimità.

Una siffatta conformazione ha trovato riscontro positivo nella dottrina e nella giurisprudenza risalenti, atteso che il godimento turnario è un peculiare modo di gestione degli immobili, che non incide, da un punto di vista astratto, sulla sua qualificazione tecnica ed urbanistica che potrà essere comunque residenziale o alberghiera.

La prassi ha, tuttavia, ulteriormente accentuato un siffatto modello, ferma restando la necessaria stipula del contratto d’albergo, giungendo, in ipotesi più recenti, addirittura, a trasferire una quota di comproprietà indivisa di una singola camera o suite, debitamente frazionata mediante l’apposito procedimento catastale e soprattutto urbanistico, la cui fruizione permane sempre ancorata alla ripartizione temporale. 

Ebbene, sulla legittimità di siffatto indirizzo è sorta quasi subito qualche perplessità.

Nella prima fase di applicazione, è stato osservato che – nonostante l’attenuazione del godimento indiretto delle unità immobiliari, ancorché esattamente identificate, in presenza del contratto di albergo sopra citato, – il titolare del diritto potrà utilizzare l’unità nel periodo a lui assegnato solo con la cooperazione del gestore, con l’effetto di sbiadire di conseguenza il carattere reale della fattispecie, per difetto del requisito dell’immediatezza. 

Il dato caratterizzante dell’istituto della R.T.A. è costituito, appunto, proprio dal fatto che la struttura alberghiera, indipendentemente dall’articolazione soggettiva della proprietà, debba assicurare la prestazione di tali servizi al pubblico per l’intero complesso. Pertanto, l’assenza di contratti di albergo con soggetti terzi estranei ai titolari della proprietà delle quote indivise cedute, è senz’altro un indice di impiego improprio dell’edificio stesso. 

Non vi è, insomma, un’incompatibilità ontologica tra multiproprietà ed impresa alberghiera, proprio per l’atipicità di tali fattispecie: è essenziale, tuttavia, affinché sia assicurato il rispetto della legittimità la compresenza dell’unità della gestione dell’impresa alberghiera e dei servizi connessi nonché dell’apertura al pubblico dell’intera struttura, in uno con il rispetto delle disposizioni in materia urbanistica ed edilizia.

Tali elementi dovranno emergere con certezza dal contratto di compravendita, con l’espresso obbligo dell’acquirente di mantenere e non mutare la destinazione ad albergo dell’intera struttura, consentendo l’intera fruizione dell’immobile ad un pubblico indifferenziato, mediante il ricorso alla stipulazione di contratti di locazione alberghiera, ed affidando ad un unico imprenditore la gestione unitaria del manufatto complessivo. 

Di siffatte limitazioni l’acquirente dovrà essere perfettamente consapevole, atteso che il suo godimento non sarà pieno ed esclusivo ed esercitabile direttamente e senza limiti, ma dovrà essere compatibile con la presenza della destinazione alberghiera e con la sua immutabilità.

Non vi è neppure alcuna incompatibilità tra la destinazione alberghiera e la materia del condominio che presuppone nello stesso edificio una pluralità di proprietà separate ancorché conformate e vincolate. Non rileva tanto il regime dell’appartenenza quanto piuttosto l’utilizzo del bene: se è, infatti, ammissibile una proprietà frazionata nell’ambito di un fabbricato a destinazione alberghiera a particolari condizioni, allora è senz’altro conseguente anche la compatibilità con la disciplina del condominio. 

Nel regolamento condominiale dovrà essere previsto che sia assicurata l’unitarietà della gestione d’impresa e l’apertura al pubblico del complesso intero. 


I condhotel

La figura del condhotel (unitamente agli alberghi diffusi) è menzionata per la prima volta in un atto normativo nazionale nell'art. 10, comma 5, del d.l. 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29 luglio 2014, n. 106 (c.d. "Decreto Art Bonus"). Si tratta di una norma fiscale che introduceva dei crediti diretti ad incentivare il settore del turismo.

L'art. 31 del d.l. n. 133 del 13 settembre 2014, convertito nella legge 11 novembre 2014, n. 164 (c.d. "Sblocca Italia"), è invece la fonte normativa dalla quale discende la regolazione del nuovo istituto, che consente di limitare definitivamente l’utilizzo improprio dello schema della R.T.A. 

La nuova fattispecie viene definita nei suoi contorni delineando, altresì un principio di disciplina e configurando una nuova tipologia di esercizio alberghiero contraddistinta dall'offerta di servizi, oltre che in camere tradizionali, anche in unità residenziali di proprietà di terzi privati.

Lo scopo del legislatore è di diversificare l'offerta turistica, ridurre i costi degli investimenti (assicurando con la circolazione delle unità residenziali una immediata remunerazione del capitale) e favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti, mediante la previsione di nuovi strumenti tecnico giuridici, che consentano sia pure pro parte di derogare al principio dell’unitarietà della struttura a destinazione recettiva. 

