Il ruolo del notaio nella negoziazione assistita della separazione e del divorzio
Notaio in Mugnano di Napoli
1. Cenni sulla negoziazione assistita delle separazioni e dei divorzi. Individuazione delle problematiche legate al ruolo del notaio negli accordi negoziali
Il d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162) ha introdotto nel nostro ordinamento e disciplinato la “negoziazione assistita” con lo scopo, che troviamo già enunciato nel titolo del provvedimento normativo stesso, di adottare misure di degiurisdizionalizzazione per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile.
Il nuovo istituto rientra nella nuova gamma di istituti raggruppati sotto l’acronimo Adr (alternative dispute resolution) che per lo più replicano, nelle loro grandi linee, modelli già collaudati di ordinamenti giuridici esteri che offrono strumenti “orizzontali” e non “verticali” di soluzione delle controversie per decongestionare l’amministrazione della giustizia, concorrenti e non alternativi al diritto, garantito costituzionalmente dagli art. 24 e 111 Cost., di agire in giudizio per far valere i propri diritti[1].
La funzione dei nuovi istituti è quella di creare un filtro a maglie più o meno larghe per evitare l’accesso nelle aule giudiziarie a tutte quelle controversie che per il loro oggetto o per il loro valore potrebbero trovare una rapida soluzione con l’ausilio di un terzo imparziale ovvero con una collaborazione leale tra le parti in contenzioso, con indubbi benefici per le parti stesse e per l’amministrazione della giustizia.
La maggior criticità che accompagna questi istituti attiene alla individuazione delle procedure che, sebbene semplificate, siano in grado di assicurare le medesime garanzie alle parti contendenti normalmente assicurate dal procedimento che si svolge innanzi all’Autorità giudiziaria. In buona sostanza, le nuove norme devono assicurare efficienza di sistema senza far venir meno quelle tutele per le parti che trovano la loro fonte in norme di rango costituzionale.
La negoziazione assistita si caratterizza perché non demanda ad un terzo imparziale, come avviene con la media-conciliazione (d.lgs. 4 Marzo 2010, n. 28 - mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), la direzione del tentativo di amichevole composizione della controversia, ma sono gli avvocati delle parti ad essere investiti direttamente del ruolo di “mediatori giuridici” alla ricerca di una soluzione che riesca a ricomporre attraverso un accordo negoziale gli interessi contrapposti delle parti contendenti.
La negoziazione assistita è obbligatoria ed è condizione di procedibilità dell’azione per alcune tipologie di controversie (risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro) ed è strumento facoltativo cui le parti possono ricorrere per quanto riguarda la materia delle separazioni e del divorzio. Tra l’altro, è dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all'atto del conferimento dell'incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita (art. 2, comma 7, cit. d.l. n. 132 del 2014)
I principali nodi che il legislatore ha dovuto sciogliere, nel disciplinare la negoziazione in materia di separazione e divorzio, in aggiunta alle problematiche generali del nuovo istituto, hanno riguardato: i) l’esistenza di situazioni soggettive tradizionalmente sottratte all’area dell’autonomia privata in ragione della tutela del coniuge privo di redditi adeguati, dei figli minori, dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti o con gravi disabilità e, quindi, l’individuazione di procedure specifiche idonee ad assicurare giuste garanzie di protezione per situazioni soggettive che impongono verifiche esterne per evitare la violazione degli interessi tutelati; verifiche da graduare in ragione delle fattispecie che di volta in volta possano presentarsi in concreto; ii) il rischio che il ricorso a queste procedure alternative di soluzione delle controversia possa tradursi in un abuso del mezzo rispetto allo scopo e, quindi, l’individuazione degli strumenti idonei ad impedire che le nuove procedure possano, in qualche modo, eludere norme inderogabili dirette ad assicurare certezza nella circolazione dei beni immobili e poste a presidio di beni pubblici (quali quelle che riguardano i pubblici registi, l’urbanistiche, l’antiriciclaggio, le norme antielusive, etc.).
Gli aspetti che riguardano, in modo più diretto ed immediato, i notai sono le criticità da ultimo evidenziate attinenti alla circolazione dei beni immobili e ciò per due motivi principali: in primo luogo, perché attore principale nel settore della circolazione dei beni immobili è il notaio e tale ruolo è stato espressamente riconosciuto anche all’interno delle norme che disciplinano i nuovi istituti, laddove si è previsto l’intervento obbligatorio del notaio ogni qual volta l’accordo negoziale, a latere del verbale di media-conciliazione, o frutto della negoziazione assistita abbia ad oggetto uno degli atti soggetti a trascrizione; in secondo luogo, per impedire un abuso del mezzo alternativo che, sebbene abbia come scopo principale la deflazione del contenzioso giudiziario, potrebbe essere utilizzato, come corsia preferenziale, per eludere quell’insieme di norme che il legislatore ha posto nell’interesse della collettività, che deve essere osservato allorquando venga compiuto un atto di disposizione di un bene immobile e, quindi, in buona sostanza, evitare di creare due modalità di circolazione di beni immobili, una rigorosamente disciplinata in funzione del rispetto di norme imperative e di ordine pubblico ed un’altra che, mascherata dal buon intento di deflazionare il contenzioso giudiziario, eluda le suddette norme o comunque renda il sistema meno efficiente introducendo non solo strumenti alternativi alla soluzione delle controversie ma anche sistemi alternativi nella circolazione dei beni immobili.
Va ricordato, a tal proposito, che negli ultimi decenni lo strumento della compravendita immobiliare (rectius: dei negozi di disposizione dei beni immobili) è stato, con sempre maggior frequenza, utilizzato dal legislatore, in funzione di supplenza della Pubblica Amministrazione in molteplici settori, come momento qualificante per la verifica del rispetto delle norme poste a presidio di determinati beni pubblici quali l’urbanistica, il contrasto all’evasione fiscale, il contrasto al riciclaggio, il corretto inserimento di determinati dati ed informazioni nei pubblici registri immobiliari e nel Catasto, l’efficienza energetica degli edifici, il rispetto delle norme in materia di impianti, etc.
In quest’ottica di supplenza delle inefficienze imputabili alla Pubblica Amministrazione, soprattutto sotto il profilo del controllo del corretto rispetto delle norme, l’insieme delle norme che disciplinano la circolazione immobiliare prende in considerazione il bene immobile in funzione non solo degli interessi privatistici dei contraenti ma anche in funzione degli interessi pubblicistici legati, più o meno direttamente, con la proprietà immobiliare e con la sua circolazione[2].
Il presente studio si propone l’analisi degli aspetti legati alla negoziazione assistita in materia di separazioni e divorzio, in quanto è frequente che la soluzione di una crisi coniugale richieda trasferimenti immobiliari tra i coniugi, a favore di figli o anche a favore di terzi, e, più in generale atti di disposizione immobiliare e, quindi, è d’indubbio interesse un’indagine su quale ruolo competa al notaio in questa nuova area di lavoro.
La norma, che disciplina la negoziazione assistita della separazione e del divorzio, è l’art. 6 del cit. d.l. n. 132 del 20104 (conv. in l. n. 162 del 2014), titolato: “Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio” che espressamente dispone:
«1. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
2. In mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti ai sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, quando ritiene che l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che l'accordo non risponde all'interesse dei figli, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. All'accordo autorizzato si applica il comma 3.
3. L'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nell'accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L'avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5.
4. All'avvocato che viola l'obbligo di cui al comma 3, terzo periodo, è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 10.000. Alla irrogazione della sanzione di cui al periodo che precede è competente il Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni previste dall'articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
5. Al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 49, comma 1, dopo la lettera g) è inserita la seguente: "g-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ovvero autorizzati, conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di scioglimento del matrimonio"; b) all'articolo 63, comma 2, dopo la lettera h) è aggiunta la seguente: "h-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio"; c) all'articolo 69, comma 1, dopo la lettera d) è inserita la seguente: "d-bis) degli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ovvero autorizzati, conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio».
La disciplina, contenuta nel cit. art. 6, è speciale rispetto alle norme generali che regolano la negoziazione assistita e, pertanto, come tale, deroga alla normativa generale per quanto espressamente previsto, mentre è integrata dalla normativa generale per gli aspetti non disciplinati.
La negoziazione in materia “familiare” è facoltativa, come si evince dall’incipit della norma, e può essere utilizzata dai coniugi come utile strumento per raggiungere una soluzione consensuale in una materia dominata da situazioni giuridiche soggettive tradizionalmente sottratte all’autonomia privata e rientranti nella sfera dell’indisponibilità a tutela non solo del coniuge sprovvisto di adeguati redditi, ma anche dei figli minori, dei figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. La soluzione di compromesso, tra autonomia privata e tutela delle situazioni soggettive meritevoli di protezione, è data dall’intervento del procuratore della Repubblica che dovrà, a seconda dei casi, rilasciare un nullaosta ovvero un’autorizzazione all’accordo negoziato.
È interessante notare che la soluzione di compromesso per un equo bilanciamento tra interessi delle parti ed esigenza di tutela di soggetti deboli, adottata dal legislatore per la negoziazione assistita, è diversa dalla soluzione che il legislatore stesso ha adottato nel successivo art. 12 del cit. d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) che detta la disciplina della “Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile”, laddove, in quest’ultimo caso, la maggior tutela del coniuge debole è data dalla previsione di un tempo di riflessione di almeno trenta giorni, concesso ad entrambi i coniugi, successivo alla dichiarazione di separazione o di divorzio, decorso il quale la dichiarazione va confermata. Va osservato che il “tempo di riflessione” è previsto, come misura speciale, nei soli casi di separazione personale, ovvero di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio secondo condizioni concordate, innanzi all’ufficiale di stato civile, mentre nessun termine di conferma è previsto per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Quest’ultima notazione è utile in quanto ci consente di graduare il valore assegnato dal legislatore alle varie fattispecie e meglio perimetrare i confini dell’autonomia privata nella soluzione delle vicende personali e patrimoniali che seguono ad una crisi del rapporto coniugale ed anche come chiave interpretativa delle norme, per risolvere eventuali casi dubbi nella regolamentazione della negoziazione assistita.
La normativa in esame, per espressa previsione del legislatore, si applica anche alle unioni civili, in forza del comma 25 della l. 20 maggio 2016 n. 76 che dispone: «Si applicano, in quanto compatibili, (...) le disposizioni di cui (...) agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162». Non può invece essere applicato il nuovo istituto per regolamentare i rapporti genitori-figli al di fuori del matrimonio, in quanto l’art. 6 del cit. d.l. n. 132 del 2014 fa espresso riferimento alle vicende che nascono dal matrimonio.
Fatte queste precisazioni introduttive del nuovo istituto, il presente studio si propone di approfondire il ruolo del notaio all’interno della negoziazione assistita, tralasciando le norme di natura strettamente procedurale o comunque non legate all’attività notarile.
Il riferimento normativo al ruolo del notaio, all’interno della negoziazione assistita, è contenuto nel comma 3 dell’art. 5 del d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) il quale prevede che «Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato». Detta disposizione non è ripetuta nel successivo art. 6, ma si applica quale norma di carattere generale non derogata dal medesimo art.6 che disciplina la negoziazione assistita della separazione e del divorzio quale norma speciale.
I punti di maggior interesse che meritano approfondimento riguardano:
- l’ambito di applicazione della negoziazione assistita “familiare”, la quale sebbene abbia la sua area applicativa limitata alla separazione ed al divorzio, in concreto può contenere tutta una serie di atti e contratti non sempre legati da un nesso di necessità con la soluzione della crisi coniugale ma, molto spesso, occasionati dalla stessa; l’indagine, relativa a questa area applicativa, coincide con quella tradizionalmente presente nelle separazioni consensuali omologate, nelle separazioni giudiziali e nei divorzi e, quindi, si ripropongono le problematiche relative alla natura giuridica degli atti posti in essere in questa sede, alla loro causa, agli effetti, ai soggetti che possono o devono essere coinvolti nell’accordo di separazione e/o divorzio;
- gli aspetti documentali e formali di questi accordi, i quali, in parte, sono verbalizzazione del procedimento che ha origine dalla convenzione di negoziazione (o più esattamente, dall’invito a negoziare) ed, in parte, sono accordi negoziali e, di conseguenza, verificare quali menzioni sono obbligatorie e quali facoltative ed opportune, che ruolo assume il notaio nella verbalizzazione e quale altro ruolo nella stesura dell’accordo negoziato; in questa area d’indagine rientra anche l’analisi del diverso ruolo che può assumere il notaio a seconda del momento in cui interviene all’interno del procedimento: contestualmente alle stesura dell’accordo e, quindi, come partecipante qualificato all’interno della procedura di negoziazione assistita, ovvero in un momento successivo, che potrebbe collocarsi tra la sottoscrizione dell’accordo ed il nulla osta o autorizzazione del procuratore della Repubblica, ovvero che potrebbe collocarsi in un momento successivo al rilascio di uno dei suddetti provvedimenti da parte del procuratore della Repubblica; rientra, ancora, in quest’area di indagine, la verifica della coerenza delle norme che regolano la stesura e la conservazione degli atti notarili ed il rilascio di copie (anche esecutive) con le nuove (poche) disposizioni che regolano il procedimento di negoziazione assistita, che sembra più che altro regolato da prassi, protocolli interni, linee guida e circolari ministeriali piuttosto che da norme espresse dirette ad assicurare certezza documentale agli accordi conclusi ed al procedimento posto in essere[3];
- la possibilità di integrare, ripetere e/o sanare accordi già conclusi, senza l’intervento del notaio, per i quali è stata già rilasciata autorizzazione o nulla osta da parte del procuratore della Repubblica ed, in buona sostanza, la misura dell’intervento del notaio allo scopo di dare piena efficacia e legittimità agli accordi stessi (ovviamente, nella parte che attiene alla circolazione degli immobili), il cui controllo è stato dal legislatore espressamente demandato al notaio stesso e, quindi, riempire di contenuto il disposto dell’art. 5 del cit. d.l. n. 132 del 2014 il quale nel prevedere che «se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» ha rinviato, verosimilmente, all’insieme delle norme che regolano l’attività del notaio, ai controlli di legalità a lui demandati ed ai doveri professionali nei confronti del cliente e non ad una mera attività di identificazione di chi ha sottoscritto l’accordo; è evidente che la tipologia di intervento del notaio, in quest’area, dovrà conciliarsi con il ruolo demandato agli avvocati e con la funzione di controllo svolta dal procuratore della Repubblica.
2. Gli atti soggetti a trascrizione. Atti soggetti ad iscrizione nel Registro delle imprese
Come accennato, l’intervento del notaio, quale “pubblico ufficiale a ciò autorizzato”, disposto dall’art. 5 del cit. d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014), è previsto esclusivamente se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione. Si tratta di una norma di carattere generale inserita tra quelle che disciplinano la negoziazione assistita ordinaria e trova la sua applicazione anche all’interno della procedura speciale di negoziazione assistita di separazione e di divorzio, non sussistendo alcun motivo ragionevole per limitarne l’applicazione.
La forma “notarile” non è, pertanto, richiesta né ad substantiam, né ad probationem, ma per consentire la pubblicità nei pubblici registri dell’accordo negoziato e, quindi, per l’opponibilità dell’atto ai terzi, secondo le regole previste dagli artt. 2644 c.c. e ss., fermo restando che se con l’accordo si dovessero perfezionare atti che richiedono la forma pubblica l’accordo stesso dovrà rivestire tale forma (si pensi, ad esempio, ad un accordo che preveda un atto di destinazione ex artt. 2645-ter c.c.).
Va osservato, che la scelta di riservare al notaio il settore della circolazione immobiliare, anche in questa area, conferma l’importanza attribuita dal legislatore a regolamentare la selezione dei dati ed informazioni che possono trovare accesso nei pubblici registri attraverso il filtro di un professionista istituzionalmente preposto ad assicurare certezze nella circolazione dei beni immobili stessi, non solo esercitando i tradizionali controlli di legalità cui è preposto, ma anche nel suo ruolo di depositario degli atti per conto dello Stato, inserito in una rete di regole e di controlli diretti ad assicurare certezze documentali nel tempo.
Giova ricordare che i Registri immobiliari non sono mere “banche dati” dove è riversata qualunque notizia e qualunque atto riguardante gli immobili. Le norme che regolano la pubblicità immobiliare selezionano in modo tassativo quali dati ed informazioni possono e devono essere riversati nel sistema, quale forma devono rivestire per avere accesso al sistema e quali effetti producono nei confronti delle parti e dei terzi. Il rigore delle norme che disciplinano il sistema della pubblicità immobiliare è giustificato dalle presunzioni, a volte relative ed a volte assolute, che la legge collega alla pubblicità di un determinato atto.
È evidente che la tenuta del sistema si regge sulla qualità dei dati e delle informazioni immesse nel sistema. L’affidabilità di un’informazione contenuta in un atto e le presunzioni che la legge fa scaturire da quell’informazione non possono prescindere dall’affidabilità del soggetto che forma il relativo atto e dalle garanzie offerte dallo strumento giuridico che il legislatore consente di utilizzare. Oggi il nostro sistema di pubblicità immobiliare è assolutamente affidabile e rende sicura la circolazione immobiliare e questa sicurezza ed affidabilità sono conseguenza della scelta del legislatore di consentire l’accesso alla pubblicità immobiliare esclusivamente ai dati ed informazioni contenute in atti pubblici, scritture private autenticate e sentenze. Atti che sono formati da soggetti qualificati in funzione delle esternalità positive che il sistema deve produrre a vantaggio non solo dei soggetti interessati allo specifico atto, ma anche in funzione di interessi pubblici e della collettività.
Sulla tipologia di atti che potranno trovare spazio in un accordo di negoziazione, va osservato che nella legge di conversione del d.l. n. 132 del 2014 si è modificato l’inciso dell’art. 5 che prevedeva esclusivamente l’intervento del notaio nel caso in cui l’accordo prevedesse uno degli atti elencati nell’art. 2643 c.c., estendendolo a qualunque atto soggetto a trascrizione. La modifica della norma in sede di conversione è stata quanto mai opportuna in quanto la previsione dei soli atti elencati nell’art. 2643 c.c. avrebbe lasciato fuori dalla regolamentazione normativa eventuali preliminari, atti di destinazione, divisioni, convenzioni matrimoniali, l’assegnazione del godimento della casa coniugale di cui all’art. 337-sexies (già art. 155-quater) c.c. che, al contrario, possono fungere da utile strumento per la soluzione delle crisi coniugali, soprattutto nell’interesse dei soggetti deboli (si pensi all’atto di destinazione) e che, spesso, sono “fisiologici” all’interno di un accordo negoziale di separazione o di divorzio (si pensi alla divisione, all’atto di destinazione o all’assegnazione della casa familiare).
La norma nulla dispone per gli atti societari o, più in generale, per gli atti soggetti ad iscrizione e deposito nel Registro delle imprese. Questa tipologia di atti potrà comunque trovare spazio all’interno degli accordi di negoziazione assistita e l’intervento del notaio sarà necessario ogni qual volta la pubblicità nel Registro delle imprese è subordinata alla forma “notarile” tenuto conto che l’accordo negoziato con la sola assistenza degli avvocati non è atto pubblico, né è qualificabile come scrittura privata autenticata. Peraltro, l’intervento del notaio sarà obbligatorio in tutti i casi per un determinato negozio è richiesta la forma dell’atto pubblico ad substantiam come, ad esempio, per il patto di famiglia che, ai sensi dell’art. 768-ter c.c. dispone: «a pena di nullità il contratto deve essere concluso per atto pubblico».
