Giuffré Editore

Insolvenza universale

Mauro Orlandi

Ordinario di Diritto privato, Università Luiss Guido Carli  


1. Insolvenza civile e insolvenza commerciale

L’insolvenza apre un capitolo tra i più delicati della teoria generale dell’obbligazione. Siamo stati da sempre educati alla radicale distinzione: altro il debito, proprio dell’imprenditore; altro il debito, proprio di ogni altro. Solo primo proiettava la propria ombra sui terzi, rendendo rilevante un giudizio sulla potenza patrimoniale, intesa come capacità – diremo – prospettica di «soddisfare» le obbligazioni.

Soleva distinguersi insolvenza civile e insolvenza commerciale.

La prima, quale fenomeno statico, in cui il passivo patrimoniale superi l’attivo, in modo che risulti minata la garanzia generica (art. 2740 c.c.)[[1]].

La seconda, quale fenomeno dinamico, in cui rileva non il mero sbilancio, ma la valutazione prospettica di ogni elemento economico e finanziario, incidente sul regolare adempimento di ogni obbligazione[[2]].

La prima, con effetti ristretti al mero rapporto individuale (decadenza beneficio del termine; eccezione d’inadempimento; e così altri). La seconda, con effetti concorsuali.

Alla radice dell’insolvenza commerciale c’è la categoria dell’opponibilità ai terzi. La rilevanza della fonte obbligatoria è commisurata all’interesse di creditori terzi, in ragione della sproporzione dinamica tra patrimonio e debito. Tale scarto si apprezza sul piano, non già individuale ma collettivo: ossia nel confronto tra attivo economico-finanziario e massa dei debiti in un certo momento[[3]].

Nell’attuale formulazione, il Codice della crisi definisce l’insolvenza come «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni[[4]]».

Uno «stato»; non un atto. Un predicato che attiene, non al comportamento, ma a un modo d’essere del patrimonio. Il quale a sua volta rileva non staticamente, come somma dei «beni presenti e futuri»; bensì dinamicamente, quale potenza; capace o incapace nella sua proiezione di soddisfare la massa dei debiti.

Come sappiamo, lo stato d’insolvenza mena alla dichiarazione di fallimento; oggi, alla liquidazione giudiziale. Scelta di ordine pubblico concorsuale[[5]], tale da evitare una disordinata guerra tra creditori del medesimo patrimonio.

«Ordine pubblico concorsuale». Concetto da sempre ignoto al diritto civile. Il quale restringe la rilevanza patrimoniale dell’obbligazione al momento delle esecuzioni individuali, fondate sull’iniziativa del singolo creditore. L’opponibilità ai terzi di atti patrimoniali del debitore civile trova espressione nei mezzi di conservazione, di cui agli artt. 2900 ss. c.c.

Donde la fondata e fondamentale distinzione tra debito/credito civile e debito/credito commerciale. Cui potrebbe simmetricamente corrispondere quella tra patrimonio civile e patrimonio commerciale. Il primo insuscettibile d’insolvenza e dei relativi effetti concorsuali. Il secondo, suscettibile d’insolvenza e concorso.

Il nuovo codice della crisi (così chiameremo il testo, in vigore dal 2020[[6]]) affievolisce la distinzione debitore civile/debitore commerciale; e così pure patrimonio civile/patrimonio commerciale. E anzi – crediamo di poter concludere – la annichilisce con riguardo al regime degli effetti sostanziali.

L'art. 2, comma 1, lett. c, CCII parrebbe estendere l’insolvenza (che chiameremo) concorsuale a ogni debitore.

Esso precisa che «ai fini del presente codice si intende per “sovraindebitamento” lo stato di crisi e di insolvenza di … ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice o da leggi speciali per il caso di crisi o di insolvenza». Letto insieme all'art. 268, comma 1 – per il quale «il debitore in stato di sovraindebitamento può domandare … l'apertura di una procedura controllata di liquidazione dei suoi beni» – parrebbe esso attrarre ogni debito entro la dimensione del concorso[[7]].

Per comodità espositiva diremo commerciale il debitore-imprenditore, esposto al concorso di massa fino alla liquidazione giudiziale; civile, tutti gli altri debitori, soggetti alla liquidazione controllata. Diremo insolvenza civile tout court, lo stato che mena alla liquidazione controllata.

Con il nuovo codice della crisi l’insolvenza diviene fattispecie universale, la quale tocca ogni debitore. Commerciale e civile[[8]].

La nuova obbligazione soggiace alla dinamica patrimoniale. E al giudizio sulla solvibilità: sindacato prospettico intorno alla potenza satisfattiva generale del patrimonio e dei flussi finanziarî.

Il vecchio debitore civile poteva essere solo inadempiente.  Sarà d’ora in poi un debitore insolvente[[9]].


2. Effetti sostanziali dell’insolvenza

Letteratura e giurisprudenza lasciano emergere una linea così riassumibile. L’insolvenza del debitore commerciale implica un effetto (si direbbe con il Rubino[[10]]) preliminare. Il pagamento dei debiti seguirebbe non più l’ordine naturale di presentazione, in modo che il debitore paghi indifferentemente colui che per primo chieda, a prescindere da eventuali titoli di prelazione.

Nella valutazione prognostica circa l’impotenza del patrimonio i debiti possono rivelarsi troppi; e i beni (attuali e potenziali) troppo pochi[[11]]. Il giudizio si fa per massa e non per individui. Entrando nell’orbita del concorso, il debitore potrebbe e dunque dovrebbe rifiutare il pagamento al creditore, che risulti subordinato nell’ordine patrimoniale delle prelazioni[[12]]. Donde il problema dei pagamenti eseguiti dall’insolvente.

Osserviamo il fenomeno dall’angolatura del diritto positivo.

L’art. 4, n. 1, CCII, prevede che «nella composizione negoziata, nel corso delle trattative e dei procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, debitore e creditori devono comportarsi secondo buona fede e correttezza».

L’art. 4, n. 2, lett. b, impone al debitore – (solo commerciale?) – di assumere tempestivamente le iniziative idonee alla individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di cui all’art. 12, comma 1»[[13]].

L’art. 4, n. 2, lett. c, CCII, impone al debitore di «gestire il patrimonio … durante i procedimenti nell’interesse prioritario dei creditori».

L’art. 7, n. 3, CCII prevede che «in tutti i casi in cui la domanda diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale non è accolta ed è accertato lo stato d’insolvenza, il tribunale procede, su istanza dei soggetti legittimati[[14]] all’apertura della liquidazione giudiziale».

L’art. 144 c.c.i, a tenore del quale «gli atti compiuti dal debitore e i pagamenti da lui eseguiti o ricevuti dopo l’apertura della liquidazione giudiziale sono inefficaci rispetto ai creditori».

L’art. 164, n. 2, CCII, secondo il quale «sono altresì revocati, se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili … se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori».

Sembra qui che l’insolvenza faccia appello alla diligente amministrazione. E che il debitore, come pure il creditore consapevole, siano costituiti a protezione del patrimonio nel superiore interesse concorsuale.

Il tema si riduce in ciò: la opponibilità dell’insolvenza – intesa come il dover sapere della impotenza patrimoniale da parte così del debitore come del creditore – è ex se causa di riduzione (inesigibilità)[[15]]? o addirittura di condictio? E dunque di rifiutabilità dell’adempimento?


3. Segue. Protezione del patrimonio insolvente?

L’obbligo di protezione del patrimonio sarebbe da ragionare con riguardo alla insolvenza opponibile. Opponibile in senso giuridico, secondo oggettive e concludenti circostanze tali che – in una valutazione ab externo e prognostica – il debitore non possa diligentemente ignorare il proprio stato. La diligenza deve qui misurarsi con il metro pubblico della massa; e non con quello privato del singolo rapporto.

Da questo momento potrebbe (dovrebbe?) a rigore aprirsi il concorso; che – nella forma estrema della liquidazione giudiziale – mena alla inefficacia totale dei pagamenti (art. 144 CCII); e alla revocabilità dei pagamenti di crediti esigibili o non esigibili, secondo la rispettiva disciplina (art. 164 CCII).

