La regolamentazione notarile dell’uso esclusivo su beni condominiali dopo la sentenza della Corte di
Cassazione a sezioni unite 17 dicembre 2020, n. 28972
Ringraziamenti
Ringrazio la Fondazione Italiana del Notariato e l’Università Luiss Guido Carli per avermi invitato a partecipare come relatore a questo prestigioso convegno di studi sul condominio. Un ringraziamento particolare rivolgo al professore Michele Tamponi nei cui confronti, da tempo, nutro sentimenti di ammirazione e gratitudine. L’ammirazione nasce – oltre che per le sue conclamate doti di giurista – per la sua profonda conoscenza della storia medioevale sarda, magistralmente trasfusa nella dotta biografia su Nino Visconti di Gallura[[1]], considerato uno tra i più eleganti saggi storici sull’epoca giudicale in Sardegna. La gratitudine, invece, è legata al fatto che quindici anni fa, in occasione di un importante convegno sul condominio negli edifici che segnò il mio “battesimo” in quella materia[[2]], il professor Tamponi fu generoso di elogi nei miei confronti e mi spronò a proseguire nell’attività di studio e di ricerca. Spero che oggi non si debba ricredere.
La clausola negoziale che attribuisce il diritto d’uso esclusivo (e perpetuo) su un bene comune ad una unità immobiliare di un edificio in condominio. Le finalità della clausola e le ragioni della sua ampia diffusione. La sentenza 17 dicembre 2020, n. 28972 delle sezioni unite della Corte di Cassazione e le sue ripercussioni sull’attività notarile
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso e sino alla fine del primo decennio di questo millennio[[3]], nell’ambito del condominio, ha avuto una grande diffusione la clausola negoziale – contenuta nel regolamento contrattuale[[4]] di condominio o nell’atto notarile da cui il condominio trae origine[[5]] – che attribuisce ad una delle unità immobiliari di un edificio condominiale un «diritto di uso esclusivo e perpetuo» su una porzione, spazialmente delimitata, di un determinato bene comune[[6]] e, specificatamente, di un’area scoperta destinata a parcheggio, cortile o giardino[[7]].
La suddetta previsione negoziale si prefigge di instaurare un rapporto di pertinenzialità tra l’unità immobiliare principale in proprietà esclusiva e la porzione di area scoperta attribuita in uso in modo che quest’ultimo sia trasferibile insieme al bene principale e sia opponibile ai titolari delle altre unità immobiliari in condominio e ai loro aventi causa.
Più in generale, la clausola persegue essenzialmente due finalità: da un lato di conformare la proprietà condominiale asservendo una o più porzioni di un bene comune a maggior vantaggio soltanto di una delle unità immobiliari dell’edificio in condominio arricchendola di una specifica utilità; dall’altro, di regolamentare la proprietà condominiale, al fine di evitare contestazioni e liti in merito alle modalità dell’uso della porzione del bene comune da parte del beneficiario e degli altri condomini[[8]].
Sono diverse le ragioni che hanno determinato l’affermarsi di tale prassi contrattuale[[9]]. Innanzi tutto, il fatto che l’attribuzione di una porzione di una determinata area scoperta comune in uso esclusivo, anziché in proprietà, consente di evitare il frazionamento dell’area e di conservare alla stessa la sua natura condominiale: il che, a sua volta, comporta – oltre ad indubbi vantaggi fiscali per il beneficiario in quanto tecnicamente l’area scoperta conserva la sua qualità di bene comune non censibile[[10]] e in quanto tale è sottratta all’imposizione tributaria[[11]] – la sua soggezione al relativo regime e, in particolare, che l’utilizzo da parte dell’usuario della porzione attribuitagli sia sottoposto al potere di controllo sia dell’assemblea sia dell’amministratore del condominio.
Occorre aggiungere che gli atti nei quali si rinviene la clausola in esame, di regola, non contengono una regolamentazione specifica di tale uso né una sua espressa qualificazione, ma si limitano a stabilire che una determinata unità immobiliare è trasferita «con l’uso esclusivo e perpetuo» di una porzione di area comune, di cui è indicata la destinazione (parcheggio, cortile, giardino) e che viene individuata (oltre che mediante una sintetica descrizione) tramite un apposito elaborato grafico[[12]] in cui detta porzione è specificatamente contornata[[13]].
In materia, però, come è arcinoto, sono intervenute le sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza 17 dicembre 2020, n. 28972, le quali hanno statuito che la pattuizione avente ad oggetto la creazione del c. d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di un bene condominiale, in quanto mira alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, è preclusa dai principi del numero chiuso e di tipicità dei diritti reali[[14]].
La pronuncia dell’organo di nomofilachia ha riacceso i riflettori su un istituto che la normativa in materia di cosiddetta conformità catastale[[15]] aveva relegato ad un impiego sempre più marginale e impone a noi notai, stante il gran numero di usi esclusivi previsti in passato, di dare loro una precisa qualificazione giuridica, in occasione della stipula di atti di trasferimento di unità immobiliari in proprietà esclusiva nei cui titoli di provenienza tali usi sono previsti, al fine di “conservarne”, per quanto possibile, l’operatività e, in ogni caso, di adottare le soluzioni contrattuali più consone alle peculiarità delle fattispecie concrete di volta in volta sottoposte al nostro esame.
D’altra parte, è indubbio che il valore economico delle unità immobiliari in condominio è accresciuto, e in misura non trascurabile, dall’esistenza di aree pertinenziali destinate a parcheggio, cortile o giardino, seppure in uso esclusivo e non in proprietà, e che i relativi titolari confidano di “monetizzare” anche la titolarità dell’uso di queste ultime in occasione del trasferimento delle loro proprietà esclusive; né, si può trascurare che il permanere della natura condominiale della porzione dell’area attribuita in uso esclusivo comporta per un verso la necessità di definire i limiti del suo godimento da parte dell’usuario e per l’altro di perimetrare le residue facoltà dominicali spettanti agli altri condomini al fine di evitare l’insorgere di contenziosi in un settore tra i più forieri di liti[[16]].
L’inderogabilità nel nostro ordinamento dei principi del numerus clausus e di tipicità dei diritti reali. L’inquadramento dell’uso esclusivo nell’ambito dell’istituto della servitù prediale
Prima di entrare nel cuore dell’argomento, è utile fissare alcuni punti prodromici che costituiscono la base delle riflessioni che svolgerò più avanti in merito alla qualificazione degli usi esclusivi costituiti in passato.
Il primo. La sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione sopra citata non può essere contestata nella parte in cui afferma l’inderogabilità nel nostro ordinamento dei principi del numerus clausus e di tipicità dei diritti reali[[17]].
Al riguardo, peraltro, è utile sottolineare che secondo una parte della letteratura giuridica la problematica relativa al numerus clausus «è diversa … da quella della tipicità, in quanto la prima attiene alla esclusività della fonte e la seconda alla determinazione del contenuto, cioè del “tipo” della situazione reale che il soggetto può prescegliere»[[18]]. «Numerus clausus e Typenzwang – prosegue l’autorevole dottrina citata – sono principi interdipendenti» e nel nostro ordinamento (e, più in generale, nei sistemi di civil law) la loro esistenza può essere desunta dalla «indicazione dei tipici schemi dei diritti reali … nonché dalla mancanza, nel settore, di una norma riferentesi all’autonomia dei privati, quale quella di cui all’art. 1322 c.c.»[[19]].
Secondo un altro filone di pensiero, invece, i due principi devono considerarsi in buona sostanza due facce della stessa medaglia e il loro fondamento va desunto dall’art. 1372 c.c., ossia dalla regola generale dell’efficacia relativa del contratto[[20]].
Fatte tali precisazioni, ciò che non è condivisibile della sentenza delle sezioni unite è l’affermazione secondo cui la clausola negoziale costitutiva di un uso esclusivo in ambito condominiale dà vita ad un diritto reale atipico[[21]].
Infatti, a ben vedere, l’effettiva natura di tale uso esclusivo va ricercata nell’ambito (del contenuto “libero”) della servitù prediale[[22]]. Più precisamente, l’uso esclusivo in esame è inquadrabile nello schema della servitù[[23]]: fondo dominante è l’unità immobiliare in proprietà esclusiva a favore della quale tale uso è attribuito e fondo servente è la porzione del bene condominiale (area scoperta destinata a parcheggio, cortile o giardino) che ne è gravato[[24]].
Le sezioni unite, invece, negano tale qualificazione, in quanto sostengono che l’utilità del proprietario del fondo dominante «non può mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente» perché ciò «determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso» e richiamano a sostegno del loro assunto due datate pronunce della giurisprudenza di legittimità, risalenti rispettivamente all’inizio degli anni Cinquanta e a metà degli anni Sessanta del secolo scorso[[25]].
La questione merita un approfondimento.
Invero, l’attribuzione dell’uso esclusivo di (una porzione specifica di) un bene condominiale al titolare di una delle unità immobiliari in proprietà individuale non impedisce agli altri condomini di continuare a godere delle ulteriori utilità che il bene comune è in grado di fornire loro.
Su questo punto, peraltro, occorre segnalare che una parte della dottrina, poiché la varietà delle fattispecie concrete è molto ampia, ritiene errato accomunare in un’unica categoria tutte le diverse ipotesi di uso esclusivo senza avere riguardo alla minore o maggiore specificità o ampiezza del godimento attribuito all’usuario[[26]]. In particolare, secondo tale opinione, soltanto nei casi in cui le utilità e le facoltà di godimento dell’usuario siano specifiche e limitate (come, per es., qualora l’area comune sia destinata esclusivamente a parcheggio) è certamente superabile l’obiezione delle sezioni unite – fondata sul difetto di specificità dell’utilitas fornita al fondo dominante – in ordine alla qualificazione dell’uso in esame come servitù prediale, mentre non lo sarebbe nelle altre ipotesi in cui il godimento attribuito all’usuario è più ampio (come, per es., laddove l’area in uso sia destinata a cortile o giardino).
In realtà, a mio giudizio, anche qualora le facoltà di godimento attribuite all’usuario siano molto estese (come nell’ipotesi dell’area scoperta comune destinata a giardino), gli altri condomini continuano a beneficiare di una serie di utilità loro fornite dal bene comune che smentiscono l’assunto delle sezioni unite secondo cui la loro (com)proprietà sarebbe ridotta a un «vuoto simulacro»[[27]].
In concreto, infatti, tali utilità consistono nel godimento della destinazione a verde dell’area e nella conseguente maggiore gradevolezza estetica e abitativa dell’intero edificio condominiale; nell’aria e luce e nella cosiddetta veduta in appiombo fornita alle proprietà esclusive che su quella porzione di giardino si affacciano. Né va dimenticato che l’essere l’area di proprietà comune comporta che tutti i contitolari possano beneficiare di eventuali utilizzi del sottosuolo (per es. per la realizzazione di parcheggi o per la posa di tubi) ovvero dello spazio sovrastante il suolo (per es. per il passaggio di cavi o altro). Inoltre, sull’usuario grava il vincolo di mantenere la destinazione a giardino dell’area (arg. ex art. 1102 c.c., se non espressamente derogato) e anch’esso costituisce un’indubbia utilità per gli altri condomini in quanto soddisfa l’interesse comune alla conservazione del decoro e dell’estetica dello stabile condominiale.
Non solo: se dopo aver esaminato il profilo del godimento si passa a considerare un altro tratto caratterizzante il contenuto della proprietà, vale a dire il potere di disposizione[[28]], non vi è dubbio che lo jus disponendi sui beni condominiali attribuiti in uso esclusivo spetti alla totalità dei condomini secondo le stesse e identiche regole che valgono per qualsiasi bene comune ex art. 1117 c.c.[[29]]
Infine non va trascurata la circostanza che la totalità dei condomini ha sul bene condominiale un’ulteriore facoltà – considerata dalla dottrina un’espressione tipica del profilo dinamico delle situazioni soggettive in generale[[30]] – costituita dal potere di controllo, che, nel caso di specie, si esplica rispetto all’utilizzazione del bene comune da parte del condomino al quale ne sia stato attribuito l’uso esclusivo. Costui infatti deve servirsi di tale bene in modo conforme alla sua destinazione ed evitare sia di recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato sia di alterarne il decoro architettonico (cfr. art. 1117-ter, ultimo comma, e 1117-quater c.c.).
Tutto ciò dimostra con solare evidenza che l’attribuzione dell’uso in esame non determina lo svuotamento del diritto di comproprietà degli altri condomini e, in definitiva, che non esiste una vera e propria esclusività dell’uso[[31]].
In conclusione, se è senz’altro condivisibile l’affermazione delle sezioni unite secondo cui non è concepibile una servitù che per ampiezza del suo contenuto determini il totale svuotamento della situazione dominicale relativa al fondo servente (o, in altri termini, che sia impositiva di un peso la cui incidenza non limiti, ma esaurisca ed assorba l’intero contenuto del dominio sul fondo servente[[32]]), ciò, tuttavia, non si verifica nell’ipotesi di attribuzione dell’uso esclusivo sulle suddette aree scoperte comuni.
D’altra parte non può non considerarsi che proprio l’istituto della servitù da oltre mezzo secolo incamera nel suo versatile «stampo»[[33]] le più svariate esigenze meritevoli di tutela emergenti dalla prassi[[34]] inserendole nell’ossatura, tipizzata, del peso imposto al fondo servente per un correlato vantaggio del fondo dominante: il che costituisce il tratto essenziale e caratterizzante di tale istituto[[35]].
Del resto, un eloquente esempio del fenomeno appena descritto si è registrato anche nell’ambito dello stesso condominio. Come è noto, il regolamento contrattuale di condominio può contenere clausole che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni. La casistica è molto ampia ma, schematizzando, tali pattuizioni possono essere a loro volta raggruppate in quattro sottocategorie: a) clausole che stabiliscono il divieto di una o più specifiche destinazioni per tutte le (o alcune delle) unità immobiliari dell’edificio[[36]]; b) clausole che impongono una o più specifiche destinazioni (tendenzialmente) per tutte le unità immobiliari dell’edificio; c) clausole che vietano di detenere o possedere animali domestici[[37]]; d) clausole che proibiscono di esercitare determinate attività all’interno delle unità immobiliari[[38]].
Tutte queste clausole hanno un elemento comune: comportano una restrizione dei poteri e delle facoltà dei condomini sulle rispettive proprietà esclusive e danno vita a delle servitù[[39]] reciproche[[40]].
Si tratta, infatti, di pesi imposti a tutte o ad alcune unità immobiliari dell’edificio (che rivestono la qualità di fondi serventi) in favore di tutte le altre (che assumono la qualità di fondi dominanti) e viceversa[[41]]. Si consideri, per esempio, la clausola del regolamento che stabilisce il divieto di specifiche e determinate destinazioni per tutte le unità immobiliari dell’edificio. Per ogni unità rispetto alle altre si avrà la costituzione di due distinte servitù, ancorché del medesimo genere: nella prima servitù l’unità che deve sopportare il peso, consistente nel non poter essere destinata ad una o più attività determinate, assume tecnicamente la veste di fondo servente mentre tutte le altre unità a vantaggio delle quali quello stesso peso è imposto ricoprono la qualità di fondi dominanti; nella seconda servitù, invece, si ribaltano i ruoli: l’unità che nella prima è servente diviene dominante e tutte le altre unità che nella prima sono dominanti divengono serventi.
