L’impignorabilità delle somme di denaro versate dal notaio sul conto corrente dedicato
Ordinario di Diritto processuale civile, Università del Sannio
Premessa
Il tema che mi è stato assegnato, ossia l’impignorabilità delle somme di danaro depositate dal notaio sul conto corrente dedicato, attiene ad uno specifico profilo della tematica che costituisce oggetto dell’odierno convegno di studio, ma, nonostante la sua specificità, non è di agevole trattazione, quanto meno nei circoscritti tempi di una relazione, in ragione fondamentalmente della necessità:
– per un verso, di soffermarsi, a monte, su alcuni tratti caratterizzanti del conto corrente dedicato, quali risultano all’esito dell’evoluzione normativa che lo ha interessato, in quanto decisivi, come vedremo, per individuare anche quelli che sono i tratti caratterizzati della peculiare ipotesi di impignorabilità in esame;
– per altro verso, di cogliere, a valle, le principali criticità dell’istituto processuale che viene in rilievo nel caso di specie, ossia il pignoramento e l’espropriazione presso terzi, in quanto, come vedremo, dette criticità risultano particolarmente acuite dalle peculiarità del caso di specie, tanto che si impone l’individuazione di “correttivi” onde evitare che rimangano irrimediabilmente pregiudicate le finalità sottese alla introduzione nel nostro ordinamento, da parte del legislatore, del conto corrente dedicato.
Ciò premesso, cercherò, dunque, nell’ambito della mia relazione di:
- cogliere anzitutto i tratti caratterizzanti del conto corrente dedicato, o meglio quei tratti caratterizzanti funzionali, a mio avviso, a comprendere anche quali sono i tratti caratterizzanti della nuova ipotesi di impignorabilità in esame introdotta, dal legislatore, nel nostro ordinamento;
- delineare le principali criticità dell’istituto processuale che evoca l’ipotesi in esame, ossia il pignoramento/espropriazione presso terzi, nonché i soggetti di questa eventuale ipotesi di espropriazione (sia nella ipotesi fisiologica che patologica);
- evidenziare come dette criticità siano acuite dalle peculiarità del caso di specie;
- individuare dei “correttivi” che consentano alla normativa in esame di conseguire comunque gli obiettivi che si prefigge;
- di trarre delle conclusioni, de iure condito e de iure condendo.
Il conto corrente dedicato: evoluzione normativa e tratti caratterizzanti dell’istituto
L’introduzione nel nostro ordinamento di una nuova disciplina sul deposito obbligatorio del prezzo, e di altre somme, presso il notaio, sulla falsariga di quanto già previsto in altri ordinamenti [[1]], trova il suo referente normativo nell’art. 1, commi da 63 a 67, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, che è rimasto però inattuato in quanto detta disposizione (e segnatamente il comma 67) subordinava espressamente la sua operatività alla emanazione di un regolamento di attuazione che non è stato mai emanato.
Il legislatore del 2017 (legge annuale per il mercato e la concorrenza del 4 agosto 2017, n. 124)[[2]] , nel rendere obbligatoria per i notai in esercizio una gestione in grado di assicurare trasparenza e tracciabilità di alcune somme incassate o anticipate a diverso titolo[[3]], ha apportato svariate modifiche alle suddette disposizioni[[4]] così rendendo operativa una normativa il cui testo attuale è il seguente:
«63. Il notaio o altro pubblico ufficiale è tenuto a versare su apposito conto corrente dedicato:
a) tutte le somme dovute a titolo di tributi per i quali il medesimo sia sostituto o responsabile d’imposta e comunque le spese anticipate di cui all’articolo 15, primo comma, numero 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, in relazione agli atti a repertorio dallo stesso ricevuti o autenticati e soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale;
b) ogni altra somma affidatagli e soggetta ad obbligo di annotazione nel registro delle somme e dei valori di cui alla legge 22 gennaio 1934, n. 64;
c) l’intero prezzo o corrispettivo, ovvero il saldo degli stessi, se determinato in danaro, oltre alle somme destinate ad estinzione di gravami o spese non pagate o di altri oneri dovuti in occasione del ricevimento o dell’autenticazione di atti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione o estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende, se in tal senso richiesto da almeno una delle parti e conformemente all’incarico espressamente conferito; nei casi previsti dalla presente lettera, il notaio deve ricusare il suo ministero se le parti non depositano, antecedentemente o contestualmente alla sottoscrizione dell’atto, l’importo dei tributi, degli onorari e delle altre spese dell’atto, salvo che si tratti di persone ammesse al beneficio del gratuito patrocinio»[[5]].
«65. Le somme depositate nel conto corrente di cui al comma 63 costituiscono patrimonio separato. Dette somme sono escluse dalla successione del notaio o altro pubblico ufficiale e dal suo regime patrimoniale della famiglia, sono impignorabili a richiesta di chiunque ed assolutamente impignorabile è altresì il credito al pagamento o alla restituzione delle stesse».
«66. Nei casi previsti dalle lettere a) e b) del comma 63, il notaio o altro pubblico ufficiale può disporre delle somme di cui si tratta solo per gli specifici impieghi per i quali gli sono state depositate, mantenendo di ciò idonea documentazione. Nei casi previsti dalla lettera c) del comma 63, eseguite la registrazione e la pubblicità dell’atto ai sensi della normativa vigente, verificata l’assenza di gravami e formalità pregiudizievoli ulteriori rispetto a quelle esistenti alla data dell’atto o da questo risultanti, il notaio o altro pubblico ufficiale provvede senza indugio a disporre lo svincolo degli importi depositati a favore degli aventi diritto. Se nell’atto le parti hanno previsto che il prezzo o corrispettivo sia pagato solo dopo l’avveramento di un determinato evento o l’adempimento di una determinata prestazione, il notaio o altro pubblico ufficiale svincola il prezzo o corrispettivo depositato quando gli viene fornita la prova, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero secondo le diverse modalità probatorie concordate tra le parti, che l’evento dedotto in condizione si sia avverato o che la prestazione sia stata adempiuta».
«66-bis. Il notaio o altro pubblico ufficiale può recuperare dal conto dedicato, a seguito di redazione di apposito prospetto contabile, le somme di cui al comma 63 che abbia eventualmente anticipato con fondi propri, nonché le somme in esso versate diverse da quelle di cui al medesimo comma»[[6]].
A noi interessano fondamentalmente:
- il comma 63, che individua le somme che il notaio è tenuto a versare sul conto corrente dedicato;
- il comma 65, che ha specificamente ad oggetto l’impignorabilità delle suddette somme;
- il comma 66-bis, introdotto in epoca più recente dal legislatore, e di particolare rilievo, come vedremo a breve, anche ai nostri fini.
Il conto corrente dedicato nasce, stante la chiara formulazione in tal senso della originaria normativa di riferimento, come conto «destinato esclusivamente al deposito delle somme individuate nel comma 63, espressamente esclusa ogni diversa destinazione del conto stesso»[[7]].
Il comma 66-bis, introdotto dal legislatore del 2017, ha evidentemente inciso sulla struttura stessa del conto corrente dedicato, posto che, per effetto della suddetta disposizione, ci troviamo ora di fronte ad un conto che non è più destinato ad ospitare esclusivamente le somme di cui al comma 63.
Il notaio, in altri termini, in forza di quanto attualmente previsto dal comma 66-bis, è indubbiamente legittimato a versare sul conto corrente dedicato anche somme diverse da quelle di cui al comma 63.
Decisivo in tal senso sembrerebbe essere, non tanto quanto previsto dalla prima parte del comma 66-bis (in ordine alla possibilità per il notaio di recuperare dal conto dedicato, a seguito di redazione di apposito prospetto contabile, le somme di cui al comma 63 che abbia eventualmente anticipato con fondi propri), quanto soprattutto l’ultimo inciso del medesimo comma, il quale reca testualmente: «nonché le somme in esso versate diverse da quelle di cui al medesimo comma» (ossia il comma 63).
L’inciso, per come formulato, è inequivoco nel voler ammettere la fisiologica possibilità per il notaio di versare sul conto corrente dedicato anche somme diverse da quelle di cui al comma 63.
Conseguentemente si apre un delicato problema di delimitazione dei confini di questo potere che il nuovo impianto normativo attribuisce al notaio, stante la possibilità, in astratto, di circoscrivere al massimo la portata del nuovo comma 66-bis (con conseguente atteggiarsi dello stesso, per intendersi, a mò di eccezione rispetto alla “regola”, che sarebbe pur sempre rappresentata dal comma 63) ovvero di ampliarla al massimo, o quanto meno in modo significativo[[8]].
Ma, indipendentemente dal modo in cui si ricostruiscano i suddetti confini, non appare dubitabile che l’eventuale versamento da parte del notaio sul conto corrente dedicato di somme diverse da quelle di cui al comma 63 non rappresenta più un’ipotesi patologica[[9]], rientrando, piuttosto, nella fisiologia dell’istituto così come attualmente disciplinato dal legislatore; i cui tratti caratterizzanti, come già evidenziato, finiscono per dipendere (anche) dal modo in cui siano delineati i confini della nuova disposizione di cui al comma 66-bis, ma che indubbiamente si caratterizza attualmente per l’istituzionale possibilità di ospitare anche somme diverse da quelle di cui al comma 63 (salvo poi a stabilire, in forza della suddetta operazione interpretativa, quali siano dette somme).
Detta circostanza, di indubbio rilievo sotto il profilo della attuale struttura del conto corrente dedicato, è meritevole di particolare attenzione anche sotto il profilo della impignorabilità delle somme ivi depositate, stante l’inscindibile legame creato dal legislatore, in forza di quanto disposto al comma 65, fra le somme di cui al comma 63 e l’impignorabilità (di cui, per l’appunto, al comma 65).
In forza di quanto disposto dal comma 65, infatti, «le somme depositate nel conto corrente di cui al comma 63 costituiscono patrimonio separato» e «sono impignorabili a richiesta di chiunque».
Conseguentemente occorre chiedersi se, alla luce del nuovo impianto normativo, il conto corrente dedicato cessa di essere non solo un conto corrente destinato ad ospitare esclusivamente le somme di cui al comma 63, ma anche un conto corrente istituzionalmente preposto ad ospitare esclusivamente somme impignorabili (se così poteva ritenersi alla luce della normativa previgente in materia), ovvero se sia divenuto (o se così era già alla luce della normativa previgente) un conto corrente istituzionalmente preposto ad ospitare (non solo somme impignorabili ma) anche somme pignorabili (ossia quelle che non rientrano nell’elencazione di cui al comma 63 e che il notaio è comunque legittimato a depositare sul conto corrente dedicato in forza del nuovo comma 66-bis).
Il dubbio è legittimo anche con riferimento al previgente impianto normativo in quanto l’originario testo del comma 63, a differenza di quello attuale, ricomprendeva (nella lettera a), anche «le somme dovute a titolo di onorari, diritti, accessori, rimborsi spese e contributi», per l’effetto qualificate, anch’esse, impignorabili dal successivo comma 65 (quanto meno stando alla chiara lettera di quest’ultima disposizione in tal senso).
L’impignorabilità delle somme depositate sul conto corrente dedicato
Il nostro ordinamento conosce varie ipotesi di impignorabilità, stante l’individuazione, ad opera del codice di procedura civile, del codice civile e di numerose leggi speciali, di particolari categorie di beni e di crediti in toto o in parte insuscettibili di espropriazione forzata, con conseguente limitazione del principio della responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 c.c.[[10]].
Più in dettaglio, il codice di procedura civile prevede numerose ipotesi di impignorabilità, di beni mobili (artt. 514, 515, 516 c.p.c.) e di crediti (art. 545 c.p.c.), distinguendo al contempo fra impignorabilità assoluta (artt. 514, 545, comma 2) e impignorabilità relativa (artt. 515, 516, 545, commi 1 e 3)[[11]]. Ipotesi, queste, che non sono peraltro esaustive in quanto, al di là delle ipotesi contemplate dal codice civile [[12]] e da leggi speciali [[13]], occorre aver presenti, in linea generale, anche le ipotesi in cui l’impignorabilità dipende dall’inalienabilità dei beni (es. beni demaniali o patrimoniali indisponibili) ovvero dalla loro particolare destinazione o dalla loro individualità (es. pignoramento del vano di un appartamento, non avente autonomia funzionale)[[14]].
Con riferimento ai crediti, quale ipotesi di maggiore interesse ai fini che qui rilevano, di particolare interesse è la previsione di cui all’art. 545 c.p.c.[[15]].
Quanto all’ipotesi peculiare dei crediti dello Stato e degli enti pubblici in genere, in forza della giurisprudenza più recente in materia non sussiste un vincolo naturale ed automatico di destinazione delle somme di danaro e dei crediti degli enti pubblici ma, all’opposto, in assenza di deroghe derivanti direttamente dalla legge ovvero dalla natura pubblicistica del credito (es. crediti concernenti entrate tributarie), il vincolo di destinazione ad un pubblico servizio (da cui scaturirebbe l’impignorabilità, in base al comb. disp. degli artt. 828 e 830 c.c.) non può valutarsi in astratto, per il sol fatto che le somme di danaro o i crediti dell’ente pubblico siano stati iscritti nel relativo bilancio, bensì presuppone un provvedimento amministrativo che abbia già concretamente attribuito loro tale specifica destinazione[[16]].
Questo, in estrema sintesi, il contesto in cui si inserisce l’ulteriore ipotesi d’impignorabilità introdotta dal legislatore, nel nostro ordinamento, nel rendere operativa la disciplina sul conto corrente dedicato.
Nel tentare di delineare quelli che sono i tratti caratterizzanti di questa nuova ipotesi di impignorabilità, non si può non tener conto dell’evoluzione normativa, in precedenza segnalata, che ha interessato l’istituto in esame, in quanto dette modifiche, pur non avendo avuto immediatamente ad oggetto l’impignorabilità (ma bensì, a monte, i tratti caratterizzanti del conto corrente dedicato), hanno inciso anche sulla impignorabilità delle relative somme.