Il solvens dovrebbe per definizione sapere dell’insolvenza e del conseguente danno, che il pagamento individuale potrebbe arrecare alla massa. Si darebbe allora l’ipotesi (da porre in punta di penna) di duplice tutela: reale e risarcitoria.

Reale, attraverso le azioni revocatorie o di inefficacia, destinate alla successiva espropriazione o esecuzione forzata in favore della massa.

Risarcitoria, attraverso la condanna per fatto illecito (contrattuale o extracontrattuale, non è questa la sede[[16]]), per tutti i pregiudizî evitabili usando la diligenza concretamente declinabile nelle circostanze date.

Le due azioni appaiono complementari. L’inefficacia dei pagamenti e il conseguente recupero assorbiranno l’effetto dannoso riportando il danaro nella disponibilità della massa e così materialmente precludendo la perdita.  Si potranno al più valutare gli effetti di un eventuale ritardo.

Ove si determini uno scarto cronologico tra insolvenza opponibile e apertura del concorso, tale da rendere impossibile la revoca dei pagamenti, allora potrebbe farsi luogo a danno imputabile e a correlativo risarcimento.

Breviter: il debitore o il creditore sciens dovrebbero con diligente tempestività domandare la liquidazione (o altra misura concorsuale minore[[17]]), così consentendo il recupero revocatorio. L’attesa rischia di rendere irrevocabili i pagamenti di debiti scaduti, perché ormai precedenti i sei mesi dell’art. 164, comma 2, CCII

Appena da avvertire come poco o punto il risarcimento si dimostrerà utile, quando non vi siano altri patrimonî responsabili oltre quello del solvens debitore. E così alla massa converrà dimostrare che l’accipiens conoscesse lo stato d’insolvenza; o agire verso il liquidatore della società insolvente[[18]]. In altre parole, in tutti i casi in cui il pagamento colposo o doloso sia imputabile anche a soggetti diversi dal debitore liquidato.

Da ragionare la responsabilità dell’accipiens consapevole. Risponderà questi anche se il credito fosse al momento della solutio esigibile?

La domanda appare meno peregrina che a prima vista. Se infatti imputassimo alle parti della solutio la diligenza d’ordine pubblico concorsuale di denunciare l’insolvenza e domandare la liquidazione, allora la prognosi controfattuale restituirà la probabile se non certa inefficacia dell’atto solutorio, assorbito nel regime generale dell’inopponibilità alla massa, previsto dall’art. 144 c.c.

Qui l’omesso richiamo di tale disposizione nell’area della liquidazione controllata apre un’alternativa. O deve reputarsi analogicamente e universalmente applicabile l’art. 144 CCII, e allora si potrebbe inclinare per la generale rifiutabilità dell’atto solutorio da parte dell’insolvente, commerciale o civile che sia. O l’art. 144 CCII deve reputarsi ristretto alla sola liquidazione giudiziale, e allora il rifiuto potrà e dovrà opporsi dal solo debitore commerciale.

Ove – come parrebbe sistematicamente razionale – trovi applicazione il regime generale dell’art. 144 CCII[[19]], e così la radicale inefficacia di tutti i pagamenti successivi all’apertura della liquidazione, si dovrà far luogo a valutazione controfattuale del danno evitabile dal debitore insolvente.

Con ulteriore sottigliezza, si potrebbe pensare che il tempo del diligente rifiuto sia scandito anche dall’art. 164, comma 2, il quale stabilisce la revocabilità dei pagamenti di crediti esigibili verso il creditor sciens nei sei mesi che precedono la domanda di liquidazione[[20]]. Rendendo così inefficace verso la massa il pagamento dell’insolvente: il quale dovrebbe rifiutarlo (?) e domandare l’apertura del concorso.

Potremmo spingerci a qualificare il pagamento dell’insolvente come «vietato» dalla sistematica delle norme applicabili[[21]]. Sotto questa luce, l’insolvenza appare una causa di condictio e non di riduzione; sicché ogni titolo si dimostra verso la massa inefficace[[22]] nei sei mesi che precedono la domanda, siccome inidoneo a sorreggere il pagamento.

Il danno alla massa parrebbe imputabile anche all’accipiens; a prescindere così dal consilium fraudis dell’art. 2901 c.c. (specifica consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore); come pure dalla mera conoscenza dell’art. 164, n. 2, c.c.i. (generica conoscenza dello stato di insolvenza), quando il debitore lo avverta dell’insolvenza ma poi non rifiuti di pagare. Così costituendo anche in capo al creditore l’obbligo di aprire la liquidazione.

Al postutto, l’insolvenza parrebbe generare anche sull’accipiens consapevole – o per le circostanze o per l’avvertimento del solvens – un debito risarcitorio verso la massa.


4. Il concorso civile

Si dà il problema di capire se nella liquidazione controllata (art. 268 ss. CCII) l’azione revocatoria segua il regime concorsuale (art. 164 ss. CCII) o individuale (art. 2901 c.c.).

La questione è sottile. L’irrompere dell’insolvenza civile parrebbe portare due ordini analogici o sistematici rispetto alla disciplina dell’obbligazione concorsuale. In primo luogo, la inefficacia concorsuale (e non meramente individuale) degli atti dispositivi dell’insolvente; in secondo luogo, l’obbligo di protezione del patrimonio insolvente[[23]].

Concentriamoci qui sul primo profilo.

L’art. 2901 c.c. trova razionale collocazione entro la dimensione individuale del rapporto obbligatorio. Sicché delle due l’una: o il terzo partecipa della frode patrimoniale (c.d. consilium fraudis dell’art. 2901 c.c.) e allora si tratterà di un illecito, che trova (volgarmente) «rimedio» nella dichiarazione di inefficacia; oppure l’atto è valido ed efficace.

Tra autonomia delle parti individuali e protezione del patrimonio, il diritto sceglie la prima. Una scelta razionale (non semplicemente ragionevole); che trova la propria radice logica nella assoluta irrilevanza pubblica dell’insolvenza civile.

Da sempre il patrimonio civile si dimostra insuscettibile di insolvenza concorsuale, ossia di insufficienza potenziale e prospettica. Il vecchio diritto appresta qui un futuro senza termine, concependo per l’adempimento dell’obbligazione una rispondenza eterna dei beni; appunto, presenti e futuri (2740 c.c.). A tale eternità sembra corrispondere la dimensione puramente individuale dell’esecuzione, regolata dagli artt. 474 ss. c.p.c.  La forza esecutiva è affidata all’impulso del singolo, e si svolge su beni e crediti di volta in volta trovati nel patrimonio del debitore.

In una prospettiva cronologica senza limite intrinseco: ogni creditore agirà in executivis tante volte quante crede; se e fino a quando realizzerà il credito. Alla dimensione individuale dell’obbligazione corrisponde la dimensione individuale della esecuzione.

L’azione revocatoria appare vòlta, non a proteggere l’integrità del patrimonio responsabile, in ragione della sua conclamata insufficienza per la massa dei creditori; ma a reprimere la frode individuale, compiuta dal terzo attraverso un deliberato atto sottrattivo; in modo da rendere il bene fraudolentemente sottratto suscettibile di esecuzione ed espropriazione individuali.

La disciplina meramente singolare delle azioni revocatoria ed esecutiva deve essere ragionata in profondità. «Individuale» implica irrilevanza degli «altri». Ogni creditore è lasciato solo e libero. Chi prima arriva prima prende[[24]]. Non c’è e non ci può essere un effetto (diremo) sostanziale dell’insolvenza, tale da toccare la forza dell’obbligazione, e così l’estinguibilità, esigibilità ed eseguibilità[[25]] di ciascun credito.

Agisce il c.d. principio di indifferenza[[26]], sicché lo statuto sostanziale del rapporto del rapporto non risente della garanzia patrimoniale. Come l’obbligazione del nulla tenente nasce valida ed efficace; allo stesso modo l’obbligazione rimane piena – suscettibile di azioni di adempimento, risarcimento, esecutive – anche al successivo venir meno del patrimonio[[27]]. Il rischio è puramente individuale. Il relativo «rimedio» è rimesso alla iniziativa singolare di cercare e scovare nuovi beni del debitore inadempiente, in una perenne rincorsa.