Tale inquadramento, da oltre un decennio, è stato univocamente fatto proprio anche dalla stessa Suprema Corte[[42]], che in passato, invece, aveva avuto un orientamento ondivago, oscillante tra la riconduzione delle clausole in esame nell’alveo della servitù prediale[[43]] ovvero nell’ambito delle diverse figure degli oneri reali[[44]] o delle obbligazioni propter rem[[45]].
L’assunto delle sezioni unite circa l’incompatibilità dell’uso esclusivo in ambito condominiale con il precetto dell’art. 1102 c.c. La peculiare disciplina dell’«uso della cosa comune» in materia condominiale. L’«uso esclusivo» (art. 1126 c.c.) e l’«uso individuale» (artt. 1122, comma 1, e 1122-bis, comma 2, c.c.) del bene comune
Il secondo punto prodromico riguarda l’assunto delle sezioni unite secondo cui la fattispecie dell’uso esclusivo in ambito condominiale è incompatibile con il dettato dell’art. 1102 c.c., inserito tra le norme che regolano la comunione ma applicabile al condominio per il tramite dell’art. 1139 c.c.[[46]].
In realtà, è opinabile che l’art. 1102 c.c. si applichi tout court e meccanicamente al condominio[[47]]. Anzi, se si condivide l’impostazione della dottrina maggioritaria che ravvisa in quest’ultimo istituto una forma speciale di comunione[[48]] non c’è da meravigliarsi che tale specialità[49] si riverberi anche nella peculiare disciplina dell’«uso della cosa comune» in materia condominiale, che non è sic et simpliciter desumibile dall’art. 1102 c.c., ma deve essere ricostruita alla luce dei diversi e significativi temperamenti posti a tale precetto dalle specifiche disposizioni contenute negli artt. 1117 e ss. c.c.[[50]]
Una prima differenza in ordine all’«uso» del bene comune in materia di comunione da un lato, e di condominio dall’altro, è riconosciuta anche dalle stesse sezioni unite, le quali sottolineano che:
a) nella comunione l’«uso della cosa comune» si accompagna all’obbligo del partecipante di non impedire agli altri contitolari di farne «parimenti uso», ossia postula, in linea di principio e almeno in potenza, il pari uso di tutti i partecipanti e, dunque, un uso «indistintamente paritario, promiscuo e simultaneo»[[51]];
b) nel condominio è la stessa legge (cfr. l’art. 1123, comma 2, c.c.[[52]]) ad ammettere l’eventualità di un «uso» più intenso del bene comune da parte di uno o più condomini rispetto agli altri[[53]] ovvero che il bene comune legittimamente possa essere sottoposto ad un uso «frazionato» o «turnario», ossia ad un uso non rigidamente paritario, ma pur sempre ripartito in base a criteri idonei ad assicurare la parità di trattamento tra i singoli condomini[[54]].
Tuttavia, tutti questi usi “particolari”, a giudizio delle sezioni unite, non sono tali da scalfire, nella sostanza, la regola del pari uso sancita dall’art. 1102 c.c. che, invece, è violata dall’uso esclusivo. Il che è indubbiamente vero, ma la violazione è del tutto ammissibile in quanto espressamente consentita dalla legge, la quale in materia di condominio prevede sia l’«uso esclusivo» (art. 1126 c.c.) sia l’«uso individuale» (artt. 1122, comma 1[[55]], e 1122-bis, comma 2, c.c.[[56]]) e, dunque, mostra di conformare e adattare la regola del pari uso propria della comunione alle peculiari e specifiche caratteristiche del condominio.
Si consideri l’uso esclusivo del lastrico solare attribuito al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio. Il lastrico solare è l’esempio più eloquente della poliedrica attitudine di alcuni beni condominiali[[57]] a soddisfare sia un interesse individuale del singolo condomino (al quale, perciò, può esserne attribuito l’uso esclusivo), sia, nel contempo, un interesse collettivo proprio dell’intera compagine condominiale (tutti i condomini beneficiano della necessaria e imprescindibile funzione di copertura, e conseguente protezione dagli agenti atmosferici, svolta dal lastrico)[[58]].
Più in generale, nel condominio la necessaria coesistenza di proprietà esclusive e proprietà comuni comporta che tra le une e le altre si realizzi un particolare rapporto di interdipendenza[[59]] che, di regola, comporta che i beni condominiali abbiano una funzione preminentemente ancillare (o, se si preferisce, servente) rispetto alle proprietà esclusive, ma può anche accadere che alcuni di essi siano idonei a fornire delle utilità specifiche ad una soltanto delle proprietà individuali del fabbricato pur conservando la loro naturale destinazione a servizio dell’intero condominio[[60]].
Dunque l’art. 1126 c.c. non è una disposizione di natura eccezionale, ma solo speciale, vale a dire specifica e peculiare del micro sistema del condominio e, perciò, applicabile a tutti quei beni condominiali che presentano la stessa descritta plurima funzionalità propria del lastrico solare.
In altri termini non si tratta – come hanno paventato le sezioni unite – di utilizzare l’art. 1126 c.c. quale «punto di appoggio per la costruzione di un più ampio “diritto reale di uso esclusivo” delle parti comuni»[[61]], in violazione del principio del numerus clausus dei diritti reali, ma di una corretta applicazione in via estensiva della norma citata a tutti quei beni condominiali che, come il lastrico solare, siano in grado di fornire delle utilità specifiche ad una delle proprietà esclusive e, nel contempo, alla totalità delle unità immobiliari in condominio.
Il che, del resto, la stessa Corte riconosce quando ammette «una cauta applicazione estensiva» dell’art. 1126 c.c. «alle terrazze che fungano da copertura di un edificio»[[62]], e lo stesso non può non valere – in piena aderenza al pensiero delle sezioni unite – anche per il giardino o cortile destinati a copertura dell’autorimessa (o di altro locale) condominiale, i quali, funzionalmente, sono del tutto equiparabili al lastrico solare.
Un’ultima precisazione prima di chiudere su questo punto. L’art. 1102 c.c., come riconoscono espressamente le stesse sezioni unite nella sentenza in questione[[63]], è una norma derogabile[[64]] riconducibile alla tipologia delle norme supplettive o comunque dispositive[[65]]. Quindi, proprio perché è una norma derogabile, non si comprende perché mai nel condominio – nel quale, per giunta, come si è in precedenza evidenziato, l’art. 1102 c.c. non opera tout court ma in modo attenuato e “conformato” dal legislatore in considerazione delle specifiche peculiarità funzionali dei beni condominiali – dovrebbe essere preclusa la possibilità di disciplinare attraverso una specifica manifestazione di volontà negoziale – contenuta nel regolamento contrattuale di condominio[[66]] o nel primo atto di vendita di una delle unità immobiliari dell’edificio da parte del costruttore unico proprietario – l’uso esclusivo di quei beni comuni come i lastrici solari, le terrazze di copertura, i cortili, i giardini e «ogni altra idonea superficie» capace di soddisfare un interesse individuale del singolo condomino (cfr. art. 1122-bis, comma 2, c.c. ).
I beni parzialmente comuni
Il terzo punto prodromico richiede solo una breve puntualizzazione, ossia che occorre tenere distinti i beni condominiali capaci di fornire specifiche utilità ad una delle proprietà esclusive dello stabile ma anche, e contemporaneamente, alla totalità delle stesse, dei quali ho appena scritto, da quei beni parzialmente comuni, ossia che sono oggettivamente a servizio soltanto di alcune delle proprietà esclusive dell’edificio, come può accadere per sottotetti, corridoi, anditi, zone di manovra, ecc.
Infatti, per essi non si pone tanto il problema di un loro uso esclusivo o, più esattamente, di un uso individuale circoscritto ad alcuni condomini, quanto piuttosto di una loro parziale condominialità (cfr. art. 1123, comma 3, c.c.). Quest’ultima può essere fatta risultare, sotto il profilo pratico, in sede di censimento di detti beni nel Catasto dei Fabbricati (tecnicamente da qualificare come beni comuni non censibili delle sole unità immobiliari al cui servizio sono destinati) e, sotto il profilo giuridico, esplicitandola nel regolamento (anche assembleare) di condominio.
Le possibili qualificazioni dell’uso esclusivo su un bene condominiale: a) servitù prediale; b) autonomo e specifico diritto reale “nominato”. L’effetto riflesso dell’attribuzione dell’uso esclusivo: la peculiare conformazione della proprietà sul bene comune e la riduzione delle facoltà di godimento spettanti agli altri condomini; c) diritto di utilizzo con mera efficacia obbligatoria
Le precisazioni appena fatte consentono di affrontare il cuore del problema, vale a dire come siano qualificabili le singole fattispecie di uso esclusivo previste dalla prassi contrattuale in auge in passato e quale sia la disciplina loro applicabile.
Del resto, lo stesso organo di nomofilachia nella decisione più volte citata ha affermato che di fronte ad un titolo negoziale attributivo dell’uso esclusivo occorre verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica di volta in volta applicabili, se al momento della costituzione del condominio le parti abbiano voluto, anziché costituire un uso esclusivo su una porzione di bene comune, trasferire la piena proprietà di tale porzione al singolo condomino, ovvero costituire in suo favore un diritto reale d’uso ex art. 1021 c.c. , o, ancora, dare vita a un uso esclusivo e perpetuo “inter partes” di natura prettamente obbligatoria[[67]].
In realtà, le pattuizioni attributive di un uso esclusivo su una porzione di un bene condominiale rinvenibili nella prassi contrattuale possono effettivamente ricondursi a tre diverse tipologie[[68]], che, però, non coincidono con quelle ipotizzate dalle sezioni unite. Infatti tale uso potrebbe essere qualificato come: a) servitù prediale; b) autonomo e specifico diritto reale “nominato” (e, in entrambi i casi, la sua attribuzione determina, di riflesso, una peculiare conformazione della proprietà della porzione del bene comune caratterizzata da una riduzione delle facoltà di godimento che su di essa spettano agli altri condomini); c) diritto di utilizzo con mera efficacia obbligatoria.
Ciascuna delle tre ipotizzate ricostruzioni richiede un approfondimento.
Come si è anticipato, la prima eventualità è che l’uso esclusivo sia inquadrabile nell’ambito del contenuto libero della servitù prediale. In questo caso la clausola negoziale produce una sorta di «conformazione dall’esterno della proprietà condominiale»[[69]], che viene gravata da un altro diritto reale tipico, quale è appunto la servitù prediale, con tutte le relative conseguenze sul piano della disciplina applicabile in tema di durata[[70]], circolazione[[71]], opponibilità[[72]] e tutela giudiziale[[73]].
Come si è sottolineato in precedenza, la clausola attributiva dell’uso può essere contenuta nel regolamento contrattuale di condominio o nell’atto notarile che dà vita allo stesso condominio. Qualunque sia la fonte, trattandosi di una servitù prediale la sua opponibilità è subordinata alla trascrizione nei registri immobiliari ex art. 2643 n. 4) c.c.[[74]]
In mancanza di trascrizione, tuttavia, la clausola può comunque essere vincolante per la totalità dei condomini se costoro l’abbiano effettivamente accettata in quanto negli atti di vendita compiuti dal costruttore sia stato espressamente richiamato (o materialmente allegato) il regolamento contrattuale di condominio che la prevede oppure essa sia stata inserita nell’atto che diede vita al condominio.
È bene aggiungere che se la clausola è stata prevista dal regolamento è sufficiente l’espresso richiamo di quest’ultimo e non ne è necessaria l’allegazione poiché la previsione dell’uso esclusivo in favore di una delle unità immobiliari dell’edificio condominiale alienate dal costruttore/venditore non determina a vantaggio di quest’ultimo un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto ed è perciò sottratta alla peculiare disciplina che, in presenza di tale presupposto, è dettata dal Codice del consumo a tutela dell’acquirente-consumatore[[75]].
L’inquadramento dell’uso esclusivo nell’ambito della servitù prediale, dunque, è in grado di conservare efficacia alle fattispecie sottoposte al nostro esame sussumibili in tale categoria nonostante la sentenza delle sezioni unite, in considerazione dei rilievi critici mossi a tale pronuncia su questo specifico punto. Tuttavia, considerato il peso della decisione dell’organo di nomofilachia, può essere utile “riqualificare” l’uso previsto nel titolo di provenienza (relativo all’unità immobiliare oggetto dell’atto di trasferimento che siamo stati incaricati di redigere) sostituendo all’aggettivo esclusivo il più corretto e appropriato individuale[[76]].
Non è una questione puramente nominalistica: l’appellativo uso individuale sgombra il campo da possibili equivoci sull’ampiezza del diritto che, invece, può provocare la qualificazione adoperata nella prassi contrattuale in auge in passato, atta a generare la convinzione di una totale concentrazione in capo all’usuario delle facoltà di utilizzazione del bene. In buona sostanza, tale denominazione è fuorviante considerata l’effettiva estensione dell’uso in esame che, come si è sottolineato, non esclude il permanere di diverse e specifiche facoltà di godimento sul bene comune in capo agli altri condomini.
Un’ultima annotazione: la riconduzione dell’uso esclusivo nell’alveo della servitù prediale non comporta che esso, in sede genetica, sia soggetto alla disciplina in materia di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, cui peraltro, di regola, è sottoposto l’atto costitutivo di servitù (la disposizione appena citata fa riferimento agli atti di costituzione di diritti reali senza distinzione) in quanto il fondo servente – ossia la porzione di area scoperta comune – è un bene comune non censibile e, come tale, sottratto all’applicazione della suddetta normativa[[77]].
La seconda eventualità ipotizzabile è che l’uso esclusivo sia uno specifico diritto reale “nominato”. Tale ricostruzione poggia sul rilievo che nell’ambito del microsistema condominio il legislatore prevede espressamente una ulteriore e specifica figura di diritto reale, che denomina «uso esclusivo» (cfr. art. 1126 c.c.) o, più propriamente, «uso individuale» (cfr. artt. artt. 1122, comma 1, e 1122-bis, comma 2, c.c.)[[78]].
Di tale figura “nominata”, tuttavia, non è prevista una specifica disciplina, e, pertanto, spetta all’interprete ricostruirla tenuto conto della peculiare natura (condominiale) del bene che ne è oggetto e dell’indissolubile legame tra quest’ultimo e l’unità immobiliare in proprietà esclusiva al cui servizio è destinato. Circostanze, l’una e l’altra, che implicano l’inapplicabilità della regolamentazione relativa al diritto d’uso di cui agli artt. 1021 e ss. c.c. per quanto attiene alla durata (artt. 1026 e 979 c.c.) alle cause estintive (artt. 1026 e 1014 c.c.) e all’incedibilità (art. 1024 c.c.)[[79]]. Per contro, tale uso sarà sostanzialmente perpetuo – salva l’estinzione per prescrizione a seguito del mancato esercizio del diritto per venti anni – e destinato a circolare unitamente all’unità immobiliare in proprietà esclusiva cui è attribuito.