Resta esclusa dalla necessità dell’autentica notarile la sola iscrizione dell’ipoteca giudiziale per espressa previsione del comma 1 dell’art. 5 del cit. d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) che dispone: «L'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale». Al di fuori di questa ipotesi qualunque altro atto che debba essere trascritto o annotato presso i pubblici registri dovrà essere provvisto di autentica notarile, fatte salve, ovviamente le trascrizioni delle domande giudiziali che potranno essere eseguite anche prima o con la negoziazione assistita in corso, secondo le regole generali (comma 4, art. 3 cit. d.l. n. 132 del 2014).
2.1. Gli accordi patrimoniali in funzione ed in occasione della separazione e del divorzio. La c.d. causa familiare
Il contenuto degli accordi conclusi in sede di negoziazione assistita non varia rispetto al contenuto degli accordi che i coniugi possono concludere in sede di separazione consensuale, giudiziale ovvero di divorzio.
Accanto ad un contenuto minimo ed essenziale regolato da norme inderogabili ed attinente al mantenimento del coniuge privo di redditi adeguati e dei figli (minori o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti), in occasione delle crisi matrimoniale accade con frequenza che i coniugi pongano in essere ulteriori atti a contenuto patrimoniale che pur replicando, il più delle volte, schemi contrattuali tipici sono dotati di una causa propria sinteticamente denominata “causa familiare”[4] la cui funzione sociale, meritevole di tutela, può essere individuata nella redistribuzione del patrimonio accumulato durante il matrimonio in funzione perequativa delle posizioni economiche dei componenti della famiglia. Perequazione giustificata dall’esigenza di bilanciare posizioni soggettive economicamente squilibrate, in ragione dell’indirizzo familiare concordemente fissato dai coniugi (art. 144 c.c.) e delle scelte comuni effettuate che nel corso del matrimonio che potrebbe aver penalizzato la sfera economica di un coniuge a vantaggio dell’altro (si pensi, ad esempio, alle scelte lavorative concordate, ovvero ad eventuali rinunzie ad occasioni di lavoro da parte di un coniuge, ovvero al lavoro svolto da un coniuge all’interno della famiglia che pur contribuendo alla crescita e sviluppo della famiglia stessa non ha attribuito alcun reddito al coniuge stesso).
Gli accordi assunti in occasione della separazione e/o del divorzio, in quest’ottica, rappresentano l’atto conclusivo di un percorso in cui scelte di natura personale e patrimoniale possono aver avvantaggiato la sfera economica di un coniuge privando l’altro di un reddito o lasciandolo con un reddito inadeguato, all’interno di una scelta concordata di indirizzo di vita familiare concordato in funzione del miglior benessere familiare e nel preminente interesse della famiglia stessa. L’interesse meritevole di tutela che sorregge la causa di questi atti è dato proprio dalla frequente necessità di redistribuire, in modo equo e solidale, il patrimonio familiare in ragione delle rinunzie di un coniuge alla produzione di un potenziale reddito o alla realizzazione di una potenziale agiatezza economica, in ragione del benessere familiare.
La meritevolezza di tale interesse è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza[5] che, anzi, tende ad allargarne i confini per ricomprendere non solo le attribuzioni patrimoniali tra i coniugi ma anche quelle effettuate a favore dei figli, tenuto conto che spesso la soluzione di un’equa redistribuzione della ricchezza accumulata durante il matrimonio è facilitata proprio dall’ intestazione di beni ai figli piuttosto che all’altro coniuge con il quale si è aperta la crisi matrimoniale. D’altronde, non può trascurarsi che l’interesse primario preso in considerazione dal legislatore nella soluzione delle crisi coniugale è soprattutto l'interesse morale e materiale dei figli minori o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti che, pertanto, giustifica e sorregge le attribuzioni a loro favore.
Al di fuori di questo perimetro vanno invece collocati gli accordi che prevedono attribuzioni a favore di altri parenti o di terzi che sebbene possono essere utili per la soluzione della crisi coniugale non condividono la “causa familiare” come sopra delineata, si pensi, ad esempio, all’impegno reciproco di vendere un immobile per ripartirne il ricavato tra i coniugi o l’accollo di un debito da parte di coniuge per liberare dal debito l’altro coniuge; così come esulano dallo schema causale redistributivo, o sostitutivo o integrativo del mantenimento, le attribuzioni patrimoniali ovvero l’impegno ad eseguire attribuzioni patrimoniali a favore dei figli maggiorenni economicamente autosufficienti, che sebbene finalizzate, il più delle volte a facilitare una sistemazione del patrimonio familiare, non trovano la loro giustificazione nell’assolvimento degli obblighi di mantenimento che nascono dalla separazione o dallo scioglimento del vincolo matrimoniale[6], né, più in generale, nella c.d. “causa familiare” che tipizza, come abbiamo detto, le attribuzioni patrimoniali tra coniugi nella soluzione delle crisi matrimoniali. I suddetti atti, troveranno la loro giustificazione causale negli schemi negoziali tipici adottati e se a titolo gratuito, come nella maggior parte dei casi, verosimilmente nello schema tipico della donazione.
L’esatta individuazione della natura giuridica dei negozi posti in essere in occasione della soluzione della crisi coniugale ha un rilievo specifico, come vedremo, anche ai fini dell’esenzioni fiscali cui sono soggetti questi atti ed in quest’ottica va segnalata la recente sentenza della Cassazione[7] che, rivedendo il suo precedente orientamento giurisprudenziale, ha allargato i confini dell’area agevolativa affermando che anche gli accordi stipulati “in occasione della separazione” comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli debbano essere ricondotti nell’ambito delle “condizioni di separazione” di cui all’art. 711, comma 4, c.p.c. in considerazione del carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale, attribuendo quindi a detti accordi la qualificazione di contratti tipici, denominati “contratti della crisi coniugale”, la cui causa è proprio quella di definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi coniugale. «In tale contesto non sembra, infatti, potersi ragionevolmente negare - quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere - che detti negozi siano da intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”, che, come tali possono usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della l. n. 74 del 1987 nel testo conseguente alla pronuncia n. 154/1999 della Corte costituzionale, salvo che l’amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio cedente a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi»[8].
Va, peraltro ricordato, come si vedrà più avanti, che secondo le indicazioni contenute nella circolare dell’Agenzia delle entrate - Direzione centrale normativa - in data 21 giugno 2012 n. 27/E, le attribuzioni patrimoniali in favore dei figli possono accedere al regime di esenzione fiscale esclusivamente se «l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli (…), sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale». Tenuto conto del nuovo principio, affermato dalla riportata sentenza della Cassazione n. 2111/2016, dovrebbe essere superflua la precisazione richiesta in detta circolare, in considerazione del carattere di “negoziazione globale” che tipicizza questi negozi e li rende in modo generalizzato meritevoli dell’esenzione di cui all’art. 19 della l. n. 74 del 1987.
Sotto altro profilo, l’inclusione o meno di questi contratti nell’area della negoziazione sorretta dalla cd. “causa familiare” ovvero diretta ad assolvere gli obblighi di mantenimento è decisiva, non solo per qualificare la validità di questi contratti sotto il profilo della sussistenza di tutti i requisiti di validità ed efficacia di questi contratti (soprattutto sotto il profilo della forma e della causa), ma anche ai fini degli effetti prodotti tra le parti e nei confronti dei terzi e della loro impugnabilità da parte dei terzi (si pensi, all’azione revocatoria, ad eventuali impugnative per lesioni di legittima, etc.).
La dicotomia “negozi a titolo gratuito” e “negozi a titolo oneroso” che il legislatore continua ad utilizzare nel dettare nuove norme, non è più strumento adeguato di classificazione dell’attività negoziale. Esiste, oggi, nella contrattazione privata, e non solo nell’area dei “negozi familiari”, una tipologia di atti che non possono astrattamente qualificarsi “gratuiti” o “onerosi” e che spesso si pongono in una posizione intermedia tra gli uni e gli altri. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di sottoporre ad immediata esecuzione forzata i beni alienati a titolo gratuito prevista dall’art. 2929-bis c.c., disposizione recentemente introdotta dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito in l. 6 agosto 2015, n. 132. Appare di tutta evidenza l’importanza di classificare un determinato negozio nella categoria degli atti a titolo oneroso o degli atti a titolo gratuito, anche sotto tale profilo, e la relativa indagine, per gli atti posti in essere in occasione delle crisi coniugali, è particolarmente complessa non solo per i possibili, ed astrattamente ipotizzabili, intenti frodatori dei coniugi nei confronti dei terzi, ma soprattutto perché l’indagine necessariamente deve spostarsi dal piano degli schemi astratti utilizzati a quello delle finalità concrete effettivamente perseguite dalle parti[9]. Come è stato puntualmente osservato: «la necessità dell'identificazione della natura degli accordi che i coniugi intendono stipulare, un'attenta indagine sulla loro volontà, la necessità di distinguere fra causa e motivi, costituiscono quindi logico presupposto per l'individuazione della ragione giustificativa degli spostamenti patrimoniali. Indagine complicata anche dal fatto che spesso, in sede di crisi si assiste all’intreccio “di ragioni patrimoniali, di ragioni personali, di ragioni affettive, di ragioni derivanti dai rapporti pregressi”, in ultima analisi di una serie molto variegata di interessi che presiede l’attribuzione»[10].
Tratteggiato nelle sue grosse linee il quadro degli accordi che possono trovare cittadinanza all’interno del procedimento di separazione e/o di scioglimento del matrimonio e della loro giustificazione causale, è opportuno dar conto delle criticità e problematiche che si sono avvicendate in giurisprudenza e dottrina nella ricostruzione delle singole fattispecie.
Una prima distinzione va fatta tra gli accordi diretti a regolamentare gli obblighi inderogabili tra i coniugi stessi e nei confronti dei figli rispetto agli accordi assunti in occasione della crisi coniugale e quelli diretti ad agevolarne la soluzione, perseguendo gli interessi sopra accennati, comunque meritevoli di tutela.
La negoziazione del primo tipo è stata definita[11] “attività negoziale determinativa”, in quanto «viene compiuta rispetto ad obblighi legali dichiarati inderogabili dall’art. 160 c.c. Fonte dei doveri è pur sempre la legge che stabilisce i parametri ed i criteri per stabilire il contenuto dei diritti e dei doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio. L’attività negoziale determinativa stabilisce convenzionalmente tale contenuto. Ma, poiché gli obblighi legali sono inderogabili, la stessa attività determinativa è sottoposta al controllo da parte del giudice, il quale può dichiarare la non corrispondenza della determinazione convenzionale con i parametri legali e quindi sostituire la propria determinazione a quella delle parti, integrandola o correggendola»[12].
Il controllo effettuato dall’Autorità giudiziaria in sede di separazione consensuale, giudiziaria e di divorzio, nella negoziazione assistita è sostituito dal nullaosta ovvero nell’autorizzazione del procuratore della Repubblica. L’efficacia negoziale degli accordi stipulati dai coniugi, inoltre, per quanto riguarda gli obblighi inderogabili di mantenimento, è sottoposta alla clausola rebus sic stantibus, e, pertanto, i suddetti accordi potranno, comunque, essere rimessi in discussione laddove la loro misura non corrisponda più ai parametri legali ai quali va commisurata.
2.2. Cenni sulla separazione e divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile. Considerazioni de jure condendo sul ruolo del notaio
Va osservato che, nelle crisi matrimoniali in assenza di prole, lo spazio di autonomia negoziale concesso ai coniugi, diretto a determinare la misura degli obblighi di mantenimento, si è notevolmente ampliato, posto che l’art. 12 del cit. d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) prevede che i coniugi possano concludere, innanzi all'ufficiale dello stato civile del Comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui è iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, un accordo di separazione personale ovvero di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, a condizione che non si sia in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. È espressamente previsto che l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale, tuttavia, come precisato nella circolare del Ministero dell’interno n. 6 del 2015 in data 24 aprile 2015 “Artt. 6 e 12 del decreto legge 12 settembre 2014 n. 132. Chiarimenti interpretativi”, «non rientra, invece, nel divieto della norma la previsione, nell'accordo concluso davanti all'ufficiale dello stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile). Le parti possono inoltre richiedere, sempre congiuntamente, la modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio già stabilite ed in particolare possono chiedere l'attribuzione di un assegno periodico (di separazione o di divorzio) o la sua revoca o ancora la sua revisione quantitativa. Si tratta infatti di disposizioni negoziali che determinano tra i coniugi l'insorgenza di un rapporto obbligatorio che non produce effetti traslativi su di un bene determinato preclusi dalla norma. Al riguardo, appare opportuno precisare che l'ufficiale dello stato civile è tenuto a recepire quanto concordato dalle parti, senza entrare nel merito della somma consensualmente decisa, né della congruità della stessa. Non può invece costituire oggetto di accordo la previsione della corresponsione, in unica soluzione, dell'assegno periodico di divorzio (c.d. liquidazione una tantum) in quanto si tratta di attribuzione patrimoniale (mobiliare o immobiliare)»[13].
Indubbiamente in questi casi l’autonomia negoziale appare notevolmente ampliata, anche con riguardo all’assolvimento dei doveri inderogabili di mantenimento del coniuge privo di reddito o con reddito insufficiente, trovando la loro tutela esclusivamente nel dovere di conferma, innanzi all’Ufficiale dello Stato civile nel termine, previsto dal cit. art. 12, non inferiore a trenta giorni (c.d. tempo di riflessione), dell’accordo assunto e nella persistenza della clausola rebus sic stanti bus, che tutela il coniuge debole da eventuali sopravvenienze.
La diversa rilevanza che si è assegnata all’autonomia privata trova peraltro un suo limite fisiologico nell’obbligo delle parti di intervenire personalmente nella relativa procedura e nell’impossibilità di farsi rappresentare da un procuratore speciale, come è stato sottolineato nella circolare n. 19 del 2016 del Ministero dell’interno che ha sottolineato come «una diversa interpretazione, ovvero la possibilità di fare ricorso ad un procuratore speciale nel procedimento di cui trattasi, potrebbe far venir meno, proprio perché operanti in un contesto di degiurisdizionalizzazione, la garanzia della genuinità ed attualità delle dichiarazioni delle parti, ricevute dall'ufficiale dello stato civile, garanzia data proprio dalla prevista comparizione personale delle stesse. Pertanto, …, non è ammessa la possibilità per i coniugi di farsi rappresentare da un procuratore speciale nel compimento degli atti individuati dall'art. 12 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162».
De jure condendo, in ragione della nuova considerazione che il legislatore ha assegnato all’autonomia privata dei coniugi in assenza di figli, è auspicabile che sia data la possibilità, ai coniugi che intendono in via breve dare soluzione alla crisi coniugale, di utilizzare anche quegli strumenti alternativi all’attribuzione dell’assegno periodico, quali, ad esempio, il trasferimento, una tantum, di un bene in luogo dell’assegno periodico e ferma restando la clausola rebus sic stantibus, prevedendo anche in questi casi l’intervento del notaio a presidio della sicurezza nella circolazione dei beni e quale pubblico ufficiale terzo, imparziale e garante della legalità.
Sotto questo aspetto, non si comprende il disallineamento di alcune norme del nuovo sistema che, da una parte, valorizzano il tradizionale ruolo istituzionale del notaio, richiedendone l’intervento nella negoziazione assistita, allorquando ci siano accordi relativi a contratti da trascrivere nei pubblici registri immobiliari e dall’altro, non colgono l’opportunità di fornire strumenti dotati di maggior efficacia ai coniugi che intendono risolvere la crisi coniugale in via breve, prevedendo, accanto alla negoziazione assistita ed alla separazione e divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile con funzione di mero trascrittore delle dichiarazioni dei coniugi, anche la possibilità di avvalersi della figura del notaio.
Va ricordato che il notaio è tradizionalmente preposto dallo Stato in ruoli di supplenza della pubblica amministrazione, è istituzionalmente garante della legalità, imparzialità e terzietà ed è mediatore giuridico per eccellenza, sulla base delle leggi che ne regolano e disciplinano l’attività, ed una sua presenza in questo settore sarebbe stata ragionevole e coerente con i principi di sistema non solo in concorrenza con l’attività delegata all’ufficiale dello stato civile, ma anche per quei casi che oggi non trovano la loro regolamentazione, né nella negoziazione assistita, né nella separazione e divorzio “brevi” innanzi all’ufficiale dello stato civile. Il riferimento è all’ipotesi in cui i coniugi, intendono separarsi o divorziare o modificare le condizioni della separazione e del divorzio, non hanno figli, sono d’accordo su tutto, non intendono negoziare alcunché ed intendano effettuare trasferimenti immobiliari in sostituzione o ad integrazione dell’assegno di mantenimento. In questo caso, non possono avvalersi della procedura davanti all’ufficiale dello stato civile, perché intendono effettuare trasferimenti immobiliari e sono costretti o ad avvalersi della negoziazione assistita, in questo caso priva di utilità rispetto ad un accordo già raggiunto, ovvero di separarsi consensualmente innanzi al Tribunale, tradendo la ratio della nuova norma.
In buona sostanza, l’accordo tra i coniugi, in assenza dei figli, in sede di separazione e divorzio, innanzi al notaio avrebbe, a parità e con maggiori garanzie, fornito alle parti maggiori strumenti di soluzione della crisi coniugale evitando, come purtroppo avviene oggi, di obbligare i coniugi che intendono assolvere gli obblighi di mantenimento mediante trasferimenti immobiliari di intraprendere o la strada della separazione consensuale (o divorzio) innanzi al Tribunale ovvero la strada della negoziazione assistita - con la partecipazione degli avvocati, del notaio e del procuratore della repubblica -, che, almeno in questo caso, appare come strumento sovrabbondante rispetto allo scopo.
2.3. Il contenuto necessario ed il contenuto occasionale degli accordi di separazione e di divorzio. Decorrenza degli effetti
Tornando alla struttura dei trasferimenti immobiliari che possono trovare spazio all’interno degli accordi di separazione e divorzio, è opportuno distinguere, a fianco a quelli “necessitati” e quelli “occasionati”, di cui si è fatto cenno, quelli che implicano trasferimenti esclusivamente tra i coniugi, rispetto a quelli che implicano trasferimenti a favore dei figli ed, ancora, quelli con efficacia reale rispetto a quelli con efficacia obbligatoria.
In buona sostanza, il contenuto degli accordi di separazione non è tipizzabile ma è lasciato all’autonomia privata i cui limiti sono costituiti dall’inderogabilità delle norme in materia di obblighi di mantenimento e dal perseguimento di interessi meritevoli di tutela.
La distinzione, tra accordi con contenuto “necessitato” ed accordi “occasionati”, ha una sua rilevanza sul piano della produzione degli effetti. I primi rientrano nelle previsioni dell’art. 158 c.c., che sottopone l’efficacia dell’accordo di separazione all’omologazione, ovvero nel caso di negoziazione assistita, all’autorizzazione o nulla osta del procuratore della Repubblica, mentre i secondi non dovrebbero essere soggetti alla medesima regola, secondo quanto sostenuto da autorevole dottrina secondo cui l’art. 158 c.c. non trova applicazione qualora, «nell’ambito di un accordo destinato a disciplinare una separazione consensuale, sia inserita anche una convenzione avente una sua autonomia»[14] e secondo la giurisprudenza della Cassazione che, in una sua pronuncia del 2009[15], ha affermato che la scrittura stipulata dai coniugi in procinto di procedere alla loro separazione consensuale per regolare i loro rapporti patrimoniali de futuro, anche in relazione alla prole, allo scopo di evitare il sorgere di ogni contenzioso, è vincolante ad ogni effetto quando ritenuta dai giudici di merito non priva di causa e non illegittima, anche nel caso in cui i coniugi non dovessero più addivenire alla separazione consensuale, come programmato, ma alla separazione giudiziale, non emergendo dalla scrittura sottoscritta che la separazione consensuale dovesse essere presa a presupposto o quale condizione dell’efficacia della scrittura stessa.