Introdotta l’insolvenza civile concorsuale la prospettiva appare rovesciata. Ogni patrimonio rileva in quanto economicamente potente o impotente; di ogni patrimonio deve declinarsi la capacità di garantire non il singolo, ma la massa dei crediti.

Cessa la eternità individuale dei beni responsabili: il giudizio sull’insolvenza è una prognosi sulla potenza universale e non sull’atto singolare. Sull’insieme, còlto nella sua prospettiva dinamica; non sui singoli beni, destinati a esecuzione individuale e solitaria.

Valutata e giudicata l’insolvenza, il patrimonio è come fissato e chiuso nella propria dimensione di massa: da questo momento, esso deve ragionarsi collettivamente, fino a ordinare gli atti positivi (c.d. stato attivo) e negativi (c.d. stato passivo) in linea liquidatoria.

L’apertura di qualsiasi concorso rende inopponibili alla massa pagamenti successivi ed esecuzioni individuali. Per i primi, verrà meno la soluti retentio e si farà luogo a ripetizione verso la massa; per le seconde, verrà meno l’effetto esecutivo individuale della responsabilità patrimoniale. Il patrimonio appare non più eternamente e individualmente aggredibile, ma liquidabile mercè procedure di massa.

Dovrebbero scendere da questa nuova dimensione tre effetti, in linea di logica coerenza.

L’interruzione delle azioni esecutive individuali, analogamente alla liquidazione giudiziale (artt. 150- 151 CCII; richiamato per l’esecuzione controllata dall’art. 270 comma 5, CCII).

L’inefficacia dei pagamenti individuali, successivi alla sentenza di liquidazione (art. 144 CCII; non richiamato per la liquidazione controllata).

La revocatoria di massa (art. 164 s.s. CCII; anche qui, non richiamato per la liquidazione controllata), in luogo della revocatoria individuale (art. 2901 c.c.).

I tre effetti rompono il principio di indifferenza e cambiano la struttura del vincolo. Ogni credito verso l’insolvente cessa di essere isolato e singolarmente esecutivo, siccome suscettibile di esecuzione puramente individuale.

Donde il problema d’un nuovo statuto concorsuale del credito civile: diviene il titolo totalmente inefficace, venendo meno gli effetti delle responsabilità personale e patrimoniale e della soluti retentio? Il venir meno della soluti retentio, e così la inefficacia di pagamenti post liquidationem, rende solvens e accipiens responsabili verso la massa? che ne è dei pagamenti precedenti alla liquidazione ma successivi allo stato d’insolvenza?


5. Postergazione. Subordinazione. Riduzione

Muoviamo da una mozione linguistica. Distingueremo tre parole.

Inefficiente, diremo qualsiasi credito per legge o per titolo insuscettibile di adempimento, siccome privo di soluti retentio[[28]]. L’inefficienza parrebbe sempre rilevabile d’ufficio; dacché:

o il ciclo nucleare della fattispecie non risulta perfetto e il titolo non è suscettibile di suffragare la condanna[[29]];

o il ciclo è perfetto ma gli effetti inapplicabili, sicché l’adempimento risulta esternamente irrilevante e irripetibile[[30]]. Anche intuitivamente: il giudice condannerebbe a un pagamento da restituire.

Postergato è il credito inefficace fino alla soddisfazione di tutti gli antergati; preferiti per legge o per titolo (v. ora art. 221 lett. d, CCII). Il credito postergato è privo di soluti retentio. La postergazione è dunque rilevabile d’ufficio; l’eventuale pagamento spontaneo soggetto a condictio, per la stessa ragione del credito inefficiente: inconcepibilità della condanna a un pagamento ripetibile.

Subordinato, parrebbe preferibile da riferire al credito la cui esigibilità è condizionata alla esazione pagamento o escussione di altro credito[[31]]; che diremo sovraordinato. La subordinazione esprimerà allora una figura della riduzione in senso tecnico: sicché si dimostra non rilevabile d’ufficio perché il titolo risulta efficiente ed efficace per l’adempimento; e il correlativo pagamento, irripetibile[[32]].

La categoria della riduzione unifica il regime dei crediti inesigibili: si diranno «ridotti» i debiti rimessi all’eccezione di inesigibilità del debitore e suscettibili di adempimento spontaneo. Tutte le cause di inesigibilità, legali o volontarie (termine; condizione sospensiva, compensazione legale, prescrizione, pacta de non petendo o de non exequendo, e così altre), condividono il medesimo statuto: exceptio in senso stretto, con cui il creditore oppone in giudizio la facoltà di non adempiere o di precludere l’esecuzione forzata; soluti retentio, nel caso in cui il debitore scegliesse di adempiere. Se il debitore convenuto per l’adempimento o il risarcimento non eccepisse, si farebbe comunque luogo a condanna o a esecuzione[[33]].

Nelle pagine che seguono useremo il lemma riduzione per esprimere la inapplicabilità della responsabilità personale (1218 c.c.) o patrimoniale (2740 c.c.). Il debitore, convenuto per la condanna o per l’esecuzione può eccepire la riduzione e paralizzare le azioni.


6. Pagamenti preferenziali?

L’insolvenza rende liquidabile il patrimonio, per il debitore così civile come commerciale. La summa divisio sembra derivare proprio dalla vicenda della soluti retentio: debbono considerarsi inefficaci tutti i pagamenti: successivi all’apertura del concorso (art. 144 CCII[[34]]); come pure revocabili, ossia inopponibili ai creditori concorsuali (art. 164 ss. CCII[[35]]), quelli precedenti.

Che debitore e creditore risultino legittimati dall’art. 268 CCII, implica in caso insolvenza un obbligo protettivo di domandare la liquidazione o altra procedura di sovraindebitamento? Il quesito appare mal posto. Rileva, non declinare in modo deontico, ossia mutare la mera legittimazione in dovere; ma capire se il debitore sia chiamato a evitare un danno alla massa, in ragione della propria insolvenza dinamica.

Si apre il delicato problema della consapevolezza diligente, specie dell’accipiens. Problema, che mostra due lati: l’uno empirico economico, che diamo qui come risolto; l’altro giuridico, circa la imputabilità alle parti di atti dannosi per la massa, in quanto negligentemente compiuti in stato di insolvenza.

Delle due l’una: o l’insolvenza concorsuale appare stato economico-finanziario troppo complesso da valutare per le singole parti del rapporto, e allora dovremmo pensare che essa si sottrae al giudizio di diligenza; oppure l’insolvenza è conoscibile secondo una misura di diligenza, e allora essa potrà in thesi implicare obblighi di protezione e conseguente responsabilità.

In tale ultima ipotesi, i pagamenti negligentemente compiuti in stato d’insolvenza parrebbero guadagnare la qualità di illecito preferenziale a danno della massa[[36]].

Potremmo dire di atti vietati, siccome pregiudizievoli verso la platea dei creditori. La fattispecie della nuova insolvenza (art. 144; 164; 268 CCII) sembra condurre alla inefficacia totale del credito. Declinabile come inopponibilità alla massa, essa pone il problema del danno evitabile e della correlativa diligenza dei solvens e accipiens.

Ammettendo tale nuova diligenza concorsuale, risulterebbe preferenziale il pagamento verso un creditore, postergato o concorsuale, tale da consumare in tutto o in parte il patrimonio e rendere impossibile la soddisfazione di altro creditore titolato. Il pagamento preferenziale dovrebbe considerarsi illecito: suscettibile di danno risarcibile alla massa.

Sotto questa luce, emerge (specie in giurisprudenza) una certa promiscuità concettuale, con riguardo proprio alla riduzione (inesigibilità) dei crediti in stato d’insolvenza o d’incapienza.

A costo di una breve digressione, viene in rilievo l’art. 2467 c.c., a tenore del quale «il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori». Quale che sia la fattispecie della postergazione, prevista in modo vago dal secondo comma[[37]], qui interessa definire l’effetto postergativo: il pagamento del debito postergato si dimostra efficace o inefficace?

