Giuffré Editore

La società semplice per la gestione dei patrimoni familiari

Marco Silva

Notaio in Rubano


L’ammissibilità della società semplice di gestione: la rivisitazione di un tema classico

Quella relativa all’ammissibilità della società semplice di gestione è questione tutt’altro che nuova.

Essa rappresenta invero un tema classico, già all’attenzione dei giuristi agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, in particolare in Piemonte, dove si è fatto utilizzo di tale strumento per la gestione di patrimoni anche di rilevante entità. Caso risonante fu quello della “DICEMBRE società semplice”, costituita nel 1984 per detenere la partecipazione di controllo di Fiat SpA, con la previsione del seguente oggetto sociale: 

«La società, esclusa ogni attività di carattere commerciale ed imprenditoriale, ha per oggetto la formazione di un patrimonio mobiliare e/o immobiliare e la sua gestione, nonché l’eventuale assegnazione dei beni sociali ai soci.

Essa potrà, conseguentemente, compiere tutte le operazioni mobiliari, immobiliari e finanziarie ritenute necessarie o semplicemente utili per il raggiungimento dello scopo sociale, quali in via meramente esemplificativa e non tassativa:

l’acquisto e l’amministrazione di immobili nonché l’acquisto di titoli e valori mobiliari in genere, la stipulazione e l’accollo di mutui, la concessione di garanzie reali e personali, la stipulazione di contratti in conto corrente, la locazione di cassette e armadi di sicurezza. 

La società potrà inoltre acquistare e amministrare azioni e quote sociali, riflettenti la partecipazione in altre società di qualsiasi tipo».

Detta questione è stata poi ripresa e approfondita dagli studiosi della materia societaria per effetto dell’introduzione, dalla fine degli anni ’90 in poi, di una serie di norme fiscali agevolative. 

Con l’art. 29 della l. 27 dicembre 1997, n. 449 (come modificato dall’art. 13 l. 18 febbraio 1999, n. 28) il legislatore fiscale ha consentito e agevolato, entro determinati limiti temporali, la trasformazione in società semplice di società commerciali aventi per oggetto esclusivo o principale la gestione di beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, non utilizzati come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa ovvero quote di partecipazione in società, sollevando così le ben note questioni sistematiche riguardanti il carattere eccezionale e temporaneo di tali norme e la loro compatibilità con quelle di cui agli artt. 2247-2248 c.c.

Il quadro normativo si è ulteriormente complicato in considerazione di quanto previsto dall’art. 3, comma 7  l. 28 dicembre 2001, n. 448 (quale novellato dall’art. 4, comma 3-bis d.l. n. 209 del 2002 convertito con modificazioni nella l. 22 novembre 2002, n. 265 ed ulteriormente dall’art. 2 del d.l. n. 24 del 2002 convertito con modificazioni nella l. 21 febbraio 2003, n. 27), che ha ammesso fino al 30 novembre 2002 e successivamente fino al 30 aprile 2003 la trasformazione di società esistenti in società semplici aventi il predetto oggetto, dall’art. 1, commi 111-118 l. 27 dicembre 2006, n. 296, nella parte in cui consentiva alle società considerate non operative ai sensi della normativa fiscale (art. 30 l. 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dall’art. 1, commi 109-110 l. 27 dicembre 2006, n. 296) la trasformazione in società semplice entro il 31 maggio 2007, dall’art. 1, commi 115-120, l. 28 dicembre 2015 n. 208, che ha riaperto i termini fino al 30 settembre 2016, nonché dall’art. 1, comma 565 l. 11 dicembre 2016, n. 232, che ne ha determinato la riapertura fino al 30 settembre 2017.

Nell’arco degli ultimi decenni la giurisprudenza ha assunto al riguardo posizioni non omogenee. 

In particolare, si citano di seguito alcuni provvedimenti maggiormente rappresentativi dei tre principali orientamenti.

Il primo, che potremmo definire “sistematico”, è quello espresso nell’aprile del 1998 dal Tribunale di Padova, il quale ha riconosciuto un residuo spazio operativo fra gli estremi del mero godimento, da un lato, e dell’esercizio di un’attività di impresa commerciale, dall’altro; tra essi può quindi collocarsi la diversa attività di gestione di beni mobili e immobili svolta dalla società semplice[[1]].

L’anno successivo la Corte d’appello di Trieste, ha fatto proprio un orientamento restrittivo e fortemente critico: pur riconoscendo di non poterne smentire la portata e gli effetti, ha qualificato la prima delle sopra menzionate norme fiscali come inconciliabile con il vigente sistema di diritto societario ed avente una «intrinseca valenza eccezionale»[[2]].