L’obiettivo della normazione speciale in parola è, quindi, di incentivazione del turismo, di migliorare e ampliare l’offerta turistica (sollecitando l’afflusso di clientela anche in periodi dell’anno nei quali vi è poca richiesta) diffondere i presidi ambientali operativi l’intero anno, contrastare il fenomeno delle seconde case, favorendo al contempo gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti sul territorio nazionale, realizzato mediante la partecipazione di privati alla proprietà della maggior struttura immobiliare. 

Se nella normazione degli ultimi anni si è assistito ad una netta segmentazione delle disposizioni che regolano, ormai dal solo punto di vista urbanistico ed edilizio, la destinazione alberghiera e delle norme che, invece, incidono sulla tutela del soggetto consumatore la ricordata disposizione invece si colloca sull’esatto diaframma di entrambe le materie; da un lato infatti la norma consente di incidere sulla conformazione del vincolo destinatorio, dall’altra offre un nuovo ventaglio di possibilità al turista, estendendo inevitabilmente il pacchetto di tutele poste dal Codice del consumo a sua salvaguardia anche a tale fattispecie. 

La norma sopra ricordata definisce come condhotel «gli esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati».

La legge n. 164 del 2014 dispone poi che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare previa intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 dovranno essere definite le condizioni di esercizio dei condhotel, nonché stabiliti i criteri e le modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera, in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota delle unità abitative a destinazione residenziale di cui al medesimo comma. In ogni caso, secondo la norma delegante il vincolo di destinazione potrà essere rimosso, su richiesta del proprietario, solo previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato. 

Il d.p.c.m. 22 gennaio 2018, n. 13, emanato in attuazione dell'art. 31 del decreto “Sblocca Italia”, in vigore dal 21 marzo 2018, offre – con qualche incongruenza – la disciplina delegata dell’istituto del condhotel, integrando la suddetta norma quadro.

Dalla definizione dettata dalla legge si possono individuare alcuni elementi essenziali. 

Innanzitutto, viene meno, in questa fattispecie, l’unitarietà della struttura edilizia adibita ad albergo dal punto di vista della proprietà: la struttura consterà, infatti, di una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse (destinate alla ricettività diretta) e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale (destinate ad una recettività accessoria).

Queste ultime devono essere dotate di un certo grado di autonomia e devono svolgere, sulla base dell’esatto dato normativo, una funzione complementare, ma integrata della porzione principale della struttura, individuata sulla base delle dimensioni superficiarie minime e su un peculiare rapporto proporzionale. Il carattere residenziale di tali unità immobiliari deve essere letto nel senso che l’interesse prevalente dell’acquirente è quello di ottenere una residenza ove trascorrere le proprie vacanze per sé o per soggetti terzi che la utilizzino.

Le stesse unità a destinazione residenziale possono appartenere ad uno o più soggetti diversi dal proprietario della struttura principale, articolandosi i loro diritti comunque nelle ordinarie forme previste dal legislatore del Libro Terzo del codice civile. 

I condhotel devono avere, inoltre, le caratteristiche tipiche individuate e definite dal d.p.c.m. 22 gennaio 2018, n. 13, sia dal punto di vista tecnico che funzionale. Si tratta di requisiti che riguardano l’oggetto dell’attività recettiva, il soggetto che la gestisce e l’intervento di riqualificazione – temporalmente successivo all’entrata in vigore del decreto in parola – che rende idonea la struttura ad una siffatta peculiare destinazione.


La gestione del condhotel 

Un dato permane rispetto alla normazione generale in materia alberghiera: la gestione della struttura deve essere unitaria. 

Il richiamo è certamente alla gestione dell’azienda-albergo che deve essere comprensiva non solo delle unità di proprietà dell’imprenditore, ma anche delle unità autonome e complementari di proprietà di soggetti terzi. 

Un tale dato trova conferma nell’art. 3 lett. b) e lett. c) del citato decreto del 2018 laddove a proposito della gestione unitaria specifica che si tratta dell’ attività «concernente la fornitura di alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, riferibile ad un condhotel, sia per le camere destinate alla ricettività che, in forma integrata e complementare, per le unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina» e che la fornitura di servizi alberghieri in forma integrata e complementare riguarda anche «le unità abitative di tipo residenziale dei servizi alberghieri e aggiuntivi normalmente assicurati dal gestore unico della struttura ricettiva alle camere destinate alla ricettività».

I proprietari di queste ultime dovranno, quindi, stipulare con l’impresa contratti per il godimento delle loro unità, godimento che, comunque, potrà essere in parte riservato al proprietario medesimo, ferma restando la fruizione dei servizi comuni predisposti dal gestore unico che è il soggetto responsabile della gestione unitaria dell'esercizio alberghiero.

Si potrà trattare di contratti di locazione, di comodato o più in generale di contratti di gestione, variamente articolati per effetto dell’autonomia privata, che comprendano la somministrazione di una pluralità di servizi agli occupanti delle unità immobiliari complementari.