Più recentemente in una pronuncia del 2013[16] la Suprema Corte, da una parte, ha confermato l’orientamento, da ritenersi ormai pacifico in giurisprudenza, secondo cui l’obbligazione di mantenimento nei confronti dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non deve essere necessariamente periodica, ma può anche essere adempiuta, in sostituzione o in concorso con essa, con l’attribuzione in proprietà di beni mobili o immobili, e, da altra parte, ha ribadito che attiene ad un’indagine ermeneutica, secondo i canoni previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss., stabilire se gli «accordi sottoscritti dai coniugi siano dotati di autonoma validità ed efficacia ovvero siano da considerare condizionati all’omologa della separazione, riconoscendo la loro validità solo quando assicurino una maggiore vantaggiosità all'interesse protetto dalla norma (ad esempio concordando un assegno di mantenimento in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione), o quando concernano un aspetto non preso in considerazione dall'accordo omologato e sicuramente compatibile con questo in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o quando costituiscano clausole meramente specificative dell'accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull'accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all'art. 158 c.c., (conf.: Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270; Cass., 20 ottobre 2005, n. 20290)».
La medesima sentenza della Suprema Corte del 2013, peraltro, affronta la problematica, in parte già accennata, relativa alla natura giuridica di questi accordi, mediante i quali i coniugi, che abbiano in corso una separazione consensuale, «si obblighino a trasferire determinati beni facenti parte della comunione legale, successivamente od in vista dell'omologazione della loro separazione personale consensuale ed al dichiarato fine della integrativa regolamentazione del relativo regime patrimoniale», confermando il principio che «detti accordi non configurano una convenzione matrimoniale ex art. 162 c.c., postulante il normale svolgimento della convivenza coniugale ed avente riferimento ad una generalità di beni anche di futura acquisizione, né un contratto di donazione, avente come causa tipici ed esclusivi scopi di liberalità (e non l'esigenza di assetto dei rapporti personali e patrimoniali dei coniugi separati), bensì un diverso contratto atipico, con propri presupposti e finalità (ex multis: Cass. 11 maggio 1984, n. 2887; Cass., 23 dicembre 1988, n. 2887; Cass., 12 settembre 1997, n. 9034) »[17].
Sul piano della decorrenza degli effetti, pertanto, non è scontato che questi accordi, traslativi o obbligatori, abbiano efficacia sospesa all’omologa della separazione o, nel caso della negoziazione assistita, al nullaosta o all’autorizzazione del procuratore della Repubblica; la valutazione è rimessa ad un giudizio di merito che dovrà far buon uso dei canoni interpretativi per verificare se gli accordi siano immediatamente e definitivamente produttivi dei loro effetti ovvero se la loro efficacia sia sospensivamente condizionata (condicio juris) all’esito del controllo. Sarà buona norma, quindi, verificare a monte quale sia la reale volontà delle parti ed il contenuto dell’accordo ed inserire, secondo i tradizionali canoni di buona redazione degli atti notarili, le clausole ed i patti che chiariscano questo aspetto, prevedendo, eventualmente, nei casi dubbi, una condizione espressa che sospenda gli effetti dell’accordo al momento successivo del nullaosta o dell’autorizzazione[18].
2.4. Gli accordi con attribuzioni patrimoniali tra i coniugi. Efficacia obbligatoria ed efficacia reale. Natura giuridica dell’atto di assolvimento degli obblighi assunti: contratto unilaterale; pagamento traslativo; atto solutorio bilaterale expressio causae
Per un più ordinato inquadramento della natura giuridica degli accordi in esame, è opportuno distinguere quelli diretti a regolare esclusivamente i rapporti patrimoniali tra i coniugi, rispetto a quelli che prevedono attribuzioni e trasferimenti patrimoniali a favore dei figli.
Come considerazione di carattere generale, va osservato che, in sede di negoziazione assistita, sfumano e sono poco rilevanti le problematiche relative alla trascrivibilità degli accordi sottoscritti in sede di separazione consensuale con l’ausilio del cancelliere, peraltro, risolti in senso affermativo in considerazione della natura di atto pubblico del verbale giudiziario formato dal cancelliere stesso[19]. Per gli accordi raggiunti in sede di negoziazione assistita, esclusa la loro natura di atti pubblici per l’assenza di verbalizzazione da parte di un pubblico ufficiale, è necessario, come più volte sottolineato, l’intervento del notaio, ai fini della trascrivibilità dell’accordo stesso, e ciò per espressa previsione normativa (art. 5, comma 3 del d.l. n. 132 del 2014 conv. in l. n. 162 del 2014). Questi accordi potranno prevedere effetti reali immediati, essere sottoposti a condicio juris o a condizione volontaria (come si è visto in precedenza) ovvero avere effetti obbligatori.
Laddove abbiano effetti reali immediati, da un punto di vista causale, troveranno la loro giustificazione nella soluzione della crisi coniugale (separazione e divorzio) essendo sorretti dalla c.d. “causa familiare”, di cui si è fatto cenno in precedenza. Eventuale terminologia, che spesso si riscontra in questi accordi, diretta a definire i trasferimenti come “donazioni” è non solo impropria, per i motivi già indicati, e rischia di mettere sullo stesso piano e confondere l’assenza di corrispettivo con la liberalità. In sede di separazione e divorzio, difficilmente sarà riscontrabile un “animus donandi” tra coniugi che intendono risolvere la loro crisi matrimoniale, mentre sarà presente un comune interesse dei coniugi a compiere operazioni di perequazione del patrimonio familiare in funzione di una più equa distribuzione dei valori economici imputabili alla vita matrimoniale trascorsa. La specifica causa che caratterizza questa tipologia di atti (identificata con la causa familiare) colloca questi negozi in una categoria intermedia tra gli atti a titolo gratuito e gli atti a titolo oneroso e giustifica l’applicazione di regole diverse rispetto a quelle applicabili ad una donazione (si pensi soprattutto alle future possibili pretesa da parte di legittimari, agli obblighi di collazione, etc.), fermo restando che sarà ben possibile dimostrare che la causa apparente sia simulata e gli atti de quibus siano vere e proprie donazioni dirette ovvero che abbiano le caratteristiche delle liberalità indirette laddove la causa familiare non riesca a giustificare, con ragionevole proporzione, l’attribuzione patrimoniale.
La partecipazione del notaio all’accordo che chiude la procedura di negoziazione assistita anche se non obbligatoria, ai fini della validità dell’accordo stesso, in quanto, come si è visto, la norma prevede che l’intervento notarile è necessario «per procedere alla trascrizione dello stesso», sarà sicuramente opportuno per dare piena efficacia e stabilità agli accordi sottoscritti. Invero, qualora l’accordo venga sottoscritto in assenza del notaio, le parti dovranno in un secondo momento rivolgersi al notaio affinché proceda all’autenticazione delle sottoscrizioni nelle forme che si diranno in seguito, con il rischio che, medio-tempore, una delle parti possa avere dei ripensamenti costringendo l’altra ad agire in giudizio ovvero che, sempre medio-tempore, le vicende di un coniuge possano in qualche modo vanificare l’assetto patrimoniale concordato (si pensi, ad un’ipoteca o un pignoramento iscritto nelle more tra l’accordo ed il successivo atto notarile) ovvero che sopraggiunga la morte o l’incapacità di un coniuge e fermo restando che se con l’accordo sono concordati negozi giuridici che richiedano la forma pubblica (come ad esempio, l’atto di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c.) l’accordo di negoziazione assistita dovrà rivestire la forma dell’atto pubblico sin dalla sua sottoscrizione, ai fini della validità dello stesso
Nell’ipotesi, comunque, che l’accordo conclusivo, in cui sono previsti atti da trascrivere sia perfezionato in assenza del notaio, sarà necessario procedere ad un secondo atto (c.d. negozio ripetitivo) nel quale i coniugi ripeteranno i termini dell’accordo. Va ricordato, per inciso, che le firme apposte al primo accordo non possono essere semplicemente “autenticate” mediante mera imputazione della firma ad un determinato soggetto, perché per espressa previsione del secondo comma dell’art. 2703 c.c.: «L'autenticazione consiste nell'attestazioneda parte delpubblicoufficialeche lasottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Ilpubblico ufficialedevepreviamenteaccertarel'identità dellapersonache sottoscrive» e vedremo, più avanti, in quale attività e doveri si esplica il potere di autenticazione affidato ai notai.
Il negozio ripetitivo dell’accordo avrà natura solutoria e causa esterna in quanto troverà la sua giustificazione nell’accordo di separazione (o divorzio) e sarà posto in essere per rendere trascrivibile la convenzione conclusiva della negoziazione assistita, in adempimento di un patto espresso assunto dai coniugi o comunque quale presupposto implicito dell’accordo stesso. Sarà, quindi un negozio che troverà la sua causa nella separazione o divorzio, che dovrà essere richiamata nell’accordo stesso expressis verbis, per dargli la corretta giustificazione causale[20].
Per gli aspetti redazionali e le distinzioni tra riproduzione del negozio, negozio ripetitivo ed accordo rinegoziato si rinvia ai paragrafi successivi[21].
L’accordo di negoziazione assistita potrebbe avere, secondo la volontà delle parti, anche un contenuto meramente obbligatorio rinviando ad un momento successivo l’effettivo trasferimento dei beni. Anche in questo caso sarà possibile il contestuale intervento del notaio che consentirà la trascrizione dell’accordo di negoziazione assistita, rientrando nella previsione dell’art. 2645 c.c. che la consente per i contratti preliminari aventi a oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell'articolo 2643 c.c., «anche se sottoposti a condizione o relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione. La trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta a ottenere l'esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevarrà sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare».
Gli interrogativi che troviamo in dottrina ed in giurisprudenza, in relazione a questa fattispecie, riguardano la natura giuridica dell’atto con cui i coniugi si assumo gli obblighi di trasferimento e la natura giuridica del successivo atto posto in essere per assolvere gli obblighi assunti nell’accordo di separazione o divorzio.
Sulla natura giuridica dell’accordo negoziale avente ad oggetto l’assunzione dell’obbligo a trasferire, come già accennato in precedenza, allo stato attuale della giurisprudenza, sussistono pochi dubbi sulla sua ricostruzione come negozio atipico sorretto dalla c.d. “causa familiare” escludendo, quindi, l’animus donandi e la problematica relativa all’ammissibilità del preliminare di donazione.
Di maggior complessità, invece, appare la ricostruzione del successivo atto di trasferimento, laddove ci si interroga se sia possibile l’utilizzo di un atto unilaterale di adempimento (ex art. 1176 c.c. e ss.), ovvero se sia possibile l’utilizzo del contratto unilaterale (ex art. 1333 c.c.)[22], ovvero se l’atto di trasferimento immobiliare richieda comunque la struttura del negozio bilaterale e, quindi, del contratto con la presenza di entrambi i coniugi.
In un’ottica sistematica, la possibilità di utilizzare lo schema del contratto unilaterale (art. 1333 c.c.), oltre che per i contratti con obbligazioni a carico del solo proponente, anche per i trasferimenti della proprietà e dei diritti reali, dipende dall’adesione al principio seguito dalla dottrina più tradizionale di «sovranità formale dell’individuo sulla propria sfera giuridica, principio che si giustificherebbe con la necessità di salvaguardare in astratto la sovranità individuale, non dando ingresso ad alcuna valutazione sulla vantaggiosità, o meno, della modificazione della sfera giuridica, in mancanza di una manifestazione di volontà del titolare di essa e, dunque non dando spazio ad alcuna valutazione del concreto interesse del titolare della sfera alla quale sarebbero diretti gli effetti dell’altrui dichiarazione negoziale»[23] ovvero al principio della «prevenzione dalla lesione patrimoniale ingiusta»[24], che fa leva sull’intangibilità della sfera giuridica altrui nei soli casi in cui le attribuzioni patrimoniali unilaterali possano essere lesive della stessa in quanto relative a situazioni giuridiche potenzialmente dannose, ritenendo possibili, invece, le attribuzioni patrimoniali che abbiano esclusivamente effetti favorevoli nella sfera giuridica altrui.
Una posizione intermedia è sostenuta da chi[25], ritiene che la soluzione va trovata caso per caso non potendosi offrire una soluzione unitaria per tutti i diritti reali, tenuto conto che per la proprietà e per altri diritti reali l’attribuzione del diritto comporta accanto ai vantaggi dell’incremento patrimoniale anche oneri e responsabilità[26] diversamente, ad esempio, per le servitù prediali che pregiudizi non possono arrecare.
La giurisprudenza[27] sembra essere orientata al riconoscimento del contratto unilaterale come strumento idoneo per assolvere gli obblighi assunti in sede di separazione, ritenendo sufficiente per il successivo trasferimento, in esecuzione dei suddetti obblighi, la dichiarazione per iscritto di trasferire il bene promesso, avviando in questo modo il processo formativo di un negozio che, privo della connotazione dell'atto di liberalità, esula dalla donazione ma «configurerebbe una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico che, ai sensi dell'art. 1333 c.c., in mancanza di rifiuto del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell'affare e stabilito dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi, l'irrevocabilità della proposta. A nulla rilevando che la volontà di accettazione non risulti da atto scritto, dovendosi ritenere assolto l'obbligo della forma attraverso le modalità con cui è stata formulata la proposta»[28].
Condivisibile, in questa pronuncia è anche la qualifica del contratto come gratuito atipico e non come donazione, individuando quindi l’interesse meritevole che dà giustificazione causale al trasferimento non all’animus donandi, ma all’assolvimento dell’obbligo di mantenimento a favore del figlio e, più in generale, alla c.d. causa familiare.
Perplessità sull’utilizzo dello schema dell’art. 1333 c.c., sono state, invece, mosse da quella parte della dottrina che non ha mancato di osservare che: «La conclusione (cui è giunta la S.C.) si scontra però con la lettera della disposizione in esame - che parla di sole “obbligazioni”, senza fare cenno agli effetti reali - oltre che con i risultati cui perviene quella dottrina che, sulla base del dato testuale della norma, confortato da riflessioni comparatistiche, nega l’idoneità della proposta diretta a concludere un contratto “con effetto reale a carico del solo proponente” a porre in opera il meccanismo formativo del contratto descritto dall’art. 1333 c.c. L’osservazione è stata criticata da chi ha ritenuto di poter proporre un’estensione analogica della norma in questione operazione ermeneutica, questa, inaccettabile a fronte del carattere eccezionale dell’art. 1333 c.c. Carattere eccezionale che non può certo essere disconosciuto tramite l’accostamento a fattispecie quali quelle di cui agli artt. 649, 1236, 1411, connotate da evidenti differenze strutturali rispetto al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente»[29].
Va comunque evidenziato che, a prescindere dalla condivisione o meno del suddetto orientamento, che l’utilizzo dello schema contrattuale dell’art. 1333 c.c., nelle vicende che riguardano il trasferimento di immobili, crea non pochi perplessità sotto il profilo della certezza delle vicende circolatorie oggetto di pubblicità immobiliare, tenuto conto della difficoltà, se non impossibilità, di documentare il “mancato rifiuto” che perfeziona il contratto e trasferisce il bene. Rispetto all’art. 1411 c.c. in cui il rifiuto è successivo ed eventuale e, pertanto, consente l’immediata trascrizione a favore del terzo del trasferimento del diritto, nel caso dell’art. 1333 c.c. il conservatore non avrebbe alcuno strumento per verificare “il mancato rifiuto” da parte dell’acquirente.
Argomenti e criticità diverse riguardano invece la tesi, largamente sostenuta[30] che ritiene utilizzabile in questi casi, non solo o non necessariamente lo schema del contratto unilaterale, ma un atto unilaterale traslativo solutorio di un’obbligazione di dare, il c.d. pagamento traslativo, secondo lo schema degli artt. 1176 ss. c.c. In questi casi la causa del trasferimento è esterna all’atto solutorio, è da individuarsi nel contratto in cui ci si è assunti l’obbligazione di dare, e dovrà essere necessariamente riportata nell’atto unilaterale, expressis verbis, per dare giustificazione causale al trasferimento.
L’atto unilaterale di trasferimento solutorio con causa esterna espressa, peraltro, non presenterebbe problemi in sede di trascrizione, non dovendo essere documentato al conservatore dei registri immobiliari “il mancato rifiuto” da parte dell’acquirente del diritto ai fini del perfezionamento della fattispecie e, quindi, della sua trascrivibilità. Ferma restando, tuttavia, l’incertezza che potrebbe derivare dall’atto unilaterale sotto il profilo dell’accertamento dell’esatto adempimento dell’obbligazione assunta.
Il diverso ruolo che ha il rifiuto nell’atto unilaterale e nel contratto unilaterale, di cui all’art. 1333 c.c., è ben evidenziata da chi[31] sottolinea come il rifiuto dell’atto unilaterale, che rimuove gli effetti dell’atto, non è da confondere con il rifiuto di cui all’art. 1333 c.c. per la semplice ragione che, in questo secondo caso, un “atto” non ancora si è formato e, ai fini della trascrizione, ciò è decisivo per ritenere che per una corretta pubblicità immobiliare, in caso di trasferimento perfezionatosi ai sensi dell’art. 1333 c.c., anche il mancato rifiuto (elemento essenziale della fattispecie) dovrà essere documentato nelle forme previste dall’art. 2657 c.c., mentre riconoscendo la possibilità di attuare un trasferimento solutorio con atto unilaterale, alle condizioni sopra riportate, la trascrizione potrà avvenire, allo stesso modo del trasferimento ex art. 1411 c.c., producendo solo l’atto unilaterale solutorio nelle forme prescritte.
Segnalate le criticità legate ad un trasferimento mediante contratto unilaterale e mediante atto solutorio unilaterale, va osservato che, comunque, la soluzione di maggior garanzia che dà maggior stabilità al trasferimento, resta quella del negozio bilaterale al quale partecipino entrambi i coniugi, che ha natura solutoria, con causa esterna espressa riferita all’equa composizione degli interessi emergenti dalla crisi coniugale.
L’atto, avendo natura solutoria, e non essendo sorretto dall’animus donandi, non richiederà la forma della donazione (atto pubblico con due testimoni), andrà a collocarsi in una categoria intermedia tra gli atti a titolo oneroso e gli atti a titolo gratuito e ripeterà la disciplina degli uni o degli altri a seconda degli interessi di volta in volta presi in considerazione (si pensi, all’azione revocatoria, all’azione di reintegra nei diritti di legittima, alla collazione, etc.). Non è da escludersi, come accennato in precedenza, che i suddetti trasferimenti possano avere causa mista e, quindi, essere attratti nella sfera delle liberalità indirette nella misura in cui non ci sia proporzione tra obblighi nascenti dalla separazione e dal divorzio, doveri di solidarietà familiare, obblighi di perequazione in funzione equitativa del patrimonio familiare ed attribuzioni patrimoniali in concreto eseguite.
Una problematica del tutto particolare, che risolta per le separazioni consensuali e giudiziali si ripropone per le separazioni in sede negoziazione assistita, riguarda lo scioglimento del regime della comunione legale tra i coniugi. L’art. 2 della legge 6 maggio 2015 n. 55, modificando l’art. 191 c.c., ha previsto che: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione». La predetta norma non trova applicazione nella procedura di negoziazione assistita; i coniugi, pertanto, dovranno attendere il nulla osta o l’autorizzazione del procuratore della repubblica ovvero dovranno stipulare, contestualmente all’accordo di negoziazione assistita, una convenzione matrimoniale di separazione dei beni. La convenzione di separazione dei beni potrà trovare spazio, all’interno dell’accordo di negoziazione assistita, nei casi i cui con la separazione si dovrà far luogo a trascrizioni nei pubblici registri, ai sensi dell’art. 2647 c.c. e richiederà la forma dell’atto pubblico e l’assistenza di due testimoni.