Anche in questo caso la clausola negoziale produce una sorta di «conformazione dall’esterno della proprietà condominiale»[[80]], che viene gravata da un altro diritto reale (non tipico come nella precedente ipotesi della servitù prediale ma comunque) “nominato”[[81]].
Infine, l’opponibilità dell’uso esclusivo in questione – che, in base a quanto in precedenza sottolineato, è opportuno riqualificare come individuale – in quanto diritto reale è affidata alla trascrizione ex art. 2643 n. 4) c.c.
In entrambe le ipotesi ricostruttive delineate, l’attribuzione dell’uso esclusivo determina, di riflesso, una peculiare conformazione della proprietà relativa alla porzione del bene comune su cui esso grava, in quanto quest’ultima si caratterizza per una restrizione delle facoltà di godimento spettanti ai suoi titolari. In buona sostanza, si realizza quanto puntualmente descritto dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 24301/2017[[82]], che, tuttavia, è stata poi espressamente sconfessata dalle sezioni unite[[83]].
In altri termini, se si sposta la visuale sul bene condominiale gravato dall’uso esclusivo, si può dire che la clausola produce una sorta di «conformazione dall’interno della proprietà condominiale»[[84]] il cui contenuto è ridotto stante le più ristrette facoltà di godimento riconosciute agli altri condomini.
Come è noto, le sezioni unite hanno giudicato tale effetto inaccettabile perché in contrasto sia con il disposto dell’art. 1102 c.c. sia con i principi del numerus clausus e di tipicità dei diritti reali. In realtà entrambe le affermazioni del custode della nomofilachia non sembrano cogliere nel segno. Come si è evidenziato in precedenza, l’art. 1102 c.c. è una norma derogabile e, per di più, la sua applicazione nella materia del condominio è per legge soggetta ad una serie di rilevanti temperamenti[[85]]; inoltre, il principio del numero chiuso dei diritti reali è del tutto salvaguardato dalla ricostruzione proposta perché nessun nuovo diritto reale viene costituito, come pure è del tutto preservato il principio di tipicità poiché le facoltà di godimento spettanti alla generalità dei condomini non sono né soppresse né alterate nei loro tratti essenziali, ma soltanto diversamente regolamentate[[86]].
A ben vedere, dunque, alla clausola attributiva dell’uso esclusivo si accompagna una ulteriore e autonoma clausola – esplicita o, il più delle volte, implicita – di conformazione della proprietà condominiale.
Qualora sia espressamente prevista anche per questa clausola si pone il problema della sua opponibilità alla totalità dei condomini. In teoria tale risultato può essere assicurato tramite la trascrizione del regolamento contrattuale di condominio che la contenga, ma è assai discusso se e come tale regolamento possa essere trascritto e la relativa problematica non può essere affrontata in questa sede[[87]]. Basti qui osservare che nelle more di un auspicato intervento legislativo in materia[[88]] si è proposto di interpretare estensivamente l’art. 2643 n. 3) c.c. , che prevede la trascrizione dei «contratti che costituiscono la comunione», e, in particolare, di ritenere che il frammento normativo citato possa riferirsi anche ai contratti che «modificano» o «regolano» la comunione, come appunto i regolamenti contrattuali di condominio[[89]]. Tale interpretazione consente di poter in ogni caso trascrivere il regolamento di condominio – e, dunque, non solo quando esso contenga delle servitù – e fornisce un autonomo ed effettivo contenuto precettivo all’art. 2643, n. 3) c.c. che se interpretato in senso strettamente letterale appare una disposizione superflua e inutile[[90]].
Altrimenti, anche in questo caso, per assicurare la vincolatività della clausola rispetto alla totalità dei condomini non resta che aver cura che in tutti gli atti di vendita compiuti dal costruttore sia stato espressamente richiamato (o materialmente allegato) il regolamento contrattuale di condominio.
La terza e ultima ipotesi è di considerare la clausola attributiva dell’uso esclusivo una pattuizione con mera efficacia obbligatoria. In tale eventualità la previsione negoziale non incide sul contenuto della proprietà condominiale ma si limita a stabilire un obbligo in capo alla totalità dei condomini impegnandoli a far godere il bene comune esclusivamente ad uno di essi, al quale è attribuito sostanzialmente un diritto personale di godimento.
Il nodo gordiano da sciogliere in relazione a tale uso riguarda la determinazione della sua fonte, ossia occorre stabilire se la clausola che lo prevede possa essere contenuta soltanto nel regolamento contrattuale di condominio ovvero anche in quello assembleare. A favore della prima opzione può addursi che la previsione di un uso esclusivo incide in modo significativo sul godimento del bene condominiale riducendo le utilità che da esso possono normalmente trarre tutti i condomini. Se si condivide l’osservazione, la sede naturale della clausola è il regolamento contrattuale, ossia quello strumento cui è pacificamente riconosciuta la possibilità di prevedere, per dirla con le parole delle sezioni unite della Cassazione, clausole «che attribuiscono ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto agli altri»[[91]]. A sostegno della seconda tesi è stato invocato[[92]] il dettato dell’art. 1138, comma 1, c.c. in forza del quale il regolamento assembleare contiene «le norme circa l’uso delle cose comuni». Tuttavia anche se si aderisse a quest’ultima, l’adozione del regolamento assembleare in cui è inserita la previsione di tale uso richiede il consenso di tutti i condomini in conformità a quanto stabilito dall’art. 1108, comma 3, c.c. data l’evidente analogia, quanto agli effetti, tra tale fattispecie e la concessione di una locazione ultra novennale[[93]].
In un caso e nell’altro la durata di tale uso può essere di fatto perpetua perché la modifica del regolamento di condominio volta a sopprimerlo richiede comunque il consenso del suo titolare.
Infine, per quanto attiene all’opponibilità dell’uso in esame agli aventi causa dai condomini, la soluzione dipende dalla natura che si assegna alla clausola attributiva: se si ritiene che essa abbia carattere oggettivamente contrattuale, la sua opponibilità è governata dagli stessi principi e regole operanti in tema di regolamenti contrattuali in precedenza illustrati; se, invece, si reputa che la stessa abbia natura oggettivamente regolamentare, la sua opponibilità discende dall’art. 1107, comma 2, c.c.[[94]] – che, con riferimento al regolamento della comunione, prevede che esso abbia «effetto anche per gli eredi e gli aventi causa» – pacificamente esteso al regolamento di condominio sul presupposto che quest’ultimo costituisce una specie di quello della comunione previsto dall’art. 1106 c.c. nonché in virtù del dettato dell’art. 1139 c.c. che, come è noto, chiude la disciplina in materia di condominio con un rinvio alle norme sulla comunione in generale per quanto non espressamente previsto dalle disposizioni contenute nel capo II (titolo VII, libro III) relativo appunto al condominio[[95]].
Infatti, come si è sottolineato in precedenza sulla scia della giurisprudenza di legittimità, la distinzione tra regolamento assembleare e regolamento contrattuale di condominio non dipende dalla diversa fonte di produzione (la delibera assembleare in un caso, il contratto nell’altro) ma dal loro differente contenuto. Il regolamento assembleare può recepire soltanto clausole oggettivamente di natura regolamentare, ossia attinenti all’organizzazione del condominio nel suo complesso, mentre il regolamento contrattuale può contenere clausole oggettivamente di carattere negoziale, vale a dire che stabiliscono pesi, restrizioni o limiti alle proprietà esclusive dei condomini o alle proprietà comuni, ovvero che attribuiscono ad alcuni condomini diritti maggiori rispetto agli altri[[96]].
L’usucapione dell’uso di cui all’art. 1021 c.c. su un bene condominiale: un prezioso assist ai notai dalla recente ordinanza della Corte di Cassazione 21 giugno 2022, n. 19940
In tema di “conservazione” dell’efficacia degli usi esclusivi su beni condominiali costituiti in passato, un prezioso assist è fornito a noi notai dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione 21 giugno 2022, n. 19940[[97]]. Nella suddetta ordinanza, infatti, è affermato il seguente principio di diritto: «il divieto di cessione del diritto reale di uso su una porzione di cortile condominiale attribuito ad uno dei condomini non comporta che non sia configurabile in favore del successore a titolo particolare nella proprietà individuale dell’unità immobiliare, al cui servizio essa è destinata, … (omissis), l’accessione del possesso agli effetti dell’art. 1146, comma 2, c. c. (nella specie allo scopo di suffragare una maturata usucapione), occorrendo ai fini del cumulo dei distinti possessi del successore e del suo autore unicamente la prova di un “titolo” astrattamente idoneo, ancorché invalido, a giustificare la traditio del medesimo oggetto del possesso».
Nel caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte si verteva sull’utilizzazione di una porzione di cortile, presumibilmente condominiale[[98]], antistante una determinata unità immobiliare di proprietà di un singolo condomino e da quest’ultimo adoperata in via esclusiva.
La Corte d’Appello aveva inquadrato l’uso oggetto della lite nell’ambito del diritto reale disciplinato agli artt. 1021 e ss. c.c. traendo da tale qualificazione il divieto di cessione ex art. 1024 e la conseguente nullità dell’atto di disposizione compiuto dall’usuario (in assenza di un’espressa deroga pattizia all’incedibilità stabilita dalla legge)[99]. Il giudice di secondo grado, inoltre, aveva desunto dal divieto di cessione del diritto reale d’uso sancito dall’art. 1024 c.c. l’inapplicabilità dell’accessione nel possesso (ai sensi dell’art. 1146, comma 2, c.c.) da parte del successore a titolo particolare del condomino utilizzatore dell’area.
Quest’ultimo corollario non è stato giudicato corretto dalla Corte di Cassazione che, al contrario, ha ritenuto che, in materia di uso ex art. 1021 c.c. del bene condominiale, l’avente causa a titolo particolare del condomino alienante la proprietà esclusiva cui accede l’uso possa unire il proprio possesso a quello del suo autore anche al fine di suffragare una maturata usucapione dello stesso diritto d’uso.
Facendo leva sulla ordinanza in commento, di fronte ad un uso esclusivo di natura reale, anche nella denegata ipotesi che si aderisse alla tesi sostenuta dalle sezioni unite, può legittimamente sostenersi che l’avente causa a titolo particolare dal titolare di tale diritto possa invocare l’accessione nel possesso ex art. 1146, comma 2, c.c., e, pertanto, unire il proprio possesso a quello del suo autore al fine di maturarne l’usucapione.
Rilievi conclusivi. La funzione di giustizia preventiva del notaio nell’ambito del condominio
Un’ultima riflessione. In questo millennio il rapporto tra il notaio e il condominio è divenuto, anno dopo anno, sempre più intenso. Ho avuto più volte occasione di ricordare che nel 2005, in occasione di un prestigioso convegno sul condominio negli edifici tenutosi a Bologna[[100]], l’esimio collega Enrico Marmocchi descrisse il notaio come la «levatrice del condominio», volendo sottolineare con quell’espressione che la stessa “nascita” del condominio avviene, di regola, proprio per il tramite di un atto notarile[[101]].
A partire dal 2013, anno in cui è entrata in vigore la riforma del condominio (introdotta dalla nota legge 11 dicembre 2012, n. 2204), il coinvolgimento del notaio nella materia condominiale è ulteriormente cresciuto e la molteplicità di ripercussioni che la disciplina di questo istituto ha sulla circolazione delle unità immobiliari che vi sono sottoposte ha generato la consapevolezza che il condominio sia uno dei settori in cui più incisivamente ha modo di esplicarsi quella delicata e qualificante funzione affidata ai notai, detta di giustizia preventiva, che aspira a essere un efficace strumento di prevenzione delle liti[[102]]. Tale funzione (definita anche anti-processuale[[103]]), infatti, ha modo di manifestarsi in più occasioni nell’ambito del condominio, a partire dalla sua stessa costituzione, vale a dire dal momento della stipula del primo atto di vendita dell’edificio realizzato dal costruttore. Tale vendita è determinante ai fini della precisa individuazione delle eventuali riserve di proprietà (sui lastrici solari, sulle aree destinate a parcheggio, sui sottotetti) in favore dello stesso costruttore/venditore[[104]], stante la natura condominiale delle parti dell’edificio e dei beni indicati dall’art. 1117 c.c.[[105]] «se non risulta il contrario dal titolo».
La funzione di giustizia preventiva, inoltre, può attuarsi nell’attività di consulenza, che sempre più spesso viene richiesta a noi notai, anche dalle stesse imprese di costruzione, in relazione ai regolamenti contrattuali di condominio sia per quanto attiene alla loro redazione sia in ordine alle soluzioni operative più idonee ad assicurarne la vincolatività (tenuto conto della loro soggezione alla disciplina dettata dal Codice del consumo[[106]]) e l’opponibilità[[107]].
Ancora: la funzione di giustizia preventiva del notaio può realizzarsi rispetto agli atti di disposizione di unità immobiliari in regime di condominio, specie mediante l’inserimento in essi di clausole che rendano il consenso dei contraenti il più “informato” possibile circa le conseguenze giuridiche che ne discendono[[108]].
Last but not least la funzione di giustizia preventiva del notaio a seguito della pronuncia delle sezioni unite più volte citata avrà modo di esplicarsi appieno anche in materia di qualificazione degli usi esclusivi costituiti in passato al fine di trovare un equo bilanciamento degli interessi in gioco, tra legittime aspettative dei loro titolari e principi informatori dell’ordinamento.
Concludo citando uno dei maggiori civilisti italiani, Nicolò Lipari, che, all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, scriveva «quanto più accurato… avveduto, colto… [è] l’intervento del notaio, quanto più ricco di consapevolezza, di antiveggenza degli effetti, di sensibilità alla concreta misura dell’atto che roga, tanto minori saranno le possibilità di lite e quindi di intervento del giudice, come organo istituzionalmente deputato a dirimere le controversie…»[[109]].
Parole di sorprendente attualità.
NOTE:
[1] Cfr. M. TAMPONI, Nino Visconti di Gallura, Viella, Roma, 2010, 792.
[2] Mi riferisco al convegno L’evoluzione del condominio organizzato dall’Anaci (Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari), in memoria del prof. Lino Salis, il 21 e il 22 settembre 2007 presso il Forte Village Resort a Santa Margherita di Pula. I relativi atti sono stati pubblicati, a cura del Centro Studi Nazionale della stessa Anaci, nel volume con il medesimo titolo edito da Il Sole 24 ore (Milano, 2008).
[3] L’entrata in vigore della disciplina sulla cosiddetta conformità catastale (art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, introdotto dall’art. 19, comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) ha ridotto drasticamente la prassi contrattuale cui sto per fare riferimento.
La disposizione citata, come è noto, stabilisce che gli «atti pubblici e le scritture private autenticate … aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti … devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie catastali e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale». Ebbene l’imposizione da parte del legislatore di un così penetrante controllo sulla conformità oggettiva di tutte le unità immobiliari urbane (comprese le pertinenze) in occasione della redazione degli atti sopra indicati, ha sostanzialmente azzerato la creazione di “nuovi” usi esclusivi, considerate le modalità empiriche che la prassi notarile aveva sino ad allora escogitato per la loro costituzione (sulle quali vedi infra nel testo).