Detta evoluzione è, infatti, chiaramente nel senso di sciogliere il dubbio di fondo in precedenza evidenziato nel senso di escludere, non solo che il conto dedicato sia un conto destinato ad ospitare esclusivamente le somme di cui al comma 63, ma anche che sia un conto destinato ad ospitare esclusivamente somme impignorabili[[17]].
Chiarissima in tal senso è la lettera del citato comma 65, che attribuisce la qualifica di «patrimonio separato», e ritiene «impignorabili a richiesta di chiunque», le sole «somme depositate nel conto corrente di cui al comma 63», e non anche tutte le somme depositate sul conto corrente dedicato, ossia, per intendersi, non anche quelle somme che, in forza del nuovo comma 66-bis, il legislatore consente comunque al notaio di versare sul conto corrente dedicato.
Né mi pare che, a differente conclusione possa condurre il fatto che l’originario testo del comma 63 ricomprendesse, nella lettera a), anche «le somme dovute a titolo di onorari, diritti, accessori, rimborsi spese e contributi».
Presumibilmente, infatti, la quanto meno dubbia legittimità costituzionale di una disposizione che qualificava come impignorabili (anche) le suddette somme (originariamente ricomprese nel comma 63, indistintamente richiamato, nel sancire l’impignorabilità, dal comma 65) ha indotto il legislatore: per un verso, ad espungere dal comma 63 le suddette somme, conseguentemente escludendo anche la relativa impignorabilità; per altro verso, a consentire al notaio, in forza del nuovo comma 66-bis, di depositare sul conto corrente dedicato (anche) le suddette somme e di recuperarle solo previa redazione di apposito prospetto contabile.
Oggi come oggi non è, dunque, più sostenibile che il conto corrente dedicato è un conto «destinato esclusivamente al deposito delle somme individuate nel comma 63, espressamente esclusa ogni diversa destinazione del conto stesso»[[18]], né che si tratta di un conto corrente istituzionalmente destinato ad ospitare esclusivamente somme impignorabili, con conseguente peculiare atteggiarsi anche del rapporto per l’effetto instaurato fra impignorabilità e conto corrente dedicato[[19]]. Così come non è più sostenibile che l’eventuale versamento, da parte del notaio, sul conto corrente dedicato (anche) di somme differenti da quelle indicate nel comma 63 rappresenti un’ipotesi “patologica”, estranea, cioè, alla fisiologia dell’istituto.
Il conto corrente dedicato infatti, per effetto della suddetta evoluzione normativa, è un conto corrente destinato ad ospitare (non solo le somme di cui al comma 63 ma) anche le somme di cui al comma 66-bis e, dunque, (non solo somme impignorabili ma) anche somme pignorabili.
Conseguentemente, ammesso e non concesso che di impignorabilità si possa correttamente discorrere sul piano tecnico-giuridico con riferimento ad un conto corrente bancario (anziché con riferimento ad un bene o ad un credito[[20]]) e ribadita comunque l’insussistenza nel nostro ordinamento di “conti correnti impignorabili”[[21]], nel caso di specie l’impignorabilità è evidentemente subordinata, non solo alla circostanza che determinate somme siano versate su un determinato conto corrente, ma bensì anche, e direi soprattutto, al fatto che si tratti di somme aventi una determinata natura, ossia quelle di cui al comma 63.
In altri termini, ci troviamo di fronte ad un’ipotesi d’impignorabilità che, conformemente ad altre ipotesi già presenti nel nostro ordinamento – in precedenza richiamate –, è disposta dal legislatore in ragione della natura del bene/credito che viene in rilievo nel singolo caso di specie[[22]].
La scelta effettuata dal legislatore di configurare il conto corrente dedicato come conto corrente istituzionalmente preposto ad ospitare (non solo somme di danaro impignorabili ma) anche somme di danaro pignorabili, considerata la fungibilità del danaro, complica non poco la situazione rispetto alla prospettiva originaria. Ma, giova evidenziarlo, non si tratta certamente di una prospettiva avulsa dal sistema.
Si tratta, più precisamente, di una scelta che si muove in una prospettiva differente da quella fatta propria da quella giurisprudenza che, in tema di stipendi e pensioni, prima della recente riforma dell’art. 545 c.p.c. (nei termini appena più sopra segnalati), negava la possibilità che l’impignorabilità legata alla natura di determinati crediti (nella specie di lavoro) potesse permanere una volta che le relative somme di danaro fossero state versate sul conto corrente intestato al lavoratore[[23]], ma che, invece, trova un significativo riscontro proprio nella suddetta riforma dell’art. 545 c.p.c., la quale sembrerebbe smentire, nella parte in cui stabilisce il regime relativo alle somme depositate alla data del pignoramento o in data ad esso successiva, «il carattere “anonimo” delle somme versate in conto corrente»[[24]] o, se si preferisce, la perdita della loro originaria natura per effetto della confusione con il patrimonio del debitore[[25]].
Nel nostro caso, peraltro, la scelta del legislatore è ancor più netta rispetto a quella effettuata in sede di modifica dell’art. 545 c.p.c., avendo avuto cura di prevedere espressamente che «gli importi depositati presso il conto corrente di cui al comma 63 costituiscono patrimonio separato».
Non è, dunque, neanche ipotizzabile che possa trovare applicazione con riferimento al caso di specie quanto ritenuto dalla giurisprudenza della Cassazione con riferimento al regime di parziale impignorabilità delle somme corrisposte a titolo retributivo e pensionistico, e cioè che, a far data dal momento in cui le stesse vengono accreditate sul conto corrente del beneficiario/debitore, queste, giusta la “confusione” con il restante patrimonio del debitore, perdono la loro originaria natura e diventano, per l’effetto, pignorabili.
Nel caso di specie è chiarissima la volontà del legislatore di non far perdere a determinate somme di danaro (quelle di cui al comma 63) la loro natura per effetto del versamento sul conto corrente dedicato e di escludere, dunque, qualsivoglia confusione con il patrimonio del notaio, ancorché questo sia l’intestatario del conto corrente dedicato e sia legittimato a versare su quest’ultimo anche somme differenti da quelle di cui al comma 63 (ossia quelle di cui al comma 66-bis).
Più in dettaglio, appare corretto ritenere, in via di principio, che, ad avviso del legislatore, l’obiettivo di «assicurare trasparenza e tracciabilità nella gestione delle somme aventi natura di tributi ed anticipazioni (ex art. 15 del d.P.R. n. 633 del 1972)», impedendo che «somme non appartenenti al professionista (la cui provvista è stata costituita per le anticipazioni, imposta di registro, bolli, tassa archivio, etc.) si “confondano” con somme detenute ad altro titolo dal notaio, ed aventi diversa natura (compensi professionali)», può essere perseguito «anche laddove il notaio faccia affluire sul conto corrente dedicato le somme necessarie per costituire la provvista necessaria ad assicurare la concreta operatività dell’apposito conto corrente», ossia «allorquando il professionista debba anticipare il pagamento di taluni oneri in nome e per conto della clientela» [[26]].
È evidente, ma lo vedremo meglio più avanti in più occasioni e sotto differenti profili, come, in una prospettiva di questo tipo, assume un ruolo di centrale importanza, ai fini della delimitazione dei confini della impignorabilità di cui si discute, (oltre alla già segnalata delimitazione dei confini, a monte, dell’ambito di applicazione del comma 66-bis anche, a valle), il modo (trasparente) in cui il notaio faccia uso del conto corrente dedicato e la relativa “documentazione contabile”[[27]], trattandosi fondamentalmente di condizioni imprescindibili per assicurare la tracciabilità delle somme di danaro incassate dal notaio a diverso titolo.
La delimitazione dei creditori legittimati a pignorare le somme depositate sul conto corrente dedicato
Il tentativo di delimitare i confini della impignorabilità di cui si discute impone anche di delimitare, a monte, la categoria dei creditori astrattamente legittimati a pignorare le somme depositate sul conto corrente dedicato.
Un’attenta lettura della normativa in materia induce, infatti, a ritenere che gli unici creditori astrattamente legittimati a pignorare le somme depositate sul conto corrente dedicato sono i creditori del notaio e non anche i creditori delle parti dell’atto rogato dal notaio.
Ciò in quanto, in forza di quanto disposto dal legislatore, «gli importi depositati presso il conto corrente di cui al comma 63 costituiscono patrimonio separato».
Il che significa che il legislatore, pur non effettuando una scelta chiara e netta sul tipo di separazione patrimoniale cui ha inteso far ricorso nel caso di specie (stante la sussistenza, anche nel nostro ordinamento, di una pluralità di modelli di separazione patrimoniale), ha sicuramente inteso sancire, ai fini che qui rilevano, la fuoriuscita di determinate somme di danaro dal patrimonio delle parti dell’atto rogato dal notaio, con conseguente impossibilità per i creditori di queste parti di aggredire le somme che queste ultime hanno consegnato al notaio e che quest’ultimo ha versato sul conto corrente dedicato.
La disposizione introdotta dal legislatore è chiarissima nel senso di stabilire, non solo che «gli importi depositati presso il conto corrente di cui al comma 63 costituiscono patrimonio separato», ma anche che «dette somme … sono assolutamente impignorabili a richiesta di chiunque ed assolutamente impignorabile ad istanza di chiunque è altresì il credito al pagamento o alla restituzione della somma depositata». Per cui, per intendersi, si qualifica come impignorabile anche «il credito al pagamento o alla restituzione della somma depositata» e, dunque, in tanto i creditori delle parti dell’atto rogato dal notaio potranno aggredire esecutivamente le somme di cui al comma 63 in quanto queste siano effettivamente rientrate nel patrimonio delle parti dell’atto rogato dal notaio.
Se così è, quanto meno guardando alla fisiologia dell’istituto che ci occupa, i creditori astrattamente legittimati a procedere al pignoramento delle somme versate sul conto corrente dedicato sono solo i creditori del notaio; e dunque, per intendersi: il notaio è il debitore e la banca, presso la quale è aperto il conto corrente dedicato, il terzo.
Questa è, in definitiva, l’ipotesi di espropriazione presso terzi che può fisiologicamente venire in rilievo, mentre rimane relegata alla patologia l’ipotesi in cui il creditore di una delle parti dell’atto rogato dal notaio provi comunque ad aggredire esecutivamente le somme depositate dal notaio sul conto corrente dedicato[[28]].
Evidentemente, in concreto, qualsivoglia soggetto può richiedere il pignoramento di determinate somme versate su un conto corrente, ma, per i motivi in precedenza evidenziati, nel singolo caso di specie i creditori delle parti dell’atto rogato dal notaio non appaiono astrattamente legittimati a pignorare le somme depositate sul conto corrente dedicato, mentre sembrano essere tali i soli creditori del notaio, salva comunque la necessità, in concreto, che le somme di cui si discute, depositate sul conto corrente dedicato, siano somme differenti da quelle indicate al comma 63 (comunque impignorabili).
Un eventuale pignoramento effettuato da un creditore (non del notaio ma) di una delle parti dell’atto rogato dal notaio, in quanto tale non legittimato a procedere in tal senso e comunque diretto a colpire un bene sottratto alla garanzia patrimoniale del creditore procedente, dovrebbe ritenersi radicalmente nullo[[29]] o quanto meno inefficace, ossia improduttivo di qualsivoglia effetto. Saremmo, infatti, di fronte ad uno di quei vizi del pignoramento che, sul piano sistematico, vengono ricondotti nell’ambito della categoria della mancanza (o imperfezione) di un presupposto di carattere generale[[30]].
Espropriazione presso terzi (cenni)
Al fine di meglio comprendere quali siano gli effetti prodotti da un pignoramento avente ad oggetto somme di denaro depositate su un conto corrente dedicato e, in via più generale, quali siano le peculiarità/problematicità proprie di una espropriazione presso terzi che, nella ipotesi fisiologica in precedenza individuata, abbia ad oggetto somme di danaro depositate su un conto corrente dedicato, occorre preliminarmente soffermarsi sul pignoramento presso terzi e sul relativo iter procedimentale (espropriazione presso terzi), o quanto meno sui principali tratti caratterizzanti dell’uno e dell’altro.
Solo così, infatti, sarà poi possibile verificare se, ed in quale misura, il peculiare atteggiarsi del pignoramento presso terzi e del relativo iter procedimentale, quale risultante dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti in materia, ponga particolari problemi con riferimento al caso di specie e come questi possano essere risolti.
Il pignoramento è quasi sempre un atto complesso e non a caso la dottrina ha spesso fatto ricorso, a fini descrittivi e ricostruttivi, alle figure del procedimento e della fattispecie a formazione progressiva[[31]].
Fra le varie ipotesi di pignoramento regolate dal codice si è ritenuto che il pignoramento presso terzi rappresenti la figura più complessa[[32]].
L’espropriazione presso terzi[[33]], fatta oggetto in epoca recente di plurimi interventi da parte del legislatore[[34]], può avere ad oggetto beni mobili di proprietà del debitore che si trovino nella disponibilità di un terzo ovvero crediti che il debitore vanti nei confronti di un terzo. Conseguentemente, la struttura del pignoramento, in tal caso:
- ruota attorno alla figura del terzo, il quale, pur non essendo il destinatario dell’azione esecutiva (che è il debitore), non può non essere coinvolto comunque dalla procedura esecutiva[[35]] e, per quanto qui maggiormente interessa, (anche) dagli effetti del pignoramento, posto che quest’ultimo mira fondamentalmente ad evitare che il terzo consegni la cosa mobile al debitore oppure paghi nelle mani dell’esecutato così estinguendo il proprio debito;
- non può prescindere, quanto meno per l’ipotesi in cui vengano in rilievo delle contestazioni, da una fase destinata ad accertare l’effettiva esistenza del bene o del credito pignorato.