Infine nel novembre del 2016 il Tribunale di Roma ha sposato la tesi “evolutiva”: in ragione dell’evoluzione del concetto di società avvenuta nel corso degli anni a seguito di successivi interventi normativi, ha escluso che le norme tributarie sopra richiamate, reiterate nel tempo ed equiordinate nella gerarchia delle fonti ad ogni altra norma di legge, possano essere qualificate come eccezionali o temporanee e ha ritenuto legittima la costituzione di “società semplici di mero godimento”, essendo la società semplice divenuta «non solo il regime residuale di esercizio di attività economiche collettive non commerciali, ma anche un regime societario facoltativo, rispetto a quello della comunione, del godimento collettivo»[[3]].

Si rende tuttavia necessario muovere qualche passo all’indietro al duplice scopo di stabilire entro quali limiti l’attività di gestione possa validamente costituire l’oggetto di una società e di definire, in particolare, l’ambito di operatività della società semplice di gestione.   

A tal riguardo si rileva l’ambiguità e l’atecnicismo della generica espressione “attività di gestione di beni”.

Nell’ambito del sistema normativo delineato dagli artt. 2247, 2248 e 2249 c.c., infatti, la gestione di beni può in concreto integrare:   

a) un’attività commerciale, esercitabile da società costituite necessariamente secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti del titolo V del libro V del codice civile, con metodo economico, caratteristiche industriali e modalità che presuppongono una non modesta organizzazione di fattori produttivi (si pensi, ad esempio, ad una società di autonoleggio o ad una società di locazione di appartamenti-vacanze);

b) un’attività non commerciale, ma comunque economica e finalizzata al conseguimento di un utile, esercitabile come tale anche da una società semplice priva di qualsiasi organizzazione di tipo industriale di fattori produttivi, ma pur sempre implicante la sottoposizione dei beni oggetto di gestione al vincolo negoziale di destinazione tipico del contratto di società (si pensi, ad esempio, ad una società proprietaria di una o più unità immobiliari destinate ad essere locate in maniera stabile, senza che siano erogati servizi accessori).

c) una mera comunione di godimento, non suscettibile di costituire l’oggetto di alcuna società stante il disposto dell’art. 2248 c.c., qualora sui beni gestiti non sia stato impresso il suddetto vincolo negoziale di destinazione[[4]].

Mentre nell’ipotesi sub c) i comproprietari conservano la facoltà di servirsi personalmente dei beni comuni e di disporne liberamente pro quota, nonché il diritto di concorrere nell’amministrazione degli stessi, ai sensi degli artt. 1102, 1103 e 1105 c.c., nell’ipotesi sub b) l’esistenza, sui beni conferiti in società, dello stabile vincolo negoziale di strumentalità all’esercizio dell’attività che costituisce l’oggetto sociale comporta tra l’altro:

  • la necessità del consenso unanime dei soci per le modifiche del contratto sociale ai sensi dell’art. 2252 c.c., ma con possibilità di derogare convenzionalmente a tale regola organizzativa, prevedendo la modificabilità a maggioranza;
  • il divieto di servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società ai sensi dell’art. 2256 c.c.;
  • la spettanza dei poteri gestori in via disgiuntiva a ciascun socio ai sensi dell’art. 2257 c.c., salva la possibilità di una diversa convenzione;
  • l’esistenza di una, seppur imperfetta, autonomia del patrimonio sociale rispetto a quello personale dei soci, in virtù della quale questi ultimi rispondono personalmente e solidalmente per le obbligazioni sociali, anche anteriori all’acquisto della qualità di socio, nei limiti di cui agli artt. 2267, 2268 e 2269 c.c. e il creditore particolare del socio può far valere i propri diritti e chiedere la liquidazione della quota del socio debitore nei limiti di cui all’art. 2270 c.c.;
  • la possibilità di limitare la responsabilità dei soci che non abbiano agito in nome e per conto della società ai sensi dell’art. 2267 c.c.; 
  • lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio per il caso di morte, recesso o esclusione dello stesso, con conseguente applicazione della disciplina di cui agli artt. 2289 e 2290 c.c. rispettivamente in tema di liquidazione della quota e di responsabilità verso i terzi per le obbligazioni sociali.

Storicamente il legislatore del codice civile del 1942 ha inteso superare la previgente distinzione tra società civile, disciplinata dal codice civile del 1865, e società commerciale, disciplinata dal codice di commercio del 1882, unificando tutte le società in un sistema unitario ed escludendo dal loro novero le comunioni di mero godimento.

