Il notaio e il mercato: appunti
Il punto dal quale vorrei partire è che il notaio non è un relitto di un’economia agricola, chiusa, protezionistica, non aperta al mercato, non concorrenziale. Non è insomma una carrozza a cavallo che appare, con lo stupore generale, sulla rete autostradale o ferroviaria ove sfrecciano moderni e velocissimi mezzi di trasporto. Il notaio non è neppure l’ultimo utilizzatore di calamaio, francobolli, tampone di carta assorbente e così via.
Il notaio partecipa – e non credo proprio malgré soi – all’economia di mercato. Partecipa a snodi e momenti fondamentali della vita fisiologica e patologica delle grandi imprese (basti pensare ai procedimenti di emissione ed alle operazioni di M&A per l’aspetto fisiologico ed ai concordati con l’immancabile emissione di strumenti finanziari per il profilo (si fa per dire patologico). Partecipa alla vita della fitta trama di piccole e medie imprese, alla loro organizzazione. Partecipa, e con sempre maggior ruolo, all’economia del così detto terzo settore. Partecipa in modo particolarmente intenso ad alcuni mercati merceologici e così al mercato immobiliare.
Il problema che allora si pone è, ridotto all’essenziale, il seguente: il notaio è elemento di ostacolo, freno, in un mercato concorrenziale? Rappresenta l’esattore di una sorta di dazio improprio che ostacola lo scambio di beni e servizi o il movimento di persone, imprese e capitali? Se vogliamo essere più alla moda e vestire i panni, un po’ logori in verità, della law and economics, possiamo chiederci: il notaio ed il suo intervento producono esternalità negative sul mercato, introducono costi di agenzia superflui?
In un Paese facente parte dell’Unione europea i quesiti devono comprendere il mercato unico europeo e chiedersi se il notaio italiano per avventura sia d’ostacolo alla concorrenza e al dispiegarsi della libera circolazione di imprese e capitali nel mercato unico.
Questa problematica va distinta, a mio avviso, dalla problematica attinente al mercato dei servizi professionali del notaio, alla organizzazione e “concorrenzialità” della, e nella professione.
Intendiamoci: un nesso sussiste tra i due piani – quello dei rapporti tra notaio e mercato in generale, da un lato, e quello dell’organizzazione e della regolamentazione della professione, dall’altro. Certo i due piani coincidono, tout court, se si ritiene l’esclusiva notarile, quale che sia la sua estensione, in sé, momento anticoncorrenziale-antimercato. Ma se il discorso va su temi quali la territorialità, la dimensione del numero chiuso, la tariffa, lo stesso perimetro dell’esclusiva rappresentano punti di sola potenziale interferenza tra i problemi concorrenziali nel Notariato e i presunti effetti (anti) concorrenziali del Notariato.
Insomma: ho l’impressione, ma è più che un’impressione, che, molto singolarmente e dirò perché, alcuni elementi (spesso mal conosciuti, mal testati) della regolamentazione della professione vengano utilizzati come indizi, anzi addirittura come sicure prove di posizioni di rendita che trascinano con sé l’esclusiva notarile quale che ne sia la portata e così l’intera ragion d’essere della professione in un mercato concorrenziale. Ho parlato di “singolarità” di questo trascinamento perchè con questo sillogismo si rischia di finire con il considerare senz’altro anticoncorrenziale, rispetto al mercato, la regolamentazione della professione senza un esame analitico della sussistenza di questa conclusione. Una incidenza a prima vista anticoncorrenziale della regolamentazione della professione, è appena il caso di ricordare, sussiste per ogni professione legale. Il problema sta nel trade off con i vantaggi. Trade off che in linea di principio, se non mi sbaglio, anche in sede europea viene risolto a favore della compatibilità con il mercato unico, salvo discutere il come e il quanto della regolamentazione.