Il pignoramento si esegue mediante la notifica, al debitore ed al terzo, di un atto contenente, oltre agli elementi prescritti in via generale dall’art. 492 c.p.c. (ivi compresa l’ingiunzione al debitore, quale elemento coessenziale al pignoramento in genere), gli elementi prescritti dall’art. 543 c.p.c. e, segnatamente, l’intimazione al terzo di non disporre delle cose o delle somme dovute senza ordine del giudice [[36]]; terzo che, in forza di quanto disposto dall’art. 546 c.p.c., «dal giorno in cui gli è notificato l’atto previsto nell’art. 543 … è soggetto, relativamente alle cose o alle somme da lui dovute e nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato della metà, agli obblighi che la legge impone al custode».
Con l’introduzione di quest’ultimo inciso, il legislatore del 2005 (legge n. 80 e successive modifiche) ha posto fine all’acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di delimitazione quantitativa della estensione del vincolo pignoratizio, così scongiurando anche il connesso rischio di pregiudicare il debitore con il blocco integrale dei suoi beni[[37]].
Resta, invece, aperto il dibattuto e delicato problema del perfezionamento del pignoramento presso terzi, a fronte di una norma che, nel rinviare agli obblighi del custode, non è evidentemente di agevole lettura con riferimento (non a beni ma) a crediti. Un problema in relazione al quale, dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono (anche alla luce di quanto disposto dall’art. 2917 c.c. in tema di pignoramento di crediti[[38]]) che il terzo, per effetto della sola notificazione dell’atto di pignoramento, non possa più adempiere il proprio debito nelle mani del debitore esecutato, non possa cioè pagare con efficacia liberatoria[[39]], così che, in sostanza, il pignoramento produrrebbe una sorta di «immobilizzazione del credito del debitore esecutato»[[40]], seppur circoscritta (in forza del suddetto intervento legislativo) ad una parte corrispondente ad una volta e mezza l’importo rivendicato dal creditore procedente con l’atto di precetto.
Per quanto, cioè, «caratteristica del pignoramento in esame è che il suo perfezionarsi – a differenza del pignoramento mobiliare o immobiliare – presuppone l’accertamento che il debitore sia titolare del credito nei confronti del debitor debitoris (o sia proprietario del bene mobile posseduto dal terzo)»[[41]], secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti l’operare dell’art. 2917 c.c. non sarebbe subordinato al perfezionarsi del pignoramento, che avverrebbe, per l’appunto, solo con il positivo accertamento dell’esistenza del credito/correlativo obbligo del terzo[[42]].
Ci troveremmo, in definitiva, di fronte ad una fattispecie complessa in via di formazione che si perfeziona solo con il concorso di tutti i suoi elementi costitutivi (tra i quali, in particolare, la dichiarazione del terzo e/o l’accertamento del giudice)[[43]], ma la notificazione dell’atto di pignoramento produrrebbe comunque degli effetti preliminari, quali, segnatamente, l’obbligo di custodia del terzo pignorato e l’inefficacia nei confronti dei creditori degli atti dispositivi da questo compiuti[[44]].
Il che significa, in definitiva, che la mera notificazione dell’atto di pignoramento presso terzi, ancorché infondato, può arrecare un rilevante pregiudizio al debitore proprio in ragione del prodursi, comunque, di quell’effetto preliminare di «immobilizzazione del credito del debitore esecutato», ancorché quantitativamente circoscritto ad «una parte corrispondente ad una volta e mezza l’importo rivendicato dal creditore procedente con l’atto di precetto».
Quanto, poi, all’accertamento in ordine alla effettiva esistenza del bene o del credito, in forza di quanto attualmente disposto dal codice di rito:
a) il terzo non è più tenuto a comparire all’udienza di cui all’art. 543 c.p.c. per rendere la dichiarazione in cui «deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna», dovendo rendere detta dichiarazione, in forma semplificata, «a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata»;
b) la mancata dichiarazione del terzo, lungi dall’imporre al giudice di procedere all’accertamento del credito nelle forme del processo a cognizione piena di cui al libro secondo (ivi compresa la decisione con sentenza appellabile), equivale a non contestazione, nei termini indicati dal creditore, del credito pignorato o del possesso del bene di appartenenza del debitore «ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo»[[45]];
c) in ipotesi di contestazioni in ordine alla dichiarazione del terzo («o se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo»), si fa invece ricorso all’accertamento del giudice che, però, in forza di quanto attualmente disposto dall’art. 549 c.p.c., non avviene più, neanche in tal caso, ricorrendo al processo a cognizione piena di cui al libro secondo del codice di rito (ivi compresa la decisione con sentenza appellabile), ma bensì ad una risoluzione delle suddette contestazioni ad opera dello stesso giudice dell’esecuzione, il quale, «su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo»; una ordinanza che «produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617»[[46]].
In definitiva, secondo l’impostazione prevalente, anche dopo le più recenti riforme, il pignoramento presso terzi:
– costituisce una fattispecie complessa a formazione progressiva che inizia con la notifica dell’atto di cui all’art. 543 c.p.c. ma si perfeziona in un momento successivo;
– la notificazione dell’atto di cui all’art. 543 c.p.c. produce rilevanti effetti preliminari, quali il vincolo proprio del pignoramento per il debitore e il vincolo connesso all’obbligo di custodia per il terzo;
– si perfeziona con la successiva dichiarazione positiva del terzo o con la sua non contestazione oppure ancora, in caso di contestazione, con l’accertamento del suo obbligo da parte del giudice[[47]].
Il problema della delimitazione temporale degli obblighi del terzo assume, peraltro, una dimensione particolarmente rilevante con riferimento alle ipotesi di crediti passibili di incremento dopo la notificazione dell’atto di pignoramento (es. banche o altri operatori che intrattengono con il debitore principale rapporti di durata che implichino pagamenti periodici di somme di danaro o comunque versamenti successivi alla suddetta notificazione).
Con riferimento a queste ipotesi, si è ritenuto che, anche dopo le recenti modifiche in materia (e segnatamente anche dopo l’intervenuta semplificazione delle modalità attraverso cui il terzo può rendere la dichiarazione[[48]]), il pignoramento presso terzi non si perfezioni per effetto della sola emissione della dichiarazione del terzo a mezzo raccomandata o pec, ma continui, piuttosto, ad atteggiarsi in termini di fattispecie complessa a formazione progressiva che non è perfetta «fino a che non intervenga un provvedimento del giudice, perché è solo il provvedimento del giudice che segnala che la situazione di fatto si è cristallizzata in quanto non necessita di accertamento alcuno perché non è contestata, oppure perché l’accertamento demandato al giudice dell’esecuzione si è concluso»[[49]]. Con la rilevantissima conseguenza, con riferimento all’ipotesi di cui sopra, che, in caso di contestazione della dichiarazione negativa o parzialmente positiva, il terzo, in sede di accertamento semplificato ex art. 549 c.p.c., subirà una verifica relativa alla situazione di fatto attuale (e non un accertamento cristallizzato al momento della sua dichiarazione), «divenendo così inevitabile la conclusione che la sua responsabilità quale custode si estende ancora oggi alle somme entrate nella sua disponibilità dopo la dichiarazione e fino al momento in cui non intervenga un provvedimento del giudice»[[50]].
In definitiva, secondo l’impostazione che tende a prevalere, anche alla luce delle più recenti riforme, «l’obbligo di custodia del terzo non si limita a quanto esistente nel momento dell’invio della raccomandata, ma si estende alle somme di cui egli divenga debitore verso l’esecutato successivamente a tale momento: e ciò fino a quando la fattispecie del pignoramento non si sia conclusa (con l’udienza o l’accertamento dell’obbligo del terzo)»[[51]].
Espropriazione presso terzi e conto corrente dedicato
Premessa
È possibile procedere, a questo punto, ad un esame delle problematiche che emergono nel momento in cui si provi ad effettuare una trasposizione, con riferimento alla nuova ipotesi di impignorabilità introdotta dal legislatore nel nostro ordinamento, di quanto appena più sopra affermato in via generale in tema di pignoramento ed espropriazione presso terzi.
Come vedremo, vengono in rilievo una pluralità di problematiche, per lo più legate agli effetti del pignoramento, ma che interessano anche taluni momenti dell’iter procedimentale in cui si articola il procedimento di espropriazione presso terzi.
Effetti del pignoramento
Ove si dovesse procedere ad una meccanica trasposizione, con riferimento al singolo caso di specie, di quanto in precedenza affermato in relazione al pignoramento presso terzi, si dovrebbe ritenere che l’eventuale pignoramento da parte di un creditore personale del notaio di somme depositate sul conto corrente dedicato determini, sin dal momento della notificazione dell’atto complesso di cui all’art. 543 c.p.c., la “immobilizzazione” del credito del notaio per una parte corrispondente ad una volta e mezza l’importo rivendicato dal creditore procedente con l’atto di precetto, salva per il notaio la possibilità di contestare l’eventuale dichiarazione (positiva) resa dalla banca provocando un accertamento del giudice che dovrà risolvere la relativa controversia (non ricorrendo al processo a cognizione piena e ad una decisione con sentenza appellabile ma), nel contradditorio tra le parti e con il terzo, con ordinanza impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c. L’accertamento dovrebbe avvenire, cioè, a cognizione (non più piena ma) sommaria e, dunque, in tempi più rapidi di quelli propri del processo a cognizione piena di cui al libro secondo del codice di rito civile.
Non v’è chi non veda, però, come un’impostazione di questo tipo finisce per sacrificare fortemente l’innovazione normativa in esame nella parte in cui sancisce, in modo inequivocabile, l’impignorabilità delle somme di cui al comma 63 e apre, al contempo, delicatissimi problemi di tutela degli interessi dell’erario e delle parti in quando, pur a fronte di una istanza di pignoramento palesemente infondata, il notaio sarebbe impossibilitato ad effettuare il versamento di somme, non sue (somme dell’erario o delle parti), nonostante sia obbligato a farlo entro un determinato termine di legge e per ragioni di ordine pubblicistico (es. pagamento di taluno dei tributi di cui al comma 63 lettera a).
In altri termini, quello che rappresenta un costante effetto distorsivo del pignoramento presso terzi così come ricostruito dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, viene fortemente acuito dalle peculiarità proprie del caso di specie. Così che, soprattutto avuto riguardo al rango degli interessi sottesi alla nuova ipotesi di impignorabilità prevista dal legislatore, si impone l’individuazione di una soluzione correttiva, onde evitare che detti interessi rimangano ingiustificatamente pregiudicati.
Proprio il rango degli interessi sottesi alla nuova ipotesi di impignorabilità introdotta dal legislatore impone, anzitutto, di evidenziare come ci troviamo di fronte ad una di quelle ipotesi di impignorabilità aventi un fondamento pubblicistico, e non privatistico, con conseguente rilevabilità d’ufficio da parte del giudice (e non solo ad istanza di parte) della impignorabilità[[52]].
È di tutta evidenza, infatti, come nel caso di specie l’impignorabilità non sia prevista nell’interesse del debitore ma per esigenze di ordine pubblicistico.
Detta circostanza, seppur di aiuto, non è però risolutiva in quanto, nonostante la rilevabilità d’ufficio dell’impignorabilità, rimane comunque fermo, anche nel caso di specie, quell’effetto di “immobilizzazione” di determinate somme di danaro che, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, si produce in forza della mera notificazione, al debitore e al terzo, dell’atto di pignoramento.
La strada da percorrere al fine di evitare un ingiustificato pregiudizio degli interessi di rango pubblicistico sottesi alla introduzione da parte del legislatore della nuova ipotesi di impignorabilità che ci occupa, sembra essere quella di ritenere applicabile, anche nel caso di specie, quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 545 c.p.c. (genericamente rubricato “crediti impignorabili”) con riferimento all’ipotesi in cui il pignoramento avente ad oggetto determinate somme di danaro (dovute a titolo di stipendio, salario, pensione, indennità relative al rapporto di lavoro o che tengono luogo di pensione, etc.) ecceda i limiti previsti dalla medesima norma, ossia che il pignoramento è «parzialmente inefficace» (e che «l’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio»).
Secondo taluna dottrina «il legislatore ha individuato espressamente le situazioni alle quali ritiene applicabile la disciplina suddetta, escludendone le altre, ancorché similari»; la disciplina in questione non si estenderebbe, in altri termini, «alle altre fattispecie d’impignorabilità di crediti disciplinate da norme diverse dall’art. 545 c.p.c.» in quanto costituirebbe «una disciplina eccezionale, in considerazione che la regola generale, in tema, richiede l’iniziativa di parte per far valere l’impignorabilità (art. 615, comma 2, c.p.c.); sicché il suo ambito di applicazione non può essere esteso oltre i limiti normativamente sanciti»[[53]].
Ammesso e non concesso che le cose stiano effettivamente nei suddetti termini[[54]], detta conclusione non può trovare applicazione con riferimento ad ipotesi di impignorabilità, come quella in esame, aventi un fondamento pubblicistico, posto che, in realtà, per effetto del distinguo di fondo fra impignorabilità avente un fondamento privatistico e impignorabilità avente un fondamento pubblicistico, ormai fatto proprio dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti, non esiste (più) una regola di carattere generale, ma due regole differenti a seconda del fondamento della impignorabilità: quella della rilevabilità ad istanza di parte, se il fondamento è privatistico; quella della rilevabilità d’ufficio, se il fondamento è pubblicistico.
Il che vuol dire, ai fini che qui rilevano, che quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 545 c.p.c. non rappresenta affatto una «disciplina eccezionale» rispetto alle ipotesi che, conformemente a quelle testualmente richiamate dalla norma, hanno un fondamento pubblicistico. E diviene, pertanto, pienamente legittima una interpretazione estensiva o analogica della suddetta disposizione con riferimento all’ipotesi in esame.
Alla medesima conclusione sembrerebbe potersi pervenire, peraltro, anche in via di interpretazione sistematica.