2.5. Le attribuzioni patrimoniali a favore dei figli. Il contratto a favore dei terzi
Le fattispecie in esame evidenziano, in parte le medesime problematiche, ed in parte ulteriori criticità, nel caso in cui i trasferimenti siano effettuati o programmati, non tra i coniugi, ma a favore dei figli.
Va ricordato che i figli, nei cui confronti si apre il campo d’indagine in questa sede, sono i figli minori, i figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. Eventuali trasferimenti effettuati o programmati nei confronti di figli maggiorenni ed economicamente autosufficienti non possono che replicare gli schemi e la causa dei tradizionali contratti di trasferimento (tipici ed atipici) inserendosi, la soluzione della crisi coniugale, tutt’al più, come motivo esterno al trasferimento (c.d. motivo postmatrimoniale[32]). I relativi atti dovranno, pertanto, rivestire la forma prescritta per i rispettivi atti e spiegheranno i loro effetti nei confronti dei terzi secondo le normali regole. Pertanto, ad esempio, un’attribuzione a titolo liberale nei confronti di un figlio maggiorenne autosufficiente economicamente dovrà rivestire la forma dell’atto pubblico, con la presenza di due testimoni, sarà soggetta all’azione revocatoria, come atto a titolo gratuito e, aperta la successione, potrà essere soggetta, ove ne ricorrano i presupposti ad azione di riduzione ed a collazione.
Diversamente dobbiamo ragionare se il trasferimento sarà effettuato a favore dei figli minori, dei figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, ovvero economicamente non autosufficienti; in queste ipotesi, assume prevalenza, quale interesse meritevole di tutela che giustifica l’attribuzione patrimoniale, l’obbligo di mantenimento a carico dei genitori, dacché il trasferimento a loro favore si pone, quale elemento sostitutivo o integrativo dell’assegno periodico cui è tenuto un genitore nei confronti del coniuge affidatario o eventualmente del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente. Va ricordato, che in passato, come già si è avuto modo di ricordare, era discusso se l’assegno periodico potesse essere sostituito da un trasferimento immobiliare una tantum; allo stato attuale, la giurisprudenza è pacificamente orientata per l’affermativa[33], fermo restando che il trasferimento sarà, comunque, soggetto alla clausola legale “rebus sic stantibus” e, di conseguenza, l’obbligo di mantenimento non si estinguerà a seguito dell’attribuzione una tantum, ma sarà latente, nella misura in cui potrà rivivere in caso di sopravvenienze che potranno obbligare il genitore ad ulteriori esborsi integrativi, periodici o una tantum.
Anche per questa tipologia di trasferimenti si ripropongono gli interrogativi relativi alla natura giuridica, sia dell’accordo con il quale i genitori si sono obbligati a trasferire un bene, ovvero lo hanno immediatamente trasferito, e sia con riguardo al successivo atto di trasferimento in adempimento dell’obbligo assunto o del programma concordato.
Relativamente alla possibilità di far partecipare il figlio maggiorenne all’accordo, si rinvia ai paragrafi successivi, evidenziando che detta questione è discussa e, da parte di alcuni Tribunali e procure della Repubblica, si è data risposta negativa all’interrogativo, in forza di una lettura formale e non sistematica dell’art. 6 del d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014)[34] e, sovrapponendo, verosimilmente, le problematiche attinenti il procedimento, con le problematiche attinenti l’accordo, da mantenere, invece, almeno concettualmente, distinte.
La mancata partecipazione dei figli nei procedimenti di separazione e di divorzio non preclude, comunque, attribuzioni patrimoniali a favore dei medesimi, potendo soccorrere lo schema del contratto a favore del terzo, disciplinato dall’art. 1411 c.c. che consente all’accordo sottoscritto dai coniugi di spiegare i suoi effetti anche direttamente a favore del figlio. La giurisprudenza sul punto, dopo una remota ed isolata pronuncia diretta a negare la possibilità di ricorrere allo schema del contratto a favore di terzi in questi casi[35], nel presupposto che il figlio non fosse “terzo” rispetto all’accordo, in quanto il diritto di mantenimento spetterebbe jure proprio al genitore affidatario e solo a questi, non sembra aver più dubbi sull’adottabilità in questi casi dello schema contrattuale di cui all’art. 1411 c.c., in quanto, se è vero che in caso di figli minori o incapaci il diritto al mantenimento spetta jure proprio al genitore affidatario, è altrettanto vero che al figlio sono attribuite posizioni giuridiche soggettive nuove e ciò è ancor più evidente in tutti i casi in cui in luogo dell’assegno periodico è trasferito un bene direttamente al figlio[36]. Peraltro, nel caso di figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, pochi dubbi sussistono che il diritto al mantenimento spetti a lui direttamente e non al genitore con cui convive. L’interesse dello stipulante, richiesto dall’art. 1411 c.c. è individuato nel concorrente interesse del coniuge affidatario al soddisfacimento dell’obbligo di mantenimento.
Lo schema del contratto a favore del terzo ha il vantaggio non solo di dare giustificazione causale ai trasferimenti concordati dai coniugi a favore dei figli, per risolvere la crisi coniugale, ma anche di consentire ai suddetti accordi di spiegare piena efficacia e di essere trascrivibili a prescindere dall’autorizzazione prevista dall’art. 320 c.c. per i minori. Invero, il diritto a favore del terzo è acquistato immediatamente “per effetto della stipulazione” ed a prescindere dal consenso del terzo e la sua tutela è assicurata attraverso il meccanismo dell’eventuale rifiuto, da parte del terzo stesso, di volerne profittare[37].
La dichiarazione del terzo di volerne profittare servirà a dare stabilità all’accordo negoziale ed al trasferimento e, questa sì, dovrà essere preceduta dall’autorizzazione prevista dall’art. 320 c.c., non potendosi ritenere assorbita detta autorizzazione dal controllo giudiziario eseguito in sede di separazione o divorzio[38].
Schemi negoziali utili a soddisfare gli interessi dei figli potranno essere tutti quelli in grado di soddisfare gli interessi meritevoli di tutela che emergono nella crisi coniugale. Sono stati, in quest’ottica, ritenuti specificamente idonei alla realizzazione degli interessi in gioco, il “Trust” e gli atti di destinazione di all’art. 2645-ter c.c.[39] Con riferimento a quest’ultimo schema negoziale si ricordano le due pronunce del Tribunale di Reggio Emilia una, del 2007[40], di accoglimento della richiesta di modifica delle condizioni della separazione, in cui l'obbligo di mantenimento periodico della prole veniva sostituito con il trasferimento degli immobili sui quali era esplicitamente impresso un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. «offrendo così ai minori una significativa tutela, sia con riguardo ai frutti dei beni (da destinare al mantenimento), sia con riguardo all'inalienabilità» ed un’altra, del 2012[41], che ha ritenuto non ammissibile un “negozio di destinazione puro”, un vincolo di destinazione autoimposto in cui l’effetto destinatario è collegato ad un atto privo di effetti negoziali traslativi.
Sulla necessità, o meno, dell’autorizzazione ex art. 320 c.c. in presenza di un vincolo di destinazione (non traslativo) a favore del figlio minore, ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., si segnala la pronuncia dell’Ufficio del Giudice Tutelare del Tribunale di Salluzzo nella quale è affermato che «L’atto di destinazione di un compendio immobiliare ex articolo 2645-ter del c.c. a causa familiare a favore di minori d’età non necessita dell’autorizzazione ex articolo 320 del c.c. sia per il conseguimento sia per il consolidamento della posizione beneficiario»[42].
Va evidenziato, che nel caso in cui i coniugi intendano perfezionare un vincolo di destinazione l’accordo di negoziazione assistita dovrà rivestire la forma dell’atto pubblico in conformità al disposto di cui all’art. 2645-ter c.c.[43]
Anche per gli accordi riguardanti trasferimenti a favore dei figli, i coniugi potranno prevedere un primo negozio con effetti obbligatori ed un atto solutorio di assolvimento dei relativi obblighi da effettuare in un secondo momento. Le relative problematiche riguardanti gli effetti e la natura giuridica sono le stesse già esaminate con riguardo ai trasferimenti tra i coniugi.
2.6. L’assegnazione della casa familiare
Nel contenuto tipico degli accordi di negoziazione, all’interno dell’area negoziale “determinativa” relativa ai diritti inderogabili, rientra l’assegnazione della casa familiare di abitazione[44].
La norma di riferimento è l’art. 337-sexies c.c., (introdotto dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha sostituito l’art. 155-quater c.c., con contenuto identico) in tema di separazione, che dispone:
«Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643».
Questa disposizione è applicabile anche in sede di divorzio, dove sopravvive, comunque, anche l’art. 6 della l. 1 dicembre 1970, n. 898:
«L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 del codice civile».
Tralasciando la copiosa dottrina e giurisprudenza che ha affrontato le problematiche relative alla natura giuridica del diritto di abitazione in esame e la sua opponibilità ai terzi, in quanto esulano dall’economia del presente scritto, rinviando per le relative tematiche agli specifici approfondimenti[45], va evidenziato che a fianco ad una tesi minoritaria che inquadra il diritto de quo tra i diritti reali[46], prevale la tesi che ritiene il diritto in oggetto annoverabile tra i diritti personali di godimento atipici, meglio conciliandosi, a tacer d’altro, con la precarietà e provvisorietà della posizione giuridica dell’habitator, determinate dalla clausola “rebus sic stantibus” cui è sottoposto[47].
La precarietà del diritto di abitazione assegnato in sede di separazione e divorzio è dovuta alla ratio del diritto stesso in considerazione degli interessi che il legislatore ha inteso tutelare in un bilanciamento di posizioni soggettive imputabili al titolare (o ai titolari) della proprietà della casa ed ai figli minori, con disabilità gravi o maggiorenni economicamente non autosufficienti. La priorità è stata data all’interesse dei figli a continuare la loro vita nell’abitazione familiare, per non creare discontinuità nelle relazioni e nei legami che possono aver cementato nell’ambito territoriale dove hanno sviluppato e conducono la loro esistenza. L’abitazione familiare, in quest’ottica, assume rilevanza non solo nella sua fisicità, come mero luogo di dimora dei componenti la famiglia, ma soprattutto come punto di riferimento di relazioni familiari e sociali e, di conseguenza, per il potenziale danno e pregiudizio al pieno e sereno sviluppo dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficiente che potrebbe derivare dal trasferimento dell’abitazione familiare in un altro luogo. Come affermato dalla Corte Costituzionale, l’assegnazione della casa familiare è «giustificata esclusivamente dall'interesse morale e materiale della prole, che ha interesse alla conservazione della comunità domestica»[48].
Il sacrificio del proprietario è, pertanto, condizionato alla tutela del prevalente interesse dei figli minori e maggiorenni non economicamente autosufficienti, dacché detta tutela verrà meno non solo al raggiungimento di un’autosufficienza economica dei figli maggiorenni, ma anche nel caso in cui, di fatto, il coniuge affidatario si determini al trasferimento dell’abitazione familiare in altro luogo. D’altronde, come affermato dalla Suprema Corte[49]:«In tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione dell'art. 155, comma 4, c.c. (nel testo novellato con la l. 19 maggio 1975 n. 151), che attribuisce al giudice il potere di assegnare l'abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario che non sia l'esclusivo titolare del diritto di godimento (reale o personale) sull'immobile, ha carattere eccezionale ed è dettata nell'esclusivo interesse della prole minorenne, sicché essa (pur essendo applicabile in tema di divorzio) non è invocabile, neppure in via di interpretazione estensiva, con riferimento alla posizione del coniuge non affidatario, ancorché avente diritto al mantenimento (al quale l'abitazione nella casa familiare non può essere assegnata neppure in forza dell'art. 156 c.c., che non conferisce al giudice il potere di imporre al coniuge obbligato al mantenimento di adempiervi in forma diretta e non mediante prestazione pecuniaria)».
L’interesse “notarile” per le vicende che riguardano l’assegnazione della casa familiare è legato, soprattutto, all’opponibilità del relativo diritto ai terzi, e ciò sotto i molteplici profili: i) della sua conoscibilità nelle vicende che attengono alla circolazione dell’immobile gravato; ii) della necessità, o meno, della sua trascrizione ai fini dell’opponibilità ai terzi e, quindi dell’intervento, o meno, del notaio, in sede di negoziazione assistita, allo scopo di consentire la pubblicità nei Registri immobiliari; iii) della ricevibilità di un atto di rinunzia del coniuge al diritto di abitazione, ovvero della ricevibilità di un atto accertativo mediante il quale il coniuge dichiari che sono venuti meno i presupposti di fatto che danno diritto all’abitazione nella casa familiare, ovvero della possibilità di ricevere un atto di assenso alla annotazione di cancellazione del relativo diritto.
La giurisprudenza prevalente[50] ritiene che il diritto de quo sia opponibile ai terzi (tra i quali, anche il terzo acquirente dell’immobile), nei limiti del novennio, anche se non trascritto, ma solo finché perdura l'efficacia della pronuncia giudiziale, sicché il venire meno del diritto di godimento del bene (ad esempio, perché la prole è divenuta maggiorenne ed economicamente autosufficiente) legittima il terzo acquirente dell'immobile, divenutone proprietario, a proporre un'ordinaria azione di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna degli occupanti al pagamento della relativa indennità di occupazione illegittima, con decorrenza dalla data di deposito della sentenza di accertamento.
Va, tuttavia, precisato che la giurisprudenza che si è occupata del tema si è formata o comunque ha esaminato fattispecie regolate dalle norme in vigore in epoca precedente il 28 febbraio 2006, data di entrata in vigore dell’art. 155-quater c.c. (oggi art 337-sexies c.c. con il medesimo contenuto), che ha espressamente previsto la trascrivibilità dell’assegnazione del diritto di abitazione in sede di separazione, dopo tale data non solo si è rimessa in discussione la natura personale del diritto in oggetto ma, ai fini dell’opponibilità ai terzi, si è ritenuta necessaria la trascrizione nei pubblici registri del relativo diritto.
In considerazione delle suesposte considerazioni appare, quanto meno, prudenziale la trascrizione del diritto di abitazione e, quindi, l’obbligo delle parti di dotare l’accordo di negoziazione assistita dell’autentica notarile. D’altronde, anche per chi ritiene la trascrizione del diritto di abitazione mera pubblicità notizia, non decisiva ai fini dell’opponibilità ai terzi nei limiti del novennio, sarà prudenziale la trascrizione al fine di evitare eventuali richieste di danni da parte dei terzi, in ragione dei pregiudizi derivanti dalla mancata esecuzione della pubblicità notizia stessa.
Riguardo al terzo punto, di interesse notarile, sopra evidenziato, va osservato che l’eventuale ammissibilità di una rinunzia al diritto di abitazione, al di fuori della procedura di negoziazione assistita, o di controllo giudiziario in sede di richiesta di modifica degli accordi di separazione o divorzio, sembra, almeno in via di prima approssimazione, essere di ostacolo il carattere inderogabile dei diritti spettanti ai figli minori, disabili gravi o maggiorenni non economicamente autosufficienti che sorreggono l’assegnazione della casa familiare, la cui sorte non sembra possa essere rimessa alla libera autodeterminazione del coniuge affidatario.
Significativa è a tal proposito la recente sentenza della Cassazione[51] che nella parte motivazionale ha evidenziato: «… essendo ormai legislativamente stabilito che Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli (art. 155-quater c.c., comma 1, primo periodo), tale disposizione risponde all'esigenza, prevalente su qualsiasi altra, di conservare ai figli di coniugi separati l'habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (cfr., ex plurimis e tra le ultime, la sentenza n. 14553 del 2011); in secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 308 del 2008 - nel dichiarare non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 155-quater c.c., comma 1, introdotto dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 1, comma 2, (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), anche in combinato disposto con l'art. 4 della stessa legge, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., nella parte in cui prevede la revoca automatica dell'assegnazione della casa familiare nel caso in cui l'assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio -, ha affermato, in via generale, che dal contesto normativo e giurisprudenziale emerge che non solo l'assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione della stessa, è stata sempre subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all'interesse della prole, da tale principio deducendo, con riferimento specifico alla fattispecie, che l'art. 155-quater c.c., ove interpretato, sulla base del dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio o il nuovo matrimonio dell'assegnatario della casa sono circostanze idonee, di per se stesse, a determinare la cessazione dell'assegnazione, non è coerente con i fini di tutela della prole, per il quale l'istituto è sorto, e concludendo nel senso che la coerenza della disciplina e la sua costituzionalità possono essere recuperate ove la normativa sia interpretata nel senso che l'assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore; c) in terzo luogo, anche l'art. 155-quater c.c., comma 1, terzo periodo, nella parte in cui dispone che Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare (...), deve essere interpretato, in conformità con i predetti principi, nel senso che, sebbene tali casi di revoca dell'assegnazione della casa familiare siano collegati ad eventi che fanno presumere il venir meno della esigenza abitativa, tuttavia la prova di tali eventi - che onera chi agisce per la revoca - deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l'assegnatario ed attestare in modo univoco che gli eventi medesimi sono connotati dal carattere della "stabilità", cioè dell'irreversibilità, ed inoltre nel senso che il giudice investito della domanda di revoca deve comunque verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole affidata o convivente con l'assegnatario».
Tuttavia, pur condividendo i principi affermati dalla Suprema Corte, va osservato che l’art. 337-sexies c.c. consente al coniuge affidatario, con un suo atto di autodeterminazione, di far cessare il diritto di abitazione disponendo in proposito che «Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio». Se, quindi, il coniuge con un suo comportamento volontario può far venire meno il diritto stesso, non si comprende perché non possa fare altrettanto con una sua dichiarazione volontaria equivalente ai fatti concludenti previsti dalla norma, tenuto conto, peraltro, che, anche nella sentenza sopra riportata, la leva del ragionamento è data dal rigore che deve accompagnare l’accertamento del fatto che ha fatto estinguere il diritto, ma non dal condizionare l’estinzione del diritto ad una previa verifica del Tribunale.
Non sembra decisivo l’argomento letterale contenuto nell’ultimo inciso del primo comma dell’art. 337-sexies c.c. laddove espressamente si afferma “la trascrivibilità” del provvedimento di revoca dell’assegnazione facendo ipotizzare la necessità, ai fini della trascrizione, di un espresso provvedimento (di revoca) da parte dell’Autorità giudiziaria; invero, detto ultimo inciso non sembra escludere che accanto all’ipotesi di revoca del provvedimento di assegnazione della casa familiare, per mutate esigenze dei figli minori o maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti, assunto in opposizione di un coniuge rispetto all’altro, abbia giuridica rilevanza e produca immediati effetti, l’ipotesi di decadenza dal diritto all’assegnazione «nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio», a prescindere dal vaglio dell’Autorità giudiziaria, soprattutto laddove ci sia pieno accordo tra i coniugi, ovvero nel caso in cui i figli minori raggiungano la maggiore età e l’autosufficienza economica.
Sotto quest’ultimo aspetto, sembra che possa darsi risposta affermativa alla possibilità, anche al di fuori della negoziazione assistita o della procedura di modifica dei provvedimenti di separazione e divorzio, di ricevere, da parte di un notaio un atto accertativo proveniente dal coniuge affidatario, dei fatti che hanno determinato l’estinzione del diritto di abitazione, secondo il paradigma del cit. art. 337-sexies c.c.; così come non sembrano sussistere motivi ostativi a ricevere un atto di assenso alla cancellazione della pubblicità immobiliare relativa al diritto di abitazione, tenuto conto, soprattutto, della circostanza che la trascrivibilità della costituzione del diritto di abitazione, secondo il dettato normativo, è facoltativa e non obbligatoria e, quindi, rimessa alla volontà del coniuge che ne ha interesse e, sotto questo profilo, non c’è motivo per ritenere che anche la sua persistenza non sia rimessa ad una valutazione discrezionale del coniuge stesso.