Potranno nella prassi osservarsi – nel rispetto dei requisiti minimi fissati dalla legge – diverse declinazioni della categoria in discussione, ferma restando primo tra tutti, l’unitarietà della gestione: basti pensare al patto con il quale l'acquirente si impegna ad affidare l'intera fruizione del bene immobile ad un pubblico indifferenziato con contratto di locazione alberghiera la cui gestione è affidata all'impresa alberghiera esistente o ancora al patto con il quale l'acquirente si impegna ad utilizzare il bene per un determinato periodo dell'anno con contratto di locazione alberghiera, mentre per il restante periodo dell'anno la fruizione del bene sarà lasciata alla fruizione del pubblico indifferenziato, sulla base delle comuni regole di locazione alberghiera, da parte del gestore unico.

Sarà possibile fare ricorso ad altre tipologie negoziali quali il contratto di mandato, l’associazione in partecipazione e l’appalto di servizi alberghieri, ciascuna delle quali presenta criticità conformative e fiscali che l’interprete ed il pratico dovranno adeguare al caso.

Il legislatore sembra inoltre far riferimento ad un proprietario della struttura che sia anche gestore, ma è certamente ammissibile ipotizzare uno iato tra le due figure, nel rispetto del detto limite.

Nella figura base del condhotel il proprietario-gestore di una struttura alberghiera, con l’intento di venderli successivamente a privati, potrà decidere di trasformare in appartamenti con cucina una porzione della struttura esistente (fino ad un massimo del 40% della superficie) oppure aggregare all’albergo un certo numero di unità immobiliari (ad esempio villette) ubicate nelle immediate vicinanze. In ogni caso il privato che acquista una camera o un appartamento potrà utilizzarla esclusivamente per scopi propri (ad esempio per trascorrere vacanze estive) o darla in affitto negli altri periodi, affidando l'incarico al gestore della struttura alberghiera, con cui dividerà i profitti conseguiti.

È stato poi osservato in precedenza che la multiproprietà immobiliare è caratterizzata dalla titolarità da parte di un soggetto di un diritto di natura reale, pieno ed esclusivo (in quanto la fruizione non richiede la collaborazione di alcuno), trascrivibile ed opponibile erga omnes, perpetuo, ma a godimento turnario, trasmissibile agli eredi e cedibile a terzi; nonché che è multiproprietà alberghiera la species, caratterizzata dal fatto che oggetto del godimento turnario è una struttura recettizia collegata all’esercizio di un’impresa alberghiera. 

Il tipo condhotel può allora coesistere con entrambe le specie di multiproprietà. In via esemplificativa, il 60% della struttura potrà essere infatti organizzato sotto forma di multiproprietà alberghiera, unitariamente gestita, residuando in capo alla esclusiva proprietà di terzi il 40% della superficie del complesso medesimo; quest’ultima porzione potrà essere organizzata non solo in proprietà esclusiva delle singole ed individuate porzioni, ma anche nella forma della classica multiproprietà immobiliare. 

Nulla precisa la legge o il decreto in ordine alle qualità dei soggetti terzi, titolari di diritti reali sulle unità abitative ad uso residenziale facenti parte della maggior struttura; essi potranno essere persone fisiche o giuridiche e sarà del tutto indifferente che esercitino o meno a loro volta attività d’impresa. 

Il gestore unico deve assicurare – nell’ambito di un’attività di gestione di un condhotel – la fornitura di servizi alberghieri consistenti in alloggio, in servizi accessori ed eventualmente in vitto, sia per le camere destinate alla ricettività sia, in forma integrata e complementare, per le unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina.

Ecco perché l’esercizio di un condhotel è subordinato alla necessaria presenza di una portineria unica e disponibile tanto per gli ospiti dell’esercizio alberghiero quanto per i proprietari e per coloro che fruiscono della porzione ad uso residenziale, con la possibilità di prevedere eventualmente anche un ingresso specifico e separato ad uso esclusivo di dipendenti e fornitori.

Un siffatto esercizio deve poi essere connotato da una certa stabilità temporale; con un singolare corto circuito tra condizioni di esercizio e regole di esercizio, l’art. 4 del decreto n. 13 del 2018 dispone che la gestione unitaria e integrata dei servizi del condhotel delle camere, delle suites e delle unità abitative arredate destinate alla ricettività e delle unità abitative ad uso residenziale debba essere prevista per una durata specificata a priori nel contratto di vendita delle unità ad uso residenziale, non inferiore ai dieci anni dall’avvio dell’esercizio in questione, fatti salvi i casi di cessazione per cause di forza maggiore indipendenti dalla volontà del titolare dell’impresa alberghiera.

È condizione di esercizio del condhotel, espressamente prevista dal decreto n. 13 del 2018, che anche le unità residenziali debbano fruire dei servizi alberghieri normalmente assicurati dal gestore unico della struttura ricettiva ed, in particolare, di tutti i servizi alberghieri previsti dalla normativa vigente (compresi quelli richiesti dalle rispettive leggi regionali e dalle relative direttive di attuazione per il livello in cui il condhotel è classificato) ed anche dei servizi ulteriori individuati esattamente nel contratto di vendita delle unità residenziali. 