Più in dettaglio, le evidenti ragioni di natura pubblicistica sottese alla impignorabilità in esame e l’ingiustificato pregiudizio che altrimenti subirebbero quelle posizioni giuridiche (e i corrispondenti interessi) che il legislatore ha inteso tutelare proprio prevedendo l’impignorabilità di determinate somme di danaro, sembrerebbero comunque autorizzare, in via di interpretazione sistematica – se del caso costituzionalmente orientata –, una estensione alla stessa dell’ultimo comma dell’art. 545 c.p.c. nella parte in cui dispone testualmente che il pignoramento è «parzialmente inefficace» (e che «l’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio»).
In forza di questa previsione, il pignoramento, ancorché materialmente posto in essere, è privo di effetti, «è tamquam non esset», per cui «debitore e terzo potranno e dovranno comportarsi come se non esistesse, anche indipendentemente da una pronuncia del giudice in proposito»[[55]].
Il che significa dire, con riferimento al caso di specie, che il pignoramento è parzialmente inefficace, e dunque tamquam non esset, nella parte in cui colpisce le somme impignorabili di cui al comma 63, per cui: per un verso, il notaio, nonostante l’intervenuta notificazione dell’atto di pignoramento, è comunque legittimato a disporre delle somme impignorabili e, dunque, anche ad effettuare i pagamenti cui è tenuto in forza di legge; per altro verso, la banca dovrà consentire l’effettuazione di tali pagamenti.
Del resto, coerentemente con l’impostazione di fondo qui sostenuta, non sono certo mancate le ipotesi in cui la S.C., a fronte di ipotesi di impignorabilità aventi un fondamento pubblicistico, ha ritenuto che il giudice dell’esecuzione, in forza della rilevabilità ufficiosa di tale vincolo, possa pronunciare la nullità del pignoramento[[56]].
Evidentemente, una prospettiva di questo tipo esalta al massimo l’importanza della documentazione contabile relativa allo svolgimento dell’attività notarile e, in via più generale, della trasparente e documentata tenuta del conto corrente dedicato da parte del notaio, cui è imprescindibilmente legata la tracciabilità di determinate somme di danaro incassate da quest’ultimo a diverso titolo.
Nel caso di specie infatti, come già evidenziato, il confine fra pignorabilità e impignorabilità di determinate somme non è di ordine meramente quantitativo ma qualitativo, con la conseguente necessità che la natura di determinate somme di danaro (bene fungibile per eccellenza) emerga in modo inequivocabile dalla documentazione contabile che fa capo al notaio e che dovrà essere messa a disposizione della banca, onde consentirle di rendere la dichiarazione cui è tenuta ai sensi dell’art. 547 c.p.c., e del giudice, onde consentirgli di rilevare d’ufficio l’inefficacia del pignoramento o eventualmente di procedere all’accertamento di cui all’art. 549 c.p.c.
Detta conclusione costituisce anche una conseguenza necessitata della fungibilità del danaro, la quale: se, per un verso, non deve indurre ad assumere posizioni negative e/o eccessivamente generalizzanti in ordine alla possibilità di individuarne la provenienza e di mantenerne ferma la “natura” anche quando venga depositato su un conto corrente[[57]]; per altro verso, impone di ritenere che la differente “natura” di una determinata somma di danaro consegnata dalle parti dell’atto rogato dal notaio a quest’ultimo è inevitabilmente legata alla sua tracciabilità, e dunque, per l’appunto, al modo (trasparente) in cui il notaio faccia uso del conto corrente dedicato ed alla relativa documentazione contabile.
Nell’ambito di una prospettiva di fondo quale quella più sopra delineata, sia il notaio che la banca potrebbero essere chiamati ad effettuare delicate valutazioni prima dell’intervento del giudice, stante l’assenza, fino a quel momento, di un provvedimento che sancisca (anche) formalmente l’inefficacia del pignoramento.
Il che impone anche di chiedersi se esistano, e se del caso quali siano, strumenti utilizzabili dal notaio per ottenere un provvedimento giudiziale di siffatto tipo senza attendere i tempi dell’accertamento di cui al procedimento di espropriazione presso terzi[[58]] o comunque per far fronte al mancato esercizio da parte del giudice del potere di rilevare d’ufficio l’impignorabilità.
Il notaio potrà censurare il mancato esercizio del suddetto potere ufficioso da parte del giudice dell’esecuzione con l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c.[[59]], ma, evidentemente, in ragione della peculiarità della fattispecie in esame, non si tratta di una soluzione soddisfacente, stante l’evidente necessità per il notaio, a fronte dell’obbligo di legge di effettuare un determinato pagamento entro un determinato termine (si pensi, per tutti, al pagamento dei tributi di cui al comma 63), di ottenere quanto prima possibile un provvedimento giudiziale che dichiari l’inefficacia del pignoramento o che gli consenta comunque di effettuare detto pagamento.
A tal fine, pur in assenza di una previsione espressa in tal senso, sembra percorribile la strada della proposizione di un’istanza di parte[[60]] (nella specie, il notaio), corredata da adeguata documentazione contabile, volta a sollecitare il tempestivo esercizio, da parte del giudice dell’esecuzione, di quel potere ufficioso che potrebbe tempestivamente condurre ad una pronuncia di inefficacia del pignoramento/estinzione della procedura esecutiva.
Ma, in considerazione della evidenziata peculiarità della situazione in esame, ove detta iniziativa non dovesse sortire l’effetto sperato, non pare da escludersi neanche la possibilità di proporre un ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., stante:
- per un verso, l’oggettiva inidoneità della sospensione dell’esecuzione, quale misura latamente cautelare di ordine meramente conservativo, ad assicurare all’avente diritto un risultato, invece, di ordine anticipatorio rispetto al possibile risultato del processo (nella specie) esecutivo o di un processo cognitivo;
- per altro verso, la possibilità, quanto meno in astratto, che nel caso di specie ricorra un periculum in mora fondamentalmente rappresentato dalla impossibilità per il notaio di adempiere a prestazioni cui è tenuto per legge e per motivi di ordine pubblicistico (es. pagamento di taluno dei tributi di cui al comma 63).
Ovviamente, in una situazione di estrema delicatezza quale quella sinora tratteggiata rimane sempre ferma la possibilità che il notaio subisca, per effetto del pignoramento di somme (in realtà impignorabili) depositate sul conto corrente dedicato, un danno (se del caso anche sub specie di impossibilità di adempiere a prestazioni cui sarebbe tenuto per legge) che potrà far valere instaurando una autonoma azione di risarcimento danni, ex art. 96 c.p.c. o art. 2043 c.c.[[61]], nei confronti del creditore pignorante.
Il che significa anche, guardando all’ipotesi in esame dalla differente prospettiva del creditore del notaio, che detto creditore dovrebbe sempre preferire, in sede di richiesta del pignoramento, il conto corrente personale del notaio rispetto al conto corrente dedicato (ancorché intestato al medesimo notaio)[[62]]. Da ciò anche l’esigenza di individuare strumenti atti a palesare ai terzi la peculiarità del conto corrente dedicato, ancorché non istituzionalmente preposto ad ospitare esclusivamente somme impignorabili.
Al contempo, in ragione di quanto più sopra evidenziato, non può neanche escludersi che un danno sia cagionato al notaio dal comportamento della banca che, per effetto della notificazione dell’atto di pignoramento, non gli consenta di disporre di somme di cui potrebbe in effetti disporre in quanto impignorabili[[63]].
A quest’ultimo proposito giova peraltro evidenziare come, nella peculiare ipotesi delle somme dovute a titolo di tributi in relazione agli atti a repertorio ricevuti o autenticati dal notaio e soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale (di cui alla lettera a del comma 63), o quanto meno delle somme dovute per taluni di questi tributi (es. imposta di registro), il relativo versamento avviene tramite il modello unico, autorizzando la banca presso cui sono depositate le relative somme a prelevarle dal conto corrente intestato al notaio (conto corrente dedicato, in forza della nuova normativa in esame) e a versarle all’effettivo titolare delle stesse, ossia l’erario.
Il notaio, in altri termini, nel registrare telematicamente l’atto, mediante il modello unico, si limita ad impartire l’ordine alla banca ed è quest’ultima ad effettuare materialmente il relativo prelievo dal conto corrente (dedicato) del notaio ed il conseguente versamento in favore dell’erario.
In tal caso dunque, se non mi inganno, è lo stesso meccanismo attraverso cui viene materialmente effettuato il pagamento a mettere in crisi l’operatività del pignoramento presso terzi, al di là della già evidenziata inefficacia del pignoramento, o quanto meno a rendere ancor più delicata la posizione della banca.
Per un verso, infatti, proprio in quanto la registrazione degli atti attraverso il modello unico, ed egualmente l’iscrizione al Registro delle imprese, avvengono in via telematica previo ordine alla banca, da parte del notaio, di versare direttamente quanto dovuto all’erario o al registro delle imprese, si potrebbe ritenere che questa attività non sia preclusa alla banca nonostante l’intimazione ricevuta ai sensi dell’art. 543 c.p.c.[[64]].
Per altro verso, nelle suddette ipotesi la banca non può certo ignorare che determinate somme di danaro abbiano una determinata natura/destinazione.
Proprio la posizione della banca si rivela meritevole di un maggior approfondimento, essendo questa anche tenuta a rendere la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c.
Dichiarazione del terzo
Se può cogliersi un tratto caratterizzante dell’evoluzione dell’istituto dell’espropriazione presso terzi, alla luce delle numerose innovazioni legislative che lo hanno interessato negli ultimi anni, questo è rappresentato dal progressivo aggravarsi della posizione del terzo[[65]].
Ai circoscritti fini che qui rilevano, basti evidenziare come la dottrina ha posto l’accento:
- con specifico riferimento ad ipotesi di impignorabilità aventi un fondamento di ordine pubblicistico, sulla delicatezza della posizione in cui viene a trovarsi il terzo, in qualità di custode, per le scelte che è tenuto ad effettuare prima che il giudice dell’esecuzione possa intervenire, posto che «il terzo pignorato non può dare alla sua dichiarazione segno positivo, lasciando al debitore esecutato di far valere l’impignorabilità del credito, se lo ritiene opportuno, come accade quando si tratta della “normale” impignorabilità. In questo caso l’obbligo di rilevare l’impignorabilità – stante il suo carattere di ordine pubblico – spetta anche a lui, che conseguentemente deve fare una dichiarazione negativa e corrispondere le somme non vincolate al lavoratore correntista che gliene faccia richiesta» [[66]];
- in via più generale, sull’importanza della scelta legislativa nel senso di devolvere direttamente al terzo pignorato la valutazione relativa all’apposizione del vincolo pignoratizio sulla base dei limiti alla pignorabilità sanciti dalla legge, (anche) perché «evita situazioni di possibile svantaggio del debitore, che dovrebbe eventualmente attendere l’udienza innanzi al giudice dell’esecuzione per ottenere l’ordine di svincolo delle somme, posto che, pur proponendo l’opposizione ex art. 615, comma 2° c.p.c., con il provvedimento di sospensione dell’esecuzione – reso inaudita altera parte o a conclusione della fase camerale – può solo essere inibita l’assegnazione ma non essere ordinato lo svincolo delle somme, che potrà ottenersi in caso di accoglimento dell’opposizione a seguito del giudizio a cognizione piena»[[67]];
- in generale, sulla maggiore complessità, rispetto alla disciplina previgente, della indagine richiesta agli istituti di credito, che non possono più limitarsi a rendere indisponibile per il cliente somme pari al credito precettato aumentato della metà[[68]].
Dette affermazioni trovano, infatti, un riscontro particolarmente evidente nel caso di specie, ove la banca, nel rendere la dichiarazione, non potrà limitarsi ad indicare l’entità della somma complessivamente esistente sul conto corrente e ad evidenziare che si tratta di un conto dedicato. In ragione del fondamento pubblicistico della impignorabilità in esame (e, dunque, anche della conseguente rilevabilità d’ufficio) sarà onerata dal dover fornire indicazioni, dopo aver esaminato la documentazione contabile fornita dal titolare del conto, (anche) in ordine alla natura delle somme depositate sul conto corrente dedicato.
Anche questa conclusione è evidentemente legata, quanto meno in buona parte, al fondamento pubblicistico della nuova ipotesi di impignorabilità prevista dal legislatore, in ragione del quale non può non procedersi ad un bilanciamento, anche a livello costituzionale, delle posizioni giuridiche e dei corrispondenti interessi coinvolti.
Ritenere infatti, all’opposto, che la semplice presenza sul conto corrente dedicato di una determinata somma di denaro possa consentire alla banca di rendere una dichiarazione positiva, senza effettuare alcuna indagine di sorta in ordine alla natura della suddetta somma, significherebbe: per un verso, accogliere una impostazione non in linea con l’evoluzione dell’istituto della espropriazione presso terzi, evidentemente tendente sempre più a coinvolgere il terzo in delicate indagini; per altro verso, vanificare l’impignorabilità sancita dal legislatore sacrificando, al contempo, gli interessi di rango pubblicistico a questa sottesi.
Ciò posto, molto difficile è stabilire, poi, quale sia la natura della dichiarazione resa dalla banca (positiva o negativa) ove questa non sia in grado di stabilire, nel singolo caso di specie, quale sia la natura delle somme depositate sul conto corrente dedicato e dia conseguentemente atto di tale circostanza nella dichiarazione resa.
L’evoluzione dell’istituto dell’espropriazione presso terzi, nel senso di equiparare la mancata dichiarazione (rectius mancata comparizione alla nuova udienza fissata dal giudice, ai sensi dell’art. 548 c.p.c., o rifiuto di rendere la dichiarazione, ai sensi della medesima norma) alla dichiarazione positiva del terzo[[69]], sembrerebbe militare nel senso di ritenere positiva la dichiarazione del terzo anche nella suddetta ipotesi.
Ma, a ben vedere, detta conclusione solleva non poche perplessità.
Nella suddetta ipotesi, infatti, la banca non si rifiuta di rendere la dichiarazione, ma rende una dichiarazione in cui dà atto della impossibilità di procedere, nel singolo caso di specie, alla individuazione della natura delle somme depositate sul conto corrente dedicato (id est della pignorabilità o meno delle stesse).