A mio avviso, occorre rovesciare la prospettiva che viene molte volte seguita. Occorre cioè prendere il toro per le corna, affrontare il problema di petto. Occorre cioè chiedersi se e quali siano gli effetti, i presunti effetti, distorsivi dell’intervento del notaio e poi, semmai, sfogliare la margherita ed individuare i petali della regolamentazione da eliminare e modificare i presunti effetti, distorsivi della regolamentazione sulla concorrenza con la “c” maiuscola: quella cioè del mercato e non quella che qualificherei con la “c” minuscola, della concorrenza entro la professione. Intendiamoci: anche questo aspetto che sarà ampiamente trattato nel nostro Convegno, è rilevante, ma se non vacilla il ruolo e la funzione “direi macro” della professione notarile.
La puntualizzazione della funzionalità concorrenziale con la “c” maiuscola dell’intervento del notaio potrà anche indicare, e mi riferisco al bel saggio di un paio d’anni orsono di Anna Genovese, che oltre certi limiti ed in certe direzioni, la deregulation della professione può determinare effetti perversi sul mercato. La presunta crescita della concorrenza con la “c” minuscola può insomma agevolare fallimento del mercato a danno della concorrenza con la “c” maiuscola.
Sul piano metodologico tutto ciò significa che, mi riferisco sempre alla Genovese, ma pure all’intervento di Federico Ghezzi, la regolazione della professione deve essere proporzionata allo scopo generale – efficienza, affidabilità, concorrenzialità dei mercati – perseguito.
Gli approcci rispetto ai quali valutare e sostenere la perdurante utilità della funzione notarile, dell’essenza della funzione notarile aldilà di questo e quell’aspetto accessorio della sua regolamentazione, sono molteplici e toccano temi assai impegnativi (si pensi all’atto pubblico) che trascendono lo spazio di questo intervento, ma, temo, ancor prima la mia stessa competenza.
Scegliere tra i molti possibili solo alcuni degli approcci possibili, forse i più vicini al campo dei miei interessi. I primi e fondamentali due punti stanno nella teoria dei fallimenti del mercato e nelle correlate (perché la loro insufficienza è spesso causa di tali fallimenti) esigenze di fiducia o, se si preferisce, di affidabilità, certezza nelle controparti e in ciò che il sistema strutturalmente pone a presidio dell’affidabilità (è evidente il riferimento ai pubblici registri).
È recente, di solo qualche mese fa, il dibattito su Mercato concorrenza e regole tra Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro, da un lato, e Cesare Licini e Giovanni Liotta, dall’altro.
Mi pare corretto che «l’esistenza di registri pubblici e affidabili generi rilevanti esternalità positive e che la garanzia sulla loro affidabilità sia legata alle qualifiche di quanti sono abilitati o interessati e sulla veridicità delle informazioni da essi inserite». Ma non mi pare che standardizzazione, digitalizzazione, evoluzione tecnologica dei pubblici registri, in particolare quelli immobiliari e delle imprese, rendano o possano rendere di per sé affidabili i registri stessi, ma soprattutto i dati contenuti, senza una qualificata differenziazione di chi legittima l’immissione dei dati.
- Per quanto riguarda i Registri immobiliari, il complesso dei beni coinvolto ha un tale tasso di potenziale composizione e scomposizione reciproca, un tal tasso di influenza reciproca che amputazioni nel ruolo del notaio per l’immissione nei registri in base alla tipologia od al valore del bene (come originariamente proposto nel disegno di legge sulla concorrenza) potrebbe costituire il baco che inficia l’intero sistema. Il caso del blocco della ristrutturazione di un ampio comparto edilizio per l’esistenza di una servitù su di un piccolo reliquato in esso compreso non è un caso di scuola.
- Per il Registro delle imprese il legislatore ha adottato un approccio quantitativo e qualitativo e quindi ha operato una selezione del filtro di legittimità solo per un perimetro più circoscritto di quanto forma oggetto di pubblicità.