La relazione ministeriale al Re[[5]] precisa che «Come nel libro delle obbligazioni sono stati rifusi in un sistema unitario i contratti civili e commerciali, così nella nuova disciplina delle società risultano coordinate in un sistema unitario le diverse figure di società, eliminando quella soluzione di continuità che sino a oggi esisteva tra società civili e società commerciali», evidenziando come il legislatore del 1942 non intendesse abrogare la società civile e conservare la società commerciale, bensì intendesse dettare una disciplina unitaria per entrambi i modelli, unendoli in un unico contratto.

Con riguardo all’oggetto delle società, la lettura coordinata degli artt. 2082, 2247 e 2248 c.c. rivela la volontà del legislatore di limitarlo all’esercizio di un’attività economica, non necessariamente imprenditoriale[[6]], escludendo invece il mero godimento dei beni.

La relazione ministeriale appare sul punto particolarmente chiara nell’affermare che «Nel sistema del nuovo codice la società è una forma di esercizio collettivo di attività economica produttiva e normalmente [n.d.r.: dunque non esclusivamente] di un’attività economica organizzata durevolmente ad impresa. È questa la base essenziale di tutta la disciplina, la quale si ripercuote in ogni suo aspetto e ne giustifica le innovazioni. Tale concetto è enunciato chiaramente dall’art. 2247, che pone come oggetto della società l’esercizio in comune di un’attività economica; ribadito nel successivo articolo 2248 che esclude dalla disciplina della società le forme di godimento collettivo di beni; risulta dalla stessa collocazione della disciplina della società nel libro del lavoro.

Sono dunque escluse dal novero delle società le forme di godimento collettivo di beni, così particolari come universali, e l’accento logico della disciplina della società si sposta dal momento negoziale a quello organizzativo».

Al fine di consentire l’esercizio in comune di attività economiche non commerciali il Legislatore del 1942 introduce, quale evoluzione della società civile, il tipo della società semplice, che la relazione ministeriale definisce come 

«un tipo di società, riservato alle attività non commerciali, che non ha caratteristiche positive proprie e sostituisce la società civile del codice del 1865, come tipo più elementare di società»,

precisando che lo specifico ambito di operatività della società semplice 

«è quello delle attività non commerciali cioè soprattutto [n.d.r.: dunque non esclusivamente] delle attività agrarie».

Si deve dunque concludere che la società semplice, oltre all’attività di impresa agricola e alle attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico ai sensi dell’art. 10 l. n. 183 del 2011, possa svolgere anche l’attività, economica e finalizzata al conseguimento di un utile, di gestione di beni, nella misura in cui si tratti di una attività non imprenditoriale, pertanto necessariamente statico-conservativa e non dinamica.

La normativa di agevolazione fiscale di cui sopra non avrebbe pertanto innovato il sistema già delineato dal legislatore del 1942, bensì confermato la piena ammissibilità della fattispecie in esame, confinata in uno spazio indubbiamente angusto[[7]].

A questo punto non si può non tentare di ricostruire i labili confini tra mero godimento, gestione statica e gestione dinamica.

Da un lato, il discrimine tra comunione di godimento e società semplice di gestione è individuato non solo e non tanto nell’attività economica non commerciale oggetto della società semplice, ma anche e soprattutto nella volontà negoziale dei comunisti di apporre ai beni lo stabile vincolo di strumentalità all’esercizio di tale attività, tipico del contratto di società[[8]].

Nella società, inoltre, a differenza che nella comunione, rileva essenzialmente il profilo organizzativo. Il fenomeno societario consiste, infatti, per definizione nella predisposizione di una struttura organizzativa volta al conseguimento dell’oggetto sociale[[9]].

Dall’altro lato, è proprio tale profilo organizzativo a venire in rilievo per segnare il confine tra gestione statico-conservativa, integrante un’attività economica non imprenditoriale, e gestione dinamica, integrante un’attività di impresa commerciale.

La dottrina notarile ritiene che l’indagato discrimine risieda nelle “dimensioni qualitative e quantitative” dell’organizzazione, ovvero nell’articolazione e nel grado di complessità della stessa.

In particolare l’organizzazione che sia moderata e del tutto subalterna all’attività di gestione non implica la qualificazione di detta attività come imprenditoriale; al contrario, l’organizzazione che diventi notevole o addirittura preponderante caratterizza l’attività di gestione al punto tale da consentirne la qualificazione in termini di attività produttiva di natura imprenditoriale[[10]]. 