La materia, tuttavia, è particolarmente “scivolosa”, proprio in considerazione dei prioritari interessi dei figli oggetto di tutela da parte del legislatore, al di là delle motivazioni che possono in qualche modo giustificare atti di autonomia privata di un coniuge che si riflettono in qualche modo nella sfera giuridica dei figli, sembra che la procedura semplificata e rapida della negoziazione assistita possa di fatto superare gli ostacoli alla ricevibilità di questi atti, tenuto conto che gli stessi possono essere inseriti negli accordi di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, espressamente prevista dall’art. 6 del d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014).
3. Tecniche redazionali
Una prima precisazione relativa alla tecnica di redazione di questa tipologia di accordi riguarda la distinzione, quanto meno concettuale, ma che potrebbe anche essere documentale, tra il processo verbale che attiene alla “narrazione” della procedura e dell’esito della stessa, e l’accordo, avente ad oggetto attribuzioni patrimoniali effettuate o programmate, che ha natura contrattuale, e segue le tecniche redazionale proprie dei contratti e giustifica l’intervento del notaio nei casi previsti dal comma 3 dell’art. 5 del citato d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014).
Le tecniche redazionali notarili dell’accordo in sede di negoziazione assistita dagli avvocati variano a seconda del momento in cui interviene il notaio ed in relazione al contenuto dell’accordo stesso.
Con riguardo al momento in cui è richiesto l’intervento del notaio, sarà possibile l’autentica notarile sia nella fase che precede il nullaosta o l’autorizzazione del procuratore della Repubblica e sia in un momento successivo al rilascio del provvedimento del P.M. e sono ipotizzabili tre diverse tipologie di atti, fermo restando che il ruolo del notaio, qualunque sia la modalità di autentica scelta, non potrà in nessun caso essere quello di un mero certificatore dell’autografia delle sottoscrizioni, ma dovrà in ogni caso effettuare quei controlli di legittimità e di informazione delle parti, trattandosi comunque di una prestazione professionale da svolgere usando i canoni di diligenza richiesti dall’art. 1176 c.c.
Giova ricordare, in proposito, che, con la modifica apportata dall’art. 12, comma 1, lett. a, della l. 28 novembre 2005, n. 246, si sono espressamente riportati nell'area del controllo di legalità di competenza funzionale del notaio autenticante, anche i negozi redatti con la forma della scrittura privata autenticata e ciò sia nel caso in cui il contenuto della scrittura privata sia opera delle parti, sia nell'ipotesi di redazione del documento ad opera del notaio. Invero, il nuovo testo dell’art. 28 della legge notarile (l. 16 febbraio 1913, n. 89), a seguito della modifica apportata, è il seguente:
«Art. 28. - Il notaro non può ricevere o autenticare atti:
1° se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico;
2° se v'intervengano come parti la sua moglie, i suoi parenti od affini in linea retta, in qualunque grado, ed in linea collaterale, fino al terzo grado inclusivamente, ancorché v'intervengano come procuratori, tutori od amministratori;
3° se contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie sua, o alcuno de' suoi parenti od affini nei gradi anzidetti, o persone delle quali egli sia procuratore per l'atto, da stipularsi, salvo che la disposizione si trovi in testamento segreto non scritto dal notaro, o da persona in questo numero menzionata, ed a lui consegnato sigillato dal testatore».
Pertanto, il notaio, laddove non abbia egli stesso preparato l’accordo, avrà il dovere non solo di verificare la presenza di tutti i requisiti di legge, ma anche di informare le parti sugli effetti che discendono dall’accordo concluso e sull’eventuale presenza di formalità pregiudizievoli.
Valgono, per questa tipologia di atti le medesime considerazioni svolte riguardo al ruolo del notaio nell’autentica degli accordi negoziali in sede di mediazione di cui al d.lgs. n. 28 del 2010 e possono riportarsi, con i dovuti adattamenti, le medesime indicazioni date dal CNN nella “Lettera ai notai dal Consiglio del Notariato sulle regole operative in materia di mediazione” (Articolo pubblicato il 13 Ottobre 2011 in Mediazione e Notariato, est.: Maria Luisa Cenni - Valentina Rubertelli) e, quindi, in una sorta di "decalogo" per il notaio chiamato ad autenticare (o a rogare) questo tipo di accordi ai quali deve riconoscersi natura di "contratto", può dirsi che il notaio deve:
1) verificare che l’oggetto dell’accordo rientri nell’area della negoziazione assistita in tema di separazione e divorzio (in questa ottica, non dovranno escludersi accordi relativi a diritti patrimoniali attinenti al “regime primario” della famiglia - obblighi di mantenimento - o relativi ai figli o agli obblighi nascenti dal matrimonio, mentre dovranno, ad esempio escludersi accordi in violazione al divieto dei patti successori,).
2) verificare il rispetto delle “forme” previste dalla legge (es. necessità di atto pubblico, come ad esempio per gli atti di destinazione, patti di famiglia ecc.);
3) verificare la capacità delle parti e la loro legittimazione a disporre dei beni oggetto di accordo (capacita di agire, regime patrimoniale coniugale ecc.);
4) verificare il rispetto delle norme in materia di rappresentanza volontaria, legale;
5) verificare la necessità di applicare normative speciali dettate per la particolare condizione dei soggetti intervenuti (stranieri che non conoscono la lingua italiana, non vedenti, muti, non udenti ecc.);
6) verificare che siano state rispettate tutte le normative dettate per il bene che forma oggetto dell’accordo ed in considerazione degli effetti prodotti dall’accordo stesso ed avendo 1’accordo trasferimenti o costituzione di un diritto reale su un bene immobile dovranno essere rispettate tutte le relative normative speciali (urbanistiche, catastali, fiscali);
7) aver sempre chiara la distinzione netta fra la mera “certificazione" dell’autografia delle firme dall’ “autenticazione" del pubblico ufficiale necessaria ai fini della pubblicità dell’accordo e la, conseguente, caratteristica strutturale che per poter accedere ai pubblici registri l’accordo deve essere sottoposto al controllo di legalità tipico de1l’attività notarile e le sottoscrizioni delle parti devono essere autenticate dal pubblico ufficiale. Come in ogni atto notarile le firme delle parti (di tutte le parti) devono essere autenticate in calce all’accordo, a margine dei fogli intermedi e degli allegati. Pare evidente in questa ottica l'inidoneità dello strumento documentale del mero “deposito" dell’accordo agli atti del notaio (ai sensi dell’art. 1, n. 1 lettera b) del R.d.l. n. 1666 del 1937 e 61 della legge notarile), in quanto con quel mezzo non si raggiunge la necessaria "autenticità" delle sottoscrizioni delle parti, salvo che il deposito avvenga ad opera di tutte le parti dell’accordo ed il contenuto del1’accordo stesso sia riprodotto nel verbale notarile di deposito sottoscritto da tutte 1e parti; in tale ultima ipotesi, infatti, i1 verbale assume la natura di vero e proprio atto pubblico di ripetizione;
8) astenersi dall’autenticare accordi amichevoli in violazione di norme imperative, dell’ordine pubblico. In ogni caso in cui l’accordo possa essere raggiunto con lo strumento contrattuale, ma sia carente di requisiti richiesti per la sua validità, il notaio redigerà autonomo atto di convalida o riproduttivo de1l’accordo annullabile o nullo, completo di tutti i requisiti richiesti dalla legge;
9) osservare le norme in materia di conservazione degli atti a raccolta, precisandosi al riguardo che le norme del d.lgs. che prevedono il rilascio di originali dovranno essere considerate recessive rispetto e non deroganti alla normativa prevista per gli atti notarili, da considerarsi comunque speciale;
10) assumere la responsabilità per i successivi adempimenti fiscali e di pubblicità nei pubblici registri, come di consueto.
3.1. “Autentica notarile” contestuale all’accordo negoziato o successiva
Preliminarmente, per mero tuziorismo, va evidenziato che la locuzione “autentica notarile” va intesa nel suo più ampio significato, comprensivo di qualunque forma “notarile”, idonea in funzione dell’atto da compiere e della sua pubblicità nei Registri immobiliari, quindi, l’accordo negoziato potrà rivestire sia la forma dell’atto pubblico che quella della scrittura privata autenticata, salvo casi specifici che impongano l’atto pubblico ad substantiam.
Soffermandoci sul momento in cui è richiesto l’intervento del notaio, possiamo ipotizzare, come prima modalità di redazione da esaminare, un accordo già perfezionato con l’assistenza degli avvocati e già autorizzato o vistato dal procuratore della Repubblica, che venga portato in un secondo momento dal notaio per autenticare le sottoscrizioni. In questo caso, possiamo ulteriormente ipotizzare:
- che l’accordo sia già completo in tutti suoi elementi;
- che l’accordo manchi di alcuni elementi secondari che le parti comunque intendono precisare;
- che l’accordo sia carente di alcuni elementi essenziali per la validità dell’accordo stesso.
Va innanzitutto precisato che secondo l’opinione diffusa in dottrina[52] permarrebbe lo schema del negozio ripetitivo, pur nella mancanza d’identità assoluta, quando lo stesso produca, tra le stesse parti, gli stessi effetti sostanziali del negozio ripetuto. Siamo fuori dal negozio ripetitivo nei soli casi in cui, pur in presenza di un valido accordo negoziale, le parti modificano il titolo o l’oggetto del precedente accordo (art. 1231 c.c.), ovvero se l’accordo aveva effetti obbligatori ed il nuovo negozio effetti reali.
In caso di negozio ripetitivo “in senso stretto”, il notaio, dopo aver effettuato i controlli di legalità ed aver adempiuto agli obblighi di informazione delle parti, potrà ripetere il contenuto dell’accordo già completo e, quindi avremo un negozio ripetitivo che presenta quale unico elemento di novità la forma. In questo caso il notaio potrà o allegare il processo verbale di negoziazione assistita con l’autorizzazione o il nullaosta del procuratore della Repubblica ovvero potrà riportare nelle premesse dell’atto i riferimenti al processo verbale ed all’autorizzazione o al nullaosta del procuratore della Repubblica. Relativamente ai soggetti che dovranno partecipare al negozio ripetitivo si ritiene che occorra la medesima identità delle parti e non dei soggetti[53].
Qualora si intenda allegare al negozio ripetitivo il processo verbale, va precisato che la copia autentica, sia del processo verbale stesso che del provvedimento del procuratore della Repubblica, potrà essere rilasciato dall’avvocato in possesso dell’originale, sulla base di un’interpretazione estensiva del comma 3 dell’art. 6 del d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) che espressamente consente all’avvocato il rilascio della copia autentica da trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, munita delle certificazioni di cui all'articolo 5 (autografia delle firme e conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico).
Laddove l’accordo di conciliazione sia carente di alcune parti accessorie, ovvero le parti intendono integrare l’accordo con ulteriori clausole, il notaio provvederà a ricevere un nuovo accordo che, negli aspetti essenziali sarà meramente ripetitivo del primo accordo, ed avrà la sua giustificazione nella necessità di dotare l’accordo della forma richiesta dalla legge ai fini della pubblicità immobiliare, per la parte integrativa avrà un contenuto nuovo, ma che per la sua accessorietà non darà luogo ad un nuovo negozio giuridico. Ciò è fondamentale tenuto conto che il contenuto degli accordi, come già evidenziato nei precedenti paragrafi, è meramente “determinativo” ed è soggetto, riguardando anche diritti inderogabili, nel caso di negoziazione assistita, al controllo del procuratore della Repubblica, sotto forma di nullaosta o autorizzazione.
Sulla valenza e limite dell’autonomia negoziale per quanto riguarda integrazioni e modifiche di accordi, al di fuori del vaglio dell’autorità giudiziaria (e nel nostro caso, mutatis mutandis, del procuratore della Repubblica), la giurisprudenza consolidata ritiene pacifico il seguente principio espresso dalla Suprema Corte nella sentenza (I sez. civ.), in data 22 gennaio 1994, n. 657: «In tema di separazione consensuale, mentre le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dall’art. 710 c.p.c., quando non superino il limite dell’inderogabilità consentito dall’art. 160 c.c., le pattuizioni convenute antecedentemente o contemporaneamente all’accordo omologato sono operanti soltanto se si collocano in posizione di “non interferenza” rispetto a quest’ultimo (perché concernono un aspetto che non è disciplinato nell’accordo formale, oppure hanno un carattere meramente specificativo di disciplina secondaria) ovvero in posizione di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato, come nel caso di assegno di mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione»[54].
Nell’ipotesi in cui, invece, l’accordo accertativo sia carente di elementi o clausole richieste a pena di nullità (assoluta, parziale, relativa), l’atto che il notaio dovrà ricevere non potrà qualificarsi come mero atto ripetitivo, ma sarà un nuovo atto che troverà, comunque, la sua causa esterna (che dovrà essere espressa nell’accordo negoziale) nella procedura di negoziazione assistita, che manterrà la sua validità ed efficacia, laddove eventuali motivi invalidanti siano riconducibili non alla procedura di separazione ed al divorzio, né ad aspetti sostanziali soggetti alla verifica del procuratore della Repubblica (stati soggettivi e diritti inderogabili), ma ad aspetti formali che possono essere sanati nel successivo atto notarile (si pensi ad un accordo traslativo carente della dichiarazione di conformità catastale oggettiva richiesta dal d.l. n. 78 del 2010, ovvero all’assenza delle menzioni urbanistiche, ovvero alla mancata allegazione del certificato di destinazione). In questi casi, i coniugi ripetendo l’accordo davanti al notaio non modificano le condizioni “sostanziali” vagliate dal procuratore della Repubblica, ma rivestono l’accordo stesso della forma e dei requisiti richiesti dalla legge a pena di nullità, annullabilità o inefficacia. In buona sostanza, torna, anche sotto quest’aspetto utile la distinzione, quanto meno concettuale, accennata all’inizio di questo paragrafo tra procedura di negoziazione assistita ed accordo raggiunto all’esito della negoziazione, assegnando al primo un rilievo più prettamente procedimentale ed al secondo un rilievo contrattuale sebbene funzionalmente collegati tra loro. D’altra parte, la distinzione tra i due aspetti, procedimentale e contrattuale, è riconosciuta da chi[55] non ha dubbi sulla piena validità dell’accordo negoziale, anche nel caso inverso di nullità del procedimento di negoziazione assistita, nella misura in cui l’accordo abbia i requisiti di validità di una transazione tra i coniugi. Come osservato[56]: «Il vizio della convenzione di negoziazione - che ne comporti invalidità o inefficacia - non si riflette, insomma, sull’accordo che è conseguito alla successiva fase esecutiva della medesima convenzione (invalida o inefficace), il quale accordo negoziato rimane valido ed efficace, sotto questo profilo, salvo vizi suoi propri».
Un’ulteriore variante, rispetto alle ipotesi sopra evidenziate riguarda l’atto notarile ricevuto in esecuzione dell’obbligo a contrarre assunto dalle parti in sede di negoziazione assistita. In questo caso l’atto che il notaio riceverà non potrà qualificarsi come negozio ripetitivo ma sarà un atto di adempimento di obbligo assunto all’esito della procedura di negoziazione assistita e si rinvia a quanto osservato al precedente paragrafo 2.4., per le considerazioni sul contratto unilaterale, sul pagamento traslativo e sull’atto bilaterale solitario di assolvimento degli obblighi assunti in sede di separazione.
Come alternativa al negozio ripetitivo in tutte le sue varianti ivi compresa quella del negozio che si sostituisce all’accordo conciliativo nullo, è ipotizzabile un verbale di deposito dell’accordo di negoziazione assistita con riconoscimento delle relative sottoscrizioni. In questo caso, alle varianti già sopra accennate si aggiunge un ulteriore problema di natura formale relativo all’equivalenza dell’autentica delle sottoscrizioni al riconoscimento delle firme apposte in un momento precedente ed al di fuori del controllo notarile.
Sul punto sussistono notevoli dubbi nascenti dal rigore formale che assiste il sistema della pubblicità immobiliare il quale non consente di pubblicizzare qualunque atto, ma esclusivamente quegli atti tassativamente selezionati e che rivestono quella precisa forma richiesta dall’art. 2657 c.c. che dispone: «Titolo per la trascrizione - La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico, o di scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente. È evidente che la scrittura privata accertata non giudizialmente ma volontariamente innanzi al notaio ha un diverso valore e si pone al di fuori delle tipologie formali elencate nel cit. art. 2657 c.c.». La giurisprudenza di legittimità[57] e autorevole dottrina[58], escludono che, mediante il deposito nella raccolta degli atti di un notaio, le parti di una scrittura privata possano rendere quest’ultima “autentica”, quindi idonea alla pubblicità: esse argomentano principalmente dal fatto che il «riconoscimento della scrittura privata» è un fatto processuale, tant’è che lo stesso art. 2702 c.c. ne parla presupponendo che esso venga effettuato in un contesto “giudiziale” da «colui contro il quale la scrittura è prodotta».
Per acquisire un “titolo” che possa validamente essere trascritto, pertanto, sarà necessario procedere alla ripetizione, come sopra indicato, per atto pubblico dell’accordo oggetto di negoziazione assistita. Del resto, come si evince anche da altre disposizioni del codice civile (art. 1543, comma 2) il titolo della trascrizione non deve essere necessariamente quello produttivo degli effetti negoziali, ma necessario e sufficiente è che sia un negozio ad esso “identico” stipulato dalle medesime parti[59]. Del resto, come efficacemente sostenne Carnelutti, un negozio non può avere più di una volontà, né più di una causa; può, invece, avere più di una forma.
In alternativa alle modalità di autentica sopra descritte come terza strada ipotizzabile abbiamo la partecipazione diretta del notaio alla stesura dell’accordo di negoziazione assistita; quindi, non come parte del procedimento, ma come pubblico ufficiale che, ai sensi dell’art. 5 del d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) provvede all’autenticazione (nel significato che abbiamo esposto nei paragrafi precedenti) dell’accordo negoziato. È questa di gran lunga la modalità preferibile perché consente la stesura di un accordo con la partecipazione congiunta di tutte le parti interessate, con l’assistenza degli avvocati e del notaio e la verifica successiva del procuratore della Repubblica, sotto forma di nullaosta o di autorizzazione, ciascuno per la propria competenza, ruolo e funzioni. Si evita in questo modo di demandare o comunque far svolgere ad altri soggetti un’attività che il legislatore ha assegnato al notaio e, quindi consentire allo stesso di esplicare in tutta la sua ampiezza i controlli di legittimità, di informazione e di consiglio istituzionalmente a lui demandati. D’altronde, come più volte osservato, l’accordo negoziale, laddove riguardi vicende circolatorie di diritti soggetti a pubblicità immobiliare si distingue nettamente dal processo verbale di negoziazione (al quale potrà essere allegato o riportato in calce) e la figura professionale a cui è stata demandata la redazione, in presenza di atti di disposizione immobiliare, è il notaio per il tradizionale ruolo che svolge all’interno della contrattazione immobiliare stessa. Nei casi, peraltro, in cui il contenuto dell’accordo preveda negozi che devono rivestire la forma dell’atto pubblico, ad substantiam (ad esempio, atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e patti di famiglia) l’intervento notarile contestuale è obbligatorio, a pena di nullità dell’accordo stesso, tenuto conto che l’accordo in sede di negoziazione assistita non è atto pubblico, a differenza dell’accordo raggiunto in sede di separazione consensuale, ricevuto dal cancelliere.