Qualora, però, per qualunque motivo, si verifichi una temporanea interruzione dell’erogazione dei servizi alberghieri comuni o una sopravvenuta impossibilità a fornirli, l’acquirente dell’unità immobiliare di tipo residenziale può godere della speciale garanzia che discende dalla previsione in ogni singolo atto di compravendita di queste ultime unità di un’apposita pattuizione contrattuale con la quale il proprietario della struttura alberghiera si impegni a subentrare negli obblighi posti a carico del gestore unico. In via subordinata, nella sola ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione dei detti servizi anche da parte del proprietario della struttura alberghiera, quest’ultimo si deve obbligare ad indennizzare il proprietario dell’unità abitativa ad uso residenziale.

In ogni caso, sempre in coerenza con le finalità perseguite, devono essere rispettate quelle esigenze di sicurezza proprie delle strutture alberghiere, con la conseguenza che anche nei condhotel si rende necessario effettuare verifiche sugli arrivi e le presenze degli ospiti dell’intera struttura (alberghiera e residenziale), con esclusione evidente dei proprietari delle unità private e loro familiari per i periodi che i medesimi si sono riservati.

Il gestore unico del condhotel, quindi, dovrà, poi, provvedere all’identificazione degli ospiti delle unità abitative a destinazione residenziale e a comunicare alla questura competente le generalità delle persone ivi alloggiate, nonché ad adempiere agli obblighi relativi alle comunicazioni a fini statistici delle presenze turistiche.       


La compravendita del condhotel 

Il decreto n. 13 del 2018 si limita a regolare alcuni aspetti delle compravendite delle proprietà delle unità abitative ad uso residenziale facenti parte di un condhotel essenziali proprio per la particolarità dell’oggetto del negozio. 

Le parti devono, innanzitutto, indicare le condizioni di esercizio di cui all’art. 4 del decreto n.13 del 2018, compatibili con la gestione unitaria dell’intera struttura in cui gli stessi sono ubicati e precisamente:

  • la presenza di almeno sette camere, al netto delle unità abitative ad uso residenziale, all'esito dell'intervento di riqualificazione, ubicati in una o più unità immobiliari inserite in un contesto unitario, collocate nel medesimo comune, e aventi una distanza non superiore a 200 metri lineari dall'edificio alberghiero sede del ricevimento;
  • il rispetto della percentuale massima della superficie netta delle unità abitative ad uso residenziale pari al 40% del totale della superficie netta destinata alle camere;
  • la presenza di portineria unica per tutti coloro che usufruiscono del condhotel, sia in qualità di ospiti dell'esercizio alberghiero che di proprietari delle unità abitative a uso residenziale, con la possibilità di prevedere un ingresso specifico e separato ad uso esclusivo di dipendenti e fornitori;
  • la gestione unitaria e integrata dei servizi del condhotel e delle camere, delle suites e delle unità abitative arredate destinate alla ricettività e delle unità abitative ad uso residenziale per la durata specificata nel contratto di trasferimento delle unità abitative ad uso residenziale e comunque non inferiore a dieci anni dall'avvio dell'esercizio del condhotel;
  • l’esecuzione di un intervento di riqualificazione, all'esito del quale venga riconosciuta all'esercizio alberghiero una classificazione minima di tre stelle;
  • il rispetto della normativa vigente in materia di agibilità per le unità abitative ad uso residenziale.

Devono, poi, essere ricompresi nel contratto anche i seguenti contenuti:

  1. la descrizione “accurata e dettagliata” delle unità abitative residenziali oggetto della vendita, dell’ubicazione all’interno della struttura adibita a condhotel, nonché la descrizione “appropriata” dell’intera struttura. Qualche perplessità suscita l’utilizzo degli aggettivi “accurata e dettagliata” e “appropriata”, quasi che quest’ultimo termine avesse una valenza meno incisiva dei primi due. Certamente appare essenziale l’allegazione di un elaborato planimetrico che possa far comprendere il rapporto spaziale esatto tra l’unità immobiliare residenziale oggetto diretto della compravendita ed il maggior complesso condominiale del quale la medesima fa parte; 
  2. le condizioni di godimento e le modalità concernenti l’uso di eventuali strutture comuni; 
  3. una descrizione “accurata e appropriata” di tutti i costi connessi alla proprietà dell’unità residenziale, delle modalità attraverso cui tali costi sono ripartiti, con indicazione delle spese obbligatorie, quali quelle relative ad imposte e tasse, spese amministrative e gestionali generali, nonché di quelle relative alla gestione, manutenzione e riparazione delle parti comuni del condhotel. Naturalmente è difficile immaginare la possibilità di una “accurata e appropriata” descrizione di tali elementi, attesa la loro difficile prevedibilità nel quantum. Appare opportuno allegare allora all’atto di compravendita una tabella contenente la specifica indicazione delle singole voci nel loro ammontare assoluto o percentuale (o millesimale). 
  4. deve, poi, essere regolata la possibilità che l’unità abitativa ad uso residenziale, ove non utilizzata dal proprietario, con il suo consenso, possa essere adibita da parte del gestore unico ad un impiego di tipo alberghiero. Un siffatto consenso può essere espresso anche anticipatamente in occasione del contratto di compravendita e può essere anche temporalmente modulato predeterminando la cronologia dell’impiego dell’unità immobiliare residenziale da parte dell’acquirente stesso.