[4] Come è noto, la pratica conosce due diversi tipi di regolamento di condominio, tradizionalmente designati dalla letteratura specializzata e dalla giurisprudenza con gli aggettivi assembleare e contrattuale (cfr., in luogo di molti, G.E. NAPOLI, Il regolamento di condominio e il rinvio alle norme sulla comunione, Artt. 1138-1139, in Il Codice Civile Commentario fondato e già diretto da P. Schlesinger continuato da F. D. Busnelli, Milano, 2016, 94 e, per ulteriori citazioni, M. CORONA, La trascrizione del regolamento di condominio, in Riv. not., 2008, I, 52, nt. 1.
È altrettanto noto che il codice civile disciplina in modo specifico soltanto il regolamento assembleare (art. 1138 cod. civ.), ma la pacifica ammissibilità del regolamento contrattuale discende dai principi generali in materia di contratto e, segnatamente, dall’art. 1322 c.c. che riconosce alle parti il potere di determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge nonché di concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Nella pratica, nella stragrande maggioranza dei casi, il regolamento contrattuale è predisposto dal costruttore (unico proprietario) dell’edificio e viene accettato dagli acquirenti delle singole unità immobiliari che di esso fanno parte al momento della stipula del relativo atto di acquisto.
A differenza di quello assembleare, il regolamento contrattuale può contenere – per dirla con le parole delle sezioni unite della Cassazione (cfr. Cass., sez. un., 30 dicembre 1999, n. 943, in Giust. civ., 2000, I, 320, in Foro it., 2001, I, c. 3523 e in Corr. giur., 2000, 468, con nota di N. IZZO, Forma e presupposti per la modifica del regolamento di condominio) clausole «limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni» ovvero «clausole che attribuiscono ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto agli altri».
È questo il punto fondamentale: la distinzione tra i due tipi di regolamento non dipende dalla diversa fonte di produzione (delibera assembleare/contratto) ma dal loro differente contenuto. Il regolamento assembleare può prevedere soltanto clausole oggettivamente di natura regolamentare, ossia attinenti all’organizzazione del condominio nel suo complesso, mentre il regolamento contrattuale può contenere clausole oggettivamente di carattere negoziale, vale a dire che stabiliscono pesi, restrizioni o limiti alle proprietà esclusive dei condomini o alle proprietà comuni, ovvero attribuiscono ad alcuni condomini diritti maggiori rispetto agli altri. Ciò significa in buona sostanza che se il regolamento predisposto dal costruttore e accettato dai suoi immediati aventi causa non contiene clausole oggettivamente negoziali ma esclusivamente disposizioni regolamentari, nonostante la sua fonte pattizia, ben potrà essere modificato dall’assemblea con deliberazione assunta a maggioranza (cfr. Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 2004, n. 24146, in Notariato, 2005, 361 e M. CORONA, Natura, contenuto ed effetti dei regolamenti di comunione e condominio, relazione tenuta al corso organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura intitolato I diritti in comune: amministrazione e responsabilità nella comunione e nel condominio, tenutosi a Scandicci, Villa Castel Pulci, dal 7 al 9 marzo 2022, passim e spec. 31 ss.: il testo della relazione è consultabile sul sito web della scuola).
[5] È risaputo che il condominio si costituisce in occasione del primo atto di vendita di una delle unità immobiliari dell’edificio compiuto dall’unico proprietario-costruttore: cfr., in luogo di molte, Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2004, n. 19829 e Cass. civ., sez. II, 10 settembre 2004, n. 18226, entrambe in Riv. giur. edil., 2005, I, rispett. 770 e 772 (solo le massime), Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 2014, n. 26766, in Riv. giur. edil., 2015, 2, I, 371, con nota di P. SCALETTARIS, Ancora a proposito dell’ambito di applicazione della disciplina del condominio e Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24301, in Riv. not. 2018, 6, II, 1191.
[6] Più raramente il diritto di uso esclusivo riguarda l’intero bene condominiale.
È quasi superfluo sottolineare che l’area su cui è attribuito tale uso deve essere condominiale. Infatti se si tratta di area che per «caratteristiche strutturali e funzionali» è oggettivamente destinata al servizio esclusivamente di una unità immobiliare in proprietà esclusiva, essa, ab origine, non è condominiale ma pertinenza di quella che se ne serve sicché in tale eventualità non avrebbe senso riconoscere al titolare di detta unità un diritto di uso che già rientra nelle sue facoltà dominicali.
[7] Sui beni condominiali potenzialmente suscettibili di essere oggetto di usi esclusivi o di usi individuali cfr. infra nel testo e nelle note corrispondenti.
[8] Su entrambe le finalità indicate nel testo si veda D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale: realità e personalità del diritto tra conformazione e regolamentazione della proprietà comune, relazione al convegno Dieci anni dopo la riforma del condominio: antiche questioni irrisolte e nuove problematiche, tenutosi a Cagliari il 20 maggio 2022, i cui atti sono in corso di pubblicazione per i tipi di Akademeia.
[9] G. PETRELLI, Condominio negli edifici, «usi esclusivi» e «usi individuali», in Riv. not., 2, 2021.
[10] È risaputo che il primo tentativo di mettere ordine all’inquadramento catastale dei beni condominiali si deve alla circolare Ministero delle finanze 20 gennaio 1984, n. 2 (Direzione generale del Catasto), che introdusse la suddivisione delle «porzioni comuni» in beni comuni censibili e beni comuni non censibili (cfr. il paragrafo I.3.3.1 della citata circolare). Gli uni e gli altri sono privi di intestazione e si distinguono in quanto i beni comuni censibili costituiscono delle unità immobiliari poiché possiedono un’autonoma capacità reddituale, forniscono servizi comuni o sono fruibili da più unità immobiliari (per esempio, l’alloggio del portiere, la portineria, la lavanderia, i locali per gli stenditoi o, ancora, la piscina, il campo da tennis, ecc.) e sono iscritti in una partita speciale (una per ogni fabbricato o complesso immobiliare); i beni comuni non censibili, invece, sono sprovvisti di autonoma potenzialità reddituale, sono comuni ad alcune o a tutte le unità immobiliari del fabbricato per destinazione (androne, scale, locale centrale termica) ovvero per la loro specifica funzione di utilizzazione indivisa (come, per esempio, una rampa al servizio di soli posti auto) e non possono avere una iscrizione formale in partita dato che non costituiscono unità immobiliari. I beni comuni non censibili sono rappresentati graficamente soltanto nell’elaborato planimetrico – che è obbligatorio, tra l’altro, quando si costituiscono beni comuni censibili e beni comuni non censibili (cfr. la circolare 26 novembre 2001, n. 9, della Direzione centrale cartografia, catasto e pubblicità immobiliare) – e per essi non è «dovuta la redazione della planimetria» (cfr. la Circolare dell’Agenzia del territorio n. 3/2010 del 10 agosto 2010).
In argomento cfr. anche G. PETRELLI, Conformità catastale e pubblicità immobiliare. L’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, Milano, 2010, 35 ss.; F. TASSINARI, Le parti comuni condominiali dopo la riforma, in Profili notarili della riforma del condominio negli edifici, Atti del convegno di studi tenutosi a Bologna il 31 maggio 2013, in Quaderni del Notariato, collana a cura di P. Rescigno, F. Galgano e M. Ieva, 15, Milano, 2014, 100 ss. ed E. LECIS, L’intestazione in capo al condominio dei beni comuni, in M. CORONA (a cura di), Il condominio cinque anni dopo la legge di riforma: problematiche giuridiche al vaglio di magistrati e professionisti, Cagliari, 2019, 58.
[11] Cfr. G. RIZZI, I posti auto condominiali e la disciplina in tema di conformità catastale, in Notariato, 2019, 1, 13.
[12] Di regola, si utilizza l’elaborato planimetrico riguardante l’intero edificio in condominio che contiene la rappresentazione grafica dell’area scoperta comune e di essa viene contornata la specifica porzione attribuita all’usuario.
[13] Al riguardo cfr. G. PETRELLI – G.C. PLATANIA, in G. PETRELLI, Formulario notarile commentato a cura di, II, 1, Contratti in generale, Milano, 2018 (2a ed.), 370.
In altri casi gli atti di cui scrivo nel testo prevedono che all’unità immobiliare oggetto di trasferimento «spetta» (ovvero «compete») l’uso in esame su una porzione di area comune, che è individuata con le modalità descritte nel testo.
[14] Il principio di diritto affermato dalla sentenza delle sezioni unite citata nel testo è il seguente: «La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c. c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi».
La sentenza ha sollevato un ampio e acceso dibattito. Senza pretesa di completezza: cfr. A. CELESTE, Ė nulla la pattuizione che conferisce il diritto reale “di uso esclusivo” su una porzione comune dell’edificio, in Condominioelocazione.it, fasc. 22 dicembre 2020; M. TARANTINO, Le sezioni unite escludono la natura reale del diritto d’uso esclusivo di un bene condominiale, in Diritto & Giustizia, fasc. 241, 2020, 14; A. TESTA, Il diritto d’uso perpetuo e trasmissibile sugli enti comuni dei fabbricati condominiali: una fattispecie fino a ieri sconosciuta alla giurisprudenza, in Notarnews, 1, 2021, 31; G. CHIESI – G. BILE, Sezioni unite n. 28972/2020: uso esclusivo… ma non troppo!, in www.consulenza.it, 22 gennaio 2021; L. CIAFARDINI, Le sezioni unite sul cosiddetto uso esclusivo di un’area condominiale a vantaggio di un solo condomino, in www.consulenza.it, 25 gennaio 2021; C. BELLI, L’ossìmoro «diritto reale di uso esclusivo in condominio». Noterelle sparse su Cass., SS. UU., 17 dicembre 2020, n. 28972, in Amministrare Immobili, n. 250, gennaio 2021, 18; R. FRANCO, L’uso esclusivo di un bene condominiale non rientra nel novero dei diritti reali, in Guida dir., 2021, 2, 90; A. CIATTI CÀIMI, Il diritto di uso esclusivo del condomino (note a margine di Cass., sez. un. 17 dicembre 2020, n. 28972), lezione tenuta al corso di formazione organizzato dall’Anaci Provinciale di Cuneo il 25 marzo 2021 in gran parte riversata in Il diritto di uso esclusivo del condomino (dopo la decisione delle sezioni unite della Cassazione), Studio n. 30-2021/C del CNN, in Studi e materiali. Rivista semestrale del Consiglio Nazionale del Notariato, 1, 2021, Napoli, 57 ss.; R. CALVO, Comunione e uso esclusivo tra autonomia e tipicità, in Giur. it., 2021, 557 ss.; F. GALLELLI, Diritto reale d’uso esclusivo su una parte comune dell’edificio, in Notariato, 2021, 2, 201; M. CARPINELLI, La parabola del diritto “reale” di uso esclusivo su beni condominiali, in Nuova giur. civ., 2021, 2, 243 ss.; E. DEL PRATO, Uso esclusivo permanente in favore di un condomino e tipicità dei diritti reali, in Nuova giur. civ. comm., 2021, 2, 427; G. PETRELLI, Condominio negli edifici, «usi esclusivi» e «usi individuali», cit., 214; F. PETROLATI, L’enigma dell’uso esclusivo nel condominio e le proprietà conformate dell’edificio, in giustiziacivile.com, 6, 2021; M. CORONA, Le Sezioni unite e l’uso esclusivo di beni condominiali. Un falso ossimoro fa vacillare la nomofilachia?, in Amministrare immobili, 252, marzo 2021, 77 ss. e ID., L’uso esclusivo di beni condominiali e le sez. un. della Corte di Cassazione, in Riv. not., 2021, 2, I, 459 ss.; M. MONEGAT, Non è conforme a diritto la previsione dell’uso esclusivo, a favore di un condomino, su una porzione di bene destinato ad uso comune quale, ad esempio, il cortile in Immobili e proprietà, 2021, 2, 119 ss.; V. NARDI, La natura del diritto d’uso esclusivo di un bene comune in ambito condominiale: intervengono le sezioni unite, in Corr. giur., 2021, 10, 1211 ss.; G. LIBERATI BUCCIANTI, Sull’invalidità della clausola costitutiva di un diritto reale atipico, in Riv. dir. civ., 2021, 4, 781 ss.; C. BONA, Otto variazioni sul tema dell’«uso» delle cose comuni nel condominio, in Foro it., 2021, 3, c. 953 ss.; DE LORENZO, Antimateria e diritto di uso esclusivo, ivi, c. 958 ss.; F. MEZZANOTTE, L’«uso esclusivo» e il «numerus clausus dei diritti reali» secondo le sezioni unite, in Actualidad Jurídica Iberoamericana, n. 16 bis, Estudios de derecho privado en homenaye al professor Cesare Massimo Bianca, junio 2022, 2734 ss.
[15] Cfr. supra la precedente nt. 3.
[16] Ė noto che i rapporti condominiali, per ragioni non sempre nobili (riconducibili a una esasperata concezione individuale della proprietà, al desiderio di anteporre al bene comune il soddisfacimento dei propri, personali interessi e, in fondo, alla “inconfessabile” volontà di prevaricazione), costituiscono in Italia uno dei settori più litigiosi della vita civile. Al riguardo M. CORONA, La mutevolezza della compagine condominiale: trasferimento dell’unità immobiliare, nascita dell’obbligo contributivo, àmbito del vincolo di solidarietà, in Comunione e condominio, Quaderni della Scuola Superiore della Magistratura, 2021, 3, 228.
[17] Parte della dottrina, peraltro, tende a ridimensionare l’effettiva rilevanza dei due principi nel nostro ordinamento. In particolare, secondo tale corrente di pensiero, non ci si deve meravigliare «se nell’epoca moderna, le esigenze di dare una sistemazione concettuale a situazioni nuove, porti a superare l’antico principio, che è ormai un pregiudizio (enfasi aggiunta), della tipicità dei diritti reali» (cfr. R. NICOLÒ, voce Diritto civile, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 908) o che si lasci «sullo sfondo la preistorica prospettiva del c.d. numero chiuso dei diritti reali» (N. LIPARI, Le categorie del diritto civile, Milano, 2013, 124): rilievi, entrambi, fatti propri da R. FRANCO, Il diritto di uso esclusivo condominiale tra categorie e interessi, in Persona e mercato, 2020/3, 248.
La maggior parte degli studiosi, però, continua a propendere per il pieno riconoscimento dei due principi anche se non mancano voci che ne attenuano la rigidità dogmatica o ne ricercano un fondamento più adeguato all’attuale momento dell’esperienza giuridica (cfr. M. COMPORTI, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, vol. VIII t. 1, Milano, 2011 (2a ed.), 223 ss.). Sui due principi si vedano anche: A. Fusaro, Il numero chiuso dei diritti reali, in Riv. crit. dir. priv., 2000 ss. e A. BURDESE, Ancora sulla natura e tipicità dei diritti reali, in Riv. dir. civ., 1983, II, 226 ss.
Per una loro moderna “rilettura” si veda U. MORELLO, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in Tratt. diritti reali diretto da A. Gambaro e U. Morello, I, Proprietà e possesso, Milano, 2008, 67 ss.