Ma proprio qui occorre molta attenzione. Occorre por mente in particolare al fatto che l’esercizio del c.d. filtro di legittimità è strettamente connesso all’indagine sulla volontà, all’informazione sugli effetti giuridici, insomma ad una doverosa attività consulenziale.
La selezione del filtro di legittimità notarile, così intesa, allora, non può essere funzionale solo a ciò che pare un risparmio di spesa immediato.
L’elemento di cui tener conto è il costo sociale della decisione non ponderata rispetto all’organizzazione di una attività economica ed al farsi stesso imprenditore abbandonano la responsabilità individuale illimitata. Il costo di rapide crisi; il costo della inadeguata conoscenza degli strumenti disponibili (varianti rispetto alla disciplina di default) per eliminare l’alea di variabili verifiche ricorrenti che possono stroncare sul nascere l’iniziativa (dalla crisi coniugale al dissidio tra soci), sono potenziali, troppo spesso probabili costi che soverchiano il costo della prestazione notarile.
Scelte indiscriminatamente agevolatrici possono essere scelte populistiche di breve momento che spostano sulla collettività a costi maggiori il modesto costo iniziale dell’assistenza notarile.
E se si vuole a tutti i costi ridurre a zero il costo dell’assistenza eppure non farla mancare, credo che ci siano forme e modi di realizzazione (ad esempio con la costituzione di appositi fondi, anche con la partecipazione della categoria notarile) diversa dalla ruvida e semplicistica scelta della gratuità.
Il discorso potrebbe allargarsi ed evocare esigenze di simmetria informativa di protezione del contraente debole, di effettività dei diritti e via dicendo. Sono argomenti ben noti in cui molti si sono esercitati. In una chiacchierata generale sul notaio e il mercato si può risalire a principi ed impostazioni ancor più generali che investono il mercato. E, così, anzitutto inforcherei gli occhiali del giurista per ricordare, sulle orme di Natalino Irti, che il mercato non è uno stato di natura ma pur sempre un insieme di regole, comprese in esse quelle a tutela della libertà di iniziativa e di concorrenza.
Il mercato, dico cose ovvie, richiede sempre presidi in misura più o meno ampia a tutela della stessa libertà informata di scelta, dell’affidamento, oltre che di beni pubblici primari (la sicurezza personale, ad esempio). A seconda del quantum di regole si differenziano i vari ordinamenti pur nell’ambito di economie che restano di mercato.
In questo contesto vi sono mercati più o meno regolati ed il pendolo tra regulation (che c’è in qualche modo sempre) e deregulation (che non è mai assoluta) è sempre in movimento, ora in uno o nell’altro senso.
I gradi di regulation del mercato sono diversi nei vari ordinamenti per tradizioni, per scelte politiche. La tipologia di regolazione conosce tecniche in cui si cerca di prevenire al massimo criticità che discendono non dalla tenuta concorrenziale, ma da elementi patologici rappresentati anzitutto dall’inosservanza delle regole del gioco. Fra le regole del gioco sta la affidabilità delle dichiarazioni, il rispetto delle norme organizzative inderogabili dell’impresa, la certezza delle negoziazioni e così via. Di fronte a queste regole del gioco ci si può limitare ad intervenire con sanzioni quando sono violate spostando su terzi e sulla collettività il costo dei danni che la violazione opera. Ma si può cercare di agire in via preventiva spostando sul singolo imprenditore il costo ed eventualmente facendo gravare con agevolazioni varie sulla collettività stessa questo costo in via preventiva. È evidente che il ricorso al notaio si iscrive in questo secondo caso (Fusaro, Mattei e tanti altri).
È una scelta politica, di politica del diritto e non solo: di politica economica. La maggiore o minore efficienza dell’una o dell’altra scelta non può essere predicata a priori, richiede attenta, ma difficile analisi dei costi e benefici delle varie scelte. Ma la scelta dell’uno o dell’altro sistema (tutela solo ex post o preventiva) è anche intimamente legato, come è stato ben dimostrato, alle caratteristica del sistema giuridico in cui ci si muove).