Non mi pare si possa escludere in radice, in tal caso, che, sempre in ragione del fondamento pubblicistico della impignorabilità di cui si discute (e della conseguente rilevabilità d’ufficio), non solo il terzo non possa esimersi dall’effettuare un’indagine in ordine alla natura delle somme depositate sul conto corrente dedicato, ma anche che, ove all’esito della suddetta indagine, non sia in grado di fornire una indicazione di questo tipo (e faccia constare in dichiarazione detta circostanza) la dichiarazione si atteggi come “dichiarazione negativa”.
In altri termini, in quest’ultimo caso, ai fini del perfezionarsi del pignoramento, diventerebbe un passaggio necessitato l’accertamento (sommario) del giudice.
Anche perché, ai sensi di quanto disposto dall’art. 549 c.p.c., detto accertamento (sommario) del giudice si rende necessario, non solo «se sulla dichiarazione sorgono contestazioni» (con conseguente possibilità per il notaio, evidentemente, di rendere comunque necessitato detto accertamento contestando i contenuti della dichiarazione resa dalla banca), ma anche «se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo». E, nella ipotesi di cui sopra, a ben vedere, nonostante la dichiarazione del terzo non è comunque possibile «l’esatta identificazione del credito del debitore in possesso del terzo», posto che parte o se del caso anche tutte le somme depositate sul conto corrente dedicato potrebbero essere impignorabili (in quanto, in realtà, non di proprietà del notaio ma dell’erario o delle parti dell’atto rogato dal notaio).
Si ritiene comunque, sia in dottrina che in giurisprudenza, che spetti al giudice dell’esecuzione il potere di interpretare la dichiarazione del terzo al fine di stabilire, ove ciò sia possibile, se il terzo sia comunque debitore del debitore[[70]].
Giova infine evidenziare come, ove si guardi alla tematica in esame dall’angolo di visuale che fa capo al creditore del notaio, il profilo da ultimo esaminato (ossia la dichiarazione del terzo) rende ancor più evidente quanto già evidenziato in precedenza (all’esito dell’esame condotto con riferimento all’efficacia del pignoramento), e cioè che detto creditore dovrebbe sempre preferire, in sede di richiesta del pignoramento, il conto corrente personale del notaio rispetto al conto corrente dedicato (ancorché intestato al medesimo notaio), con conseguente esigenza, giova ribadirlo, di individuare strumenti atti a palesare ai terzi la peculiarità del conto corrente dedicato, ancorché non istituzionalmente preposto ad ospitare esclusivamente somme impignorabili.
Accertamento del credito da parte del giudice e onere della prova
L’importanza della utilizzazione del conto corrente dedicato in modo trasparente e documentato da parte del notaio, già emersa (a monte) in sede di esame dell’efficacia del pignoramento, trova una sua ulteriore conferma (a valle) in sede di eventuale accertamento da parte del giudice della esistenza del credito[[71]].
In questa sede, infatti, un problema delicato potrebbe riguardare l’individuazione del soggetto onerato della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c.[[72]].
Su chi ricade, per intendersi, l’onere della prova in ordine alla natura delle somme depositate sul conto corrente dedicato? Sul creditore pignorante o sul debitore/notaio esecutato?
Per quanto in ipotesi come quella in esame (e, in via più generale, ove si tratti di distinguere fra fatto costitutivo e fatto impeditivo, con conseguente onere della prova, rispettivamente, dell’attore o del convenuto) non sia mai agevole delimitare con certezza il perimetro applicativo della regola enunciata dall’art. 2697 c.c.[[73]], non può certo escludersi che, nel caso di specie, la giurisprudenza tenderà a far ricadere l’onere della prova sul notaio esecutato.
E ciò, si badi, non tanto in ragione del fatto che, alla luce della evoluzione normativa che ha trasformato la struttura stessa del conto corrente dedicato (da conto destinato ad ospitare le sole somme impignorabili di cui al comma 63 a conto destinato ad ospitare anche le somme pignorabili di cui al comma 66-bis), appare difficile ritenere operante nel sistema una presunzione legale relativa di impignorabilità di tutte le somme depositate sul conto corrente dedicato[[74]]. Quanto, soprattutto, in ragione del fatto che, in ipotesi analoghe a quella in esame, dottrina e giurisprudenza, talvolta invocando a sostegno anche il dettato costituzionale, al fine di individuare il soggetto onerato della prova ricorrono spesso al criterio incentrato sulla maggiore facilità per una parte di assolvere l’onere probatorio[[75]] o, in via ancor più generale, al cd. principio di vicinanza alla prova[[76]].
Non v’è dubbio, infatti, che, nel caso di specie, detto soggetto sia il notaio, con conseguente manifestarsi, anche sotto questo profilo, della centrale rilevanza, ai fini dell’impignorabilità delle somme depositate sul conto corrente dedicato, del modo (trasparente) in cui il notaio faccia uso di questo conto e della relativa “documentazione contabile”, quali fondamentali strumenti che, oltre ad assicurare (come già evidenziato) la tracciabilità delle somme di danaro incassate dal notaio a diverso titolo, consentono anche a quest’ultimo di fornire la prova in ordine alla natura delle somme ivi depositate.
Né mi pare che, ad una differente conclusione possa condurre la ritenuta rilevabilità d’ufficio della impignorabilità che ci occupa (in ragione del relativo fondamento pubblicistico). Infatti, ci troviamo comunque di fronte ad un’ipotesi in relazione alla quale anche il rilievo ufficioso del giudice non può non essere subordinato alla possibilità da parte di quest’ultimo di prendere visione della documentazione contabile in possesso del notaio. Come già evidenziato, non ci troviamo di fronte ad un’ipotesi di impignorabilità connessa ad un limite di ordine meramente quantitativo ma bensì di ordine qualitativo, il cui accertamento, per i motivi in precedenza evidenziati, sembra passare inevitabilmente per il ricorso ad una prova “vicina” alla posizione del notaio.
Conclusioni
L’intento di fondo del legislatore e le esigenze di ordine pubblicistico da cui questo è stato animato nell’introdurre la nuova disciplina sul conto corrente dedicato sono evidenti, ma, alla luce dell’analisi condotta, appare del pari evidente come, nel procedere in tal senso, il legislatore non ha tenuto nel debito conto il delicatissimo profilo della impignorabilità, quanto meno nel suo aspetto “procedimentale”.
Solo ricorrendo a significativi sforzi interpretativi con riferimento alla normativa in tema di pignoramento ed espropriazione presso terzi si riesce, infatti, a consentire alla nuova normativa introdotta dal legislatore di conseguire gli obiettivi che si prefigge.
Ciò nonostante, in assenza di una normativa stringente (quanto meno in ordine ai profili “procedimentali” di cui si discute), ne viene fuori una situazione operativamente difficile da gestire, in ipotesi di pignoramento delle somme depositate sul conto corrente dedicato, sia per il notaio (debitore) che per la banca (terzo), con possibili effetti negativi anche per il sistema giustizia, stante l’ulteriore possibile contenzioso generato da una situazione di questo tipo (azioni delle parti dell’atto o dell’erario nei confronti del notaio, azioni di danni del notaio nei confronti del creditore procedente e/o della banca, etc. etc.).
È, dunque, sicuramente auspicabile un nuovo intervento del legislatore volto a disciplinare in modo più appropriato, dal punto di vista processuale, l’ipotesi di impignorabilità in esame, anche in considerazione del rischio che, le esigenze di ordine pubblicistico sottese alla introduzione della stessa, rimangano di fatto pregiudicate dal suddetto deficit normativo.
Ciò nonostante, va comunque rimarcata l’importanza dell’introduzione di una normativa quale quella in esame, in quanto, prima dell’entrata in vigore della stessa, il notaio non poteva che depositare tutte le somme di danaro (ancorché di differente natura) consegnategli dalle parti su un comune conto corrente bancario a lui intestato e mancava, al contempo, qualsivoglia previsione in ordine alla impignorabilità di talune di quelle somme; una situazione, dunque, evidentemente meno garantista sia per l’erario che per le parti dell’atto rogato dal notaio.
Non così a fronte della vigente normativa sul conto corrente dedicato, in forza della quale il notaio, coerentemente con il ruolo che gli viene riconosciuto nell’ambito del “procedimento” in cui finisce per articolarsi la compravendita, può beneficiare della impignorabilità di determinate somme consegnategli dalla parte (quelle di cui al comma 63), e suo tramite ne possono beneficiare anche l’erario e le parti dell’atto da lui rogato, seppur alle condizioni in precedenza evidenziate. Condizioni riconducibili, in estrema sintesi, alla tracciabilità delle somme di danaro (bene fungibile per eccellenza) consegnate dalle parti al notaio e, dunque, in definitiva, al modo in cui quest’ultimo documenta sul piano contabile lo svolgimento della propria attività professionale e fa uso (in modo trasparente) del conto corrente dedicato.
In definitiva, coerentemente con quello che abbiamo visto essere l’obiettivo conseguito dal legislatore con l’introduzione della normativa in esame – ossia assicurare trasparenza e tracciabilità nella gestione delle somme aventi natura di tributi e anticipazioni, impendendo che somme non appartenenti al notaio si “confondano” con somme detenute ad altro titolo dal notaio ed aventi diversa natura[[77]] –, il modo (trasparente) in cui il notaio fa uso del conto corrente dedicato, e la relativa “documentazione contabile”, divengono anche strumenti imprescindibili per l’operare, in concreto, della nuova ipotesi di impignorabilità prevista dal legislatore, nonché per una compiuta tutela degli interessi di rango pubblicistico alla stessa sottesi.
In estrema sintesi, si potrebbe dire che:
- la normativa in esame rappresenta un grosso passo in avanti rispetto al passato, per i motivi in precedenza evidenziati;
- il legislatore ha, per così dire, sottovalutato l’aspetto “procedimentale” della nuova ipotesi di impignorabilità che ha introdotto;
- conseguentemente, solo con un significativo sforzo interpretativo è possibile consentire alla medesima normativa di conseguire le finalità di ordine pubblicistico cui mira;
- nonostante i suddetti sforzi interpretativi, tanto il notaio che la banca, in ragione della suddetta sottovalutazione dell’aspetto “procedimentale” della impignorabilità delle somme depositate dal notaio sul conto corrente dedicato, si trovano a dover effettuare non agevoli valutazioni con il rischio che ne scaturiscano eventuali azioni di danni (ossia un chiaro effetto negativo per il sistema giustizia nel suo complesso);
- sarebbe opportuno, conseguentemente, un intervento legislativo volto a superare le criticità evidenziate nel corso della presente relazione, se del caso, sancendo in modo espresso taluni principi cui attualmente è possibile pervenire solo in via interpretativa (es. parziale inefficacia del pignoramento che colpisca anche somme impignorabili).
[1] Cfr. G. PETRELLI, Il deposito del prezzo e di altre somme presso il notaio nella legge 27 dicembre 2013, n. 147, in Riv. not., 2014, spec. 80 il quale pone in rilievo come detta normativa «si ricollega alla tradizione francese, nella quale da lungo tempo il notaio assolve alla funzione di depositario delle somme dovute a titolo di prezzo o corrispettivo, nella fase che va dalla stipula del preliminare – con correlativo pagamento degli acconti sul prezzo – fino alla trascrizione (pubblicité foncière) dell’atto notarile».
[2] Pubblicata nella G.U. n. 189 del 14 agosto 2017.
[3] Cfr. N. FORTE, Legge annuale per il mercato e la concorrenza: la gestione dei conti correnti dello studio notarile e del “conto corrente dedicato” segnalazione novità pubblicata su CNN Notizie del 28 agosto 2017, 4 e 6 ove l’A. pone in rilievo come «l’obiettivo del legislatore è quello di assicurare trasparenza e tracciabilità nella gestione delle somme aventi natura di tributi ed anticipazioni (ex art. 15 del d.P.R. n. 633 del 1972). In buona sostanza la finalità del conto dedicato è quella di impedire che somme non appartenenti al professionista (la cui provvista è stata costituita per le anticipazioni, imposta di registro, bolli, tassa archivio, etc.) si “confondano” con somme detenute ad altro titolo dal notaio, ed aventi diversa natura (compensi professionali). Ciò al fine di distinguere senza incertezze le somme che sono nella piena disponibilità del professionista, rispetto a quelle il cui utilizzo è strettamente finalizzato e vincolato alla causa che ne costituisce l’origine».
[4] Più in dettaglio ha soppresso il comma 64, ha introdotto il comma 66-bis e ha modificato, in modo più o meno significativo a seconda dei casi, gli altri commi.
[5] Il comma 64 è stato abrogato dalla l. 4 agosto 2017, n. 124.
[6] Il comma 67 si limita a prevedere che: «gli interessi maturati su tutte le somme depositate, al netto delle spese e delle imposte relative al conto corrente, sono finalizzati a rifinanziare i fondi di credito agevolato destinati ai finanziamenti alle piccole e medie imprese, secondo le modalità e i termini individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Entro lo stesso termine il Consiglio nazionale del notariato elabora, ai sensi della lettera f) dell’articolo 2 della legge 3 agosto 1949, n. 577, e successive modificazioni, principi di deontologia destinati ad individuare le migliori prassi al fine di garantire l’adempimento regolare, tempestivo e trasparente di quanto previsto da commi 63, 65, 66 e 66-bis del presente articolo, nonché dal presente comma. Del pari provvedono gli organi preposti, secondo i rispettivi ordinamenti, alla vigilanza degli altri pubblici ufficiali roganti».
[7] Così G. PETRELLI, Il deposito del prezzo e di altre somme presso il notaio nella legge 27 dicembre 2013, n. 147, cit., spec. 101 il quale poneva in rilievo al contempo come «una eventuale confusione con altre somme, non vincolate e quindi appartenenti al notaio, rischierebbe di pregiudicare il fine indicato dalla legge».