Da ultimo, per una sintetica ricostruzione delle ragioni che hanno portato all’affermazione nel nostro sistema del principio del numero chiuso dei diritti reali e delle diverse giustificazioni fornite dalla dottrina per spiegarne gli attuali fondamento e significato cfr. E. MOSCATI, Il problema del numero chiuso dei diritti reali nell’esperienza italiana, in Liber amicorum per Angelo Luminoso, I, Contratto e mercato, Milano, 2013, 441 ss.
[18] M. COMPORTI, Diritti reali in generale, cit., 225, che cita Fr. ROMANO, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, Napoli, 1967, 73 ss. e D. MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano, 1970, 128, secondo cui il primo problema «è di pura politica legislativa e riguarda il rapporto tra il soggetto e l’ordinamento», il secondo, invece, «è di carattere strutturale e riguarda il rapporto tra il potere e il bene».
[19] M. COMPORTI, Diritti reali in generale, loc. cit.
[20] Cfr. A. CIATTI CÀIMI, Il diritto di uso esclusivo nel condominio (dopo la decisione delle Sezioni unite della Cassazione), 70, nt. 35, che richiama l’insegnamento di M. ALLARA, Le nozioni fondamentali di diritto civile, I, Torino, 1958 (5a ed.), 406: «il principio del numero chiuso nella categoria del rapporto reale non trova nel diritto positivo una specifica enunciazione, ma risulta compresa nella più ampia norma, per la quale il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge (art. 1372, cpv. c.c.)».
[21] Cfr. 27 dell’originale della sentenza.
[22] Per la riconduzione degli usi esclusivi su beni condominiali alla categoria delle servitù prediali cfr.: D. SPALLANZANI, Il notariato nella evoluzione del condominio e A. TORRONI, Clausole riguardanti gli spazi per parcheggio e gli usi esclusivi condominiali, entrambi in Il condominio negli edifici tra realità e personalità, Atti del convegno di studi tenutosi a Bologna il 7 e l’8 ottobre 2005, in Quaderni del notariato, collana diretta da P. Rescigno, F. Galgano e M. Ieva, 5, Milano, 2007, rispett. 68 ss. e 143 ss.; G. BARALIS – C. CACCAVALE, Diritti di “uso esclusivo” nell’ambito condominiale, in Studi e materiali, Quaderni semestrali del Consiglio Nazionale del Notariato, 2, 2003, Milano, 493; D. BERTANI, Diritto di uso esclusivo su di una porzione comune condominiale. Inquadramento quale riparto pattizio delle facoltà di godimento delle parti comuni, in Riv. not., 2018, 1203; E. DEL PRATO, Uso esclusivo permanente in favore di un condominio e tipicità dei diritti reali, cit., 431 ss.; M. CORONA, Le sezioni unite e l’uso esclusivo di beni condominiali, cit., 80 ss. e L’uso esclusivo di beni condominiali e le sez. un. della Corte di Cassazione, cit., 481.
La libera determinabilità del contenuto di una servitù volontaria – frutto del processo storico che dalle singole figure di servitù tipiche ha condotto alla categoria generale della servitù – è assolutamente pacifica (sul punto rinvio alle lucide osservazioni di F. MECENATE, La servitù di parcheggio. Validità ed invalidità dell’atto di costituzione, Studio civilistico n. 1094-2014/C, pubblicato sul sito del CNN il 4/08/2015).
[23] Per l’ammissibilità di servitù prediali gravanti su beni comuni e a favore di uno degli appartamenti dell’edificio in condominio già L. SALIS, in Condominio e servitù, in Riv. giur. edil., 1971, 167 ss. (pubblicato con il medesimo titolo anche in L. SALIS, Scritti in materia di condominio, raccolti da G.M. Uda, Torino, 1997, 17 ss.) e G. BRANCA, Comunione. Condominio degli edifici, Bologna, 1972, 365 ss.
[24] Non è questa la sede per soffermarsi sulle modalità tecniche relative alla trascrizione della servitù in esame: basti qui aggiungere che tale fattispecie – a differenza delle servitù reciproche di cui scrivo più avanti nel testo – richiede l’esecuzione di una sola formalità pubblicitaria.
Ė nota, invece, la complessità del meccanismo pubblicitario relativo alle servitù reciproche costituite tra le unità immobiliari dell’edificio in condominio. Per un’ampia illustrazione cfr. M. CORONA, Il notaio e il condominio: la giustizia preventiva nelle vicende condominiali, studio civilistico n. 7-2018/C, pubblicato sul sito del CNN il 13 giugno 2018, cui rinvio.
Nega, in linea di principio, l’ammissibilità di una servitù di uso esclusivo F. ALCARO, Appunti in tema di servitù “di uso esclusivo”, studio civilistico n. 222-2009/C, in Studi e materiali, Quaderni trimestrali, 3, 2009, Milano, 2009, 1027 ss., ma senza affrontare la questione con specifico riferimento ai beni condominiali caratterizzati dalla plurima funzionalità di cui scrivo più avanti nel testo.
[25] Sono rispettivamente Cass. civ., 31 maggio 1950, n. 1343, in Foro it., 1950, I, 813, che ha giudicato nulla per contrarietà all’ordine pubblico una convenzione con la quale veniva imposta sul fondo servente una servitù che assumeva carattere prevalente ed assorbente delle facoltà dominicali e Cass. civ., 22 aprile 1966, n. 1037, in Giust. civ. Mass., 1966, 592 e in Mass. Giur. it., 1966, 460, secondo cui il rapporto di assoggettamento tra due fondi, tipico dell’istituto della servitù, può importare una restrizione ma non la totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente.
[26] G. PETRELLI, Condominio negli edifici, «usi esclusivi» e «usi individuali», cit., 224.
[27] Così, testualmente, si legge a 27 dell’originale della sentenza.
[28] P. PERLINGERI – P. FEMIA, Dinamica delle situazioni soggettive, in Manuale di diritto civile, Napoli, 2021 (10a ed.), 89 ss.
[29] Rilievo non trascurabile stante, per esempio, la variegata normativa, nazionale e regionale, in tema di cosiddetto piano casa. Come è noto, l’incipit in materia è stato dato dal d.lgs. 25 giugno 2008, n. 112, emanato con l’intento sia di rilanciare il settore edilizio, particolarmente provato dalla crisi economica, sia di soddisfare le esigenze abitative delle famiglie italiane. Ad esso ha fatto seguito l’accordo tra Stato e Regioni del 31 marzo 2009, che ha dato la stura alla normativa regionale nel settore, e il decreto legge 28 marzo 2014, n. 47, e successiva legge di conversione 23 maggio 2014, n. 80 recante «Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015».
[30] P. PERLINGERI – P. FEMIA, Dinamica delle situazioni soggettive, in Manuale di diritto civile, cit., 90 ss.
[31] G. PETRELLI, Condominio negli edifici, «usi esclusivi» e «usi individuali», cit., 233.
Proprio perché non esiste una vera e propria esclusività dell’uso, l’A. ritiene più corretta, rispetto alla terminologia impiegata nella prassi contrattuale, quella contenuta nell’art. 1122, comma 1, c.c. che qualifica gli usi individuali (invece che esclusivi). Al riguardo cfr. le considerazioni espresse infra nel testo.
[32] Cfr. R. TRIOLA, Le servitù, in Il Codice Civile Commentario fondato e già diretto da P. Schlesinger continuato da F.D. Busnelli, Artt. 1027-1099, Milano, 2008, 8 ss.
[33] L’assimilazione della servitù ad uno «stampo» in cui si può colare a scelta degli interessati un contenuto molto ampio si legge in D. Barbero, Tipicità, predialità, e indivisibilità nel problema dell’identificazione delle servitù, in Foro pad., 1957, I, 1042.
[34] Ne è conferma anche il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. II, 18 marzo 2019, n. 7561, in Riv. not. 2019, 3, II, 548, con nota di N.A. TOSCANO, La servitù di parcheggio esiste: una nuova conferma della Corte di Cassazione, in attesa del probabile intervento delle sezioni unite; Cass. Civ., Sez. II, 6 luglio 2017, n. 16698, in GiustiziaCivile.com del 30 marzo 2018, con nota di E. ALLEGRA, La servitù di parcheggio: tra utilitas e commoditas; in Foro it., 2017, 10, I, c. 3027, con nota di C. BONA, Benvenuta, servitù di parcheggio) che ritiene valida la costituzione della servitù di parcheggio in base all’assunto che lo schema legale delle servitù volontarie lascia ampio spazio all’autonomia privata di stabilire il contenuto del vantaggio per il fondo dominante cui deve corrispondere il peso del fondo servente. Nelle citate pronunce la Corte di Cassazione ha riconosciuto che il carattere della realità non può essere escluso per il parcheggio dell’auto sul fondo altrui quando tale la facoltà sia costruita come vantaggio dello stesso fondo per una sua migliore utilizzazione, come nel caso dell’immobile a destinazione abitativa il cui utilizzo è innegabilmente implementato dalla possibilità, per chi ne sia il proprietario, di parcheggiare l’auto nelle vicinanze dell’abitazione. In passato, invece, e per lungo tempo la Suprema Corte aveva affermato esattamente il contrario, ossia che il diritto di parcheggiare l’auto costituiva una mera commoditas del proprietario dell’immobile e che faceva difetto la realità intesa come inerenza dell’utilità a favore del fondo dominante. L’ultima decisione conforme a tale orientamento è Cass. civ., sez. II, 6 novembre 2014, n. 23708, in Riv. not., 2014, 6, 1202 e ID., 2017, 2, II, 334, con nota di G. MUSOLINO, La (impossibilità di costituire una) servitù prediale di parcheggio; in Riv. giur. edil., 2015, 2, I, 208; in Foro it., 2014, 12, c. 3416 con nota di richiami e ID., 2015, 2, I, c. 499, con nota di C. BONA, Per la servitù di parcheggio e ID., 2015, 4, I, c. 1297 con nota di F. MEZZANOTTE, Sull’impossibilità della servitù di parcheggio (e sui limiti dell’autonomia privata nel diritto dei beni).
[35] Cfr. A. NATUCCI, in P. GALLO – A. NATUCCI, Beni proprietà e diritti reali, in Tratt. dir. priv. diretto da M. Bessone, vol. VII, t. II, Torino, 2001, 116, con la doverosa precisazione, ai fini della puntuale perimetrazione dell’istituto, che il vantaggio o l’utilità del fondo dominante deve derivare dal fondo servente senza l’imposizione di un facere per il proprietario di quest’ultimo (fatta eccezione per le prestazioni accessorie di cui all’art. 1030 c.c.) e che i proprietari dei due fondi devono essere diversi. Sulla regola servitus in facendo consistere nequit – risalente al diritto romano (cfr. POMPONIUS, libro XXXIII ad Sabinum in D. 8. 1.15.1.) e assurta a principio generale della materia – si vedano, per tutti, L. BIGLIAZZI GERI – U. BRECCIA – F. D. BUSNELLI – U. NATOLI, Diritto civile, 2, Diritti reali, Torino, 1988, 249 ss.; M. COMPORTI, voce «Servitù (dir. priv.)», in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 299; C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano, 2017 (2a ed.), 488 ss.; T. CAMPANILE – F. CRIVELLARI – L. GENGHINI, I Diritti reali, in L. GENGHINI (a cura di), Manuali notarili, V, Padova, 2011, 469 ss.; P. GIULIANO, Le servitù: regime e caratteri generali, in P. FAVA (a cura di), Diritti reali, Trattato teorico-pratico, Milano, 2019, 970. Sul principio – anch’esso risalente al diritto romano (cfr. PAULUS, libro XV ad Sabinum, in D. 8.2.26) – nemini res sua servit cfr., in luogo di molti, L. BIGLIAZZI GERI – U. BRECCIA – F. D. BUSNELLI – U. NATOLI, Diritto civile, 2, Diritti reali, cit., 253 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, cit., 481 ss.; P. GIULIANO, Le servitù: regime e caratteri generali, cit., 990). Sulla straordinaria duttilità delle servitù prediali a mitigare le restrizioni imposte dall’ordinamento all’autonomia privata in materia di diritti reali cfr. P. VITUCCI, Utilità ed interesse nelle servitù prediali, Milano, 1974, passim.
[36] Talvolta il divieto è formulato non in modo specifico, ossia con l’esplicita indicazione delle destinazioni non consentite, ma in modo generico, vale a dire riferendosi al pregiudizio che si vuole evitare (per es. divieto di destinare le unità immobiliari ad attività che possono turbare la tranquillità o pregiudicare il decoro dell’edificio).
[37] Sulla validità di tali clausole alla luce del divieto di cui all’art. 1138, ultimo comma, c.c. introdotto dalla legge di riforma cfr., peraltro, M. CORONA, Animali domestici e condominio: mutamenti culturali e regole giuridiche, in M. CORONA (a cura di), Il condominio cinque anni dopo la legge di riforma: problematiche giuridiche al vaglio di magistrati e professionisti, Cagliari, 2019, 121 ss. (pubblicato anche in Riv. giur. sarda, 2018, 3, 227 ss.) e, più di recente, dopo l’inserimento della tutela degli animali nella nostra costituzione ad opera della legge costituzionale 8 febbraio 2022, n. 1, ID., I regolamenti contrattuali di condominio: interessi dell’impresa, tutela del consumatore e principi inderogabili dall’autonomia privata, relazione al convegno Dieci anni dopo la riforma del condominio: antiche questioni irrisolte e nuove problematiche, i cui atti sono in corso di pubblicazione per i tipi di Akademeia.
[38] Sulla clausola del regolamento contrattuale che vieta sia di utilizzare le unità immobiliari facenti parte del condominio come locali di deposito «di materie infiammabili, esplodenti, maleodoranti o fonti di polvere o esalazioni nocive» sia l’esercizio in esse «di attività industriali rumorose o pericolose» cfr. Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2022, n. 17159, inedita. Nella citata sentenza la Suprema Corte ha sottolineato che «le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio … costituiscono servitù reciproche» (sul punto cfr. infra nel testo e le note 39 e 40); che le suddette limitazioni devono essere «enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito, dovendosi desumere inequivocabilmente dall’atto scritto, ai fini della costituzione convenzionale delle servitù reciproche, la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario» e che, pertanto, non appaga «l’esigenza di inequivoca individuazione del peso e dell’utilità costituenti il contenuto della servitù … la formulazione di divieti e limitazioni nel regolamento di condominio operata non mediante elencazione delle attività vietate, ma mediante generico riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di verificare (quali, ad esempio, l’uso contrario al decoro, alla tranquillità o alla decenza del fabbricato) …».
[39] Sulla scia dell’impostazione tradizionale secondo cui la servitù è un diritto tipico con contenuto atipico (cfr. D. BARBERO, Tipicità, predialità, e indivisibilità nel problema dell’identificazione delle servitù, loc. cit.), parte della dottrina (cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, 6 La proprietà, cit., 503 e, negli stessi termini, R. TRIOLA, Le servitù, in Il Codice Civile Commentario fondato e già diretto da P. Schlesinger continuato da F.D. Busnelli, Artt. 1027-1099, Milano, 2008, 23 ss.) persiste nel tracciare la distinzione tra servitù tipiche (che sono quelle il cui contenuto è previsto e regolato dal codice nonché quelle tipizzate dalla consuetudine conformemente alla prassi e alle fonti romane) e atipiche (non appartenenti ai modelli legali o consuetudinari e liberamente costituite).