Risponde l’art. 164, comma 2, CCII a tenore del quale «sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell'anno anteriore. Si applica l’articolo 2467 secondo comma, codice civile». L’art. 383, comma 1, CCII, ha soppresso nell’art. 2467 c.c. le parole «e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito». Ne scende il seguente regime.

Nel caso di insolvenza concorsuale, il pagamento risulterà postergato in senso stretto, ossia inefficace per la massa se compiuto nell’anno che precede la domanda di liquidazione. Postergato significa che la soluti retentio è preclusa; il titolo appare inefficiente, poiché dalla domanda di liquidazione si rende ex lege inapplicabile l’effetto della soluti retentio.

In caso di finanziamento c.d. «anomalo»[[38]] senza insolvenza liquidatoria, il debito di restituzione sfugge all’azione revocatoria (o come voglia dirsi la dichiarazione di inefficacia verso la massa), sicché esso appare non postergato ma subordinato; e l’eventuale restituzione non parrebbe in sé ripetibile. Da ragionare semmai l’eventuale azione risarcitoria per danno ai creditori sovraordinati[[39]]. Sul versante della responsabilità del solvens e dell’accipiens, il rimborso parrebbe potersi scrutinare come atto di mala gestio, con concorso dell’accipiens sciens.

Da ragionare anche il singolare dies a quo della revocabilità: non già la sentenza liquidatoria, ma la domanda di liquidazione. Onde – se non sbaglio – s’introduce una rilevante presa di posizione del solvens dinanzi al creditore/socio finanziatore, che pretenda la restituzione: pagare o – dato il presumibile e conoscibile stato di insolvenza – rifiutare; appunto in ragione della domanda la liquidazione. La cui legittimazione – si rifletta – l’art. 268 CCII (per il debitore civile) conferisce a entrambe le parti, creditrice e debitrice. Criterio d’imputazione della fattispecie di pagamento colposo appare sempre il medesimo: la diligente evitabilità del pregiudizio alla società e alla massa, da declinare secondo le varie e diverse circostanze.

Al postutto possiamo ordinare i pagamenti preferenziali in due specie.

I pagamenti di crediti insuscettibili di soluti retentio e ripetibili. Mercè revocatoria se precedenti; mercè dichiarazione d’inefficacia, se successivi alla (domanda di) liquidazione.

I pagamenti di rimborsi subordinati, che risultino pregiudizievoli ai creditori e alla società, a prescindere dalla successiva insolvenza. Questa seconda specie eccede la nostra economia e possiamo sorvolarne in questa sede l’analisi.

Interessante il pagamento preferenziale di crediti, inefficaci verso la massa. Inedite al diritto civile, sembrano emergere due ipotesi di pagamento illecito.

Il pagamento successivo all’insolvenza (art. 144 CCII).

Il pagamento - sciente creditore - di debiti scaduti nei sei mesi precedenti la domanda di liquidazione (art. 164, comma 2, CCII)[[40]].

La revocatoria concorsuale parrebbe non esaurire gli effetti risarcitorî. Ove sia dimostrato un danno ulteriore, le parti della solutio preferenziale potrebbero in thesi essere chiamate a tale ulteriore ristoro; secondo il principio della diligente evitabilità del pregiudizio.

La diligenza discende da ciò: che, conclamata e conosciuta l’insolvenza dinamica, il pagamento sarebbe per definizione inopponibile alla massa; tali essendo tutti quelli, non solo successivi, ma anche (fino a sei mesi) anteriori al deposito della domanda di liquidazione giudiziale. Si ragiona qui sulla diligenza del bonus solvens e bonus accipiens: che l’ermeneutica delle circostanze restituirà, con un giudizio controfattuale assimilabile all’universale valutazione della colpa.


7. Esdebitazione e riduzione

Emerge una singolare disparità degli effetti dell’insolvenza sui rapporti esdebitabili rispetto a quelli non esdebitabili. Introdotto nel 2005 per il fallito persona fisica ed esteso al debitore civile nel 2012, l’istituto dell’esdebitazione diviene disciplina generale delle procedure concorsuali liquidatorie, attraverso gli art. 278 ss. CCII

A tenore dell’art. 278, comma primo, CCII, l’esdebitazione «consiste nella liberazione dai debiti e comporta la inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata»[[41]].

Possiamo nella nostra economia sorvolare sulla disciplina dei presupposti (c.d. meritevolezza) dell’esdebitazione. Ci concentriamo sugli effetti: riduzione o estinzione?

Secondo una recente e scrupolosa ricostruzione, a dispetto del tenore letterale l’esdebitazione integrerebbe una «causa estintiva dell’obbligazione, che cessa di sussistere così nel suo Zwangselement (potere di attingere coattivamente l’utilità), come nel suo Sollenselement (dovere di prestare), poiché il titolo attributivo dell’utilità economica rappresentato dal credito pare ridefinito dall’esito della procedura concorsuale, seppur con efficacia relativa al solo debitore esdebitato»[[42]].

Si tratta di crediti pecuniarî, i quali per consolidato insegnamento sarebbero insensibili all’impossibilità sopravvenuta (genus nunquam perit); come pure eternamente garantiti dai «beni futuri» dell’art. 2740 c.c.

La tesi della estinzione si svolge in questi passaggi.

In primo luogo, la separazione dei patrimonî responsabili. I creditori con titolo successivo all’esdebitazione non possono aggredire i beni destinati alla soddisfazione dei creditori concorsuali[[43]].

La sentenza di liquidazione (giudiziale) apre il concorso; e rende radicalmente inopponibili i pagamenti ai creditori concorsuali (art. 144 CCII). Norma di ordine pubblico, che implica l’inefficacia del pagamento e l’obbligazione restitutoria dell’accipiens a favore della «procedura». Tale, da estendersi – anche in difetto di espresso richiamo normativo – alla liquidazione controllata dell’insolvente civile[[44]].

L’insolvenza è titolo di concorso; e, per questa via, di inopponibilità generale (alla collettività dei concorrenti) di ogni pagamento successivo. Tutti gli atti sono vòlti all’accertamento degli stati attivo e passivo; e ai conseguenti riparti. Da individuale, l’adempimento si fa collettivo e controllato. Donde la c.d. «falcidia»; ossia la rideterminazione delle prestazioni in misura coerente con il patrimonio suscettibile di essere distribuito[[45]].

Secondo un principio di adaequatio rei et obligationis. Ove non sono le cose presenti e future ad essere attratte nella responsabilità patrimoniale secondo la misura del credito; ma è la misura del credito ad essere conformata a quella del patrimonio disponibile[[46]].

La chiusura della liquidazione giudiziale fa cessare tale inopponibilità: ciascun creditore riacquista il libero esercizio delle azioni esecutive individuali, per la parte di credito rimasta insoddisfatta nel riparto dell’attivo patrimoniale (art. 120, comma 2, l. fall. e 236 CCII). Cessata la proceduta, il patrimonio torna nella originaria responsabilità individuale, e le azioni non sono più accentrate all’organo liquidatorio; e ogni creditore riprende ad agire singolarmente e isolatamente per espropriare i beni (art. 236, n. 3. CCII), compresi i crediti, se e quando entrino nel patrimonio responsabile (art. 2740 c.c.).

«Salvo – qui è il punto – quanto previsto dagli articoli 278 e seguenti»[[47]]: sicché al creditore dell’esdebitato sembrano definitivamente sottratte le azioni esecutive individuali.

Donde il problema sistematico. Ammettendosi – secondo il tenore letterale dell’art. 278 CCII – soluti retentio per il pagamento spontaneo integrale verso uno qualsiasi dei creditori, si vulnererebbe «l’ordine pubblico del concorso»[[48]]. La soluti retentio del pagamento spontaneo risulterebbe «doppiamente pregiudizievole alle ragioni dei creditori: se si guarda al passato, di quelli concorsuali, ai quali è stata imposta una falcidia del credito che si giustifica(va) solo per l’insufficienza del patrimonio per la soddisfazione di tutti; se si guarda al futuro, dei creditori posteriori, che per le esigenze del concorso si vedono opposta una limitazione della garanzia patrimoniale ai soli beni entrati a far parte del patrimonio del debitore successivamente all’esdebitazione» [[49]].