[8] A quest’ultima prospettiva mi sembrerebbe da ascriversi quanto sostenuto da N. FORTE, Legge annuale per il mercato e la concorrenza: la gestione dei conti correnti dello studio notarile e del “conto corrente dedicato”, cit., spec. 8 ss. il quale, con riferimento:
– alle spese anticipate in nome e per conto della clientela escluse dal computo della base imponibile iva, ammette la possibilità (non solo di effettuare singoli trasferimenti per ogni operazione ma anche) di costituire un “castelletto”, ossia che, per esigenze di semplificazione del professionista, quest’ultimo trasferisca sul conto corrente dedicato una somma di danaro, non collegata alla singola operazione, vincolata al sostenimento delle spese da anticipare in nome e per conto del cliente;
– all’incasso dei tributi dovuti in sede di adempimento unico, ammette la possibilità (non solo della consegna di due distinti assegni, uno relativo ai compensi e all’iva e l’altro relativo ai tributi da versare in sede di adempimento unico, da versare su due conti correnti diversi, ma anche) di ricevere un unico assegno da versare sul conto corrente dedicato con successivo prelievo delle somme aventi diversa natura (di compenso professionale);
– all’incasso delle spese anticipate in nome e per conto della clientela, ammette la possibilità dell’accredito della somma (non solo sul conto corrente “libero” ma anche) sul conto corrente dedicato, con recupero della somma anticipata dal professionista, tramite il trasferimento ad altro conto corrente, sottoposto all’obbligo di rendicontazione di cui al comma 66-bis;
– alla gestione del fondo spese indistinto dei compensi e delle spese (d.m. 31 ottobre 1974), ammette la possibilità dell’accredito o versamento dell’intera somma (non solo sul conto corrente libero con il contestuale trasferimento di una parte del fondo spese sul conto dedicato ma anche) sul conto dedicato.
[9] Cfr. G. PETRELLI, Il deposito del prezzo e di altre somme presso il notaio nella legge 27 dicembre 2013, n. 147, cit., 103 il quale, sotto il vigore della previgente disciplina, sottolineava come «non sussistono … particolari questioni interpretative nella dimensione “fisiologica” del deposito su conto corrente dedicato», mentre «i problemi nascono, invece, nell’ipotesi “patologica” in cui siano violate le regole della separazione patrimoniale, perché, ad esempio, sul conto dedicato vengono versate altre somme, diverse da quelle menzionate nel comma 63 …»; ritenendo, al contempo, che «la segregazione viene a cessare nel momento in cui la “separazione patrimoniale” viene meno di fatto, a seguito della confusione con il patrimonio del notaio».
[10] Di recente in via generale sul tema cfr. C. PUNZI, Limiti alla pignorabilità e oggetto della responsabilità, in Riv. dir. proc., 2013, 1281 ss.
[11] Cfr. B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2016, 195; A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2016, 809 ss. e 975 ss.
[12] Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, a quanto disposto dall’art. 170 in tema di fondo patrimoniale e a quanto disposto dall’art. 1923 in tema di assicurazione sulla vita.
[13] Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, a quanto disposto dalla l. 31 ottobre 1965 n. 126 in tema di indennità spettanti ai membri del parlamento, dal Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, pignoramento e cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180), nonché da altre disposizioni speciali talvolta dichiarate incostituzionali o comunque fatte oggetto di intervento da parte della Corte costituzionale su cui cfr. R. VACCARELLA, voce Espropriazione presso terzi, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 97 ss.; A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 975 ss.; C. PUNZI, Limiti alla pignorabilità e oggetto della responsabilità, cit., 1281 ss.
[14] Cfr. B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 195.
[15] Su cui cfr., anche per ulteriori riferimenti, A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 975 ss.; G. VALLONE, L’impignorabilità di stipendi e pensioni versati su conto corrente: note a prima lettura del d.l. del 27 giugno 2015 n. 83, in www.judicium.it; D. BORGHESI, La legge n. 132 del 2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali), in Riv. es. forz., 2016, 51 ss.
[16] Così G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, III, Bari, 2015, 130-131. In giurisprudenza cfr. per tutte Cass., 27 gennaio 2009, n. 1949 (in Foro it., Rep. 2009, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie, n. 66) secondo la quale «il pignoramento presso terzi si perfeziona non con la sola notificazione dell’atto di intimazione di cui all’art. 543 c.p.c. – che rende immediatamente indisponibili da parte del terzo le cose o le somme da lui dovute, così segnando l’efficacia e l’esistenza dello stesso pignoramento – ma con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito, in questi due modi soltanto potendo avvenire l’esatta e concreta specificazione di quali cose o somme il terzo sia debitore o si trovi in possesso e del momento in cui ne deve il pagamento o la consegna; ne consegue che, in caso di pignoramento a carico di ente pubblico (nella specie, amministrazione provinciale) eseguito sulle somme giacenti presso il suo tesoriere, il vincolo d’impignorabilità derivante dalla delibera di destinazione delle somme stesse a fini sociali (come il pagamento di restituzioni del personale, rate di mutui o altro) richiede che l’efficacia esecutiva della delibera dell’ente pubblico (conseguente allo scadere del termine successivo alla pubblicazione, ex art. 47 l. n. 142 del 1990) intervenga anteriormente alla dichiarazione del terzo».
[17] Cfr. in tal senso N. FORTE, Legge annuale per il mercato e la concorrenza: la gestione dei conti correnti dello studio notarile e del “conto corrente dedicato”, cit., 5 secondo il quale, in ipotesi di richiesta di pignoramento di un eventuale creditore, «la mera comunicazione all’istituto di credito non sarà sufficiente a scongiurare il possibile pignoramento. Viceversa, l’impignorabilità sembra essere collegata anche ad una ricognizione della natura delle somme giacenti sul conto dedicato. L’impignorabilità dovrebbe essere circoscritta alle sole somme aventi natura di tributi ed anticipazioni e non potrà riguardare le somme erogate a titolo di compensi eventualmente giacenti sul conto dedicato».
[18] Così G. PETRELLI, Il deposito del prezzo e di altre somme presso il notaio nella legge 27 dicembre 2013, n. 147, cit., 101.
[19] In forza della quale, probabilmente, la semplice circostanza dell’essere determinate somme versate sul conto corrente dedicato poteva far scattare una presunzione legale di impignorabilità delle stesse, con conseguente esigenza, peraltro, anche di individuare degli strumenti atti a palesare ai terzi l’assoluta peculiarità del suddetto conto corrente (istituzionalmente destinato ad ospitare esclusivamente somme impignorabili).
[20] Che, in realtà, è quanto costituisce effettivamente oggetto del pignoramento anche ove questo finisca per colpire somme di danaro depositate su un conto corrente.
[21] Dottrina e giurisprudenza sono giunte ad escludere detta possibilità, a fronte della dibattuta natura giuridica del condominio (e del possibile riconoscimento di una soggettività giuridica/autonomia patrimoniale dello stesso distinta dai singoli condomini) e nonostante il disposto di cui all’art. 63 disp. att. c.c., con riferimento al conto corrente condominiale, ritenuto suscettibile di pignoramento da parte del creditore del condominio (cfr., anche per riferimenti giurisprudenziali, G.D. NUZZO (a cura di), Il conto corrente condominiale, 2015, in www.quotidianocondominio.ilsole24ore.com.
Proprio l’insussistenza nel nostro ordinamento di “conti correnti impignorabili” induce, peraltro, a ritenere che, l’eventuale introduzione di una ipotesi di questo tipo richiederebbe una normativa univoca in tal senso. Circostanza, questa, che non ricorre evidentemente nel caso di specie, quanto meno alla luce della suddetta evoluzione normativa in tema di conto corrente dedicato.
[22] E, dunque, anche di fronte ad una ipotesi di impignorabilità il cui legame con il conto corrente dedicato, non più istituzionalmente preposto ad ospitare esclusivamente somme impignorabili, è più labile che in precedenza.
[23] Più precisamente secondo la S.C., «alle somme dovute per crediti di lavoro, già affluite sul conto corrente bancario del debitore esecutato, non si applicano le limitazioni al pignoramento previste dall’art. 545 c.p.c.; infatti il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente; è irrilevante il motivo per cui le somme sono versate poiché il denaro è bene fungibile per eccellenza» (così Cass., 9 ottobre 2012, n. 17178 in Giur. it., 2013, 2324 ss.). Su questo indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale le pensioni e le retribuzioni versate in conto corrente perdono la loro identità e sono pienamente pignorabili, cfr. R. CONTE, Contrasti giurisprudenziali in tema d’impignorabilità delle somme affluite su conto corrente bancario e provenienti da stipendi o pensioni, in Giur. it., 2013, 2326 ss.; D. BORGHESI, La legge n. 132 del 2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali), cit., 53 ss.; G. VALLONE, L’impignorabilità di stipendi e pensioni versati su conto corrente: note a prima lettura del d.l. del 27 giugno 2015 n. 83, cit., 1 ss.; A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 979. Per una differente impostazione, nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Udine, 3 gennaio 2013 (in Giur. it., 2013, 2323 ss.) secondo la quale «sebbene il denaro, che affluisce sul conto corrente, perda la connotazione data dal titolo in base al quale lo stesso è stato percepito, laddove il debitore esecutato dimostri che le somme depositate sul conto corrente hanno un’origine pensionistica, le stesse sono impignorabili per la parte necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, essendo consentito soltanto il pignoramento del quinto della residua parte». Per una impostazione, nella giurisprudenza di merito, conforme a quella della Cassazione cfr. Trib. Varese, 4 maggio 2010, Trib. Varese, 17 dicembre 2010 e Trib. Bolzano, 3 febbraio 2010, tutte pubblicate in Corr. giur., 2011, 1145 ss. con nota R. CONTE, Sui limiti spazio-temporali dell’impignorabilità di retribuzioni e di pensioni: lacune della disciplina normativa il quale, in un’ottica di riforma legislativa della materia (e di bilanciamento degli interessi di debitore e creditore) ipotizzava un intervento normativo volto a prevedere «l’apertura ad hoc di conti correnti su cui far confluire somme assolutamente non pignorabili, sotto il controllo del G.E., sulla falsariga di quanto è previsto dall’art. 46 l. fall.».
[24] Così D. BORGHESI, La legge n. 132 del 2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali), cit., 56 il quale, dopo aver richiamato il regime stabilito per le somme depositate alla data del pignoramento o in data ad esso successiva (il quale fissa l’asticella dell’impignorabilità nell’assegno sociale, aumentato della metà, e, per le somme eccedenti, nel quinto e dal solo quinto per le restituzioni), sottolinea come «questa disciplina presuppone infatti che tra le somme versate si identifichino quella qualificabili come pensioni o stipendi e solo su di esse si ponga il vincolo dell’impignorabilità, nei limiti previsti dalla legge. Se infatti si considerasse il detto vincolo applicabile a tutte le somme versate in conto corrente, durante e dopo il pignoramento, si finirebbe per tradire la formulazione letterale dell’art. 545, 7° comma, c.p.c. che è esplicito nel riferire l’impignorabilità alle somme dovute a titolo di stipendio o pensione depositate in conto corrente e si estenderebbe l’impignorabilità riferita ai detti crediti ben oltre i suoi limiti naturali, sacrificando senza motivo il diritto del creditore procedente. Ragion per cui le somme depositate in conto corrente durante o dopo il pignoramento alle quali si estendono gli effetti dello stesso, saranno pignorabili nei limiti previsti dall’art. 545, 3°, 4°, 5° e 7° comma, c.p.c., se provenienti da stipendi o pensioni, o in toto se aventi altra natura. Resta comunque l’innegabile contraddittorietà di un sistema che in un caso (quello delle somme depositate prima del pignoramento) considera tali somme come non identificate, mentre nell’altro (quello delle somme versate contemporaneamente o dopo il pignoramento) postula la preventiva identificazione delle stesse come stipendi o pensioni, per poter applicare il vincolo dell’impignorabilità».
[25] Cfr. A. TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 83 del 2015 … in attesa della prossima puntata …, in Corr. giur., 2016, 164 il quale pone in rilievo come la natura e il regime di pignorabilità di versamenti che trovino la loro fonte genetica in rapporti di lavoro subordinato (privato o pubblico) o pensionistico «non muta quando, come ormai obbligatorio per legge, vengano accreditati sul conto corrente del lavoratore o del pensionato, senza confondersi con il rimanente denaro».
[26] Così N. FORTE, Legge annuale per il mercato e la concorrenza: la gestione dei conti correnti dello studio notarile e del “conto corrente dedicato”, cit., 6.
[27] Sottolinea N. FORTE (op. cit., 14) come «il notaio è obbligato a conservare idonea documentazione degli specifici impieghi delle somme depositate sul conto dedicato e successivamente utilizzate. Per i versamenti dei tributi collegati alla registrazione degli atti la documentazione sarà rappresentata dallo stesso adempimento unico e dai relativi modelli di pagamento. Il versamento delle ritenute sarà dimostrabile con i modelli F24 e dalla dichiarazione del sostituto di imposta. Invece con riferimento alle spese anticipate in nome e per conto della clientela il notaio potrà utilizzare la medesima documentazione valida a i fini fiscali».
[28] Ipotesi anomala, questa, in cui il notaio finirebbe per rivestire la posizione del terzo (anziché quella del debitore).
[29] In giurisprudenza, sulla nullità del pignoramento che colpisca un bene sottratto alla garanzia patrimoniale del creditore procedente cfr., in motivazione, Cass., 11 giugno 1999, n. 5761, in Foro it., 2001, 2019 ss.
[30] Cfr. G. VERDE, voce Pignoramento in generale, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 771 ss. spec. 773 il quale riconduce nell’ambito di questa categoria anche le ipotesi dell’erronea scelta dei beni da espropriare e del venir meno della legittimazione ad agire esecutivamente. Del resto, di nullità del pignoramento si discorre anche con riferimento alle ipotesi in cui il pignoramento abbia colpito un bene assolutamente o relativamente impignorabile (cfr. B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 239).
[31] Così B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 187-188.
[32] Così B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 204. Ma v. anche V. COLESANTI, voce Pignoramento presso terzi, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 834 ss.
[33] Su cui cfr., anche per ulteriori riferimenti, R. VACCARELLA, Espropriazione presso terzi, cit., 94 ss.