[40] L’ammissibilità delle cosiddette servitù reciproche è pacificamente sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità sin dall’inizio degli anni Settanta del secolo scorso. Tra le tante sentenze si vedano: Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1970, n. 380, in Foro it., 1970, I, 2127; Cass. civ., sez. II, 7 aprile 1970, n. 951, in Mass. Giur. it., 1970, 412; Cass. civ., sez. II, 13 aprile 1985, n. 2465, in Banca dati De Jure (solo la massima); Cass. civ., sez. II, 23 luglio 1986, n. 4697 e Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1998, n. 9997, entrambe in Banca dati De Jure.
Basti qui precisare che il rapporto di reciprocità tra i fondi (ossia nel caso di specie tra le unità immobiliari in condominio) non opera «all’interno di un’unica servitù – che, come tale, sarebbe inammissibile giacché si deve escludere che lo stesso fonda possa rivestire contemporaneamente, in ordine alla medesima utilità oggettiva, la qualità di fondo dominante e di servente – ma postula due o più servitù distinte, ancorché del medesimo tipo; e il fondo che in una di esse figura come servente viene considerato in un’altra come dominante, ferma restando l’indipendenza delle vicende relative a ciascuna servitù: cosi che, per esempio, dall’estinzione di una di esse non deriva l’estinzione delle altre» (L. BIGLIAZZI GERI – U. BRECCIA – F. D. BUSNELLI – U. NATOLI, Diritto civile, 2, Diritti reali, cit., 258). In sostanza, tra le diverse unità immobiliari in condominio non vi è un'unica servitù (reciproca), ma tante, distinte e autonome servitù, con lo stesso oggetto: ciò che varia è solo la posizione della singola proprietà esclusiva, che assume la qualità di fondo dominante in una e di fondo servente in tutte le altre. In dottrina per l’ammissibilità delle cosiddette servitù reciproche, in luogo di molti, cfr.: M. COMPORTI, Le servitù prediali, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, Proprietà, II, 8, cit., 153 ss.; G. BRANCA, Servitù prediali, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro III, Della proprietà, Art. 1027-1099, Bologna - Roma, 1967 (4a ed.), 4 ss.; E. GUERINONI, Servitù prediali, La costituzione per contratto, in GAMBARO - MORELLO, Trattato dei diritti reali, II Diritti Reali Parziari, Milano, 2011, 246 ss.; A. JANNARELLI – F. MACARIO, Della proprietà, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, 1, Assago, 2012, 747; S. CERVELLI, I diritti reali, Milano, 2019 (4a ed.), 253; P. GIULIANO, Le servitù: regime e caratteri generali, cit., 953 ss.
[41] Per un’ampia illustrazione della tesi che riconduce le clausole di cui scrivo nel testo all’istituto della servitù prediale cfr. M. CORONA, La trascrizione del regolamento di condominio, cit., 60 ss. e ID., Il regolamento di condominio tra clausole assembleari e soluzioni contrattuali: àmbito operativo e opponibilità, relazione al corso organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura intitolato Il condominio: questioni interpretative tra legge e prassi giurisprudenziali, tenutosi a Scandicci, Villa Castel Pulci, dal 30 gennaio al 1 febbraio 2017, 20 ss.: il testo della relazione è consultabile sul sito web della scuola. In senso conforme cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, 6 La proprietà, cit., 367; T. CAMPANILE – F. CRIVELLARI – L. GENGHINI, I Diritti reali, cit., 624; G.A. CHIESI, Il condominio, in Diritti reali. Trattato teorico-pratico, cit. 1587; A. CELESTE, Il regolamento di condominio, in A. CELESTE – A. SCARPA, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 710.
[42] Cfr. Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2011, n. 1064, in Banca dati De Jure; Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2011, n. 3705, in Riv. giur. edil., 2011, 5, I, 876, con nota di M. DE TILLA, Regolamento contrattuale e divieto di detenere animali domestici nell’appartamento; Cass. civ., sez. II, 13 giugno 2013, n. 14898 (in relazione ad un supercondominio), in Banca dati De Jure; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2014, n. 17493, in Banca dati De Jure; Cass. civ., sez. II, 19 settembre 2014, n. 19798, in Banca dati De Jure; Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2016, n. 21024, in Guida dir., 2016, 47, 60, con nota di M. PISELLI, Necessario un chiarimento delle sezioni unite e in Riv. giur. edil., 2016, 6, I, 1040 e Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2018, n. 6769, in Banca dati De Jure. Infine, per l’ampia trattazione della problematica di cui scrivo nel testo, merita di essere segnalata la recente Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2022, n. 24526, in Foro it. 2023, 1, I, c. 255, che ha pronunciato il seguente principio di diritto «le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino le facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il loro immobile a determinate destinazioni, costituiscono servitù reciproche a favore e contro ciascuna unità immobiliare di proprietà individuale, e sono soggette, pertanto, ai fini dell’opponibilità ultra partes, alla trascrizione in base agli artt. 2643, n. 4) e 2659, primo comma, n. 2) c.c.».
[43] Cfr. Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2003, n. 3435, in Arch. civ., 2004, 108; Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2001, n. 13164, in Arch. loc., 2002, 292; Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1999, n. 11688, in Arch. loc., 2000, 47 (con riferimento alle limitazioni all’interno di un villaggio “turistico”); Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1999, n. 3749, in Vita not., 1999, II, 778, con nota di R. Triola e in Giust. civ. 2000, I, 163, con nota di M. DE TILLA, Sulle limitazioni del regolamento contrattuale di condominio: servitù prediali ed oneri reali; Cass. civ., sez. II, 13 novembre 1993, n. 11207, in Giur. it., 1994, I, c. 1816, con nota di R. DE MICHELI, Servitù e condominio; Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1992, n. 49, ivi, 1992, I, I, c. 1465 e in Giust. civ., 1992, I, 2407, con nota di M. DE TILLA, Regolamento di condominio, clausole limitative e immissioni intollerabili; Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1981, n. 3629, in Giust. civ., 1981, I, 2932, con nota di G. IUDICA, Criteri interpretativi di una clausola di regolamento condominiale concernente vincolo di destinazione d’uso degli appartamenti.
[44] Fanno espressamente riferimento alla figura dell’onere reale: Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1997, n. 4509, in Arch. loc., 1997, 893; Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 1991, n. 11019, in Arch. loc., 1992, 287; Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1990, n. 7654, ivi, 1990, 703; Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1990, n. 7630, ivi, 1991, 75; Cass. civ., sez. II, 14 aprile 1983, n. 2610, in Riv. giur. edil., 1983, I, 917.
Come è noto, l’onere reale – le cui origini si fanno risalire al diritto consuetudinario dei popoli germanici (cfr. G. GANDOLFI, voce Onere reale, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, 129) – consiste in un obbligo oggettivamente gravante su un immobile per cui il proprietario di questo (o il titolare di altro diritto reale di godimento sul medesimo) è tenuto, per il solo fatto di essere tale, a effettuare prestazioni periodiche e positive (di dare o di facere) in favore (del proprietario di altro fondo ovvero) di un diverso soggetto cui correlativamente spetta una garanzia reale sul fondo «onerato». Ne consegue che all’atto dell’alienazione dell’immobile gravato da onere reale l’acquirente subentra automaticamente all’alienante quale soggetto tenuto all’esecuzione dell’onere. Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cosiddetto codice dell’ambiente) era assai dubbio che nel nostro ordinamento esistessero fattispecie riconducibili all’onere reale (l’unica ipotesi, forse, era costituita dai contributi consorziali di cui all’art. 864 c.c.: cfr. T. CAMPANILE – F. CRIVELLARI – L. GENGHINI, I diritti reali, cit., 302). Attualmente, invece, l’art. 253 del sopra citato codice dell’ambiente prevede espressamente una figura di onere reale (sul punto cfr. A. MASI, Riflessioni sull’onere reale nel codice dell’ambiente, studio civilistico n. 342-2009/C, in Studi e materiali, 2/2010, Milano, 2010, 333 ss. e G. TRAPANI, Onere reale e certificato di destinazione urbanistica nel codice dell’ambiente, studio civilistico n. 108-2010/C, ivi, 395 ss.). La riconduzione delle clausole di cui scrivo nel testo alla figura dell’onere reale è fuori luogo sia perché l’onere reale non può essere creato dall’autonomia privata (cfr., in luogo di molti, A. NATUCCI, La tipicità dei diritti reali, Padova, 1988 (2a ed.), 304; M. COMPORTI, Diritti reali in generale, cit., 153 ss.) sia perché esso deve consistere in un (dare o in un) facere e non può avere contenuto negativo quale è quello derivante da un vincolo (cfr. C. ROMEO, Obbligazioni propter rem, in Tratt. diritti reali diretto da A. Gambaro e U. Morello, II, Diritti reali parziari, Milano, 2011, 409 ss., il quale aggiunge una terza argomentazione, vale a dire la circostanza che nel caso delle limitazioni imposte dai regolamenti condominiali non vi è – come nell’onere reale – alcuna garanzia reale sul bene in caso di inadempimento).
[45] Per la qualificazione in termini di obbligazioni propter rem cfr. Cass. civ., sez. II, 13 agosto 2004, n. 15763, in Vita not., 2004, 1567; Cass. civ., sez. II, 5 settembre 2002, n. 11684, in Giur. it., 2001, I, c. 446 e in Arch. loc., 2001, 417; Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1999, n. 11692, in Riv. giur. edil., 2000, I, 76 (solo la massima). Più articolata, invece, la statuizione espressa da Cass. civ., sez. II, 5 settembre 2000, n. 11684, in Riv. giur. edil., 2000, I, 1085, che distingue a seconda del peculiare contenuto delle clausole limitatrici. Non è possibile in questa sede soffermarsi sulla figura dell’obbligazione propter rem e sulle sue precipue caratteristiche (al riguardo, a parte i cenni contenuti nella manualistica, cfr. G. BALBI, Le obbligazioni propter rem, Torino, 1950 e ID., voce Obbligazione reale in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1957, 666; Fr. ROMANO, Diritto e obbligazione nella teoria del diritto reale, cit., 86; G. Gandolfi, voce Onere reale, cit., 127; M. COMPORTI, Diritti reali in genere, cit., 231 ss.; A. NATUCCI, La tipicità dei diritti reali, cit., 295; L. BIGLIAZZI GERI, Oneri reali e obbligazioni propter rem, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo continuato da L. Mengoni, vol. XI, t. 3, Milano, 1984, passim; A. FUSARO, Obbligazione «propter rem» ed onere reale, in Dig. civ., XII, Torino, 1995, 390; L. MANNA, Le obbligazioni propter rem, in Il giurista europeo, collana diretta da L. Garofalo e M. Talamanca, Padova, 2007; C. ROMEO, Obbligazioni propter rem, cit., 387 ss.).
[46] Cfr. par. 6.1, 18, della sentenza.
[47] Si legge nella decisione in esame che nell’art. 1102 c.c. (rubricato «uso della cosa comune») il termine «uso» indica il «servirsi della cosa comune» e che lo stesso significato ha l’espressione «uso (comune)» contenuta in ciascuno dei tre numeri in cui è suddiviso l’art. 1117 c.c., il quale, come è noto, costituisce la disposizione di apertura della disciplina del condominio degli edifici racchiusa nel codice civile. Nella locuzione «servirsi della cosa comune» – proseguono le sezioni unite – si riassumono «le facoltà e i poteri attraverso i quali il partecipante alla comunione, ovvero il condomino, ritrae dalla cosa le utilità di cui essa è capace», entro il limite oggettivo della sua destinazione. In realtà, l’asserita assimilazione tra comunione e condominio anche sotto questo profilo non è condivisibile perché il limite della «destinazione» opera in modo diverso nella comunione e nel condominio (cfr. rispettivamente art. 1102 e art. 1117-ter c.c.).
[48] Cfr. A. CIATTI CÀIMI, Il diritto di uso esclusivo nel condominio (dopo la decisione delle Sezioni unite della Cassazione), cit., 65 e la dottrina ivi citata alla nt. 14 cui, senza pretesa di completezza, adde: C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, cit., 359; T. CAMPANILE – F. CRIVELLARI – L. GENGHINI, I diritti reali, in L. GENGHINI (a cura di), Manuali notarili, V, Padova, 2011, 607. In questa sede non si può affrontare il problema dell’inquadramento sistematico del condominio. Ai fini di queste note, però, è utile sottolineare che esso costituisce una fattispecie normativa sui generis, caratterizzata dalla necessaria coesistenza di proprietà esclusive e proprietà comuni e che tra le une e le altre si realizza un rapporto di interdipendenza che non solo determina l’asservimento di talune parti dell’edificio all’utilità delle unità immobiliari in proprietà esclusiva ma anche che le proprietà individuali subiscano delle limitazioni in quanto (hanno ad oggetto beni) all’interno di un edificio in condominio (cfr. M. CAVALLARO, Il condominio negli edifici, in Il Codice Civile Commentario fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F. D. Busnelli, Artt. 1117-1128, Milano, 2009, 25 ss.). Altra dottrina, nel rimarcare che il condominio è una comproprietà del tutto particolare, ravvisa la specificità dell’istituto non tanto nell’oggetto in sé e per sé ma nella relazione strumentale di accessorietà che lega le cose, gli impianti e i servizi comuni con le unità immobiliari in proprietà esclusiva: cfr. R. CORONA, Proprietà e maggioranza nel condominio degli edifici, Torino, 2001, 3; ID., Il supercondominio (condominio negli edifici, complessi immobiliari ed edifici complessi), Milano, 1985, 61, n. 16 e ID., Contributo alla teoria del condominio negli edifici, Milano, 1973, 185, n. 40 ss. e, sulla sua scia, tra i tanti, R. TRIOLA, Beni proprietà e diritti reali, Il condominio, in Tratt. dir. priv. diretto da M. Bessone, VII, 3, Torino, 2002, 1; A. SCARPA, La “relazione di accessorietà” quale fondamento tecnico dell’attribuzione del diritto di condominio, in Rass. loc. e cond., 2001, 41; A. CELESTE, Le parti comuni dell’edificio, in A. CELESTE – A. SCARPA, Il condominio negli edifici, cit., 39 ss. Per ulteriori rilievi sulle specifiche peculiarità del condominio cfr. R. CORONA, La situazione soggettiva di condominio, in Tratt. diritti reali diretto da A. Gambaro e U. Morello, III, Condominio negli edifici e comunione, a cura di M. Basile, Milano, 2012, 26 ss.
[49] Per un’ampia illustrazione delle differenze esistenti tra comunione e condominio cfr. A. CIATTI, Il diritto di uso esclusivo nel condominio (dopo la decisione delle sezioni unite della Cassazione), cit., 65 ss. A giudizio dell’A. le differenze tra i due istituti sono così significative che in materia di condominio il richiamo alle norme sulla comunione e, dunque, anche all’art. 1102 c.c. «deve ritenersi non consentito, quando non sia motivato dall’assenza di una regola ricavabile da quelle contenute negli artt. 1117 ss.».