Il discorso merita un approfondimento, impossibile nella nostra economia. Qui possiamo soltanto ragionare intorno all’effetto riduttivo.


8. Segue. Falcidia e riduzione

Sembra utile distinguere tra titoli ridotti, i quali esibiscano soluti retentio. E titoli inefficienti, siccome insuscettibili di soluti retentio. Per questi ultimi, il pagamento risulterebbe irrilevante e ripetibile.

L’effetto costante del titolo ridotto sta nella soluti retentio; effetto che, consegnando al debitore la scelta di adempiere o non adempiere, spiega il ius excipiendi e la irripetibilità della solutio: la responsabilità è inapplicabile; la soluti retentio, applicabile.

Come vedemmo, l’insolvenza dinamica ferma il patrimonio nella sua dimensione concorsuale, destinandolo alla ripartizione verso la massa, secondo l’ordine delle prelazioni. L’apertura di qualsiasi concorso rende inopponibili alla massa pagamenti successivi ed esecuzioni individuali. Per i primi, verrà meno la soluti retentio e si farà luogo a ripetizione verso la massa; per le seconde, viene meno l’effetto esecutivo individuale. Il patrimonio appare non più eternamente e individualmente aggredibile, ma liquidabile in linea collettiva.

Qui sembra distinguersi tra provvisorietà e definitività.

Provvisorio appare l’ordine concorsuale della liquidazione giudiziale; la quale, compiuta la ripartizione dell’attivo e scaduto il termine legale, perde gli effetti – diremo – segregativi. Alla fine della procedura, il patrimonio torna nel regime civilistico e soggiace alle azioni individuali (art. 236, comma 3, CCII)[[50]]. La chiusura della liquidazione giudiziale fa cessare l’inefficacia dei pagamenti e delle esecuzioni, con il conseguente ritorno in pienezza della responsabilità patrimoniale individuale.

Definitivo appare l’ordine concorsuale delle falcidie negoziali (concordati; piani di ristrutturazione)[[51]]; e dell’esdebitazione. Qui il patrimonio (c.d. attivo) appare eternamente segregato e destinato alla cerchia dei creditori falcidiati[[52]].

I creditori dei concordati e dell’esdebitazione si divideranno per sempre in due classi: quelli attinti dalla falcidia; gli altri. I primi, ai quali è destinato l’attivo fissato nei titoli opponibili (piano di ristrutturazione; concordato; esdebitazione); gli altri, creditori individuali del patrimonio ulteriore e futuro, secondo la disciplina civile[[53]].

Che ne è dei crediti esdebitati o falcidiati negozialmente, per la misura esdebitata o falcidiata? Parrebbe darsi sul piano logico incompatibilità tra riduzione del credito e segregazione eterna del patrimonio concorsuale. Ammettendo la mera riduzione dei pagamenti, il debito risulterebbe pagabile spontaneamente; ma non più staggibile[[54]], non potendosi qui applicare il ritorno alla responsabilità individuale, previsto dall’art. 236 CCII, terzo comma[[55]], per la liquidazione giudiziale.

Si farebbe luogo a un regime binario.

Inefficacia temporanea dei pagamenti nella liquidazione giudiziale (art. 144 c.c.i.i); con ritorno alla responsabilità patrimoniale piena e alle conseguenti azioni esecutive individuali alla fine della liquidazione (art. 236, n. 3. CCII).

Riduzione definitiva dei debiti ristrutturati, concordati o esdebitati, per la parte eccedente. Non si avrà mai, per tale classe di crediti e per il relativo patrimonio segregato, il ritorno alla responsabilità individuale.

Appare possibile ipotizzare una relazione logica tra patrimonio futuro e azione individuale, in modo che questa si spieghi con quello. Le azioni individuali della esecuzione civile si coniugano con la permanente e universale aggredibilità di beni futuri, sine die. Dal lato patrimoniale parrebbe darsi questa alternativa: o segregazione concorsuale alla quale segue la radicale inefficacia verso la massa di ogni pagamento individuale; o responsabilità patrimoniale universale (2740 c.c.) con ripristino delle azioni individuali.  Per questa via, tutte le volte che la legge preveda patrimoni chiusi, concorsualmente destinati a comunità finite di creditori, emergerà il problema dell’eccedenza rispetto alla misura della falcidia.

La letteratura solleva la questione dell’ordine pubblico concorsuale e della libertà del debitore di soddisfare chi vuole. È parso secondo questa logica doversi negare effetto riduttivo dei crediti per l’eccedenza in ogni fattispecie senza ritorno in bonis[[56]], ossia senza limite cronologico alla segregazione concorsuale.

O riapre indistintamente il patrimonio, riespandendosi verso ogni creditore la responsabilità futura sine die e le corrispondenti azioni esecutive individuali; o rimane entro la comunità dei concorrenti l’indisponibile ordine della falcidia[[57]], con conseguente estinzione dei crediti falcidiati e ripetibilità degli eventuali pagamenti.

E dunque estinzione o riduzione dell’eccedenza?

Per la prima milita l’ordine pubblico del concorso, ragionato nella dimensione chiusa del patrimonio responsabile. La misura del patrimonio segregato non cambia più: esso è per sempre destinato alla classe di creditori falcidiati, i quali sono e restano garantiti solo da quell’attivo. Tutte le forme di falcidia concordataria o esdebitativa risponderebbero alla medesima logica: di ordinare la soddisfazione dei crediti secondo il criterio della massa e in proporzione al plesso delle risorse disponibili, valutate e definite in un punto del tempo.

Per la seconda milita l’ordine privato del rapporto individuale, il quale sopravviverebbe nella misura dell’eccedenza come obbligazione naturale, rimessa alla libera scelta del debitore[[58]]. Sotto questa luce, il creditore svantaggiato non avrebbe di che dolersi, poiché ha già ricevuto il suo secondo la distribuzione concorsuale. Effetto draconiano ed eccessivo lo estinguersi del credito eccedente; sembrando più «ragionevole» preservare piuttosto che precludere la possibilità di ulteriore soddisfazione.

Il dilemma è difficile.

Parrebbe senz’altro da escludere una obbligazione naturale tout court, indifferente al regime della massa e del concorso.

Nella logica di massa, la disponibilità di nuove risorse esigerebbe semmai la riapertura del concorso, con ulteriore ordinata ripartizione. Il tenore dell’art. 237, comma 1, CCII sembra invece sottrarre l’esdebitazione al regime della riapertura; come pure non pare prevista riapertura per la liquidazione controllata né per altre forme concorsuali.

La incompatibilità tra riapertura ed esdebitazione farebbe pensare a una (problematica) irrilevanza della dimensione concorsuale per la parte esdebitata o falcidiata. A dispetto della permanente segregazione patrimoniale, le nuove risorse sarebbero sottratte alla massa e rifluirebbero nella individuale libertà del debitore.

L’unica alternativa a una eterna estinzione o riduzione sembrerebbe allora il ricorso alla disciplina revocatoria.

Al postutto, anche ad ammettere la riduzione dei crediti per l’eccedenza dalla falcidia, il pagamento andrebbe soggetto a inefficacia revocatoria.

Revocatorie concorsuali, si direbbe; poiché la segregazione eterna del patrimonio esdebitato o concordato suggerirebbe di misurare la eventuale dannosità del pagamento preferenziale rispetto alla relativa massa. I creditori sono ormai e per sempre riuniti in comunità di perdita (Verlustgemeinschaft)[[59]] intorno al patrimonio dell’esdebitazione o a quello dei concordati; e non potranno mai più tornare alle azioni individuali e alla responsabilità indistinta e universale dell’art. 2740 c.c. I nuovi creditori saranno garantiti da nuovi beni senza poter toccare quelli degli esdebitati.

Donde la razionalità sistematica delle revocatorie concorsuali. Esse graduerebbero l’ordine dell’inefficacia rispetto alla massa, preservando la solutio che si dimostri non pregiudizievole (ad esempio, per capienza).