La concreta individuazione dei confini teorici sopra tratteggiati si rivela dunque un profilo di rilevante complessità, in quanto il superamento di detti confini comporterebbe il rischio di riqualificazione della fattispecie come comunione ovvero come società commerciale[[11]].


L’oggetto della gestione

Delineati i confini entro i quali la società semplice di gestione può operare, si intende ora indagare il possibile oggetto dell’attività di gestione.

In particolare si individuano nella prassi due diversi ambiti oggettivi.


A) Attività di gestione (statica) immobiliare

Il primo è costituito dalla gestione di un patrimonio immobiliare.

Si tratta dell’attività tipica del rentier, ovvero del soggetto investitore che acquista beni immobili allo scopo di metterli “a reddito”, apporta le necessarie migliorie ai beni e si avvale di una modesta organizzazione per la gestione delle formalità inerenti ai rapporti di locazione[[12]]. 

Il grado di complessità dell’organizzazione della società è di norma direttamente proporzionale alla consistenza del patrimonio immobiliare, con le rilevanti implicazioni di cui sopra con riguardo al rischio di varcare il confine tra società che svolge attività di gestione statica e società commerciale. 

Detto confine è invece senza dubbio oltrepassato qualora l’oggetto sociale menzioni operazioni dismissive quali atti cui sono preordinati gli acquisti, ovvero quali modalità di valorizzazione del patrimonio e di miglioramento della redditività dello stesso. L’attività di intermediazione nella circolazione dei beni è infatti riconducibile all’art. 2195, n. 2 c.c. e, come tale, esercitabile solo da parte di una società commerciale[[13]].


B) Attività di gestione (statica) di partecipazioni sociali

Il secondo ambito di operatività della società semplice di gestione è costituito dall’attività di acquisto e detenzione di partecipazioni sociali, nonché di esercizio dei diritti ad esse inerenti, compresa la percezione degli eventuali dividendi distribuiti dalle società partecipate (cd. holding pura)[[14]].

Assumono tipicamente questa forma sociale le cd. holding di famiglia statiche o passive, società i cui soci sono componenti di una stessa famiglia, caratterizzate da una gestione statica delle partecipazioni, senza svolgimento di alcuna attività finanziaria di supporto a favore delle società partecipate.

Non si pongono particolari problemi qualora la holding detenga partecipazioni di minoranza; nelle ipotesi in cui, invece, le partecipazioni oggetto di gestione attribuiscano alla holding il controllo delle società partecipate o siano addirittura totalitarie si profila il rischio di varcare i confini entro i quali può legittimamente svolgersi l’attività di gestione statica della società semplice.

È quindi necessario chiedersi quando l’attività della holding pura sia qualificabile come attività (di impresa) commerciale.

Se con riguardo all’attività di gestione immobiliare ad essere rilevante a tal fine è solo il requisito dimensionale dell’organizzazione, con riguardo all’attività di gestione di partecipazioni vi è un ulteriore profilo da analizzare.

Dev’essere, infatti, attribuita rilevanza essenziale alla distinzione tra la fattispecie del semplice controllo di cui all’art. 2359 c.c., che esprime di per sé solo la possibilità di esercitare una influenza dominante sulla società controllata, e quella dell’effettivo svolgimento di attività di direzione e coordinamento di società appartenenti al medesimo gruppo, di cui agli artt. 2497 ss. c.c.[[15]].

Il gruppo di imprese si caratterizza per l’autonomia giuridica delle imprese partecipanti e la direzione economica unitaria, che consente di ricavare utilità sul piano della pianificazione e dello sviluppo della produttività delle imprese[[16]].

Il centro decisionale delle strategie, soprattutto finanziarie, del gruppo viene dunque traslato dalle singole società operative agli organi gestori della capogruppo, la quale predispone i programmi finanziari e produttivi di gruppo e li trasmette alle società sulle quali esercita l’attività di direzione e coordinamento, che vi si uniformano[[17]]. 

L’attività di direzione e coordinamento, consiste, quindi, nell’esercizio effettivo di un’ingerenza qualificata nella gestione di una o più società, espressione di una posizione di potere tale da incidere stabilmente nelle scelte gestorie e operative dei singoli organi amministrativi[[18]]. 

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la holding che svolga un’effettiva attività di direzione e coordinamento eserciti, tramite detta attività e pertanto in via mediata e indiretta, la specifica attività di produzione e di scambio esercitata in via diretta e in nome proprio dalle società operative e si qualifichi, quindi, a sua volta, come impresa[[19]]. 

Il solo fatto che un soggetto si trovi in una posizione di controllo rispetto ad una pluralità di società non implica tuttavia l’automatica configurabilità di un gruppo societario, per la sussistenza del quale è necessario che il soggetto, per il tramite del controllo, svolga una vera e propria funzione imprenditoriale di indirizzo e di coordinamento delle società controllate[[20]]. 