Naturalmente può verificarsi il caso in cui il gestore unico non sia il proprietario della struttura adibita, a seguito degli interventi di riqualificazione a condhotel. In tal caso è preferibile un intervento nell’atto di compravendita di entrambi, proprio in considerazione della conformazione del contenuto di un siffatto diritto di proprietà sulla base della gestione unitaria della struttura, proprio per assicurare il profondo rispetto del dato normativo.

Nell’ipotesi in cui, invece, l’intervento in atto del gestore – per le più disparate ragioni – non sia possibile, il proprietario della struttura in occasione della compravendita delle unità immobiliari destinate all’uso residenziale, dovrà indicare esattamente la preesistenza del contratto di gestione, munito degli estremi di registrazione e contenente tutte le prescrizioni di cui al decreto n. 13 del 2018, consegnandolo ai sensi dell’art. 1477, comma 2 c.c., alla parte acquirente in copia, magari da allegare al contratto medesimo e prestando in atto la garanzia richiesta dall’art. 6, commi 3 e 4 del medesimo decreto per il caso in cui venga meno la prestazione dei servizi alberghieri da parte del soggetto obbligato.

Se le indicazioni sin qui descritte sono assistite dalla doverosità, come è evidente dal ricorso da parte del legislatore alle parole «devono essere ricompresi i seguenti contenuti», vi sono altre pattuizioni che il legislatore specifica, sia pure non assistite da una siffatta espressa imposizione. 

Nulla è però precisato per il caso in cui nell’atto di compravendita manchi una delle previsioni obbligatorie in virtù del citato decreto. Si tratta di una disposizione che incide sul diritto di informazione dell’acquirente. Escludendo, pertanto, la nullità del contratto per la mancanza di una formale disposizione di legge in tal senso, la difettosa menzione si risolverà sul piano della responsabilità contrattuale e delle sanzioni di tipo amministrativo che potranno affettare l’intero iter procedimentale.

L’unico caso nel quale si ricadrà nella nullità formale, riguarda le menzioni urbanistiche obbligatorie al fine della validità, ai sensi dell’art. T.U.E. ed in particolare del comma 5-bis della medesima disposizione. 

È noto che per affermare l’obbligatorietà della menzione del titolo urbanistico successivo al primo devono essere compresenti le seguenti caratteristiche:

  • l’intervento deve poter rientrare nella categoria della cd. ristrutturazione pesante o negli altri peculiari interventi indicati nell’art. 23 comma 1 lettere b) e c); 
  • deve essere un intervento per il quale il permesso rilasciato o la protocollazione della denuncia di inizio attività rechi una data successiva a far tempo dal 5 febbraio 2003 o la protocollazione della segnalazione certificata a far data dal giorno 11 dicembre 2016.

Pertanto, solo laddove la riqualificazione edilizia in questione possa essere qualificata come ristrutturazione pesante, allora la carenza della relativa menzione comporterà la nullità dell’atto di compravendita avente ad oggetto le porzioni destinate ad uso residenziale, facenti parte della maggior struttura alberghiera.

Oltre ad un contenuto vincolato dell’atto di vendita, vi è quindi un contenuto opportuno, ma facoltativo del medesimo. Entrambi tali contenuti, al pari di ulteriori elementi facoltativi possono essere inseriti anche in allegati inserti, dotati della necessaria chiarezza ed evidenza. Nessun limite si rinviene al proposito nelle disposizioni in commento.

Il gestore unico dovrà impegnarsi a garantire, inoltre, ai proprietari delle unità abitative ad uso residenziale, oltre alla prestazione di tutti i servizi previsti dalla normativa vigente, ivi inclusi quelli di cui alle rispettive leggi regionali e alle relative direttive di attuazione per il livello in cui il condhotel è classificato, anche eventuali ulteriori prestazioni espressamente convenute tra le parti. 

Un tale obbligo potrà essere assunto direttamente nel contratto di gestione a favore dei terzi indeterminati che si renderanno acquirenti (con conseguente richiamo in ciascun atto) dal gestore non proprietario della struttura. Qualora, invece, il gestore unico sia anche proprietario della struttura, un tale impegno potrà essere assunto o ribadito anche in ciascuna delle compravendite da stipularsi delle porzioni adibite a scopo residenziale.

Il proprietario dell'unità abitativa ad uso residenziale, da parte sua, deve impegnarsi a rispettare le modalità di conduzione del condhotel, garantendo l'omogeneità estetica dell'immobile in caso di interventi edilizi successivi.