[34] Su cui cfr. B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 204 ss.; A. SALETTI, L’espropriazione presso terzi dopo la riforma, in Riv. es. forz., 2008, 283 ss.; M. BOVE, La nuova disciplina in materia di espropriazione del credito (art. 18, 1° comma, lett. b), art. 18, 3° comma, art. 19, 1° comma, lett. b), e), f), g), art. 19, comma 6-bis, d.l. n. 132 del 2014 conv. in l. n. 162 del 2014), in Nuove leggi civ., 2015, 1 ss.; A. MAJORANO, Le ultime novità in tema di espropriazione presso terzi, in Foro it., 2015, V, 450 ss.; A. BARALE, Il “nuovo” pignoramento presso terzi: profili pratici e applicativi, in Riv. es. forz., 2015, 373 ss.
[35] Sui cui cfr. per tutti da ultimo V. COLESANTI, L’infelice situazione del terzo debitore (anche dopo le recenti riforme), in Riv. dir. proc., 2015, 1345 ss.; nonché in epoca più risalente ID., Il terzo debitore nel pignoramento di crediti, Milano, 1967.
[36] Sull’atto di pignoramento presso terzi cfr., anche per ulteriori riferimenti, A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 1021 ss.
[37] Cfr., anche per riferimenti, su detto dibattito dottrinale e giurisprudenziale, nonché sulla finalità conseguita dal legislatore A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 1050 ss. Secondo l’impostazione che tende a prevalere «l’art. 546 c.p.c. definisce preventivamente il contenuto della domanda esecutiva stabilendo che essa, indipendentemente dalle formule utilizzate dal creditore, deve ritenersi pari all’importo precettato aumentato della metà» (così A.M. SOLDI, op. cit., 1053). Ma non manca chi ritiene che, il pignoramento non si estende automaticamente entro il limite di legge, essendo piuttosto ciò possibile soltanto previa richiesta in tal senso del creditore pignorante, essendo anche il processo esecutivo retto dal principio della domanda (cfr. B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 212).
[38] In forza del quale «se oggetto del pignoramento è un credito la estinzione di esso per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione».
[39] Cfr. A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 712 il quale pone in rilievo come «la norma è estremamente imperfetta dal punto di vista linguistico in quanto se parlare di obblighi di custodia ha senso riguardo a beni mobili posseduti dal terzo, diviene invece estremamente problematico individuare in cosa consistano gli obblighi di custodia riguardo a somme di danaro dovute dal terzo debitor debitoris al debitore esecutato: certamente il terzo debitor debitoris non potrà pagare con efficacia liberatoria nei confronti del creditore pignorante; la giurisprudenza inoltre ritiene (ma il discorso è tutt’altro che semplice) che anche fatti estintivi involontari, tipo prescrizione o compensazione, che maturino successivamente alla notificazione dell’atto previsto dall’art. 543, siano inopponibili al creditore pignorante. Nella sostanza ad avviso della giurisprudenza e di parte della dottrina, tutti gli effetti di cui all’art. 2917 c.c. … sebbene ricollegati al pignoramento perfezionato si produrrebbero sin dalla notifica dell’atto previsto dall’art. 543». Ma v. anche F.P. LUISO, Diritto processuale civile, III, Milano, 2017, 86; nonché, più ampiamente, R. VACCARELLA, Espropriazione presso terzi, cit., 108-109.
[40] Così G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, III, cit., 132.
[41] Così A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 711. Più ampiamente cfr. V. COLESANTI, Pignoramento presso terzi, cit., spec. 855.
[42] Cfr. Cass., 9 marzo 2011, n. 5529 (in Giust. civ., 2013, I, 1226 ss.) secondo la quale «in tema di pignoramento presso terzi, fattispecie complessa che si perfeziona non con la sola notificazione dell’atto di intimazione di cui all’art. 543 c.p.c., ma con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito di cui all’art. 549 c.p.c., il credito pignorato può essere individuato e determinato nel suo preciso ammontare in data anche di molto successiva a quella della notificazione dell’atto, senza che lo si possa considerare sorto dopo il pignoramento, poiché l’indisponibilità delle somme dovute dal terzo pignorato al debitore e l’inefficacia dei fatti estintivi si producono fin dalla data della notificazione, ai sensi dell’art. 543 c.p.c.»; Cass., 29 maggio 2007, n. 12602 (in Foro it., Rep. 2007, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie, n. 69) secondo la quale «nel pignoramento di crediti del debitore verso terzi, il vincolo di indisponibilità si produce, ai sensi dell’art. 546 c.p.c., con la notificazione dell’atto di pignoramento; tale vincolo genera l’inopponibilità, rispetto al creditore pignorante, di qualsiasi fatto sopravvenuto a detta notificazione, che determini l’estinzione totale o parziale del credito; l’esecuzione deve, perciò, proseguire procedendosi all’assegnazione della somma oggetto del credito, con la conseguenza che il terzo pignorato dovrà effettuare il pagamento all’assegnatario»; Cass., 3 ottobre 1997, n. 9673 (in Giur. it., 1998, 1337 ss.) secondo la quale «pur se il pignoramento presso terzi è una fattispecie complessa, dalla notifica dell’atto di cui all’art. 543 c.p.c. è inefficace, per il creditore procedente, qualsiasi disposizione successiva del credito (art. 2917 c.c.), e pertanto da tale momento inizia l’esecuzione (art. 481 c.p.c.) e decorre il termine per l’opposizione, da parte del debitore, agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c.».
[43] Il momento perfezionativo del pignoramento presso terzi non sarebbe, dunque, ricollegabile alla notificazione dell’atto di pignoramento ed il mancato accertamento dell’esistenza dei beni o del credito non rappresenterebbe una causa di caducazione di effetti già prodotti (in tal senso, invece, G. VERDE, Pignoramento in generale, cit., 768).
[44] Cfr. A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 1042 ss.
[45] Così, testualmente, l’art. 548 c.p.c., il quale prevede, con riferimento alle modalità attraverso cui si perviene alla suddetta non contestazione, che, «quando all’udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un’udienza successiva. L’ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato». Cfr., anche per ulteriori riferimenti, G. TOTA, Mancata dichiarazione del terzo e non contestazione nella nuova disciplina dell’espropriazione forzata presso terzi, in Giusto proc. civ., 2016, 513 ss.
[46] Si è, dunque, ritenuto che la nuova formulazione della norma, «quantunque non fornisca indicazioni univoche, induce a pensare che il legislatore, proprio per semplificare, abbia inteso circoscrivere l’oggetto dell’accertamento alla sola assoggettabilità del credito pignorato all’espropriazione forzata. In altre parole, tanto l’ordinanza pronunciata in prima battuta dal giudice dell’esecuzione, quanto la sentenza che definisca l’eventuale opposizione agli atti esecutivi, devono solo accertare l’esistenza del credito (o del bene mobile) pignorato ai fini della possibile sua assegnazione, e dunque nei rapporti fra il creditore procedente ed il terzo, esaurendo i propri effetti all’interno del processo esecutivo e senza fare stato, ai sensi dell’art. 2909 c.c., né tra il debitore ed il terzo, né – probabilmente – tra lo stesso creditore procedente ed il terzo. Il che dovrebbe rendere irrilevanti i criteri di giurisdizione, competenza e rito che avrebbero trovato applicazione qualora il giudizio fosse stato promosso dal debitore nei confronti del terzo» (così G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, III, cit., 136). Per un esame della problematica dell’accertamento dell’obbligo del terzo in epoca antecedente alle più recenti riforme cfr. A. SALETTI, Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato, in Riv. dir. proc., 1998, 996 ss. e in epoca successiva alle stesse A. CRIVELLI, L’accertamento dell’obbligo del terzo, in Riv. es. forz., 2016, 177 ss.
[47] Cfr., anche per ulteriori riferimenti, L. SALVANESCHI, Il perfezionamento del pignoramento presso terzi dopo la riforma del 2014, in Riv. dir. proc., 2015, 670ss.
[48] Il terzo non è più tenuto, infatti, a rendere la dichiarazione all’udienza di cui all’art. 543 c.p.c. e sotto la disciplina previgente si era ritenuto che il limite temporale che segnava gli obblighi del terzo era rappresentato proprio da questa (cfr. G. TARZIA, L’oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961, 320 secondo il quale un’apprensione al processo di crediti sorti dopo l’udienza «è palesemente estranea alla legge, che non prevede affatto un’estensione automatica dell’ambito oggettivo del vincolo, e non predispone neppure i mezzi con i quali i crediti sopravvenuti possano essere conosciuti»).
[49] Così L. SALVANESCHI, Il perfezionamento del pignoramento presso terzi dopo la riforma del 2014, cit., spec. 676.
[50] Così L. SALVANESCHI, Il perfezionamento del pignoramento presso terzi dopo la riforma del 2014, cit., spec. 676 e 679 ove l’A. si chiede «se il terzo, oltre a poter sempre integrare la propria dichiarazione a seguito di mutamenti in positivo della situazione di fatto già comunicata, sia anche tenuto a fare tale integrazione, oppure possa limitarsi a custodire e non disporre delle somme ulteriori fino al limite di cui all’art. 546 c.p.c. senza attivarsi in alcun modo». E ritiene che, «l’assunzione degli oneri tipici della custodia crea fra il terzo e l’ufficio esecutivo uno specifico dovere di collaborazione. Ragioni di efficienza del sistema richiedono che il terzo che ha reso una dichiarazione negativa o incapiente non trascuri l’informativa concernente le sopravvenienze che intervengono in tempo utile a rendere proficua l’esecuzione lasciando così consolidare la dichiarazione negativa. La contestazione non è infatti un dato sistematico e ben potrebbe quindi accadere che, in mancanza di segnalazione del terzo circa l’intervenuta modifica, il procedimento resti destinato all’estinzione nonostante il sopravvenire di somme idonee a comportare un diverso esito. È quindi evidente che tra i doveri di custodia del terzo sulle somme sopravvenute rientra anche quello di un’adeguata informazione integrativa, che potrà essere resa con le stesse modalità a distanza previste dalla legge per la prima dichiarazione».
[51] Così A. SALETTI, L’espropriazione presso terzi dopo la riforma, cit., 292 ed ivi ulteriori riferimenti dottrinali. Ma v. anche B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 212-213. In giurisprudenza cfr. Trib. Venezia, 19 aprile 2007, in Riv. es. forz., 2007, 560 ss.
[52] A fronte di un’impostazione tendente a riservare alla parti il monopolio in ordine alla iniziativa volta a far valere l’impignorabilità (per lo più argomentando dall’art. 615, 2° comma, c.p.c. – che annovera detta ipotesi fra quelle che possono costituire oggetto di opposizione all’esecuzione – e/o dalla idea di fondo secondo cui l’impignorabilità sarebbe stabilita nell’esclusivo interesse del debitore, e non con norme imperative), si è fatta strada infatti, sia in dottrina che in giurisprudenza, l’impostazione, ormai prevalente, in forza della quale l’impignorabilità, ove prevista da norma pubblicistica, è rilevabile anche d’ufficio da parte del giudice dell’esecuzione (cfr. B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 195; A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 975-976 e 1007 ss.; A. SALETTI in A. SALETTI – M.C. VANZ – S. VINCRE, Le nuove riforme dell’esecuzione forzata, Torino, 2016, 174; in giurisprudenza Cass., 22 marzo 2011, n. 6548, in Foro it., Rep. 2011, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie, n. 40; Cass., 11 giugno, 1999, n. 5761, in Foro it., 2001, I, 2019 ss.).
[53] Così A. SALETTI, in A. SALETTI – M.C. VANZ – S. VINCRE, Le nuove riforme dell’esecuzione forzata, cit., 174 testo e nota 22.
[54] Cfr. T. SALVIONI, Le modifiche in materia di espropriazione presso terzi in M. BOVE – A. SALETTI (a cura di), Novità in materia di esecuzione forzata (I parte), in Giur. it., 2016, 1278 secondo la quale «la collocazione topografica della nuova previsione, di chiusura rispetto alla norma che disciplina i crediti impignorabili, determina oggi l’applicabilità del nuovo regime a tutte le ipotesi di impignorabilità previste dal codice di rito, senza che possa più distinguersi a seconda della ragione, di ordine pubblico o di interesse del debitore, posta alla base del limite di legge. Una diversa e più restrittiva ricostruzione non sembra, in effetti, sostenibile alla luce dell’attuale disposizione, che rinviando a tutti i commi precedenti estende, al contrario, il nuovo sistema della rilevabilità d’ufficio anche alle ipotesi di impignorabilità di crediti inserite in norme stravaganti, richiamate dallo stesso art. 545 c.p.c.».
[55] Così A. SALETTI in A. SALETTI – M.C. VANZ – S. VINCRE, Le nuove riforme dell’esecuzione forzata, cit., 175. Ma v. anche A. TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 83 del 2015 … in attesa della prossima puntata …, cit., 164.
[56] Cfr. Cass., 20 maggio 2015, n. 10243 (in Foro it., Rep. 2015, voce Esecuzione in genere, n. 114) secondo la quale «nel caso in cui la Banca d’Italia, chiamata a rendere la dichiarazione di terzo quale tesoriere nell’ambito di un procedimento di espropriazione presso terzi per crediti nei confronti del ministero dell’interno, dichiari l’esistenza di somme soggette a vincolo di impignorabilità ex art. 27, 13° comma, l. 28 dicembre 2001, n. 448 …, la rilevabilità ufficiosa di tale vincolo impone al giudice dell’esecuzione di svolgere, nell’ambito dei poteri a lui attribuiti, dall’art. 484, 1° comma, c.p.c., una sommaria attività accertativa, procedendo alla declaratoria di nullità del pignoramento e di improseguibilità del processo esecutivo …». Ma v. anche Cass., 16 settembre 2008, n. 23727 (in Foro it., Rep. 2008, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie, n. 46) secondo la quale «in tema di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali avente ad oggetto somme giacenti presso il tesoriere, questi, in quanto ausiliare del giudice, ha il dovere di precisare nella dichiarazione prevista dall’art. 547 c.p.c. se esistono presso di lui somme di cui è debitore verso l’ente locale, nonché quale ne è la condizione in rapporto alla delibera di destinazione a lui notificata ed ai pagamenti successivi; in caso di assenza dell’ente locale debitore, il giudice, sulla base di tale dichiarazione e della documentazione depositata, può, anche d’ufficio, dichiarare la nullità del pignoramento …».