Sotto questo aspetto è preferibile mantenere diversità documentale tra l’accordo negoziale ed il verbale avendo effetti e modalità di formazione ben distinti. L’accordo negoziale contiene l’atto di autonomia privata, diversamente il verbale darà atto del buon esito e dell’iter procedurale seguito ed è atto proprio degli avvocati a cui è demandata la certificazione dell’autografia della sottoscrizione e della conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico.
Nell’autenticazione dell’accordo, giova ripetere, andranno rispettati non solo tutti i requisiti previsti per la validità ed efficacia dell’atto voluto dalle parti, ma anche tutti i formalismi previsti dalla legge notarile (muti, soggetto privo dell’udito, analfabeti, stranieri, etc.).
Va osservato che, nell’ipotesi di intervento notarile contestuale al perfezionamento dell’accordo, lo stesso dovrà, ai sensi dell’art. 2671 c.c., essere trascritto «nel più breve tempo possibile» nei Registri immobiliari; il notaio pertanto, in assenza di diverso ed espresso incarico conferito dalle parti non potrà, per evitare responsabilità derivanti da tardiva trascrizione, attendere il rilascio del nullaosta o dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica, ma dovrà eseguire tempestivamente la trascrizione indicando che gli effetti dell’accordo sono sospesi fino al rilascio del provvedimento del procuratore della Repubblica e successivamente ricevere ed annotare il relativo atto di avveramento della condizione. Tuttavia, tenuto conto dei tempi ristretti (inferiori ai trenta giorni) che devono essere osservati dagli avvocati e dal procuratore della Repubblica nella procedura de qua, le parti potranno dare incarico al notaio di provvedere alla trascrizione dell’accordo, nel maggior termine di legge (trenta giorni), dopo il rilascio del provvedimento del P.M.
I trasferimenti immobiliari solo occasionati dalla crisi coniugale ma non soggetti a verifica del procuratore della Repubblica (cfr. paragrafo 2.3), che le parti non intendono condizionare sospensivamente al perfezionamento della procedura di separazione o divorzio, potranno essere trascritti con effetti immediati, non essendo soggetti né a condicio juris né a condizione volontaria. Il regime fiscale di questi atti occasionati, come già si è detto (cfr. paragrafo 2.1.), sono comunque esenti da imposta sulla base del nuovo indirizzo giurisprudenziale espresso dalla recente sentenza della Suprema Corte, 4 febbraio 2016, n. 2111 e 17 febbraio 2016 n. 3110 (vedi anche paragrafo 4.) che estende il regime fiscale agevolato in modo generalizzato a tutti gli atti relativi al procedimento di separazione e divorzio non distinguendo tra “atti occasionati” ed “atti necessitati”.
3.2. La redazione del processo verbale e dell’accordo di negoziazione: menzioni obbligatorie e menzioni facoltative
La distinzione, quanto meno concettuale, tra la redazione del processo verbale dell’iter seguito nella negoziazione assistita e la redazione dell’accordo di negoziazione è utile anche per distinguere le menzioni richieste per la validità dell’uno e dell’altro, posto comunque che, come osservato nel precedente paragrafo, le vicende che riguardano il rispetto delle condizioni di validità del procedimento di negoziazione non dovrebbero incidere sulla validità dell’accordo di negoziazione, collegato funzionalmente al procedimento ma pur sempre dotato di una sua autonomia causale. Eventuali vizi procedurali dovrebbero incidere esclusivamente sull’idoneità dell’accordo a costituire titolo esecutivo e per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, ai sensi del comma 1 dell’art. 5 del cit. d.l. n. 132 del 2014[60].
Fatte queste precisazioni, è possibile elencare alcune delle menzioni che obbligatoriamente devono essere inserite nel processo verbale, perché espressamente richieste dalla legge: i) la circostanza che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare; ii) la circostanza che gli avvocati hanno informato le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. Altra menzione che dovrà obbligatoriamente essere inserita nel processo verbale è la circostanza dell’assenza o della presenza nel nucleo familiare dei coniugi separandi o divorziandi di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, essendo nel primo caso, l’intervento del procuratore della Repubblica limitato ad un nullaosta, previa verifica della mera regolarità formale della procedura e nel secondo caso, invece, più incisivo, diretto alla verifica dell’accordo all'interesse dei figli e, quindi soggetto ad autorizzazione. Peraltro, in questo secondo caso, qualora il procuratore della Repubblica ritenesse che l'accordo non risponda all'interesse dei figli, deve trasmetterlo, entro cinque giorni, al presidente del Tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo.
Altra menzione obbligatoria, espressamente prevista dalla legge (art. 5 cit.), è la certificazione degli avvocati relativa all'autografia delle firme ed alla conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico.
Altre menzioni saranno rimesse alla buona tecnica redazionale degli avvocati e potranno riguardare il rispetto delle condizioni previste dalla legge per avviare la procedura di negoziazione, il rispetto dei termini di legge, le eventuali sessioni di lavoro che hanno preceduto l’accordo, la documentazione esaminata, etc. peraltro, al di là delle menzioni obbligatorie, c’è una presunzione di rispetto di tutte le norme inderogabili che regolano la procedura tenuto conto della certificazione espressamente prevista dal cit. art. 5 che gli avvocati devono inserire nel processo verbale di “conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico”, dacché eventuali carenze di menzioni delle condizioni poste dalla norma non potranno interpretarsi come carenza delle condizioni stesse.
Questione interessante, relativa al collegamento tra procedura di negoziazione assistita e accordo concordato, riguarda la possibilità di derogare al termine minimo di un mese tra la sottoscrizione della convenzione di negoziazione e l’accordo negoziato, posto che la lettera a) del comma 2 dell’art. 2 del cit. d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) espressamente dispone: «La convenzione di negoziazione deve precisare: a) il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti». Potrebbe ipotizzarsi[61] un’inderogabilità del suddetto termine nel presupposto che esso sia espressione di un principio generale che pone un tempo minimo di riflessione nelle vicende coniugali, come sembra esser confermato dalla norma, in tema di accordo di separazione e divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile (art. 12 cit. d.l. n. 132 del 2014) che impone il termine minimo di trenta giorni che deve intercorrere tra la dichiarazione di separazione o divorzio e la conferma della dichiarazione stessa. Detta ricostruzione non sembra corretta, essendo il termine di un mese previsto dal cit. comma 2 lett. a) dell’art. 2, previsto in tema di negoziazione assistita “ordinaria” ed applicato, come norma di carattere generale, anche alla negoziazione assistita “familiare” e, quindi, non dettato in modo specifico per le negoziazioni assistite di separazione e divorzi, ed in secondo luogo perché il tempo di riflessione previsto per la procedura di separazione e divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile è compensativo dell’assenza di ulteriori controlli e verifiche che, invece, sono demandati al procuratore della Repubblica nella negoziazione assistita “familiare”. Di conseguenza, è da ritenere che il suddetto termine minimo è posto nell’esclusivo interesse di entrambe le parti che possono liberamente disporne e rinunziarvi.
Per quanto attiene alle menzioni obbligatorie e facoltative che riguardano l’accordo negoziato, queste sono condizionate sia dalla tipologia dell’atto posto in essere e riguarderanno, ad esempio, la conformità catastale, l’urbanistica, e potranno imporre anche l’obbligo di allegazione di determinati documenti (si pensi, ad esempio, al certificato urbanistico), sia dal rispetto della legge notarile che impone determinati formalismi, ad esempio, in presenza di stranieri che non conoscano la lingua italiana, di soggetti che non sanno o non possono leggere e scrivere, di soggetti privi dell’udito o muti, etc.
È evidente che se l’accordo è redatto in un documento separato, rispetto al processo verbale, dovrà o esser allegato, ovvero dovrà farsi espressa menzione che l’accordo è intervenuto all’esito della procedura di negoziazione assistita di cui ne costituisce parte integrante, e ciò non solo per dare giustificazione causale alle attribuzioni effettuate, ma anche per poter beneficiare dell’esenzioni fiscali di cui si dirà in seguito.
Come già detto all’inizio del paragrafo 3.1., la forma da dare all’accordo negoziale potrà essere una scrittura privata autenticata ovvero un atto pubblico. La forma dell’atto pubblico sarà obbligatoria in tutti i casi ove tale forma sia richiesta dalla legge in relazione al contenuto dell’accordo stesso (si pensi, ad esempio, ad un accordo contenente un atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c.). Anche nella forma della scrittura privata, l’accordo, essendo finalizzato alla trascrizione nei pubblici registri, dovrà essere obbligatoriamente conservato negli atti del notaio autenticante, come disposto dall’art. 72 della legge notarile (16 febbraio 1913, n. 89) che espressamente dispone che: «Le scritture private, autenticate dal notaro, verranno, salvo contrario desiderio delle parti e salvo per quelle soggette a pubblicità immobiliare o commerciale, restituite alle medesime» (comma modificato dall'art. 12, comma 1, lett. e), l. 28 novembre 2005, n. 246). Tanto va evidenziato, in quanto alcune procure della Repubblica chiedono l’esibizione, in ogni caso, dell’originale dell’accordo negoziato, disattendendo il dettato di questa norma. Peraltro, il deposito dell’originale presso il notaio non può che dare maggiore garanzia alla conservazione dell’atto, tenuto conto che il notaio è la figura istituzionalmente preposta alla conservazione degli atti per conto dello Stato (l’art. 1 della cit. legge notarile dispone nel suo incipit «I notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti». D’altronde gli artt. 2714 e 2715 del c.c. relativamente alle copie degli atti pubblici e delle scritture private depositate presso pubblici uffici dispongono che le prime fanno fede come l’originale e le seconde che hanno la stessa efficacia della scrittura originale da cui sono estratte.
Come conseguenza della forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, il notaio potrà rilasciare copia esecutiva, secondo quanto previsto dall’art. 474, comma 3, del c.p.c. che, a seguito delle novelle del 2005[62], riconosce all’atto pubblico l’efficacia di titolo esecutivo non soltanto per le obbligazioni di somme di danaro da esso rappresentate, come avveniva in precedenza, ma anche ai fini dell’esecuzione per consegna o rilascio. Accanto all’atto pubblico è stata riconosciuta efficacia esecutiva, ma limitatamente alle obbligazioni di somme di danaro, anche alla scrittura privata autenticata. In questi casi la competenza al rilascio della copia esecutiva è concorrente con quella prevista dall’art. 5 del cit. d.l. n. 132 del 2014.
3.3. I soggetti del procedimento di negoziazione assistita ed i soggetti dell’accordo di negoziazione assistita
In sede di separazione e divorzio innanzi all’Autorità giudiziaria è stata esclusa la possibilità di far partecipare al procedimento anche il figlio minore o incapace in veste di parte processuale, mentre una recente sentenza della Cassazione[63] ha ammesso, invece, che al giudizio partecipasse anche il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, nel presupposto che la soluzione del quesito sull’ammissibilità o meno della partecipazione di un terzo soggetto (il figlio maggiorenne) al procedimento di separazione o divorzio non può prescindere dal rilievo della coesistenza, quanto meno in astratto, di due posizioni giuridiche meritevoli di tutela: i) quella del genitore convivente, diretta ad ottenere dall'altro l'attribuzione di un assegno di contribuzione, sulla base delle immutate norme contenute negli artt. 147 e 148 c.c., al fine di assolvere compiutamente i propri doveri senza dover anticipare la quota gravante sull'altro coniuge[64]; ii) e quella del figlio, avente diritto al mantenimento, ed anzi legittimato in via prioritaria ad ottenere il versamento diretto del contributo.
La partecipazione del figlio maggiorenne all’accordo, peraltro, è strumento idoneo a conferire maggior stabilità all’accordo raggiunto dai coniugi proprio in ragione della partecipazione del figlio stesso portatore di un autonomo interesse meritevole di tutela.
Nella negoziazione assistita, la questione relativa alla partecipazione del figlio in sede di accordo è discussa ed è stata ritenuta non possibile da alcuni Tribunali e procure della Repubblica che hanno interpretato restrittivamente l’art. 6 del d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014)[65], ritenendo che in materia di negoziazione assistita da avvocati di cui alla l. n. 162 del 2014 di conversione del d.l. n. 132 del 2014, il P.M. non può concedere l’autorizzazione richiesta, ove rilevi che l’accordo sottoposto alla sua attenzione sia stato sottoscritto anche dal figlio maggiorenne, non prevedendo la cit. legge 162 la possibilità di accordi trilateri: tuttavia, dinanzi al Presidente successivamente adito, i coniugi possono modificare l’accordo escludendo la partecipazione del figlio e così ottenendo, verificati positivamente gli altri presupposti, l’autorizzazione direttamente dal giudice.
Il predetto orientamento non è condivisibile nella misura in cui si sovrappone il piano del procedimento rispetto all’accordo negoziale. Pur volendo condividere l’assunto che la lettera della legge non consente la partecipazione di altri soggetti alla procedura di negoziazione assistita, oltre i coniugi, è altrettanto vero che all’accordo avente natura negoziale potranno partecipare tutti i soggetti interessati, senza violare il dettato della lettera della norma. D’altronde non si spiegherebbe il motivo per cui se l’accordo fosse sottoscritto prima dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica non potrebbe partecipare allo stesso il figlio maggiorenne, mentre se l’accordo fosse sottoscritto in un momento successivo all’accordo potrebbe partecipare anche il figlio maggiorenne. Un’interpretazione in tal senso peccherebbe di irragionevolezza e troverebbe giustificazione esclusivamente in una lettura acritica della norma ferma al mero dato letterale[66].
Non sembra ammissibile la rappresentanza volontaria nella procedura di negoziazione assistita della separazione e del divorzio, andando il procedimento ad incidere sullo status dei coniugi e, quindi, vertendosi in materia di diritti personalissimi[67]; sarà invece possibile la rappresentanza volontaria per la sottoscrizione innanzi al notaio dell’accordo di negoziazione, in una fase successiva alla procedura di negoziazione assistita, trattandosi di mera replica di un accordo già concordato in tutti i suoi elementi essenziali ed essendo, di conseguenza, i poteri del procuratore limitati alla mera ripetizione dell’accordo raggiunto, con l’eventuale integrazione accessori e secondarie, non incidenti sullo status coniugale.
Si è già detto, su quest’ultimo punto, che per quanto riguarda la formazione dell’atto di separazione o di divorzio dinanzi all’ufficiale di Stato civile, recente il Ministero dell’interno con la circolare n. 19 del 2016 ha affermato che i coniugi non possono farsi rappresentare da terzi nella relativa procedura, in quanto «una diversa interpretazione, ovvero la possibilità di fare ricorso ad un procuratore speciale nel procedimento di cui trattasi, potrebbe far venir meno, proprio perché operanti in un contesto di degiurisdizionalizzazione, la garanzia della genuinità ed attualità delle dichiarazioni delle parti, ricevute dall'ufficiale dello stato civile, garanzia data proprio dalla prevista comparizione personale delle stesse. Pertanto, (…), non è ammessa la possibilità per i coniugi di farsi rappresentare da un procuratore speciale nel compimento degli atti individuati dall'art. 12 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162».
4. Aspetti fiscali - Antiriciclaggio - Registri dello stato civile
Il regime fiscale degli atti inerenti le separazione ed i divorzi, è regolato dall’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il quale espressamente dispone che «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa».
Il suddetto regime agevolato è stato oggetto di due sentenze della Corte costituzionale che hanno dato una interpretazione della norma costituzionalmente orientata.
Una prima sentenza (depositata in data 10 maggio 1999 n. 154) ha esteso il regime di esenzione anche a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, nel presupposto che «il parallelismo, le analogie e la complementarità funzionale dei procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del procedimento di separazione dei coniugi sotto i profili che rilevano ai presenti fini, (…), portano (…) a concludere che "il profilo tributario non può ragionevolmente riflettere un momento di diversificazione delle due procedure, atteso che l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile, é con ancor più accentuata evidenza presente nel giudizio di separazione": sia perché in quest’ultimo la situazione di contrasto tra i coniugi - ai quali occorre assicurare una se non più ampia, almeno pari tutela - presenta di solito una maggiore asprezza e drammaticità rispetto alla fase già stabilizzata dell’epilogo divorzile; sia in considerazione dell’esigenza di agevolare, e promuovere nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole».
Con una seconda sentenza (depositata in data 11 giugno 2003 n. 202) la Corte costituzionale era chiamata a verificare la legittimità costituzionale della norma, con riguardo al regime fiscale nei confronti dei figli, e dichiarava«l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, lettera b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), nella parte in cui non esenta dall'imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell'art. 148 c.c. nell'ambito dei rapporti fra genitori e figli», nel presupposto che: «L'esenzione, seppure posta a favore del destinatario delle somme, in realtà tutela il figlio minore per il cui mantenimento è disposta, con la conseguenza che la sua omessa previsione, quando si è in presenza di prole naturale, oltre ad essere irragionevole, con violazione dell'art. 3 della Costituzione, si risolve in un trattamento deteriore dei figli naturali rispetto ai figli legittimi, come esattamente rilevato dal giudice rimettente, in contrasto con l'art. 30 della Costituzione».
Le suddette pronunce sono state recepite dall’Agenzia delle entrate - Direzione centrale normativa. che con la circolare 27/E del 21 giugno 2012 ha espressamente recepito che: «Come precisato dalla Corte costituzionale con sentenza 11 giugno 2003, n. 202, l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che giustifica il beneficio fiscale con riferimento agli atti del giudizio divorzile, è altresì presente nel giudizio di separazione, in quanto finalizzato ad agevolare e promuovere, in breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sul coniuge non affidatario della prole. Dal punto di vista oggettivo, le agevolazioni di cui al citato art. 19 si riferiscono a tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell'intento di regolare i rapporti giuridici ed economici ‘relativi’ al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso. L’esenzione recata dal citato articolo 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile ad accordi di natura patrimoniale non soltanto direttamente riferibili ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge - cfr. Cass. 17 febbraio 2001, n. 2347) ma anche ad accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli». Con la precisazione, tuttavia, che «l'esenzione fiscale prevista dall'articolo 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile anche alle disposizioni patrimoniali in favore dei figli disposte in accordi di separazione e di divorzio a condizione che il testo dell'accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l'accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale».
Nella circolare ultima richiamata, inoltre, veniva precisato che la cessione dell’immobile (o di una sua quota) effettuata, nell’ambito della separazione o del divorzio, da un coniuge che aveva usufruito delle agevolazioni prima casa, prima del decorso del termine dei cinque anni, non comporta la decadenza dalle agevolazioni «a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente provveda o meno all’acquisto di un nuovo immobile». Inoltre, veniva aggiunto che «la decadenza dall’agevolazione ‘prima casa’ può essere esclusa anche nel diverso caso in cui l’accordo omologato dal tribunale preveda che entrambi i coniugi alienino a terzi la proprietà dell’immobile, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro, all’incasso del ricavato della vendita; in tal caso, tuttavia, la decadenza può essere esclusa solo nel caso in cui il coniuge - al quale viene assegnato l’intero corrispettivo derivante dalla vendita - riacquisti, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale».
Il quadro sopra esposto si è ulteriormente arricchito con la recentissima sentenza della Cass. civ., sez. trib., 3 febbraio 2016, n. 2111 e 16 febbraio 2016, n. 3110[68], di cui già si è accennato nel precedente paragrafo 2.1. che, nel solco tracciato delle suddette sentenze della Corte costituzionale, ha affermato che anche gli accordi stipulati «in occasione della separazione» comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli debbano essere ricondotti nell’ambito delle «condizioni di separazione» di cui all’art. 711, comma 4, c.p.c. in considerazione del carattere di negoziazione globale che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale, attribuendo quindi a detti accordi la qualificazione di contratti tipici, denominati “contratti della crisi coniugale”, la cui causa è proprio quella di definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi coniugale. «In tale contesto non sembra, infatti, potersi ragionevolmente negare - quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere - che detti negozi siano da intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”, che, come tali possono usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della l. n. 74 del 1987 nel testo conseguente alla pronuncia n. 154 del 1999 della Corte costituzionale, salvo che l’amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio cedente a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi».