[50] Già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, M. BASILE, Regime condominiale ed esigenze abitative, Milano, 1979, 264 ss., sottolineava che l’art. 1102 c.c. non può applicarsi per il tramite dell’art. 1139 c.c. in materia di condominio perché in quest’ultimo le norme generali sulla comunione si devono osservare «per quanto non è espressamente previsto» dagli artt. 1117-1138 c.c.
[51] Sul significato della locuzione «parimenti uso» di cui all’art.1102 c.c. e sulle sue concrete applicazioni cfr. G. BRANCA, Comunione. Condominio degli edifici, cit., 78 ss.
[52] Il frammento normativo citato nel testo contempla l’eventuale esistenza di «cose destinate a servire i condomini in maniera diversa», come, per esempio, scale e ascensori, per la cui manutenzione e sostituzione conseguentemente l’art. 1124 c.c. prevede una peculiare e specifica disciplina.
[53] Ammettono un uso più intenso del bene condominiale da parte di un condomino rispetto agli altri: Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8808, in Banca dati De Jure, sul presupposto che «nei rapporti condominiali si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti»; Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 2007, n. 4617, in Banca dati De Jure; Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 2009, n. 22341, in Giust. civ., 2010, 4, I, 913; Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2018, n. 9278, in Banca dati De Jure, tutte citate dalla stessa pronuncia delle sezioni unite in commento.
[54] Sull’uso frazionato del bene comune cfr. Cass. civ., sez. II, 14 luglio 2015, n. 14694, in Banca Dati De Jure e Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2006, n. 8429, in Arch. loc., 2007, 3, 300.
Sull’uso turnario, invece, si veda Cass. civ., sez. II, 19 luglio 2012, n. 12485, in Guida dir., 2012, 37, 63 (solo la massima). Ad esso, per esempio, si fa ricorso quando nel cortile condominiale destinato a parcheggio non sia possibile ricavare un numero di posti auto sufficiente a soddisfare simultaneamente le esigenze di tutti i condomini.
[55] L’art. 1122, comma 1, c.c. prevede che parti dell’edificio «normalmente destinate all’uso comune» possano essere attribuite in proprietà esclusiva «o destinate all’uso individuale» e stabilisce che su di esse il condomino «non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio». Non è condivisibile l’interpretazione del frammento normativo in esame proposta da R. TRIOLA, Il c.d. diritto di uso esclusivo di parti comuni, in Corr. giur. 2020, 4, 507: l’A., ritiene che il legislatore «con ogni probabilità … [ha] inteso fare riferimento all’ipotesi in cui sia stato deliberato l’uso frazionato delle parti comuni» ma, abbracciando questa riduttiva ricostruzione ermeneutica, è poi costretto ad ammettere che «… la norma è superflua».
[56] L’art. 1122-bis, comma 2, c.c. contempla uno specifico uso individuale di parti comuni in quanto consente di destinare il lastrico solare o «ogni altra idonea superficie comune» all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio. Ai sensi del successivo terzo comma l’assemblea provvede «a ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto». Tale precetto e, in particolare, il fatto che il godimento venga concesso dall’assemblea con delibera assunta a maggioranza (degli intervenuti che rappresentino almeno i due terzi dell’edificio: art. 1136, comma 5, c.c.), secondo la dottrina “negazionista” esclude «che ricorra un’ipotesi di modificazione del contenuto del diritto di comproprietà» (R. TRIOLA, Il c. d. diritto di uso esclusivo di parti comuni, cit., 508). In realtà, la spiegazione della regola che affida alla maggioranza assembleare (comunque la più qualificata tra quelle previste per le deliberazioni dell’assemblea condominiale) l’attribuzione dello specifico uso individuale previsto dall’art. 1122-bis, comma 2, c.c. risiede nella particolare rilevanza economico-sociale degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili tale da sacrificare, in via del tutto eccezionale, il principio del consenso unanime dei condomini (sulle finalità di risparmio energetico e di tutela del diritto alla salute realizzabili tramite i suddetti impianti cfr. A. Celeste, Antenne e fotovoltaici singoli, in condominioelocazione.it, 26 aprile 2018). Alle disposizioni del codice civile citate nel testo può aggiungersi l’art. 1117-ter, comma 1, c.c., che prevede la possibilità per l’assemblea di modificare la destinazione d’uso delle parti comuni al solo fine di soddisfare «esigenze di interesse condominiale», concetto di difficile perimetrazione ma che, presumibilmente, abbraccia anche gli usi individuali che soddisfino (mediatamente) un interesse comune al gruppo dei condomini (il rilievo è dell’amico Alberto Celeste, autorevole specialista del condominio: sul punto cfr. amplius ID., Art. 1117-ter, in Codice del condominio, diretto da A. Celeste, Milano, 2018, 222). Del resto – si può aggiungere – il testo dell’art. 1122 c.c. post riforma fa espresso riferimento a «parti normalmente destinate all’uso comune, che siano attribuite in proprietà esclusiva», sicché è ipotizzabile un mutamento della destinazione dall’uso comune a quello individuale, ma pur sempre soddisfacendo esigenze di interesse condominiale (cfr. R. AMAGLIANI, La riforma del condominio negli edifici ed il rilievo delle destinazioni d’uso, in Rass. dir. civ., 2015, 4, 1112). Un ulteriore riferimento all’uso esclusivo è contenuto nell’art. 6, comma 1, lett. b), del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, il quale prevede che i preliminari (e le fattispecie equiparabili) aventi ad oggetto immobili da costruire debbano contenere «la descrizione dell’immobile e di tutte le sue pertinenze ad uso esclusivo».
[57] In concreto, di regola, lastrici solari, terrazze di copertura, cortili e giardini.
[58] Il rilievo espresso nel testo è stato formulato dalla stessa Suprema Corte che, pure di recente, ha ribadito che il lastrico solare assolve una funzione di utilità comune a tutti i condomini in quanto «anche se attribuito in uso esclusivo… svolge funzione di copertura dell’edificio» (cfr. Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2020, n. 9380, in Banca dati De Jure). Sulla funzione del lastrico o della terrazza posta a copertura dell’edificio a beneficio di tutti i condomini si fonda anche la decisione di Cass. civ., sez. Un., 10 maggio 2016, n. 9449, in Riv. giur. edil., 2016, 2, I, 443.
[59] Cfr. M. CAVALLARO, Il condominio negli edifici, loc. cit.
[60] Ciò, di regola, avviene per i lastrici solari, le terrazze di copertura, i cortili e i giardini, e in generale, per «ogni altra idonea superficie comune» (cfr. art. 1122-bis, comma 2, c.c. e la precedente nt. 54) capace di fornire le stesse plurime utilità, tenuto conto anche delle particolari caratteristiche costruttive dell’edificio. Sulla scia della celebre lezione pugliattiana su «le proprietà» (cfr. S. PUGLIATTI, La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1964, spec. 145 ss.), verrebbe da dire che il dominio su tali beni condominiali sia sottoposto ad un peculiare e specifico statuto.
[61] Cfr. par. 6.4, 22 della sentenza.
[62] Ibidem. Il lastrico solare si distingue dalla terrazza di copertura perché quest’ultima offre utilità ulteriori, vale a dire un «comodo accesso e la possibilità di trattenersi» (Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1996, n. 10323, in Banca dati De Jure) e di soggiornarvi comodamente, all’uopo sistemandola nel modo più confortevole (mediante opere di copertura ulteriore e/o di ornamento e abbellimento e arredandola con sedie, sdrai, divani, poltrone, tavoli ecc.). Sull’assimilazione della terrazza di copertura al lastrico solare stante la comune funzione di protezione idro-termica dell’edificio cfr. L. SALIS, Il condominio negli edifici, cit., 34 e A. CIATTI CÀIMI, Il diritto di uso esclusivo nel condominio (dopo la decisione delle sezioni unite della Cassazione), cit., 64 nt. 12.
[63] Cfr. par. 6.2, 20 della sentenza. Sul punto la giurisprudenza di legittimità è concorde: cfr. Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24301, cit., che richiama Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1992, n. 10895, in Banca dati De Jure. Cfr. anche Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268, in Riv. giur. edil., 1999, I, 710. Per contro è pacifico che non sia consentito l’inserimento nel regolamento condominiale di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (cfr. Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2018, n. 2957, in Riv. giur. edil., 2018, 3, I, 657 e, in senso conforme, Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 2013, n. 27233, in Giur. it., 2014, c. 1869 ss., con nota di P. SCALETTARIS, L’assemblea condominiale e la disciplina dell’uso della cosa comune).
[64] In tal senso in dottrina, tra gli altri, C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, cit., 330; G. GABRIELLI, Regole condominiali e trascrizione, in Riv. not., 1, 2006, 1.
[65] Cfr. D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit. Per la distinzione tra norme cogenti e norme relative (dispositive o suppletive), per tutti, cfr. N. IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato, Padova, 1990, 89.
[66] Sulla possibilità che la clausola relativa all’attribuzione dell’uso esclusivo sia inserita nel regolamento assembleare di condominio si veda più avanti nel testo al 6. Come si è sottolineato all’inizio, l’uso esclusivo potrebbe essere previsto anche nel primo atto di vendita di una delle unità immobiliari dell’edificio compiuto dall’unico proprietario-costruttore (arg. ex art. 1117 c.c.), ossia al momento della nascita del condominio (cfr. al riguardo la precedente nt. 5).
[67] Un più ampio ventaglio di ipotesi si legge nell’ordinanza di rimessione che ha portato alla pronuncia delle sezioni unite n. 28972/2020 (cfr. Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 2019, n. 31420, in Riv. not. 2020, 1, II, 281 ss., con nota di D. BERTANI, Alle sezioni unite la decisione circa l’esatta natura giuridica dell’uso esclusivo su parti condominiali; in Giur. it., 2021, 790 ss., con nota di M. L. Chiarella, Rimessa alle sezioni unite la qualificazione giuridica del c.d. diritto d’uso esclusivo, e in Riv. giur. edil., 2020, 1, I, 83). Infatti in essa si legge che in passato le sezioni semplici della Cassazione hanno «classificato l’uso esclusivo come: (i) semplice clausola atta ad escludere la natura comune della porzione interessata in deroga all’art. 1117 c. c.; (ii) riparto pattizio delle facoltà di godimento della cosa comune in deroga all’art. 1102 c. c.; (iii) diritto reale atipico; (iv) servitù prediale; (v) obbligazione propter rem; (vi) diritto reale d’uso ex art. 1021 c. c.; (vii) mero rapporto obbligatorio».
[68] In realtà, astrattamente, è concepibile anche l’ipotesi prospettata dalle sezioni unite, ossia che l’uso esclusivo condominiale coincida con il diritto reale di uso previsto dall’art. 1021 c.c. Tuttavia, tale diritto reale, sia in quanto ha una durata temporale limitata (essendo destinato ad estinguersi con la morte del titolare: cfr. artt. 1026 e 979 c.c.), sia in quanto, di regola, è incedibile (cfr. art. 1024), non è idoneo a realizzare gli interessi avuti di mira dalle parti con l’attribuzione dell’uso esclusivo sul bene condominiale. Si tenga presente, peraltro, che all’atto della costituzione dell’uso le parti possono validamente prevederne la cedibilità mediante un’apposita deroga alla disciplina legale poiché si tratta di situazioni patrimoniali disponibili. In tal senso, da tempo, si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità: cfr. Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2006 n. 4599, in Arch. loc., 2006, 530 e in Giust. civ. Mass., 2006, 3; Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2008, n. 5034, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 1266, con nota di D. TESSERA, Differenze tra diritto d’uso e diritti personali di godimento sotto il profilo contenutistico e della disciplina della circolazione; in Giur. it., 2008, 2474 ss., con nota di S. CONTI, Diritto reale d’uso e diritto personale di godimento; in Riv. not., 2009, 1000 ss. con nota di G. MUSOLINO, Il diritto reale d’uso tra realtà e obbligatorietà e Cass. civ., sez. II, 27 aprile 2015, n. 8507, in Riv. not., 2016, 1, 45, con nota di G. MUSOLINO, Diritto di uso. La derogabilità del divieto di cessione.
[69] Cfr. D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit.
[70] Come è noto, la servitù ha una durata tendenzialmente perpetua in quanto, se non è costituita con termine finale, si estingue soltanto per confusione o per prescrizione per non uso ventennale.
[71] La servitù si trasferisce soltanto con l’alienazione del bene cui inerisce: il titolare dell’uso esclusivo pertanto non può alienarlo autonomamente ma solo insieme all’unità immobiliare in proprietà esclusiva.
[72] Cfr. infra nel testo.
[73] Cfr. D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit.
[74] Nessun problema si pone se l’area comune sia destinata a parcheggio e sia iscritta in catasto come bene comune censibile, con conseguente attribuzione della categoria catastale C/6 e deposito della relativa planimetria. Ma anche qualora l’area scoperta condominiale abbia una qualunque delle tre destinazioni ricorrenti nella prassi (parcheggio, cortile o giardino) e sia iscritta in catasto come bene comune non censibile è eseguibile la formalità della trascrizione in quanto è possibile inserire nel quadro B della nota una unità immobiliare classata come bene comune non censibile. Come è noto, per gli atti costitutivi di servitù la circolare 2 maggio 1995 n. 128 Min. Finanze – Dir. Territorio Serv. IV (al punto 2.5) chiarisce che è possibile specificare per ciascun immobile se trattasi di fondo dominante o servente indicando la lettera D (dominante) o S (servente) nell’apposito capo. Sul quadro B della nota di trascrizione cfr. A. A. ETTORRE – S. IUDICA, La pubblicità immobiliare e il testo unico delle imposte ipotecaria e catastale, Milano, 2007 (3a ed.), 158 ss. Come è noto, caratteristica precipua e identificativa dei diritti reali è l’inerenza (reale) del diritto al bene (cfr., per tutti, M. GIORGIANNI, voce Diritti reali (diritto civile), in Noviss. dig. it., V, Torino, 1960, 752 e M. COMPORTI, Diritti reali in generale, cit., 67 ss., 94, 95 e ivi nt. 102) dalla quale (e non soltanto dalla trascrizione) discende l’opponibilità. Invero la formalità pubblicitaria non sarebbe di per sé idonea a conseguire l’indicata opponibilità se il diritto – oggetto di trasferimento del quale si chiede la trascrizione – non avesse già intrinsecamente quell’attitudine peculiare qualificata appunto come inerenza reale: cfr. R. FRANCO, Il diritto di uso esclusivo condominiale tra categorie e interessi, cit., 251.