Non voglio cadere nell’apriorismo che critico, ma se dovessimo fare un bilancio tra costi e benefici, ad esempio, del controllo di legalità da parte del notaio, rispetto all’affidamento alla pubblica amministrazione o all’autorità giudiziaria dell’altro, credo che l’esito sarebbe largamente favorevole alla soluzione notarile.
Nell’ambito dell’economia di mercato, che lascia spazio ad interventi di prevenzione, mi pare siano preferibili le soluzioni più amiche del mercato. E quella di affidare la prevenzione ad un professionista neutrale, specie se il professionista vive anch’esso un proprio mercato (ecco il nesso tra regolamentazione del mercato in generale e della professione), ad un professionista attrezzato per una consulenza a vasto raggio, tale scelta, dicevo, assume le vesti di una peer to peer review, di un controllo tra pari, con una minore interferenza della mano pubblica.
Apro una parentesi di tipo sistematico, per osservare come la scelta di interventi precoci all’apparire dei primi segni di crisi dell’impresa, accolta dalla legge delega fallimentare appena approvata si muove proprio nel segno di un mercato che non giudica interventi preventivi idonei a scongiurare maggiori costi contrari alla logica di un mercato concorrenziale.
La prevenzione nel mercato e per il mercato affidato a gatekeepers idonei, del resto, è, come noto, conclusione di illustri economisti (Robert Shiller), che vedono nel presidio informativo e di garanzia di certezza delle transazioni una esigenza assimilabile a quella di presidi territoriali a tutela della salute.
A me pare che, al di là di grida populistiche ad effetto, del resto, il nostro ordinamento sia a livello giurisprudenziale sia a livello legislativo (come acutamente osserva Busnelli nel bell’Editoriale del Notariato), con il conto deposito speciale, l’uno, con il rigore con cui si tratteggia la responsabilità notarile, l’altra imbocchi decisamente la via dell’assegnazione al notaio di un ruolo di tutela preventiva dell’economia di mercato.
Non vorrei tralasciare il fatto che nell’espletare il filtro di legalità in via preventiva-cautelativa, nell’attività d’impresa, il modo in cui tale compito può essere assolto può accrescere la caratteristica di “amico del mercato” del notaio. Mi riferisco alla prassi crescente, meritoria, ma forse troppo policentrica, di stabilire linee guida seguite nel vaglio di legalità degli atti societari (ma il perimetro della materia sulla quale può dispiegarsi questo lavoro può ben dilatarsi). Non credo che qualcuno possa pretendere di vedere un’intesa restrittiva della concorrenza anche in tale lavoro!
Ebbene, questa attività sopperisce ad un bisogno di prevedibilità e certezza della regolamentazione in un settore fondamentale della vita economica. Ed è proprio di certezza e prevedibilità della cornice giuridica che i mercati hanno bisogno. E sono proprio carenza di certezze e prevedibilità della crescita istituzionale legislativa gli elementi che falsano la concorrenza e disincentivano investimenti e crescita.
C’è poi tutta un’altra pagina da leggere. Ed è quella dell’utilizzo del notaio per funzioni amministrativo/giudiziarie. Si sono già passate al notaio alcune zone della volontaria giurisdizione ed altre ancora credo lo potrebbero (provvedimenti sui minori). Vi è poi la vicenda delle esecuzioni. Il notaio diventa così uno strumento di una certa liberalizzazione di funzioni pubbliche, senza con ciò abdicare a garanzie della funzione pubblica.