Nulla invece è statuito in ordine alla previsione della durata di erogazione dei servizi e del loro termine temporale, nonostante la gravità delle sanzioni previste in ipotesi di violazione per effetto della cessazione anticipata di prestazione dei servizi. In tali casi l’art. 5 del decreto statuisce addirittura una fattispecie di mutamento non consentito della destinazione d’uso dell’immobile, con tutto il portato di conseguenze civili, amministrative, penali e tributarie che un siffatto assunto comporta. È, pertanto, fortemente opportuna l’indicazione in atto di un siffatto dato tecnico al pari della regolazione delle modalità di utilizzo delle singole unità abitative residenziali stesse.

In particolare, l’acquisto dell’unità immobiliare si dovrà accompagnare, in genere, anche ad un mandato di gestione grazie al quale l’albergatore (sia o meno proprietario della maggior struttura) abbia il diritto di affittare o locare l’unità immobiliare residenziale oggetto della vendita nei periodi di inutilizzo da parte del nuovo proprietario, dividendone con questi i relativi ricavi o pattuendo delle provvigioni.

Vanno, poi, disciplinate nell’atto di compravendita le conseguenze in ipotesi in cui venga meno, per qualunque causa, l'attività del gestore unico, sia nell’ipotesi di interruzione dell'erogazione dei servizi comuni sia nell’ipotesi di sopravvenuta impossibilità, a qualunque titolo intervenuta.

Il proprietario della struttura alberghiera si deve, infatti, impegnare espressamente con la parte acquirente, attraverso apposita e specifica pattuizione contrattuale (che potrà o meno essere assistita da un corredo di diposizioni sanzionatorie), a subentrare negli obblighi posti a carico del gestore. In subordine, nel caso di impossibilità sopravvenuta, anche per il proprietario della struttura alberghiera dell'adempimento degli obblighi di cui sopra, quest’ultimo deve impegnarsi, in occasione della compravendita, con la medesima parte acquirente ad indennizzarla, definendo sin da allora modalità, garanzie, sanzioni ed importi. 

È poi naturalmente possibile inserire nella compravendita un contenuto del tutto facoltativo, mediante il quale le parti definiscono gli ulteriori obblighi reciproci nell’esercizio della loro autonomia negoziale, come in ogni ordinario contratto.

Lascia perplesso da ultimo l’interprete la previsione contenuta nell’art. 10 del decreto n. 13 del 2018 che ai fini della prescritta pubblicità, l’atto di compravendita o di trasferimento della proprietà, dell’unità abitativa di tipo residenziale ubicata nel condhotel, debba essere trascritto nei registri immobiliari. 

È evidente che alla disposizione non può attribuirsi il significato inutile e lapalissiano che discende dal dato letterale, tralasciando peraltro ogni considerazione sul valore del riferimento relazionale agli atti «di compravendita o di trasferimento della proprietà». 

È preferibile ritenere innanzitutto che la esecuzione della formalità pubblicitaria debba attraverso la sezione D della nota di trascrizione dare conto della ricchezza di contenuti che l’atto deve contenere e che sono stati sin qui illustrati.

È stato osservato in precedenza che l’imprenditore albergatore deve impegnarsi alla vendita e che i primi atti dispositivi delle porzioni ad uso residenziali del condhotel devono essere o una vendita o altro atto a titolo oneroso, con esclusione dell’ammissibilità di fattispecie gratuite. 

Nei cennati artt. 6 e 10 del decreto si richiama invece il termine “trasferimento della proprietà” che invece evocherebbe qualsiasi atto traslativo della proprietà o traslativo/costitutivo di diritti reali minori delle unità medesime, contraddicendo l’assunto di partenza. 

Invero, va ricordato che tali ultime due disposizioni concernono il contenuto obbligatorio, opportuno ed eventuale del contratto e l’obbligo di trascrizione nei registri immobiliari del medesimo. Ebbene, si può argomentare che un tale termine, apparentemente impreciso, è stato impiegato proprio perché si fa riferimento all’obbligo di contenuto e di pubblicità non solo nel primo passaggio successivo all’attività di riqualificazione, ma anche a tutti gli atti traslativi successivi che dovranno rispettare in ogni caso le medesime caratteristiche tipologiche, siano essi a titolo oneroso o gratuito.

È poi fortemente opportuno, proprio per il carattere integrale della struttura adibita a condhotel, nonostante la pluralità di soggetti proprietari all’esito delle opere di riqualificazione e delle attività negoziali di vendita delle unità abitative ad uso residenziale in esso comprese, che anche in ipotesi di vendita della struttura principale si dia atto della complessità degli aspetti tecnici sopra rilevati, nonostante l’assenza di un dato testuale, in tal senso, che obblighi a siffatte menzioni.


Le regole condominiali, la multiproprietà ed il condhotel

L’istituto del condhotel è funzionale alla nascita di un condominio, istituto caratterizzato dalla coesistenza nell’edificio di parti comuni ed unità abitative di proprietà esclusiva. Nel momento in cui il proprietario gestore procede nel rispetto degli impegni assunti alla vendita delle unità abitative a destinazione residenziale nasce il condominio, che si costituisce automaticamente nel momento in cui l’unico proprietario dell’edificio aliena a terzi la prima delle unità immobiliari (ad uso residenziale) che ne fanno parte. Il Consiglio di Stato nel suo parere della sezione consultiva del 7 agosto 2017 sottolinea la necessità che siano «regolamentati anche importanti aspetti contrattuali condominiali». 