[75] Come è noto, se il regolamento contrattuale di condominio è predisposto dal costruttore-venditore e viene accettato dagli acquirenti delle unità immobiliari dello stabile condominiale nei singoli atti di vendita, le clausole in esso contenute che determinino un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto sono sottoposte alla disciplina prevista dal d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), ogni qualvolta il venditore sia un «professionista» e il compratore un «consumatore», ai sensi dell’art. 3, comma 1, rispettivamente lett. c) e a) di tale codice. Ciò avviene, per esempio, per la clausola che esonera il costruttore-venditore dal pagamento dei contributi condominiali sino a quando non abbia venduto tutte le unità immobiliari dell’edificio cui il regolamento si riferisce. Sull’applicazione del Codice del consumo a tale fattispecie si veda di recente Cass. civ., sez. Vi, ord. 21 giugno 2022, n. 20007, in Banca dati De jure e i primi commenti di m. TARANTINO, Quando possono considerarsi vessatorie le clausole del costruttore di esonero dalle spese condominiali, in Dir. e giust., 22 giugno 2022 (fasc. 116, 3) e C. BELLI, Nuove coordinate interpretative della Cassazione sulle clausole regolamentari di esonero del costruttore dal pagamento degli oneri condominiali, in www.consulenza.it, 8 luglio 2022. In dottrina in argomento cfr. M. CORONA, I regolamenti contrattuali di condominio: interessi dell’impresa, tutela del consumatore e principi inderogabili dall’autonomia privata, relazione al convegno Dieci anni dopo la riforma del condominio: antiche questioni irrisolte e nuove problematiche, tenutosi a Cagliari il 20 maggio 2022, i cui atti sono in corso di pubblicazione per i tipi di Akademeia.
[76] Cfr la precedente nt. 31.
[77] Cfr. per tutti G. RIZZI, I posti auto condominiali e la disciplina in tema di conformità catastale, cit. 8 ss. e la precedente nt. 10.
[78] R. FRANCO, L’uso esclusivo di un bene condominiale non rientra nel novero dei diritti reali, cit., 93 e ID., Il diritto di uso esclusivo condominiale tra categorie e interessi, cit., 245 ss. e spec. 253 e ivi nt. 73.
[79] Sull’ammissibilità della deroga pattizia al divieto di cessione sancito dall’art. 1024 c.c. cfr. la precedente nt. 68.
[80] Cfr. la precedente nt. 69.
[81] È noto che la dottrina individua il carattere della realità (sui cui elementi qualificanti cfr., per tutti, M. COMPORTI, Diritti reali in generale, cit., 241 ss. e A. NATUCCI, La tipicità dei diritti reali, cit. passim) anche in situazioni giuridiche diverse rispetto agli iura in re aliena disciplinati nei titoli III-V del libro III del codice civile (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso e abitazione). Si pensi, per esempio, alla situazione giuridica del compratore nella vendita con riserva di proprietà caratterizzata dall’opponibilità erga omnes «nella quale confluiscono sia un diritto (reale limitato) di godimento sul bene sia una aspettativa (reale) di acquisto della proprietà (che si converte in un acquisto di proprietà al momento del pagamento dell’ultima rata di prezzo): cfr. A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2018 (9a ed.), 165.
[82] Cfr. Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24301, in Riv. not., 2019, 6, II, 1191, con nota di D. BERTANI, Diritto di uso esclusivo su di una porzione comune condominiale. Inquadramento quale riparto pattizio delle facoltà di godimento sulle parti comuni. L’uso esclusivo – si legge nella massima – «è una connotazione del diritto di proprietà di cui all’art. 832 c.c. … (derivante) da un diverso riparto pattizio, fissato nel titolo, delle facoltà di godimento sulla porzione comune condominiale».
[83] Cfr. 6 ss. dell’originale della sentenza.
[84] Cfr. D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit.
[85] Cfr. supra nel testo e le precedenti note 55 e 56.
[86] Su entrambi i rilievi esposti nel testo cfr. D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit., il quale aggiunge che il principio di tipicità non vieta tout court all’autonomia privata di disciplinare il contenuto di un diritto reale ma solo di modificarne i tratti essenziali.
[87] Sul tema cfr. da ultimo M. CORONA, Natura, contenuto ed effetti dei regolamenti di comunione e di condominio, relazione al corso della Scuola Superiore della Magistratura I diritti in comune: amministrazione e responsabilità nella comunione e nel condominio, tenutosi a Scandicci dal 7 al 9 marzo 2022, consultabile sul sito web della scuola.
[88] Tra le tante occasioni sciupate dal legislatore con l’emanazione della legge di riforma del condominio vi è anche quella della mancata introduzione nel nostro ordinamento della trascrizione del regolamento di condominio. L’operazione non era difficile in quanto sarebbe bastato recepire quanto previsto nel disegno di legge n. 622 presentato dal notaio Andrea Pastore nel corso della XIV legislatura e far confluire nell’alveo della trascrizione ex art. 2643 c.c. anche i regolamenti contrattuali di condominio. Su tale disegno di legge cfr. G. GABRIELLI, Regole condominiali e trascrizione, in Il condominio negli edifici tra realità e personalità, Atti del convegno di studi tenutosi a Bologna il 7 e 8 ottobre 2005, in Quaderni del Notariato, collana diretta da P. Rescigno, F. Galgano e M. Ieva, 12, Milano, 2007, 205.
[89] D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit.
[90] Come è noto, la disposizione di cui all’art. 2643, n. 3) c.c. è considerata superflua e inutile in quanto ogni comunione trae origine sempre da un atto di alienazione e, pertanto, ogni contratto costitutivo di comunione è comunque sempre trascrivibile ai sensi dell’art. 2643 n. 1) c.c.: cfr. R. TRIOLA, La trascrizione, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, Torino, 2004 (2a ed.), 68 e F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare. Artt. 2643-2645-bis, I, in Il Codice Civile Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1998 (2a ed.), 216.
[91] Cfr. la precedente nt. 4
[92] D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit.
[93] D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit. Né per contro può sostenersi che l’assemblea possa deliberare con la stessa maggioranza qualificata di cui all’art. 1122-bis, comma 3, c.c. poiché nel caso in esame non è ravvisabile una ragione (equiparabile alla particolare rilevanza economico-sociale degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili) che, in via eccezionale, ha indotto il legislatore a sacrificare il principio dell’unanimità dei consensi in relazione alla fattispecie disciplinata dalla suddetta norma.
[94] G. PETRELLI, Condominio negli edifici, «usi esclusivi» e «usi individuali», cit., 246 e D. GIURATO, Il diritto di uso esclusivo e perpetuo del bene condominiale, cit.
[95] In argomento cfr. M. CORONA, Il regolamento di condominio tra clausole assembleari e soluzioni contrattuali: àmbito operativo e opponibilità, cit., 12.
[96] Cfr. la precedente nt. 4.
[97] L’estensore dell’ordinanza citata nel testo è il consigliere Antonio Scarpa, eccellente specialista della materia condominiale. È pubblicata in Banca dati De Jure. Per un primo commento cfr. D. PALOMBELLA, A quali condizioni è possibile l’accessione del possesso, in Dir. e giust., 22 giugno 2022 (fasc. 116, 2) e N. RUMINE, Brevi note intorno alla successione e all’accessione nel possesso del diritto di uso del cortile condominiale, in GiustiziaCivile.com, 14 settembre 2022.
[98] La questione relativa al regime dominicale della porzione di cortile contesa non è stata chiarita in corso di causa perché le parti non hanno prodotto il titolo contrario alla condominialità dell’area ex art. 1117 c.c.
[99] Cfr. la precedente nt. 68.
[100] Faccio riferimento al convegno intitolato Il condominio negli edifici tra realità e personalità, tenutosi a Bologna il 7 e l’8 ottobre 2005 i cui atti sono stati raccolti nel libricino citato nella precedente nt. 22. Tra i diversi contributi che vi sono contenuti, per quanto riguarda specificamente i rapporti tra il notaio e il condominio, segnalo quello di D. Spallanzani, Il notariato nell’evoluzione del condominio, 61 ss.
[101] Cfr. la precedente nt. 5.
[102] Sulla funzione di giustizia preventiva del notaio con specifico riferimento alla materia condominiale cfr. L. BARASSI, Notariato e condominio: per un rinnovato contributo e A. PASTORE, Il condominio nelle riforme del settore edilizio, entrambi in Il condominio negli edifici tra realità e personalità, cit., rispett. 80 e 95 nonché M. CORONA, Regolamento di condominio e trascrizione, in E. MARMOCCHI (a cura di), Profili notarili della riforma del condominio, Quaderni del Notariato, 15, collana diretta da P. Rescigno, F. Galgano e M. Ieva, Milano, 2014, 126 ss.; ID. Il notaio e il condominio: la giustizia preventiva nelle vicende condominiali, cit., passim, e ID., La mutevolezza della compagine condominiale: cit., 204 ss.
[103] Come è noto, l’espressione fu coniata da Francesco Carnelutti all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso (cfr. ID., La figura giuridica del notaio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, 927). In generale sulla cosiddetta funzione anti-processuale del notaio si vedano: S. TONDO, Caratteri e prospettive dell’attività notarile, in Riv. not., 1966, I, 219 ss.; M. D’ORAZI FLAVONI, L’autonomia del diritto notarile, in Studi giuridici in memoria di F. Vassalli, I, Torino, 1960, 587 ss.; N. LIPARI, Rinnovamento del diritto privato e funzione del notaio, in Riv. not., 1973, I, 1033 ss. e ID., La funzione notarile oggi, in Riv. not. 1977, 940. In termini critici, invece, M. NIGRO, Il notaio nel diritto pubblico, in Riv. not., 1979, 1157.
[104] La giurisprudenza è costante nell’affermare il valore fondamentale del primo atto di trasferimento ai fini della ricognizione del regime delle parti astrattamente riconducibili a quelle comuni: cfr., tra le più recenti, Cass. civ., sez. Ii, 17 febbraio 2020, n. 3852 in banca dati De jure; cass. civ., sez. II, 9 settembre 2019, in Riv. giur. edil., 2019, 5, I, 1322 e id., 2020, 1, I, 92; Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2018, n. 20693, in Banca dati De jure; Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24301, cit.; Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2017, n. 14809, in Banca dati De jure e Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2011, n. 11812, in Giust. civ., 2012, I, 1813.
[105] L’elencazione contenuta nell’art. 1117 c.c. ha carattere esemplificativo e non tassativo (cfr., tra le più recenti, Cass. civ., sez. VI, 1° marzo 2018, n. 4906, in Banca dati De jure; Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2017, n. 14794; Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2015, n. 7816, in Guida dir., 2015, n. 29, 53 e Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501, in Banca dati De jure) e, dunque, hanno natura condominiale, salvo titolo contrario, tutti i beni o servizi ivi indicati nonché gli altri che, seppure non espressamente menzionati, assolvano alle medesime funzioni. La formulazione letterale dell’incipit dell’art. 1117 c.c. ha indotto parte della dottrina a discorrere di «presunzione di condominialità», nel senso che la norma citata contiene una presunzione di comunione (delle parti dell’edificio ovvero dei beni destinati all’uso e al godimento di tutti i condomini) avente carattere semplice (o iuris tantum) in quanto suscettibile di essere superata dalla prova dell’esistenza di un titolo contrario (senza pretesa di completezza, cfr.: L. SALIS, Il condominio negli edifici, in Tratt. dir. civ. it. diretto da F. Vassalli, V, t. III, Torino, 1959, 10 ss.; D.R. PERETTI GRIVA, Il condominio delle case divise in parti, Torino, 1960, 71, nt. 11; M. COSTANTINO, Contributo alla teoria della proprietà, Napoli, 1967, 269; M. MAIENZA, Le sezioni unite “cancellano” la presunzione legale di comunione ex art. 1117 c.c., in Corr. giur., 1993, 1188). A giudizio di altri Autori, invece, l’art. 1117 c.c. non prevede una presunzione in senso tecnico ma sancisce il «regime legale» dei beni in esso contemplati (o che svolgono le medesime funzioni), vale a dire non stabilisce che tali beni si presumono comuni ma che gli stessi sono comuni (cfr., in luogo di molti, G. BRANCA, Comunione. Condominio degli edifici, Art. 1100-1139, in Comm. c.c. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna – Roma, 1982 (6a ed.), 370; R. CORONA, Contributo alla teoria nel condominio degli edifici, cit., 70 ss.; R. TRIOLA, Beni proprietà e diritti reali, Il condominio, cit., 12; M. CAVALLARO, Le parti comuni, in C.M. BIANCA (a cura di), Il condominio, Milano, 2007, 50 e nt. 19; F. CAPPAI, La «presunzione di condominio» ex art. 1117 c.c.: ambito di applicativo, titolo contrario e natura giuridica della regola, in Riv. giur. sarda, 2013, 2, 560; A. CELESTE, Le parti comuni dell’edificio, in A. CELESTE – A. SCARPA, Il condominio negli edifici, cit., 52). Quest’ultima tesi è stata accolta dalla Cassazione all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso in una nota sentenza delle sezioni unite che ha censurato la consueta lettura della norma in termini di presunzione sino ad allora data dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7449, in Foro it., 1993, I, c. 2811, con nota di R. Caso, in Giust. civ. 1994, I, 436 e in Corr. giur. 1993, 1188, con nota di M. MAIENZA, Le sezioni unite “cancellano”, cit.). In essa si afferma che l’art. 1117 c.c. non contiene una presunzione legale di comunione come «risulta non solo dalla sua chiara lettera che ad essa non accenna affatto, ma anche dalla considerazione che nel codice si parla esplicitamente di presunzione ogni qualvolta con riguardo ad altre situazioni si è voluto richiamare questo mezzo probatorio (v. artt. 880, 881 e 889 c.c.)» nonché dall’ulteriore rilievo che se con la disposizione in esame «… si fosse effettivamente prevista la presunzione di comunione, si sarebbe ammessa la prova della proprietà esclusiva con l’uso di qualsiasi mezzo e non soltanto con il titolo». In senso conforme alla decisione delle sezioni unite cfr.: Cass. civ., sez. II., 4 marzo 2008, n. 5891, in Arch. loc., 2008, 247 (secondo cui l’art. 1117 c.c. non stabilisce una «presunzione di condominialità» dei beni che vi sono menzionati e degli altri aventi le medesime funzioni – atteso il carattere non tassativo dell’elencazione – in quanto tale norma «direttamente li attribuisce ai titolari delle proprietà individuali, i quali senz’altro li acquistano insieme con le rispettive loro porzioni immobiliari, in ragione della connessione materiale o funzionale che lega gli uni alle altre, salvo che il titolo disponga diversamente») e, di recente, Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2017, n. 14809, cit. e Cass. civ., sez. VI, 1° marzo 2018, n. 4906, cit. (in cui si legge che l’art. 1117 c.c. «con riferimento ai beni in esso indicati e a quegli altri che assolvono in vario modo le medesime funzioni … non sancisce una mera presunzione di condominialità, ma afferma in modo positivo detta natura condominiale, che può essere esclusa non già con qualsiasi mezzo di prova (come sarebbe nell’ipotesi di presunzione), ma solo in forza di un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, riguardando beni immobili»).
[106] Cfr. la precedente nt. 75.
[107] Cfr. supra nel testo e nelle note corrispondenti.
[108] Come è noto, gli atti di disposizione relativi a unità immobiliari in regime di condominio ricadono nella previsione dell’art. 63, quarto comma, dis att. cod. civ., a tenore del quale «chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente». Sul tema cfr. M. CORONA, La mutevolezza della compagine condominiale, cit., 207 ss.
[109] N. LIPARI, Rinnovamento del diritto privato e funzione del notaio, cit., 1033.