[57] Cfr. R. CONTE, Sui limiti spazio-temporali dell’impignorabilità di retribuzioni e di pensioni: lacune della disciplina normativa, cit., 1148 il quale pone in rilievo come l’espressione pecunia non olet, «proprio a causa della sua origine storica, si usa di regola per chiudere ogni discussione su valutazioni negative in ordine alla provenienza del danaro, anche se – va da sé – non può avere una portata assoluta: altrimenti non avrebbe senso, ad esempio, discutere di riciclaggio del danaro “sporco”».
[58] Giova evidenziare, a tal proposito, come la segnalata evoluzione normativa nel senso di ritenere sufficiente un accertamento sommario da parte del giudice dell’esecuzione, che decide con ordinanza (e non più un accertamento a cognizione piena effettuato nelle forme del processo a cognizione piena di cui al libro secondo del codice di rito civile), riduce la portata del problema di cui sopra ma certo non lo elimina, trattandosi comunque, di fatto, di tempi poco compatibili con quelli, ben più ristretti, entro i quali il notaio è tenuto, per legge, ad effettuare il pagamento di determinate somme (es. tributi di cui al comma 63).
[59] Cfr., in via generale, sulla possibilità di utilizzare l’opposizione agli atti esecutivi per censurare il mancato esercizio, da parte del giudice dell’esecuzione, di poteri ufficiosi: R. ORIANI, Il processo esecutivo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, 300; G. COSTANTINO, Le unità sanitarie locali nel processo esecutivo, in Foro it., 1993, I, spec. 2052; D. BORGHESI, La legge n. 132 del 2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali), cit., 57; A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 1008.
[60] Cfr., in via generale con riferimento a tutte le ipotesi di impignorabilità previste dal codice di rito, T. SALVIONI, Le modifiche in materia di espropriazione presso terzi, cit., 1278 secondo la quale «in caso di inerzia del giudice il debitore potrà certamente ancora proporre opposizione all’esecuzione per impignorabilità, ma anche solo sollecitarne il rilievo in via informale, così evitando l’apertura di una onerosa parentesi di cognizione».
[61] Secondo la S.C. «l’art. 96 c.p.c. si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., sicché la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando nella generale responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina del citato art. 96 c.p.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra le due fattispecie, risultando conseguentemente inammissibile la proposizione di un autonomo giudizio di risarcimento per i danni asseritamente derivati da una condotta di carattere processuale, i quali devono essere chiesti esclusivamente nel relativo giudizio di merito» (così, da ultimo, Cass., 16 maggio 2017, n. 12029, in Foro it., Rep. 2017, voce Spese giudiziali civili, n. 39).
[62] Secondo N. FORTE, Legge annuale per il mercato e la concorrenza: la gestione dei conti correnti dello studio notarile e del “conto corrente dedicato”, cit., 5 in considerazione della ratio della normativa sul conto corrente dedicato – ravvisabile nella trasparenza –, che verrebbe frustrata se il notaio utilizzasse un conto unico, quest’ultimo dovrebbe essere intestatario di almeno due conti correnti: il conto corrente dedicato (destinato ad accogliere le movimentazioni delle somme ricevute, o anticipate, «in relazione agli atti a repertorio dalla stessa ricevuti o autenticati e soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale»); il conto corrente “libero” (utilizzabile per le altre finalità, quali l’accredito dei compensi, dell’Iva, i prelevamenti personali, il pagamento delle spese dello studio, etc.).
[63] In tal caso, secondo la S.C., non verrebbe in rilievo una responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. ma una responsabilità per illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. (cfr. da ultimo Cass., 28 febbraio 2017, n. 5037, in Riv. es. forz., 2017, 391).
[64] Si tratta infatti, a ben vedere, proprio dell’attività che l’impignorabilità delle relative somme mira ad assicurare e, a voler ritenere diversamente, la notificazione al terzo (nel nostro caso la banca) dell’intimazione di non disporre delle somme senza l’ordine del giudice – così come previsto dall’art. 543 c.p.c. – comporterebbe, come conseguenza, che il terzo non possa più adempiere pagando nelle mani del debitore; la banca, cioè, non potrebbe più mettere a disposizione del notaio le somme che questi dovrebbe versare all’erario o al registro delle imprese.
[65] Cfr. per tutti in via generale sul tema V. COLESANTI, L’infelice situazione del terzo debitore (anche dopo le recenti riforme), cit., 1345 ss.
[66] Così D. BORGHESI, La legge n. 132 del 2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali), cit., 57-58 nel rimarcare «la posizione di disagio nella quale si può venire a trovare il terzo pignorato, il quale per ottemperare a quanto gli impone la sua qualità di custode, deve fare delle scelte per lui piuttosto pericolose», infatti se «sbaglia nell’individuazione dell’impignorabilità o anche solo nel calcolo del limite che la legge pone alla stessa, rischia di considerare pignorate somme che in realtà non lo sono e così di negare al lavoratore o pensionato il minimo indispensabile per il suo sostentamento, oppure, al contrario, di ritenere impignorabili somme pignorabili, venendo meno ai suoi doveri di custode e rischiando di risponderne in proprio».
[67] Così G. VALLONE, L’impignorabilità di stipendi e pensioni versati su conto corrente: note a prima lettura del d.l. del 27 giugno 2015 n. 83, cit., 10.
[68] Cfr. T. SALVIONI, Le modifiche in materia di espropriazione presso terzi, cit., 1278 la quale pone in rilievo come, «dopo la riforma apportata dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, per la banca era sufficiente vincolare per la procedura e rendere indisponibili per il cliente somme pari al credito precettato aumentato della metà: così essa assolveva ai propri obblighi senza poter essere sottoposta a censure da nessuno dei due lati. Oggi, invece, agli istituti di credito viene richiesta un’indagine molto più complessa: quando si vede notificare il pignoramento la banca non può più legittimamente bloccare somme che siano impignorabili per la matrice retributiva o pensionistica che le assiste, pena una responsabilità nei confronti del cliente che ha tutti i diritti di disporre di quegli importi, e che ben può farlo con strumenti elettronici di pagamento ad immediata incidenza sull’attivo di conto. La banca, invece, può necessitare di alcuni giorni per effettuare le verifiche necessarie, soprattutto quando si tratti di grossi gruppi nei quali i diversi settori operativi sono compartimentati». Ma v. anche A. TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 83 del 2015 … in attesa della prossima puntata …, cit., 164 il quale pone in rilievo come, in forza di quanto attualmente previsto dall’art. 545 c.p.c., «la dichiarazione di terzo che tali istituti dovranno rendere si complica un poco, … esigendosi quanto meno l’analisi delle voci del conto corrente del debitore esecutato nelle poste contabili in “avere”, onde verificare se sussistano o meno trattamenti salariali, stipendiali o pensionistici o, comunque, versamenti che trovino la loro fonte genetica in rapporti di lavoro subordinato (privato o pubblico) o pensionistico, dacché la loro natura e il loro regime di pignorabilità non muta quando, come ormai obbligatorio per legge, vengano accreditati sul conto del lavoratore o del pensionato, senza confondersi con il rimanente danaro».
[69] Che sembrerebbe inevitabilmente presupporre, a monte, un maggiore onere di specificazione, rispetto al passato, in capo al creditore procedente in ordine alla identificazione del credito o dei beni mobili fatti oggetto di pignoramento (su cui cfr., anche per ulteriori riferimenti: B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 220; A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 1108; G. TOTA, Mancata dichiarazione del terzo e non contestazione nella nuova disciplina dell’espropriazione forzata presso terzi, cit., 525-526).
[70] Sul punto cfr., anche per ulteriori riferimenti, A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit. 1097 ss. secondo la quale «non è negativa una dichiarazione con cui il terzo, pur enunciando l’esistenza del suo obbligo, dichiari di non essere tenuto alla prestazione in favore del debitore a causa della esistenza di un vincolo di destinazione o una causa di impignorabilità». Ma l’A. sembrerebbe far riferimento (cfr. ID., op. cit., 1093 cui l’A. stesso rinvia) all’ipotesi in cui l’impignorabilità abbia un fondamento privatistico e il terzo pignorato non sia, dunque, legittimato ad eccepire l’impignorabilità delle cose o dei crediti pignorati né ad indicare l’esistenza di vincoli di destinazione.
[71] Su cui cfr., alla luce delle più recenti riforme, anche per ulteriori riferimenti, A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 1153 ss.; CRIVELLI, L’accertamento dell’obbligo del terzo, cit., 177 ss.
[72] Con riferimento all’impignorabilità, l’onere della prova è discusso, in particolare, nell’ipotesi di esecuzione forzata su beni e frutti del fondo patrimoniale, in relazione alla quale, secondo la giurisprudenza prevalente, grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale l’onere della prova circa i presupposti di applicabilità di tale regime (cfr. da ultimo Cass., 28 ottobre 2016, n. 21800, in Foro it., Rep. 2016, voce Famiglia (regime patrimoniale), n. 40; Cass., 11 luglio 2014, n. 15886, in Foro it., 2015, I, 2528 ss. e Giur. it., 2015, 577 ss. con nota di Aureli; Cass., 19 febbraio 2013, n. 4011, in Giur. it. 2013, 2501 con nota di Francisetti Brolin e Riv. es. forz., 2014, 327 ss. con nota di Micali; nella giurisprudenza di merito T. Reggio Emilia, 20 maggio 2015, in Foro it., 2015, I, 2528 ss.; in dottrina, oltre alle note già richiamate, cfr. I. GAMBIOLI, Esecuzione forzata su beni e frutti del fondo patrimoniale: la tortuosa strada dell’esecutato opponente, in Giust. proc. civ., 2014, 1161 ss.). Ma vedi anche, con riferimento alla impignorabilità delle somme “vincolate” dell’ente locale, Cass., 6 giugno 2006, n. 13263 (in Riv. es. forz., 2006, 585 con nota critica di R. Vaccarella) secondo la quale «in tema di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali, grava sul Comune, debitore escusso, unicamente l’onere di provare i fatti impeditivi dell’esercizio dell’azione esecutiva e, precisamente, l’esistenza delle delibere comunali che hanno vincolato le somme in bilancio; mentre incombe sul creditore procedente l’onere di provare l’esistenza di fatti contrari a quelli impeditivi, e, in particolare, l’emissione di mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati e senza seguire l’ordine indicato dalla legge».
[73] Su cui cfr. in via generale: G. VERDE, L’onere della prova nel processo civile, Napoli-Camerino, 1974; M. TARUFFO, voce Onere della prova, in Dig. civ., XIII, Torino, 1995, 65 ss.; ID., La valutazione delle prove in M. TARUFFO (a cura di), La prova nel processo civile, in Tratt. Cicu-Messineo continuato da Schlesinger, Milano, 2012, 244 ss.; S. PATTI, Delle prove, in Comm. Scialoja – Branca – Galgano, Bologna, 2015, 1 ss.; L.P. COMOGLIO, Le prove civili, Torino, 2010, 249 ss.
[74] Con conseguente onere in capo al creditore pignorante di dimostrare il contrario, ossia la pignorabilità di talune delle somme depositate sul conto corrente dedicato.
[75] Cfr. in via generale A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 445. Con più specifico riferimento alla ipotesi della impignorabilità (nella specie di somme “vincolate” dall’ente locale) cfr. R. VACCARELLA, Impignorabilità di somme “vincolate” dall’ente locale ed onere della prova, in Riv. es. forz., 2006, 588-589 il quale, nel ritenere non condivisibile il principio affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 13263/2006 (in forza del quale «in tema di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali, grava sul Comune, debitore escusso, unicamente l’onere di provare i fatti impeditivi dell’esercizio dell’azione esecutiva e, precisamente, l’esistenza delle delibere comunali che hanno vincolato le somme in bilancio; mentre incombe sul creditore procedente l’onere di provare l’esistenza di fatti contrari a quelli impeditivi, e, in particolare, l’emissione di mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati e senza seguire l’ordine indicato dalla legge»), invoca proprio «il canone, non estraneo alla garanzia prevista dall’art. 24 Cost., secondo cui il riparto dell’onere della prova non può prescindere dalla difficoltà dei prova dell’onerato»; sottolineando, conseguentemente, come «se è vero che il creditore dovrebbe provare secondo la Cassazione un fatto positivo, è anche vero che tale prova sarebbe per lui estremamente difficile, così come è vero che l’ente non sarebbe gravato dalla prova di un fatto negativo ma anch’esso del fatto positivo di aver seguito l’ordine cronologico nell’emettere mandati di pagamento per titoli diversi da quelli vincolati con la deliberazione; prova documentale assai agevole per chi dispone di tutta la relativa documentazione, ma con estrema difficoltà anche solo individuabile dal creditore procedente».
[76] Su cui cfr., anche per riferimenti giurisprudenziali: C. BESSO, La vicinanza alla prova, in Riv. dir. proc., 2015, 1383 ss.; V. MIRMINA, Il principio di vicinanza alla prova quale deroga dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., in Giur. it., 2016, 821 ss.; M. DRAGONE, Le sezioni unite, la “vicinanza alla prova” e il riparto dell’onere probatorio, in La responsabilità civile, 2008, 687 ss.; A.A. DOLMETTA – U. MALVAGNA, «Vicinanza alla prova» e contratti d’impresa, in www.apertacontrada.it.
[77] Così N. FORTE, Legge annuale per il mercato e la concorrenza: la gestione dei conti correnti dello studio notarile e del “conto corrente dedicato”, cit., 6.