Emerge anche in tale occasione il ruolo del notaio, che dovrà coniugare nella redazione del contratto di vendita le peculiari regole dettate dal decreto n. 13 del 2018 con la materia condominiale, novellata in seguito all’entrata in vigore della legge 11 dicembre 2012, n. 220, che svolge un compito non solo di tipo antiprocessuale di carneluttiana memoria, ma anche di levatrice del condominio medesimo, atteso che la sua stessa “nascita” avviene, di regola, proprio per il tramite di un atto notarile.

La peculiarità dell’ipotesi del condhotel è, allora, costituita dalla valutazione della compatibilità del regime di condominio con la destinazione alberghiera, non esclusa dal decreto n. 13 del 2018, ancorché non regolata dallo stesso; in uno stesso edificio coesistono infatti alcune unità immobiliari in proprietà esclusiva a destinazione residenziale, con la maggior superficie del complesso destinata ad albergo.

Si tratta di problematiche che sono state completamente trascurate dal legislatore.

È già stato rilevato che il primo comma dell’art. 1117 c.c. dispone testualmente che «sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo», con un chiaro richiamo alla turnarietà del godimento. Nessun problema pone, quindi, il ricorso allo schema tecnico della multiproprietà per le porzioni ad uso residenziale che fossero cedute a terzi. 

Particolare attenzione dovrà essere prestata al regolamento di condominio, che deve, a norma dell’art. 1138 comma primo c.c. essere formato quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci e deve contenere le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.

Va ricordato, a tale proposito, che nel contratto di compravendita devono essere previste le condizioni di godimento e le modalità concernenti l’uso di eventuali strutture comuni ed una descrizione “accurata e appropriata” di tutti i costi connessi alla proprietà dell’unità residenziale, delle modalità attraverso cui tali costi sono ripartiti, con indicazione delle spese obbligatorie, quali quelle relative ad imposte e tasse, spese amministrative e gestionali generali, nonché di quelle relative alla gestione, manutenzione e riparazione delle parti comuni del condhotel

É del pari noto che soltanto il regolamento di tipo contrattuale, la cui natura giuridica è tale in virtù del suo peculiare contenuto e non della sua fonte, può contenere «clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni» ovvero «clausole che attribuiscono ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto agli altri». 

Il regolamento contrattuale di prassi, predisposto dal proprietario unico del maggior edificio, che di solito lo ha costruito, è accettato da coloro che mano a mano acquistano le singole unità immobiliari. 

È stata di recente autorevolmente affrontata la questione della vincolatività del regolamento di tipo contrattuale per l’acquirente per effetto della valida e corretta manifestazione del suo consenso, anche alla luce del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cd. codice del consumo), in tutte le ipotesi nelle quali il venditore delle porzioni destinate ad uso residenziale sia un professionista e l’acquirente sia un consumatore. L’allegazione del regolamento ad ognuna delle vendite costituisce un dato utile nella espressione di un siffatto giudizio. 

A tale riguardo, è stato posto in dubbio se il mero rinvio relazionale ad un precedente atto di compravendita al quale il regolamento di condominio contrattuale è allegato sia idoneo allo scopo di assicurare la piena consapevolezza dell’acquirente-consumatore. In questo quadro, un ruolo particolare, gioca la trascrizione del regolamento nei registri immobiliari, la cui estrema complessità soddisfa poco l’obiettivo di partenza, nonostante il leggero ritocco squisitamente formale apportato dalla legge di Riforma del condominio all’art. 2659 c.c. nella parte in cui statuisce che nella nota di trascrizione per i condomíni «devono essere indicati l’eventuale denominazione, l’ubicazione e il codice fiscale», evocando uno scenario nel quale emerga la soggettività del condominio e la terzietà dei condomini.

A proposito delle condizioni di godimento e le modalità concernenti l’uso di eventuali strutture comuni ed una descrizione “accurata e appropriata” di tutti i costi connessi alla proprietà dell’unità residenziale, sopra cennati che costituiscono contenuto obbligatorio dell’atto di compravendita avente ad oggetto le porzioni residenziali, tali indicazioni, ancorché effettuate nel corpo del regolamento di condominio, non possono essere disattese nell’alveo del testo contrattuale. Si tratta peraltro di clausole che contribuiscono ove inserite in un regolamento di condominio a qualificarlo come contrattuale in quanto incidenti sulla espressione del diritto di proprietà esclusivo o comune. 

Il descritto conflitto apparente tra le disposizioni speciali successive dettate in materia di condhotel e la peculiare disciplina in materia di regolamento di condominio nonché l’incertezza in ordine alla sua conoscibilità da parte dell’avente causa ed efficacia nei suoi riguardi inducono a mantenere ferma l’esigenza di menzione di tali elementi nel corpo contrattuale, come espressamente disposto dall’art. 6 del decreto n. 13 del 2018.