Con l’ulteriore problema dell’applicabilità (analogica?) delle revocatorie previste dall’art. 164 CCII[[60]]; e della disciplina concretamente applicabile: ogni creditore eserciterebbe la revocatoria anche nell’interesse degli altri? e come procedere alla ripetizione e alla successiva distribuzione?


NOTE:

[1] V. ora F. ADDIS, Il «mutamento» nelle condizioni patrimoniali dei contraenti, Milano, 2013, 17; 77 ss. (e nt. 111 per preziosi riff.), il quale distingue insolvenza civile e mutamento delle condizioni patrimoniali. La prima, conclamata e immutabile; la seconda mutabile, esibendo essa la probabilità che il debitore divenga in futuro capiente.

[2] V. ora nel senso del testo A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, spec. 82-83. 

[3] Per tutti v. ora V. CONFORTINI, Primato del credito, Napoli, 2020,  99.

[4] Art. 2, lett. b, CCII, nel testo recato dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n.14.

[5] Felice formula di V. CONFORTINI, Primato del credito, cit., 101.

[6] Novellato dal d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147.

[7] Come ben segnala L. Nivarra, Sovraindebitamento e responsabilità patrimoniale, in Eur. dir. priv., 2020, 2, 320 ss.

[8] Ai sensi dell’art. 1, il codice della crisi si applica a tutti i debitori, che chiameremo per semplicità civili (con la vistosa eccezione del debitore pubblico: Stato, Regioni, Comuni, Enti: problema classificatorio ancora aperto). V. ora A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 61-62; 72 ss. 

[9] Nel senso di insolvenza dinamica, rilevante non per il singolo rapporto ma per la massa. Così – se mal non intendo – A. NIGRO – D. VATTERMOLI , Diritto della crisi delle imprese, cit., 83. 

[10] D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939; rist. an. Napoli, 2017, 107 ss. 

[11] E senza entrare nella tecnica giuseconomica di tale accertamento. Che qui si intende dato. 

[12] La par condicio creditorum è considerata da A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 48, principio generale del diritto delle obbligazioni, consacrato nell’art. 2741 c.c. Che trova la «sola reale concretizzazione» nelle procedure concorsuali, «in ragione della loro stessa struttura, appunto, concorsuale». 

[13] L’art. 12 comma 1 CCII prevede per il debitore commerciale una ulteriore fattispecie di pericolo: «condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza». Parrebbe un rischio di secondo grado: il pericolo del pericolo dell’insolvenza. Si tratta di norma regolare, estensibile (per analogia) a ogni insolvenza concorsuale, anche civile?

[14] Debitore, organi e autorità amministrative che hanno funzioni di vigilanza sull’impresa, uno o più creditori o pubblico ministero: art. 37, n. 2, CCII

[15] Si dice «ridotto» il rapporto suscettibile di adempimento e insuscettibile di inadempimento. Così rimesso alla volontà del creditore, al quale – chiamato in giudizio per la condanna – è riconosciuta l’eccezione di inesigibilità. Da ultimo volendo v. il mio Riduzione. Diritto senza forza, in corso di pubblicazione. Come pure La categoria dell’obbligazione ridotta, in Giust. civ., 2019, 447 ss. 

[16] Qui a ben vedere sembra frustrarsi l’interesse positivo alla prestazione. Parrebbe infatti doversi assimilare all’inadempimento il pagamento preferenziale in luogo del concorso, per la porzione di prestazione che il creditore concorsuale pretermesso esige nel riparto. V. ora le riflessioni di S. D’ORSI, Il regime dei finanziamenti anomali e sospetti nel vigore del codice della crisi, in Ann. giur. ec., 2023, 1-2-, 370 ss.; 375-376, per il quale l’insolvenza implica diligente necessità di domandare la liquidazione.

[17] sarà da approfondire in altro studio il profilo tecnico e gli effetti sull’obbligazione delle misure concorsuali minori (dai piano di ristrutturazione al concordato minore). V. sul punto con chiarezza A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 45 ss.; 609 ss.

[18] È il caso di Cass. 15 gennaio 2020, n. 521, in Fall., 2020, 329; Cass., 12 giugno 2020, n. 11304, in Soc., 2021, 523; Trib. Firenze, 7 settembre 1995, in Giur. comm., 1996, II, 562; Trib. Genova, 2 aprile 2013, in Soc., 2014, 301; Trib. Milano, 6 agosto 2014, in Giur. it., 2015, c. 393; Trib. Milano, 15 giugno 2015, in Giur. comm., 2018, II, 536; Trib. Milano, 2 gennaio 2019, in foroplus it., secondo le quali alla liquidazione volontaria si applicherebbero le norme del concorso e della par condicio, prima e a prescindere dalla dichiarazione giudiziale d’insolvenze e dal formale avvio della procedura. 

V. le notazioni di S. D’ORSI, Il regime dei finanziamenti anomali, cit.,  371 ss., il quale esclude che il pagamento a favore di un creditore subordinato o postergato possa in sé considerarsi inesigibile o illecito. Potrebbe al più configurarsi un illecito complesso o a formazione progressiva, attraverso l’obbligo (di protezione?) di tempestivamente domandare l’apertura del concorso.  Donde il conseguente problema della legittimazione del debitore (e del creditore) alla domanda di liquidazione.  

[19] In questo senso v. ora A. NIGRO – D. VATTERMOLI , Diritto della crisi delle imprese, cit., p 643.

[20] Contra A. NIGRO – D. VATTERMOLI , Diritto della crisi delle imprese, cit., 645, i quali reputano qui esegeticamente decisivo l’omesso rinvio alle disposizioni che regolano la revocatoria concorsuale. 

Il punto appare dubbio. La revocatoria concorsuale sembra trarre la propria ragion d’essere dall’ordine pubblico del concorso: il quale attraversa entrambe le liquidazioni, giudiziaria e controllata. Non risulta dunque così peregrina l’idea di una applicazione analogica di tutte le norme di ordine pubblico del concorso. Su questa linea, gli stessi autori propendono (643) per l’applicazione del (parimente) non richiamato art. 144 CCII, sulla inefficacia dei pagamenti successivi all’apertura della procedura, in ragione della comune natura concorsuale.

Da rammentare che l’art. 2901, comma 5, c.c. esclude dalla revocatoria ordinaria il pagamento di debiti scaduti. 

[21] Da leggere le acuminate pagine di P. SCHLESINGER, L’eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, in Riv. dir. proc., 1995, pp. 319 ss., spec. 327: «parrebbe – [dal regime delle azioni individuali; dalla inefficacia e revocabilità dei pagamenti pre e post fallimentari: ndr] - di poterne derivare una regola per cui il debitore fallibile ed insolvente deve evitare di eseguire pagamenti e lo stesso creditore ha l’onere di rifiutare gli adempimenti che siano offerti in violazione della par condicio» (enfasi orig.). Allora liquidabile era solo l’imprenditore; oggi, ogni debitore. 

[22] La distinzione tra efficacia ed efficienza è penetrata nella teoria generale, e si risolve in ciò: che la seconda ha carattere astratto, e riguarda la interna (al congegno normativo) connessione tra fattispecie e conseguenze giuridiche; la prima ha carattere concreto, e riguarda lo storico applicarsi della fattispecie al fatto storico. 

Donde la critica alla deviante e comune formula di fatto efficace, che immette nel circuito normativo la spuria idea di una produzione eziologica: il fatto concreto produce effetti nel proprio ordine (che è la natura o la storia); ma, per definizione, è inidoneo a produrre effetti nell’ordine giuridico (N. IRTI, Rilevanza giuridica, in Jus, 1967, 55 ss.; ora in Norme e fatti, Milano 1984 (donde le cit.), 60-61.). V. R. SCOGNAMIGLIO, Fatto giuridico e fattispecie complessa (Considerazioni critiche intorno alla dinamica del diritto), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 352; A. FALZEA, voce Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 482-483; ID., La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, 27 (ove si legge di «efficacia potenziale»). 