Certo, vi sono poi ampie zone dell’attività che si snoda sul mercato in cui l’intervento del notaio è possibile ma non necessario. Io credo – ed il problema è stato anche qui ampiamente trattato da Fusaro e Mattei – che l’attribuzione al notaio, pur al difuori dei settori riservati al suo intervento, di poteri esclusivi in tema di certezza della prova, identità, data certa, ricerca della volontà, esecutività dell’atto rappresentano una importane difesa della stabilità dei rapporti e della tutela del contraente debole; valori che un mercato che attribuisce valore alla prevenzione, un mercato orientato all’economia sociale non può sottovalutare e non deve combattere. In un tale sistema, e mutuo un’esperienza di Andrea Fusaro, al notaio ben si addice il ruolo di guardiano, gatekeeper di legalità, così come la c.d. funzione anti-processuale, è funzione preziosa in un sistema in cui la lentezza della giustizia costituisce un motivo di disincentivazione agli investimenti (cfr. Mattei: «i notai sono nella posizione migliore per assistere … / contrattazioni complesse e self-enforcing sia favorendo l’equità … delle clausole penali … sia soprattutto costituendo fondi e depositi sicuri per garantire ex ante ed in modo indipendente dalle Corti (tali) pattuizioni private»).
Sin qui mi sono riferito a compiti del notaio pro mercato, pro mercato sociale munito di gatekepers, di natura strutturale, abituale, normale, nei sistemi che sposano questa versione e non quella ultra liberista di mercato ed in sistemi di civil law.
Vi sono poi funzioni, per così dire emergenziali, richieste dal sistema italiano. È forse utile ripeterlo: criminalità organizzata, riciclaggio, evasione fiscale. Anche negli schemi liberisti di rigorosa economia di mercato questi elementi pesano, falsano la concorrenza, allontanano dal mercato. L’intervento notarile concorre a ridurre questi rischi: svolge, ancora una volta, una funzione pro mercato, con un intervento, ancora una volta, che non si risolve in uno scrutinio dell’attività di impresa da parte di un pubblico potere.
È ora di concludere. E la conclusione conferma quanto già acquisito in alcuni recenti studi, e cioè:
- La compatibilità del ruolo del notaio in una economia e in un ordinamento basato sul mercato e sulla libera concorrenza dipende dal modello con il quale ci si confronta, dato che è ormai banale la constatazione che non esiste un modello ideale di mercato rispetto al quale ogni intervento regolatorio è distorsivo.
- In un mercato regolamentato di civil law interventi preventivi idonei a dare certezza, prevedibilità, effettività congiunti con protezione sono fisiologici.
- Ancor più lo sono quando il mercato presenti specifici ed alti rischi di inefficienza giudiziaria e così di efficacia della tutela ex post.
- In tale contesto, l’intervento notarile può essere letto come un intervento pro mercato, pro concorrenziale.
- Questo carattere pro mercato si accentua ove la professione attraverso linee di comportamento cerchi di ridurre la imprevedibilità del diritto e della Corte.
- Elementi esogeni di patologica rottura delle normali condizioni di mercato che caratterizzano il mercato italiano rendono ancor più pro mercato l’intervento notarile.
Di qui occorre partire. Senza preconcetti, senza assumere un paradigma astratto di mercato, senza farsi disorientare da un liberismo ora meramente teorico, ora funzionale a diversi tipi di ordinamento, senza dimenticare che diversi, ma tutti riconducibili alla economia di mercato, sono i gradi e i modi di (ineluttabile) regolazione del mercato; di qui, da questi presupposti; dicevo, si deve prendere la mossa per valutare la regolamentazione del “mercato” della professione notarile.
Se sono ben presenti, verificati, provati con indagini empiriche oggi mancanti, i presupposti su cui mi sono intrattenuto circa la non incompatibilità del notaio – notaio latino – con il mercato, occorre ora passare, e lo faranno molti relatori, ad esaminare quanto congrua, proporzionale sia la regolamentazione della professione con la non incompatibilità, anzi con la funzione pro mercato cui io credo il notaio possa assolvere.
Non ci vogliono pregiudizi nel valutare il ruolo del notaio nel mercato, ma non ci devono essere neppure preconcetti nel valutare la regolamentazione della professione.