Alla luce del nuovo principio affermato dalla riportata sentenza della Cassazione n. 2111 del 2016 (ribadita dalla sentenza n. 3110 del 2016) c’è da chiedersi se non sia superata la precisazione richiesta nella richiamata circolare dell’Agenzia delle entrate che subordina la concessione delle esenzioni ai trasferimenti in favore dei figli all’espressa, previsione che l'accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale; la Cassazione, da ultimo richiamata, diversamente da quanto ritenuto nella circolare dell’Agenzia delle entrate ritiene che i suddetti atti siano “tipici”, istituzionalmente finalizzati a liquidare e risolvere una crisi coniugale e meritevoli, in modo generalizzato, dell’esenzione di cui all’art. 19 della l. n. 74 del 1987, «salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio cedente a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi». Non può non osservarsi che questo ultimo inciso virgolettato, contenuto nel principio affermato dalla suprema Corte, non è condivisibile in quanto, come correttamente osservato[69]: «Se (...) è di grande conforto, quanto al profilo generale della certezza giuridica, che i Supremi giudici stiano prendendo atto della riforma di recente entrata in vigore in materia di abuso del diritto ed elusione così da affermare che “in generale deve osservarsi che se anche l’interpretazione di una disposizione di legge consenta scelte di strumenti attuativi di volontà delle parti potenzialmente tali da realizzare intenti elusivi, ciò non sembra motivo sufficiente perché essa venga necessariamente compiuta, essendo il fenomeno dell’elusione, la sua prevenzione e la sua repressione oggetto di specifica regolamentazione normativa, che oggi trova suo fondamentale riferimento nell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000, quale introdotto dall’art. 1 del d.lgs. n. 128 del 2015”, rispetto al caso concreto valutazioni circa la contestabilità dell’elusione/abuso sembrano improprie. In effetti, la tassazione di un atto di cessione di immobili tra coniugi o è fattispecie che oggettivamente e soggettivamente è riconducibile all’ambito di applicazione della norma di legge (ad esempio agevolativa) o, in mancanza dei requisiti, non lo è (eventualmente per ragioni di simulazione). In questa seconda ipotesi l’eventuale applicazione della norma configura una violazione di una norma di legge, che si pone sul un piano distinto ed incompatibile con quello dell’abuso/elusione. Tale divaricazione dei piani appare del resto oggi ancora più marcata proprio alla luce della formulazione del citato art. 10-bis (in particolare il comma 12 che sancisce una nozione residuale di abuso del diritto ed elusione) volta appunto a risolvere, nella prospettiva della certezza del diritto, la confusione di piani che erano andati sovrapponendosi anche in conseguenza di una certa produzione giurisprudenziale. Nel caso concreto dunque non si può verificare un effetto di inopponibilità del negozio, piuttosto, verificata l’insussistenza dei presupposti si dovrà riscontrare la violazione dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987 e la conseguente applicazione ordinaria dell’imposta, oltre ad una serie di conseguenze sotto il profilo della simulazione, eventualmente anche processuale»[70].
Tornando alla negoziazione assistita ed all’applicabilità delle esenzioni sopra indicate ai relativi accordi, va detto che il comma 3 dell’art. 6 del cit. d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) prevede, espressamente, che «l'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio» e, pertanto, è fuor di dubbio che il regime di esenzione fiscale si estenda anche agli accordi in sede di negoziazione assistita.
L’Agenzia delle entrate con la risoluzione 65/E in data 16 luglio 2015 ha confermato il regime di esenzione affermando che: «Data la parificazione degli effetti dell'accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita di cui al citato articolo 6 del decreto legge n. 132 del 2014 ai provvedimenti giudiziali di separazione e di divorzio, deve ritenersi applicabile anche a detto accordo l'esenzione disposta dall'articolo 19 della legge n. 74 del 1987, sempreché dal testo dell'accordo medesimo, la cui regolarità è stata vagliata dal Procuratore della Repubblica, emerga che le disposizioni patrimoniali, contenute nello stesso, siano funzionali e indispensabili ai fini della risoluzione della crisi coniugale». Detta interpretazione è coerente con le considerazioni espresse, in sede referente, dalla Commissione giustizia della Camera dei Deputati (resoconto della seduta del 27 ottobre 2014) che, in sede di esame delle misure introdotte con il citato decreto legge n. 132 del 2014, ha precisato che l'agevolazione fiscale di cui all'articolo 19 delle legge 6 marzo 1987, n. 74 «... trova applicazione anche per il nuovo procedimento, essendo questo una parte del procedimento di separazione e divorzio al quale il regime di favore viene applicato».
Il termine per la registrazione, nel caso di accordo autenticato dal notaio prima del nullaosta o dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica, decorre, ai sensi dell’art. 14 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dal giorno in cui i soggetti tenuti a richiedere la registrazione hanno avuto notizia del provvedimento di approvazione. La notizia dell’approvazione deve, a norma del comma 2 del medesimo art. 14, essere comunicata, dai funzionari e/o dai cancellieri preposti all’ufficio che ha emesso il provvedimento di approvazione, al notaio mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Riguardo all’assolvimento degli obblighi antiriciclaggio l’art. 10 del cit. d.l. n. 132 del 2014 (conv. in l. n. 162 del 2014) prevede che l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette non si applica ai professionisti per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita a uno o più avvocati ai sensi di legge, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.
L’esenzione riguarderà solo la fase della consulenza sussistendo, invece, per i professionisti coinvolti, gli obblighi antiriciclaggio di adeguata verifica, di registrazione e di segnalazione relativamente all’accordo negoziato, secondo le regole ordinarie.
Quanto, infine, alla pubblicità degli accordi nei registri dello stato civile (d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) è previsto dal cit. art. 6 che gli stessi siano, a cura dell’avvocato, nel termine di dieci giorni, comunicati (in copia autentica certificata dall’avvocato stesso) all’ufficiale dello stato civile per la loro annotazione a margine dell’atto di nascita dell’atto di matrimonio e per la trascrizione nell’archivio informatico degli atti dello stato civile.
* Relazione al Convegno “Il contributo del Notariato alla degiurisdizionalizzazione: mediazione, negoziazione assistita e arbitrato” tenutosi a Bari il 17 marzo 2017.
[1] Cfr. A. CARRATTA, Negoziazione assistita in materia matrimoniale e disciplina generale: problemi applicativi, in RUO (a cura di), Negoziazione assistita nella separazione e divorzio, Bologna, 2016, 49 ss.; per una ricostruzione dell’esperienza francese: D. PIAZZONI, La negoziazione assistita dagli avvocati in materia di separazione, divorzio e relative modifiche: struttura, vizi e rimedi, in RUO (a cura di), Negoziazione, cit., p. 157 ss.
[2] Per un’analisi delle criticità legate agli accordi accertativi dell’usucapione in sede di media-conciliazione, si rinvia agli Studi del Consiglio Nazionale del Notariato M. KROGH, La trascrizione dell’accordo conciliativo accertativi dell’usucapione, Studio n. 718/2013-C, approvato dall'Area Scientifica - Studi civilistici il 24 ottobre 2013, approvato dal CNN il 31 gennaio 2014 e M. KROGH, Ammissibilità di un accordo conciliativo, ai sensi del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, avente ad oggetto il riconoscimento di un acquisto a titolo di usucapione e sua trascrivibilità, Studio n. 3-2012/M, approvato dalla Commissione mediazione del Consiglio Nazionale del Notariato in data 19 ottobre 2012, in Studi e materiali, 2013, 1, 263 ss.
[3] La quasi totalità dei Tribunali ha provveduto ad emanare protocolli e linee guida per fornire indicazioni per agevolare l’applicazione delle nuove norme, questo ha dato luogo ad un fiorire disomogeneo di prassi operative, tra chi rifiuta copie autentiche rilasciate dal notaio, chi, al contrario impone in caso di accordi da intavolare il deposito presso il notaio, chi chiede la presentazione al P.M. di due originali, chi ne chiede cinque e così via; sul punto cfr. M.R. IELASI, Protocolli, linee guida, vademecum per la negoziazione assistita degli avvocati in materia matrimoniale, in RUO (a cura di), Negoziazione, cit., 195 ss.
[4] Per una disamina dei negozi nell’ambito familiare: A. GIANOLA, Gli atti gratuiti all’interno della famiglia, in CAGNAZZO - PREITE - TAGLIAFERRI (a cura di), Il nuovo diritto di famiglia, Profili sostanziali, processuali e notarili, Milano, 2015, 79; A. GIANOLA, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione, Milano, 2002, 357 ss.
[5] Cfr.: ex multis: Cass., 17 giugno 2004, n. 11342; Cass., 11 novembre 1992, n. 12110; Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500; Cass., 27 ottobre 1972, n. 3299; Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5741; Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5473 in cui si afferma il principio che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e - tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. - rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo - in quanto tale - da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sé, ad un contesto - quello della separazione personale - caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività ), e dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza - o meno - nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale.
[6] G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio tra contratto e giurisdizione: il caso delle intese traslative, in http://www.giacomooberto.com/bologna2011/relazione_oberto_bologna_8_aprile_2011.htm, 31, il quale osserva che ci si potrebbe trovare di fronte ad «una vera e propria donazione con motivo postmatrimoniale (…) che andrà necessariamente rogata dal notaio, in presenza di testimoni».
[7] Cass. civ., sez. trib., 4 febbraio 2016, n. 2111 e 17 febbraio 2016, n. 3110.
[8] Per le considerazioni relative alla presunta possibilità di provare l’abuso del diritto in questa fattispecie, si rinvia al successivo paragrafo 4 in cui sono riportate le puntuali osservazioni critiche in merito di V. MASTROIACOVO, La Cassazione apre, ma non troppo, sull’esenzione per atti di separazione e divorzio, in Riv. dir. trib., suppl. online,www.rivistadirittotributario.it.
[9] Sulla causa concreta del contratto, cfr. Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, est. Travaglino che innovando sul tema della causa del contratto afferma la necessità, ai fini di una corretta qualificazione, in termini di liceità, dello schema contrattuale adottato di individuare gli interessi concreti perseguiti dalle parti: «È opinione corrente quella secondo cui la prima elaborazione del concetto di causa (sostanzialmente estranea all’esperienza romana come elemento costitutivo del negozio, che doveva corrispondere essenzialmente a “modelli” formali) sia stata il frutto della riflessione dei giuristi d’oltralpe che, tra il 1625 ed il 1699, distinguendo per la prima volta sul piano dogmatico i contratti commutativi dalle donazioni, individueranno nell’obbligazione di una parte verso l’altra il fondamento della teoria causale (e di qui, l’origine storica della perdurante difficoltà a superare la dicotomia contratto di scambio-liberalità donativa). Gli stessi rapporti tra la causa e gli altri elementi del contratto, apparentemente indiscussi nei relativi connotati di alterità, paiono, nel progressivo dipanarsi del concetto di causa negotii, talvolta sfumare in zone di confine più opache (si pensi alla relazione causa/volontà nei negozi di liberalità; a quella causa/forma ed all’avvicinamento delle due categorie concettuali verificabile nei negozi astratti; a quella causa/oggetto, con le possibili confusioni a seconda della nozione che, di entrambe le categorie giuridiche, ci si risolva di volta in volta ad adottare, oggetto del contratto essendo tanto la rappresentazione ideale di una res dedotta in obbligazione, quanto la res stessa, causa risultando la funzione dello scambio in relazione proprio a quell’oggetto). Tutte le possibili definizioni di causa succedutesi nel tempo (che un celebre civilista degli anni ’40 non esita a definire “oggetto molto vago e misterioso”) hanno visto la dottrina italiana in permanente disaccordo (mentre negli altri paesi il dibattito è da tempo sopito), discorrendosi, di volta in volta, di scopo della parte o motivo ultimo (la c.d. Teoria soggettiva, ormai adottata dalla moderna dottrina francese, che parla di causa come But); di teoria della controprestazione o teoria oggettiva classica (che sovrappone, del tutto incondivisibilmente, il concetto di causa del contratto con quello di causa/fonte dell’obbligazione); di funzione giuridica ovvero di funzione tipica (rispettivamente intese in guisa di sintesi degli effetti giuridici essenziali del contratto, ovvero di identificazione del tipo negoziale - che consente ad alcuni autori di predicare la sostanziale validità del negozio simulato sostenendone la presenza di una causa, intesa come “tipo” negoziale astratto, sia pur fittizio, quale una donazione, una compravendita, ecc. -); di funzione economico-sociale, infine, cara alla c.d. teoria oggettiva, formalmente accolta dal codice del 42, del tutto svincolata dagli scopi delle parti all’esito di un processo di astrazione da essi (per tacere delle teorie anticausalistiche, di derivazione tedesca, con identificazione della causa nell’oggetto o nel contenuto - Inhalt - del contratto, non indicando il codice tedesco la causa tra gli elementi costitutivi del contratto).
La definizione del codice è, in definitiva, quella di funzione economico-sociale del negozio riconosciuta rilevante dall’ordinamento ai fini di giustificare la tutela dell’autonomia privata (così, testualmente, la relazione del ministro guardasigilli); ma è noto che, da parte della più attenta dottrina, e di una assai sporadica e minoritaria giurisprudenza (Cass. sez. I, 7 maggio 1998, n. 4612, in tema di Sale & lease back; sez. I, 6 agosto 1997, n. 7266, in tema di patto di non concorrenza; sez. II, 15 maggio 1996, n. 4503, in tema di rendita vitalizia), si discorre da tempo di una fattispecie causale “concreta”, e si elabori una ermeneutica del concetto di causa che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che configura la causa del contratto come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio (che, a tacer d’altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale».
[10] D. MURITANO,Il nuovo art. 2929 bis c.c.: quale futuro per la protezione del patrimonio familiare?, inRiv. dir. banc., dirittobancario.it, 25, 2015, il quale peraltro osserva: «Com'è noto la tesi secondo la quale i c.d. contratti della crisi coniugale sono da qualificarsi come contratti a titolo oneroso, stipulati dai coniugi per regolare i reciproci rapporti patrimoniali sorti nel corso della loro relazione e a cui intendono condizionare la definizione consensuale della crisi coniugale, sempre che non sia presente una causa tipica diversa pare essere stata recepita anche dalla giurisprudenza. L'onerosità di tali atti escluderà quindi l'applicazione dell'art. 2929-bis, ma pare fin d'ora prospettabile che su questo specifico tema il contenzioso non sarà irrilevante, anche in ragione del fatto che rispetto a tali atti non sempre vi sarà l'intervento dell'autorità giudiziaria che possa in qualche modo metterli al riparo da aggressioni da parte di creditori di uno dei coniugi, essendo ben possibile che tali trasferimenti siano preceduti da un accordo concluso nell'ambito della negoziazione assistita».
[11] E. RUSSO, Il regime patrimoniale convenzionale. Le convenzioni di separazione dei beni, in FREZZA (a cura di), Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, Collana di “Studi” diretta da Vincenzo Lojacono, Milano, 2005, 72 ss.
[12] E. RUSSO, Il regime patrimoniale convenzionale, cit., 72 ss.
[13] La legittimità della suddetta circolare è stata confermata dalla recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 13 ottobre 2016 (pubblicata il 26 ottobre 2016) n. 04478/2016 Reg. Prov. Coll. ed ha confermato l’interpretazione estensiva dell’inciso “patti di trasferimento patrimoniale” ricomprendendo anche quegli accordi economici che prevedano la corresponsione periodica di somme di danaro mediante un assegno per il mantenimento del coniuge più debole e non solo i trasferimenti di beni una tantum .
[14] G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione, cit., 21 e 22; Cass. 9 aprile 2008 n. 9174
[15] Cass., 8 febbraio 2009, n. 2997 - Pres. Luccioli - Rel. Schirò - P.M. Pratis.
[16] Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2013, n. 21736.
[17] Sul punto anche la più recente Cass., 17 luglio 2015 n. 16909 che ha affermato il principio secondo cui: «accordo mediante il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano la vendita a terzi del bene immobile (e, segnatamente, come nella specie, di quello che costituisce la casa familiare) e l'attribuzione del ricavato pro parte a ciascun coniuge, in proporzione del denaro che abbia investito nel bene stesso, da vita ad un contratto atipico, il quale, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c., è caratterizzato da una propria causa, rispondendo ad un originario spirito di sistemazione, in occasione dell'evento di separazione consensuale, dei rapporti patrimoniali dei coniugi sia pure maturati nel corso della convivenza matrimoniale».
[18] Sul punto cfr: A. FLORITA, Trasferimenti immobiliari e contenuto eventuale degli accordi, in RUO (a cura di), Negoziazione, cit., 102 ss. che espressamente afferma: «in sede di negoziazione assistita bisognerà valutare l’opportunità di inserire o meno la condizione sospensiva della concessione del nullaosta o dell’autorizzazione , qualora si dovesse modificare l’accordo o riformularne uno nuovo a seguito del diniego del pubblico ministero o della mancata autorizzazione del presidente del Tribunale».
[19] Cass., 15 maggio 1997 n. 4306 che afferma: «Sono pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d' udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell' art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l' omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell' art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi». Sul punto G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione, cit., che in commento alla predetta sentenza nella nota (151) osserva: «La lettura della motivazione per esteso evidenzia che i temi affrontati dalla Corte Suprema vanno ben al di là di ciò che la massima ufficiale lascia trasparire. Sintetizzando per sommi i capi i molteplici punti trattati, può dirsi che la Cassazione, oltre ad affermare la natura di atto pubblico del verbale di separazione consensuale anche ai fini della trascrizione in merito agli atti di trasferimento di diritti immobiliari in esso eventualmente contenuti, ribadisce i seguenti principi di diritto: (a) Carattere negoziale della separazione consensuale, intesa come “negozio di diritto familiare”; (b) Distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale dell’accordo di separazione; (c) Individuazione della causa delle intese in oggetto nella finalità di “regolare l’assetto economico dei rapporti tra coniugi in conseguenza della separazione”; (d) Possibilità di inserire nel verbale redatto dinanzi al presidente del tribunale ogni intesa ritenuta dai coniugi stessi necessaria in relazione all’accordo di separazione; (e) Idoneità del verbale di separazione consensuale a recepire non solo negozi traslativi a titolo oneroso, ma anche “trasferimenti gratuiti”, con un’apertura, dunque, alla possibilità di inserimento di donazioni; (f) Possibilità che, in sede di scioglimento della comunione legale, i coniugi pattuiscano esclusioni di beni dalla comunione medesima, a condizione che ciò avvenga con effetto a decorrere dal momento in cui la comunione avrà cessato d’esistere; (g) Automatica sottoposizione dell’accordo di separazione, anche nella parte contenente trasferimenti immobiliari, all’omologazione, con la conseguenza che in esso i coniugi ben possono disporre di diritti su beni della comunione, posto che gli atti traslativi prendono effetto nel momento in cui la comunione cessa d’esistere; (h) Presentazione di un dubbio (anche se a livello di mero obiter, dubbio comunque superato oggi dalla sentenza 10 maggio 1999, n. 154 della Corte costituzionale) circa l’effettiva sottoponibilità degli atti in oggetto al regime fiscale favorevole di cui all’art. 8, lett. f) d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131».
[20] G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione, cit., 10 ss. ed Autori ivi richiamati.
[21] E. FABIANI - M. LEO, L’accordo di conciliazione, in CENNI - FABIANI - LEO (a cura di), Manuale della mediazione civile e commerciale. Il contributo del Notariato alla luce del d.lgs. n. 28 del 2010, Napoli, 2012, 298 ss.