Sotto questa luce è pure enucleato il c.d. principio di giuridicità funzionale del fatto (segnatamente da A. PAGLIARO, Il fatto di reato, Palermo, 1955, 51, 55, 61. V. S. PUGLIATTI, La trascrizione, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1957, 406, nt. 22 («fatto come antecedente dell’effetto»); altri riff. in Irti, Rilevanza giuridica, cit., 12-13, ntt. 39 ss. 

L’efficienza appare nota intrinseca, ed esprime il giudizio sull’ astratta idoneità del fatto a determinare gli effetti previsti; l’efficacia è invece una nota estrinseca, ed attiene al giudizio sulla concreta applicazione degli effetti previsti (ancorché efficiente, il fatto potrebbe essere concretamente inefficace: ad esempio, un negozio sospensivamente condizionato). Per ulteriori spunti v. ora il mio Introduzione alla logica giuridica, Bologna, 2021, § 15; ID. Riduzione, cit., § 26. 

[23] Supra, § prec. 

[24] Fermi gli interventi nell’esecuzione esecutiva, ai sensi dell’art. 499 c.p.c. Si discute se l’esecuzione sul bene o sul pagamento revocato (per solito nelle forme della e. presso terzi, ossia la banca destinataria del pagamento) ammetta l’intervento di creditori non revocanti. 

[25] Intesa come suscettibilità alle azioni esecutive. 

[26] V. A. DI MAJO, Responsabilità e patrimonio, cit., passim e ID., Obbligazioni e tutele, cit., 122 ss.; L. MODICA, Profili giuridici del sovraindebitamento, cit., 43 ss. Parrebbe tenere fermo il principio di indifferenza G. D’AMICO, Esdebitazione e concorso Esdebitazione e concorso dei creditori nella disciplina del sovraindebitamento, in ID., Sovraindebitamento e rapporto obbligatorio, Torino, 2018, 42, il quale afferma come «quell’incapienza [patrimoniale] (in ipotesi sopravvenuta, e non esistente ab origine), come non incide sul sorgere dell’obbligazione, così non rileva neanche sulla sua permanenza in vita». V. sul punto lo attento ragionare di V. CONFORTINI, Primato del credito, cit., 98-101, e nt 182. 

[27] Al netto della norma sugli effetti puntuali delle c.d. condizioni patrimoniali della parte o del contraente (si pensi all’art. 1461 c.c.) V. ora per tutti F. ADDIS, Il «mutamento» nelle condizioni patrimoniali dei contraenti, cit., spec. 14 ss., 203 ss. 

[28] Supra, § 28; 43. 

[29] Logica, tributaria degli studî falzeiani sui c.d. cicli formativi della fattispecie. Il ciclo della validità si svolge negli elementi interni siccome essenziali; il ciclo della efficacia, nei co-elementi esterni e ulteriori, non necessarî alla validità. 

A. FALZEA, La condizione e gli elementi essenziali, Milano, 1941, 18: «Nella considerazione dell’attività umana, il legislatore, per quanto cerchi di essere previdente nella disciplina e nel regolamento degli interessi che l’attività incide, e per quanto in conseguenza si sforzi di dettagliare e circostanziare in forma sempre più precisa le modalità dell’atto, non può tuttavia proporsi una enumerazione infinita di elementi cosa né praticamente né concettualmente possibile e deve quindi venire, presto o tardi, al punto in cui la enumerazione si esaurisca e si formi il numero chiuso degli elementi e dei relativi piani di interesse. Qui cade la linea del nomen iuris come sintesi degli essentialia negotii».

Donde la nota quadripartizione: causa/concausa; effetto/coeffetto.

Causa ed effetto sono gli essentialia, necessari per la perfezione ed esistenza del nomen iuris, quali «fonti di qualificazione soggettiva e oggettiva dell’effetto» (20: quelle che noi denominiamo fattispecie indipendente e dipendente, componenti essenziali di ogni norma).

Concausa e coeffetto, i naturalia, che si aggiungono secondo le circostanze, non per la perfezione ma per la efficacia.

Ne vengono due categorie di elementi: «gli elementi essenziali o principali (cause della efficacia), e gli elementi inessenziali o marginali (concause di efficacia)» (26).

[30] Supra, § 28. 

[31] In senso (parzialmente) difforme da leggere ora S. D’ORSI, Il regime dei finanziamenti postergati. Tra esigibilità del rimborso e statuto della garanzia patrimoniale, comm. Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, in Riv. dir. comm., 2021, 809 ss.; 823-825. 

[32] Tale vocabolario appare difforme da quello postulato in A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 302, in cui sono resi per sinonimi postergazione e subordinazione. 

[33] Debbo rinviare al mio La categoria dell’obbligazione ridotta, cit., 447 ss.; e da ultimo Riduzione. Diritto senza forza, Torino, 2024, in corso di pubblicazione. 

[34] Così mi pare in A. NIGRO – D. VATTERMOLI , Diritto della crisi delle imprese, cit., 643, a dispetto del silenzio legislativo; e in ragione della natura concorsuale della procedura. 

[35] Contra A. NIGRO – D. VATTERMOLI , Diritto della crisi delle imprese, cit., 645, stavolta piegandosi al silenzio della legge. Da dubitare: infra, § 8. 

[36] V. P. SCHLESINGER, L’eguale diritto dei creditori, cit., p. 327. 

[37] Secondo cui «ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento». Così volgarmente, il legislatore dei nostri giorni. 

[38] Supra, nt. prec. 

[39] Azione anche qui da distinguere per i piani individuale e di massa. Il pregiudizio parrebbe rilevare solo in tale seconda ipotesi, ove l’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto (art. 2467, comma 2, c.c.) degenerasse in insolvenza.  Non è questa la sede. 

[40] Sulla scia delle nuove fattispecie, da rimeditare parrebbe anche il pagamento ordinariamente revocabile (2901 c.c.). Esso trova presupposto nel consilium fraudis, e così nella prova della conoscenza del pregiudizio alle ragioni del creditore pretermesso. Da ragionare l’interesse sotteso: se la protezione del patrimonio sia implicata solo dall’interesse di massa; o sia estensibile a ogni frode individuale. Sospendo il giudizio, rinviando ad altro studio. 

[41] Le formule «liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata» sono state introdotte con d.lgs. 26 ottobre 2020 n. 147. 

[42] Si legge in V. CONFORTINI, Primato del credito, cit., 96; ove alle note 170 e 171, riff. circa i fautori rispettivamente dell’efficacia estintiva e riduttiva. Sembra prevalere la seconda, agevolata dal tenore letterale dell’art. 278 CCII, secondo il quale l’esdebitazione implica inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti. V. in particolare G. D’AMICO, Esdebitazione e concorso, cit., 45 ss.; 47, nt. 87; il quale soggiunge che il creditore perde azione, e tale «perdita» sarebbe perciò stesso rilevabile d’ufficio; salvo discutere sulla natura della sentenza: rigetto o inammissibilità. 

Sulla stessa linea parrebbe S. PAGLIANTINI, L’insolvenza del consumatore tra debito e responsabilità. Lineamenti sull’esdebitazione, ivi, 102 ss.; ID., Il sovraindebitamento del consumatore. Studio critico sull’esdebitazione, Torino, 2018, spec. 38 ss.; ID. L’esdebitazione tra normativa vigente e codice della crisi e dell’insolvenza, (d.lgs. n. 14 del 2019), in Nuove leggi civ. comm., 2019, 697-698. 

Due note. Come ragionato in altra sede (v. i miei Obbligazione senza azione, in Nuovo dir. civ., 2023, 4, spec. 21 ss.; Riduzione, cit., §§ 5, 42) l’azione è solo astratta e non può mai mancare, sicché non appare teoricamente ammissibile un difetto di azione che non si risolva in difetto sostanziale del titolo. Più radicalmente, il vero nodo problematico sembra altro: che fine fa la par condicio nei patrimonî perennemente segregati. Sicché da giustificare è non tanto la rilevabilità d’ufficio di tale (singolare) inesigibilità, quanto la soluti retentio dell’eventuale pagamento spontaneo. 