Particolare attenzione deve essere prestata alla destinazione d’uso, che costituisce in certo qual modo una delle caratteristiche della fattispecie del condhotel. 

La legge 11 dicembre 2012, n. 220 ha affrontato la questione attenuando il principio unanimistico che governava la materia. 

L’art. 1117-ter, primo comma, c.c. richiede comunque una maggioranza qualificata assai rilevante pari ai quattro quinti dei partecipanti al condominio, per la modificazione di destinazione d’uso anche delle parti comuni (unitamente ad un articolato procedimento di convocazione assembleare) e l’art. 1117-ter, ultimo comma, c.c. comunque vieta le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico. 

L’art. 1120 c.c., rimasto immutato dopo la riforma, vieta poi le innovazioni «che rendono inservibili il bene all’uso o al godimento» anche di uno solo dei proprietari generando poi un apparente corto circuito normativo per la mancanza di un analogo divieto nell’art. 1117-ter c.c. appena citato, superabile nel senso che il sintagma presente nell’art. 1120 c.c. deve essere letto quale espressione di un principio generale nel senso di sono vietate tutte le innovazioni (intese sia in senso stretto ex art. 1120 c.c. sia quali cambio di destinazione d’uso del bene ex art. 1117-ter c.c.) che comunque rendono completamente inservibili il bene all’uso o al godimento i beni comuni. 

Qualsiasi previsione, al proposito delle destinazioni d’uso e delle sue variazioni successive, contenuta nel regolamento di condominio adottato o qualsiasi eventuale delibera assembleare successiva non può non tenere in conto le peculiari previsioni dettate dalle leggi (nazionali e regionali) in materia di destinazione alberghiera e il dettato del decreto n. 13 del 2018, con conseguente invalidità delle eventuali disposizioni o decisioni in contrasto in particolare in ordine alla rimodulazione e alla rimozione del vincolo medesimo, ancorché rispettose dei limiti di quorum speciali previsti dal legislatore.

In particolare, l’interprete ed il pratico dovranno prestare attenzione alle ipotesi in cui entrano in gioco norme inderogabili, con la conseguenza che eventuali pattuizioni contrarie sarebbero radicalmente nulle. 

A norma dell’ultimo comma dell’art. 1138 c.c., le norme del regolamento di condominio non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni codicistiche degli articoli 1118, secondo comma (in ordine alla irrinunciabilità ai diritti sulle parti comuni da parte del singolo condomino), 1119 (indivisibilità delle parti comuni), 1120 (Innovazioni), 1129 (Nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore), 1131 (Rappresentanza), 1132 (Dissenso dei condomini rispetto alle liti), 1136 (Costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni) e 1137 (Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea).

La disposizione ora ricordata dell'art. 1129 c.c., attribuisce all'assemblea la nomina dell'amministratore e stabilisce la durata dell'incarico ed è espressamente assistita dal crisma dell’inderogabilità a mente dell’art. 1138 c.c. ora indicato.

Un’eventuale clausola contenuta nel contratto di acquisto dell’unità a destinazione residenziale o nel regolamento predisposto dal proprietario dell’albergo che riservasse ad un determinato soggetto (ad esempio il gestore unico), per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo all'assemblea il relativo potere di nomina e di revoca, sarebbe pertanto radicalmente nulla.

Da ultimo, è necessario un cenno alla previsione di una pattuizione negoziale con la quale la parte alienante la proprietà esclusiva di un immobile, si riservi la proprietà condominiale su uno o più porzioni condominiali per i millesimi di sua spettanza, senza mantenere la proprietà di alcuna unità immobiliare in esclusiva facente parte del complesso. Secondo l’impostazione della Suprema Corte, è nulla una siffatta clausola in quanto in contrasto con il divieto di rinuncia alle parti condominiali, di cui all’art.1118 c.c.

Titolo idoneo a sottrarre l’uso di parti comuni alla comproprietà dei condomini è il regolamento del condominio e non il successivo atto di vendita di una singola porzione immobiliare. 

       

Conclusioni

Il difficile tentativo di conformazione degli interessi in gioco sempre mutevoli nel tempo, è di tutta evidenza. 

L’equilibrio tra l’incentivazione del settore turistico, l’assetto territoriale e paesaggistico, la struttura rigida codicistica della proprietà e del condominio e la salvaguardia del ragioni del consumatore, soggetto debole per antonomasia, interessi di rango costituzionale o primario non può comunque prescindere dall’intervento dell’interprete e del pratico ed in particolare del notaio che mediante l’attività di indagine della volontà a lui prescritta dalla legge modula in modo corrispondente l’assetto negoziale delle parti.

La multiproprietà e la nuova fattispecie del condhotel costituiscono, allora, la cartina di tornasole di un siffatto assunto.

Anche attraverso la possibilità di un corretto equilibrio contrattuale, rispettosa delle norme mediante l’opera di mediazione del notaio, è possibile conseguire lo scopo del legislatore che diversificando l'offerta turistica, desidera favorire gli investimenti, con l’obiettivo di incentivare il turismo, senza dimenticare le ragioni dei soggetti deboli della filiera, i consumatori.