[22] Sul punto: A. GORGONI, Accordi traslativi e crisi coniugale, Milano, 2009.
[23] Il virgolettato riporta quanto testualmente riportato nella nota 64 di G.F. BASINI, Contratti unilaterali, in PALAZZO - MAZZARESE (a cura di), I Contratti gratuiti, Trattato dei Contratti diretto da Pietro Rescigno ed Enrico Gabrielli, Torino, 2008, 327, nota 64 in cui è riportata la dottrina che aderisce al suddetto principio di “sovranità formale”, quali L. CARIOTA FERRARA, I negozi sul patrimonio altrui con particolare riguardo alla vendita di cosa altrui, Padova, 1936, 17 ss., M. FRAGALI, Dei contratti in generale, Disposizioni preliminari, in D’AMELIO - FINZI (diretto da), Codice civile - Libro delle obbligazioni, I, Commentario, Delle obbligazioni in generale e dei contratti in generale, Firenze, 1948, 316 ss.; C. SCUTO, Le fonti delle obbligazioni secondo le varie classificazioni e la classificazione del nuovo codice civile, Napoli, 1953, 116 ss.; G. GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, 60 ss.; F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, 236 ss.
[24] Cfr. R. SACCO, La conclusione dell’accordo, in SACCO - DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato Sacco, Torino, 1993, 37 e ss.; G.F. BASINI, Contratti unilaterali, cit.
[25] G.F. BASINI, Contratti unilaterali, cit., 332 ss.
[26] Sul punto anche C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 567-568.
[27] Cass. civ., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Corr. giur., 1988, 144 con nota di MARICONDA.
[28] Cass. civ., 21 dicembre 1987, n. 9500, cit.
[29] G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione, cit., 18 ss.
[30] A. SCIARRONE ALIBRANDI, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., in Riv. dir. civ., 1989, 544 ss.; F. GAZZONI, Babbo Natale e l’obbligo di dare, Riv not., 1991, 6, p. 1418 «Il trasferimento della proprietà seguirà poi con il pagamento traslativo (o, in difetto, con la sentenza ex art. 2932 c.c.), che è atto unilaterale come sono unilaterali gli atti di adempimento, cosicché non sarà necessario un contratto, né bilaterale, né unilaterale ex art. 1333 c.c. Un rifiuto, in tal caso, o, tanto meno, una accettazione, non avrebbero infatti senso alcuno avendo oltre tutto l'accipiens già manifestato la propria volontà in sede di nascita dell'obbligo di dare»;V. MARICONDA, Il pagamento traslativo, in Contr. impr., 1988, 740 ss.; sui rapporti tra pagamento traslativo e condictio indebiti cfr. P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Tratt. Sacco, Torino, 1996, 124 ss.; G. MACCARONE, Considerazioni di ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contr. impr., 1998, 634 ss.; A. CHIANALE, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, in Riv. dir. civ., 1989, 239 ss.
[31] C. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterale, Napoli, 1972, 126.
[32] G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione, cit., 31.
[33] Cfr: da ultimo: Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2013, n. 21736.
[34] Decreto del Tribunale di Torino, sez. VII, 20 aprile 2015, Pres. est. Cesare Castellani; Procura della Repubblica Napoli, 27 luglio 2016 - dep. 28 luglio 2016 n. 486/16, dott.ssa Valeria Gonzalez y Reyero.
[35] Cfr: Cass., 25 settembre 1978, n. 4277, in Foro it., 1979, I, 718, con nota di JANNELLI in Giust. civ., 1979, I, p. 83.
[36] Cfr. Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Riv. dir. civ., 1989, II, 233; G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione, cit., 28 ss.; A. FLORITA, Trasferimenti immobiliari, cit. 103 ss.
[37] Si riscontrano isolate pronunce di merito che ritengono necessario, in presenza di minori, per il perfezionamento della fattispecie un’espressa accettazione del terzo preceduta da autorizzazione ex art. 320 c.c.: cfr: pretura di Marano13 marzo 1995 e pretura di S.M. Capua Vetere 19 maggio 1995, in Vita not., 1995, 663 e le considerazioni riportate nella nota a commento del decreto Tribunale di Salluzzo - Ufficio del Giudice Tutelare Lombardo - del 19 luglio 2012, A. DI SAPIO - A. GIANOLA, Un meccanismo di protezione che tutela le esigenze comuni alla famiglia, in Fam. min., succ. don., I dossier di Guida dir., n. 49-50 del 22 dicembre 2012.
[38] Cfr. G. OBERTO, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione, cit., 29 ss. anche per i riferimenti alla giurisprudenza sul tema.
[39] Cfr.: G. FANTICINI, Destinazione e attribuzione nei giudizi di separazione e divorzio. Relativo al II caso: Destinazione patrimoniale e crisi coniugale, in questa rivista; G. MINNITI - C. ROMANO, Atto di destinazione di bene immobile ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. e di trasferimento in ottemperanza ad accordi in sede di separazione personale dei coniugi, in questa rivista.
[40] Trib. Reggio Emilia, 23-26 marzo 2007.
[41] Tribunale Reggio Emilia 7 giugno 2012, est. G. FANTICINI, in Guida dir., 22 dicembre 2012, 49, 2.
[42] Cfr.: Decreto Tribunale di Salluzzo - Ufficio del Giudice Tutelare Lombardo - del 19 luglio 2012, con nota di commento di A. DI SAPIO - A. GIANOLA, Un meccanismo di protezione, cit., in cui è evidenziato che: «Siamo dinanzi a un meccanismo di protezione volto a sopperire a esigenze primarie comuni alla famiglia e a quella d’istruzione dei figli. V’è aderenza all’indirizzo di vita concordato tra i coniugi ex articolo 144 e v’è consenso su questa modalità d’adempimento dei doveri genitoriali ex articoli 147 e 148 del c.c. A escludere la necessità dell’autorizzazione è, in due parole, la causa familiare (su cui A. GIANOLA, Atto gratuito, atto liberale, cit., 367). A escludere il conflitto d’interessi tra genitori e figli è la propagazione della funzionalizzazione a favore di tutti i familiari in armonia con le regole di governo coniugale e di diarchia genitoriale e senza pericolo di danno».
[43] Sul punto Trib. Reggio Emilia del 23-26 settembre 2007 il quale nel rilevare che l’art. 2645-ter c.c. fa riferimento agli "atti in forma pubblica" osserva che «(…) il verbale dell'udienza del 22 marzo 2007 costituisce atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 c.c. e (previa omologazione dell'accordo) è titolo idoneo alla trascrizione nei Registri immobiliari, a norma dell'art. 2657 c.c., del negozio di trasferimento di diritti reali immobiliari ivi contenuto (come espressamente riconosciuto da Cass., 15 maggio 1997, n. 4306; analogamente, Cass., 30 agosto 1999, n. 9117). È soddisfatto, pertanto, il requisito formale».
[44] Per i negozi determinativi in tema di separazione, cfr.: E. RUSSO, Il regime patrimoniale convenzionale, cit., 72 ss.
[45] Cfr. Per approfondimenti sulla evoluzione legislativa dell’assegnazione della casa familiare, da ultimo, T. AULETTA (a cura di), La crisi familiare, in M. BESSONE (diretto da), Trattato di diritto privato, Il diritto di famiglia, Torino, 2013, 340; V. VACIRCA, L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio. L’opponibilità del provvedimento di assegnazione al successivo acquirente dell’immobile e al proprietario-comodante, in Riv. not., 2008, 1434 ss.; A. FUSARO, L’opponibilità ai terzi dell’assegnazione della casa familiare, in Familia, 2009, 89 ss. In giurisprudenza, Trib. Bari, 30 gennaio 2009, n. 328, in giurisprudenzabarese.it 2009.
[46] C.M. BIANCA, Diritto civile, II, Milano, 1985, 161 (ora 2005, 161). Analogamente, R. AMAGLIANI, Separazione dei coniugi e assegnazione della casa familiare, in Rass. dir. civ., 1982, 17; A. ZACCARIA, Opponibilità e durata dell’assegnazione della casa familiare, dalla riforma del diritto di famiglia alla nuova legge sull’affidamento condiviso, in Fam. pers. succ., 2006, 779 ss.
[47] Cfr. A MARGHERINI, Natura giuridica ed opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare, in diritto.it, all’indirizzo internet: http://www.diritto.it/articoli/civile/margherini.html; in giurisprudenza cfr.: Cass. civ., 16 ottobre 1985, n. 5082, in Foro it., 1986, I, p. 1317, e in Giust. civ.,1986, I, p. 701 e in Dir. fam., 1986, p..43 e in Nuova giur. civ., 1986, I, p. 353, nonché Cass., sez. un., n. 11096/2002; Cass., sez. un., n. 13603/2004; Cass. n. 1545/2006; Cass. 16398/2007.
[48] Corte cost., 27 luglio 1989, n. 454.
[49] Cass. civ., sez. I, 7 luglio 2000, n. 9073.
[50] Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2015, n. 15367, che conferma l’orientamento già espresso dalla Cass., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096, la quale ha stabilito che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare è opponibile al terzo acquirente, anche se non trascritto, ma l’opponibilità è limitata solo nei limiti di nove anni decorrenti dalla data dell'assegnazione ex art. 1599 c.c.
[51] Cass., sez. I, 9 agosto 2012, n. 14348.
[52] Cfr. Manuale della mediazione civile e commerciale - Il contributo del Notariato alla luce del d.lgs. 28/2010, Napoli, 304 ss., per le considerazioni in tema di media-conciliazione che possono applicarsi anche alla negoziazione assistita.
[53] Anche per questo aspetto, valgono le medesime considerazioni svolte per la media-conciliazione: cfr. Manuale della mediazione civile e commerciale, cit., 303 ss.
[54] Nei medesimi termini, Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2003, n. 17607 che afferma: «Una linea di tendenza nel senso del riconoscimento del pieno dispiegarsi della negozialità dei coniugi e dell'espansione della sfera di operatività dell'autonomia privata anche in relazione ai negozi di diritto familiare è peraltro chiaramente ravvisabile nella giurisprudenza di questa sezione orientata a riconoscere, entro determinati e penetranti limiti ed in termini differenziati, la validità degli accordi non trasfusi nell'accordo omologato e di quelli successivi all'omologazione (v., tra le altre, Cassazione 5829/1998; 7029/1997; 4657/1994; 657/1994, cit.; 2270/1993, cit. 2788/1991)».
[55] D. Piazzoni, La negoziazione assistita dagli avvocati, cit., 163 che, relativamente ai vizi riguardanti l’invito e la fase precedente l’adesione, osserva: «La nullità sembra tuttavia sanabile ove successivamente si addivenga comunque alla stipula di una convenzione di negoziazione che presenti tutti gli elementi richiesti dalla normativa (…)».
[56] D. Piazzoni, La negoziazione assistita dagli avvocati, cit., 174 e 175.
[57] Cass., 14 dicembre 1984, n. 6576, in Giur. it., 1985, p. 1061; Cass., 21 maggio 1956, n. 1749. Come giurisprudenza di merito: cfr.: App. Brescia, 28 gennaio 1985, e Trib. Forlì, 3 settembre 1985, est. M. Krogh.
[58] G. CASU, La legge notarile commentata, Torino, 408-409.
[59] Cfr. C. GRANELLI, Riproduzione (e rinnovazione) del negozio giuridico, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1080. C.M. BIANCA, Il Contratto, Milano, 2000, 296; DI GRAVIO, voce Dichiarazione riproduttiva, in Dig. civ., V, Torino, 1989, 361 ss. L. FERRI - P. ZANELLI, Trascrizione, Commentario Scialoja-Branca, Roma, 1995, p. 376, nota 1; MAZZONI, in Giur. it., 1985, I, 1, 1061; A. ETTORRE - L. SILVESTRI, La pubblicità immobiliare, Milano, 1996, 151-152.
[60] In questo senso: D. Piazzoni, La negoziazione assistita dagli avvocati, cit., 175; M. Ruvolo (Giudice del Tribunale di Palermo), Negoziazione assistita in materia civile: casi e questioni, in Scuola Superiore della Magistratura, http://www.ca.milano.giustizia.it/allegato_corsi.aspx?File_id_allegato=1950, 12 che in risposta al quesito: «Che cosa succede se l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita è successivo a qualche vizio della procedura di negoziazione o non risulta in linea con i requisiti formali richiesti dalla legge 162/14?» risponde: «È da ritenere, insieme al prof. Luiso, che in nessun caso la negoziazione assistita condiziona la validità dell’atto compiuto, nel senso che il mancato rispetto delle regole proprie di essa costituisce ragione di invalidità dell’accordo. Le regole sulla validità dell’accordo sono comunque quelle codicistiche. Tuttavia, non dovrebbe potere avere efficacia di titolo esecutivo ex art. 5 legge n. 162 del 2014 un accordo privo della forma scritta (se non richiesta ad substantiam da altre norme, quali l’art. 1350 c.c.) o privo della sottoscrizione degli avvocati o della certificazione da parte di questi ultimi dell’autografia delle firme delle parti o della conformità dell’intesa a norme imperative o all’ordine pubblico».
[61] A. FLORITA, Trasferimenti immobiliari, cit., 78 ss. che osserva: «Sarebbe stato forse preferibile che il legislatore avesse stabilito un termine minimo di durata inferiore ad un mese. Ciò avrebbe facilitato la stipulazione in caso di coniugi residenti in differenti Stati le cui situazioni personali, specie per il divorzio o per le modifiche magari già in corso o solo da formalizzare, in assenza di figli minori (o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti), non necessitano di lunghe trattative, ma, anzi, avrebbero indotto gli stessi a prediligere la negoziazione in cui gli incontri vengono liberamente stabiliti dalle parti (nel numero, luogo e modalità). Del resto il procedimento previsto dall’art. 12 del d.l. n. 132 del 2014, per gli accordi conclusi innanzi all’ufficiale dello stato civile, pone lo stesso problema, considerato l’invito a comparire di fronte al medesimo ufficiale, non prima di trenta giorni, per la conferma dell’accordo».
[62] Legge 14 maggio 2005, n. 80.
[63] Cfr.: Cass., 19 marzo 2012. n. 4296.
[64] Cfr.: Cass., 23 luglio 2010, n. 17275.
[65] Decreto del Tribunale di Torino, sez. VII, 20 aprile 2015, Pres. est. Cesare Castellani; Procura della Repubblica Napoli, 27 luglio 2016 - dep. 28 luglio 2016 n. 486/16, dott.ssa Valeria Gonzalez y Reyero.
[66] Cfr. sul punto anche D. Piazzoni, La negoziazione assistita dagli avvocati, cit., 177 ss. il quale rileva che: «Dalla lettura congiunta di questi principi si trae che la modifica di statuizioni inerenti il versamento diretto del mantenimento alla prole non potrebbe essere oggetto di negoziazione assistita “coniugale” e si dovrebbe trarre l’ulteriore conseguenza che, lege sic stante, la negoziazione assistita non potrebbe avere ad oggetto alcuna statuizione circa il versamento diretto del mantenimento alla prole, perché parte necessaria di una simile pattuizione dovrebbe essere anche il figlio beneficiario, che però non può essere parte del procedimento di negoziazione assistita “coniugale” né può accedere al procedimento di negoziazione assistita “ordinaria” (considerato che il diritto al mantenimento non è un diritto disponibile). Il che sarebbe contrario allo spirito deflattivo della normativa. In questa prospettiva, appare possibile che il figlio maggiorenne, pur non essendo parte della procedura di negoziazione assistita dagli avvocati, presti durante la negoziazione il suo consenso - verbalizzato e sottoscritto - alle modalità individuate dai coniugi genitori di suo mantenimento diretto»; M.G. Ruo, I figli nella negoziazione assistita in materia matrimoniale: minorenni, maggiorenni non indipendenti economicamente, incapaci e disabili gravi, in RUO (a cura di), Negoziazione, cit., 125 ss. che osserva: «Se la lettera della legge appare escludere la possibilità che i figli maggiorenni non indipendenti economicamente intervengano nella procedura, nulla vieta però che possano essere sentiti al fine di esprimere la propria opinione sulle clausole dell’accordo che li riguardano ed anche di prestarvi il consenso. Tale soluzione, probabilmente ibrida, consente però di salvaguardare i loro interessi, tutelare i loro diritti e rispettarla filosofia deflattiva della nuova disciplina, nonché di concentrare le tutele».
[67] A. FLORITA, Trasferimenti immobiliari, cit., 77, che osserva: «Si sa che il consenso alla separazione è atto personalissimo e presuppone la capacità di agire tant’è che si negano poteri di sostituzione al tutore dell’interdetto nella stipulazione dell’atto, mentre per il soggetto incapace si riconosce valida la stipula dell’atto consensuale di separazione in capo al curatore speciale per consentire la composizione consensuale della crisi coniugale». Contrario al rilascio della rappresentanza volontaria: F. Carnelutti, Rappresentanza volontaria in processo di separazione coniugale, in Riv. dir. civ., 1952, II, 60, nega la possibilità della rappresentanza volontaria in materia di separazione per la circostanza fondamentale che la comparizione personale dei coniugi è prescritta in funzione di quel presupposto particolare del provvedimento presidenziale che è l’esperito tentativo di conciliazione; contra F. Scardulla, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, V edizione, Milano, 787 ss., il quale osserva che: «Il richiamo alla natura personalissima dell’azione di separazione, fatto da Carnelutti, non è sufficiente ad escludere la possibilità che il coniuge si giovi di un rappresentante volontario il quale si imiti ad agire in esecuzione di un mandato ed in conformità delle disposizioni del mandante. Trattasi in vero di una ipotesi di legittimatio ad processum da non confondersi con la legittimatio ad causam».
[68] Per il commento a tali sentenze, con particolare riferimento sia alle nuove aperture della cassazione sul fronte dell’esenzione spettanti agli atti posti in essere per la soluzione delle crisi coniugali e sia per le problematiche inerenti l’abuso del diritto si rinvia allo studio pubblicato su CNN Notizie 7 marzo 2016 est. S. Cannizzaro, I “contratti della crisi coniugale” e l’agevolazione per gli atti e i trasferimenti in sede di separazione e divorzio nell’interpretazione evolutiva della Cassazione.
[69] V. Mastroiacovo, La Cassazione apre, ma non troppo, sull’esenzione per atti di separazione e divorzio, in Riv. dir. trib., suppl. online,www.rivistadirittotributario.it.
[70] Cfr. sul punto anche: CNN Notizie 7 marzo 2016 est. S. Cannizzaro: I “contratti della crisi coniugale”, cit. «L’interpretazione della Cassazione pare spingersi anche oltre (e ciò si può comprendere facendo riferimento alla tesi dottrinale che la giurisprudenza pare apertamente richiamare) poiché, alla luce della pronuncia in commento parrebbe plausibile ritenere agevolabili anche gli atti di trasferimento tra coniugi che, pur potendo essere ricondotti in uno schema negoziale tipico, assumano una connotazione funzionale specifica inserendosi in quella “negoziazione globale” volta a dare sistemazione agli assetti patrimoniali post crisi coniugale e assurgendo, in tal contesto, al rango di “condizioni della separazione». Né pare possibile obiettare che, prospettando una tale interpretazione, sorga il rischio di agevolare pratiche elusive in quanto, secondo la Cassazione, «se anche l'interpretazione di una disposizione di legge consenta scelte di strumenti attuativi di volontà delle parti potenzialmente tali da realizzare intenti elusivi, ciò non sembra motivo sufficiente perché essa venga necessariamente compiuta», spettando poi all’amministrazione contestare e provare «secondo l’onere probatorio cedente a suo carico la finalità elusiva degli atti medesimi».