[43] Secondo la previsione dell’art. 277 CCII, ai sensi del quale «i creditori con causa o titolo posteriore al momento dell’esecuzione della pubblicità di cui all’art. 270, comma 2, lettera f) [sentenza di apertura della procedura di liquidazione controllata] non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto di liquidazione». Infra, nt. 53.

[44] V. ora A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 643.

[45] In ragione della nuova disciplina del sovraindebitamento, L. NIVARRA, Sovraindebitamento e responsabilità patrimoniale, cit., 316, bolla come «irricevibile la pretesa di separare l’obbligazione dalla responsabilità patrimoniale». 

La disciplina dell’insolvenza civile universale parrebbe confermare la centralità del patrimonio nella teoria generale del rapporto obbligatorio. Come ogni fattispecie, anche l’obbligazione esibisce una configurazione Se/Allora, in cui gli effetti – e segnatamente la responsabilità patrimoniale – non possono uscire dalla struttura ipotetica del vincolo. 

Contra, da ultimo, C. CASTRONOVO, Il diritto italiano delle obbligazioni da codice civile del 1942 ad oggi. Profili di una evoluzione, in Europa dir. priv., 3, 2021, spec. 602, il quale considera decisivo (se non ne tradisco il pensiero) il carattere soltanto eventuale della responsabilità patrimoniale. L’eventuale non può essere essenziale. Ed ora nettamente in L’obbligazione nel prisma della (nuova) responsabilità patrimoniale, in Europa dir. priv., 2022, 4, 715 ss., spec.731, ove con suggestione letteraria: «Si deve allora concludere che l’ordinamento ci presenta una doppia verità: l’obbligazione in sé e la stessa obbligazione nel prisma della responsabilità patrimoniale? Non c’è una doppia verità, perché la responsabilità patrimoniale, come già dicemmo, non è più l’obbligazione in sé, ma l’obbligazione per sé, l’obbligazione nella vicenda possibile ed eventuale innescata dall’inadempimento, vicenda nella quale l’obbligazione si è tramutata, come accade a un viaggiatore che, fuori dal suo luogo abituale, si ritrova in una dimensione che non è più quella di partenza, è alibi aliter, nell’altrove e altrimenti».

Ne dubiterei. Ogni struttura ipotetica si fonda sulla categoria della possibilità: essa è logicamente costituita da un «se»; appunto, una eventualità. 

Altro è l’eventualità empirica, ossia la possibilità storica che non si giunga mai all’inadempimento e alla concreta imputazione di una responsabilità; altro, l’eventualità logico-giuridica, che ha riguardo alla ipotesi in sé (fattispecie), non al fatto storico ipotizzato (caso). L’ipotesi è indefettibile. Non ci sono norme senza ipotesi. Non ci sono norme che non siano combinazione condizionale (Se/Allora) di ipotesi. Come ogni fattispecie, l’obbligazione si dimostra una struttura ipotetica. Che tiene come necessarî gli effetti (i quali sono altre fattispecie) della responsabilità. Giuridicamente inconcepibile ap­pare l’obbligazione senza (fattispecie di) responsabilità; segnatamente patrimoniale.

[46] È la acuminata tesi di M. ONORATO, Gli accordi concorsuali. Profili civilistici, Pisa, 2017, spec. 182. V. il motivato dissenso di V. CONFORTINI, Primato del credito, cit., 101. Infra § succ. 

[47] Art. 236, comma 3, CCII 

[48] V. CONFORTINI, Primato del credito, loc. cit.

[49] V. CONFORTINI, Primato del credito, loc. cit.

[50] A tenore del quale «con la chiusura cessano gli effetti della procedura di liquidazione giudiziale sul patrimonio del debitore e le conseguenti incapacità personali e decadono gli organi preposti alla procedura medesima.

3. I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, salvo quanto previsto dagli articoli 278 e seguenti».

[51] Sulle quali v. M. ONORATO, Gli accordi concorsuali, cit., passim, per sottile e acuta ricostruzione.  

[52] I creditori con titoli che precedono la domanda. Per il concordato preventivo v. l’art. 117, comma 1, primo periodo: «Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso». 

Per l’esdebitazione, dovrebbe valere l’art. dell’art. 277 CCII, ai sensi del quale «i creditori con causa o titolo posteriore al momento dell’esecuzione della pubblicità di cui all’art. 270, comma 2, lettera f, [sentenza di apertura della procedura di liquidazione controllata] non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto di liquidazione». 

In una con l’art. 278, comma 1: «l’esdebitazione comporta l’inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata»; e comma 2 «nei confronti dei creditori per fatto o causa anteriori che non hanno partecipato al concorso l’esdebitazione opera per la sola parte eccedente la percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado».

Sembra discenderne che: 

a. l’attivo della liquidazione è segregato per i creditori insinuati;

b. il patrimonio futuro è segregato per i creditori posteriori (art. 277, comma 1);

c. i creditori insinuati (in tutto o in parte) insoddisfatti e – in pari misura - quelli anteriori non insinuati subiscono la esdebitazione. Ossia, seguendo il tenore letterale dell’art. 278, comma 1, l’inesigibilità del credito. 

Sulla incerta estensione soggettiva della – diremo - «segregazione esdebitativa» v.  A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 657-658.

[53] Prescindiamo in questa sede dall’analisi tecnica delle singole norme di settore. 

[54] Com’è noto, la «falcidia – diremo – definitiva» (da concordati in senso lato e da esdebitazione) non tocca i garanti, che continuano a rispondere pienamente e individualmente. V. art. 117, comma 1, CCII per il concordato preventivo. Art. 278, comma 6, per l’esdebitazione. La salvezza delle garanzie è generalmente spiegata con l’effetto meramente riduttivo del concordato e dell’esdebitazione, i quali non estinguono ma rendono il debito soltanto inesigibile; e perciò suscettibile di spontaneo integrale pagamento. V. ora A. NIGRO –D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 455. Ma v. V. CONFORTINI, Primato del credito, cit., 99, nt. 178, che ammette la possibilità teorica di una irrilevanza relativa del titolo, sicché la responsabilità (personale e patrimoniale) potrebbe cessare per solo debitore principale e continuare per i garanti. 

[55] Secondo cui «Salvo che sia stata pronunciata l’esdebitazione nei casi preveduti dall’articolo 233, comma 1, lettere c, e d, il tribunale, entro cinque anni dal decreto di chiusura, su istanza del debitore o di qualunque creditore, può ordinare che la liquidazione giudiziale già chiusa sia riaperta, quando risulta che nel patrimonio del debitore esistono attività in misura tale da rendere utile il provvedimento».

[56] V. CONFORTINI, Primato del credito, cit., spec. 101, per la quale ogni proiezione concorsuale del patrimonio non tollera pagamenti individuali e «priva il debitore della libertà di scegliere quale creditore soddisfare». 

[57] Secondo V. CONFORTINI, Primato del credito, loc. cit., «ad essere oggetto di espropriazione (nei concordati espropriativi e nell’esdebitazione), a ben vedere, è proprio il valore del credito espresso dalla destinazione universale e perpetua del patrimonio (di una sua porzione ideale)». Sulle orme del solito F. CARNELUTTI, Espropriazione del creditore, in Riv. dir. comm., 1930, 676, n. 15: «il diritto di credito per la parte che non trova garanzia nei beni attuali del fallito, non può considerarsi come un non valore, perché è garantito dai beni futuri; è questo valore, grande o piccolo, di cui la espropriazione finisce per privare il creditore». 

[58] Evoca da ultimo tale categoria A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 657.

[59] V. CONFORTINI, Primato del credito, cit., 97.

[60] La liquidazione giudiziale rende inopponibili alla massa anche i pagamenti precedenti di debiti scaduti, secondo la revocatoria concorsuale (art. 164 ss. CCII). 

Risulterebbero gli artt. 144 e 164 CCII, secondo cui i pagamenti posteriori e anteriori (di sei mesi) sono inefficaci rispetto ai creditori, applicabili alla liquidazione controllata? oppure – omissa relatio – il codice della crisi tollera il pagamento spontaneo dei crediti civili, sottoposti a liquidazione controllata, in misura difforme dal piano di ripartizione dell’attivo? Si direbbe più razionale la prima.