La holding che controlla le società partecipate esercita (solo) naturalmente l’attività di direzione e coordinamento delle società controllate, come è confermato dalla previsione della presunzione di cui all’art. 2497-sexies c.c.[[21]]. Si tratta tuttavia di una presunzione semplice, che determina un’inversione dell’onere della prova ed impone alla società convenuta in giudizio di fornire la prova contraria circa l’insussistenza della direzione unitaria[[22]].

La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che l’attività di direzione e coordinamento della holding, come sopra descritta, si distingue dalla «pura e semplice gestione patrimoniale del portafoglio azionario», la quale si intende come limitata «all’esercizio dei poteri e dei diritti che dalle azioni conseguono»[[23]].  

In sintesi quindi:

– il controllo ex art. 2359 c.c. e l’attività di direzione e coordinamento di società sono nozioni non sovrapponibili; il primo fa presumere la seconda, ma è possibile per la controllante fornire prova contraria;

– la società capogruppo esercita, tramite la direzione unitaria e pertanto in via indiretta, attività di impresa;

– l’attività di direzione e coordinamento di società si distingue dalla semplice gestione di partecipazioni sociali, presupponendo un’attività ulteriore rispetto al mero esercizio delle prerogative inerenti alle partecipazioni.

Deve pertanto concludersi che la società semplice di gestione possa assumere partecipazioni di controllo in altre società, senza per ciò solo esercitare attività di direzione e coordinamento, nella misura in cui si limiti al mero esercizio dei diritti e dei poteri inerenti alla qualità di socio e non predisponga strutture di indirizzo e di pianificazione strategica accentrate. 

Solo il rispetto di tali ulteriori limiti nell’esercizio della propria attività di gestione renderà possibile fornire la prova contraria alla presunzione relativa di cui all’art. 2497-sexies c.c.[[24]].

È ovviamente possibile che i patti sociali consentano di esercitare congiuntamente entrambe le attività sub A) e sub B).

La società semplice di gestione si presta dunque ad essere il soggetto cui intestare la ricchezza, sia immobiliare che mobiliare[[25]], della famiglia. Stante la sua duttilità, essa consente di regolamentare gli assetti di governance secondo le esigenze del caso concreto e rappresenta un valido strumento di pianificazione del passaggio intergenerazionale del patrimonio familiare, da utilizzare tuttavia con estrema cautela e ponendo particolare attenzione al rispetto dei limiti – per la verità piuttosto stringenti – di cui sopra.

Se l’intestazione di beni ad una (qualsiasi) società consente la loro più agile gestione secondo le regole del diritto societario (e non invece della comunione), nonché il conseguimento dei vantaggi fiscali connessi alla trasmissione della partecipazione in società (e non invece dei diritti sui singoli cespiti che compongono il patrimonio familiare)[[26]], a tali fini appare conveniente sfruttare l’assenza di rigidi formalismi e la flessibilità che caratterizzano la disciplina della società semplice, con il relativo abbattimento dei costi di gestione[[27]].

Come noto, infatti, la società semplice non è obbligata alla tenuta dei libri e delle scritture contabili, né alla redazione del bilancio[[28]], non ha una struttura interna di natura corporativa, né adempimenti formali da compiere oltre a quelli fiscali; inoltre l’iscrizione, nella sezione speciale del Registro delle Imprese ha funzione di certificazione anagrafica ed effetti di mera pubblicità notizia, salvo che per la società semplice agricola[[29]].


Spunti di tecnica redazionale

Laddove si convenga con le suddette considerazioni e si opti dunque per l’utilizzo dello strumento della società semplice per la gestione del patrimonio familiare, nella redazione dei relativi patti sociali è necessario valutare con cautela il rischio di oltrepassare i confini finora tracciati. 

Con riguardo alla redazione della clausola relativa all’oggetto sociale è preferibile non limitarsi all’utilizzo della generica espressione “gestione di beni”, ma sostituirla con espressioni più tecniche e puntuali, che eliminino ogni incertezza circa il carattere non imprenditoriale e l’oggetto, immobiliare e/o mobiliare, dell’attività di gestione.

Come sopra anticipato, è altresì opportuno circostanziare con cura qualsiasi riferimento ad eventuali operazioni dismissive.

«La società ha per oggetto – esclusa ogni attività di carattere commerciale ed imprenditoriale – la gestione, amministrazione e sfruttamento di beni immobili, mobili registrati e partecipazioni di proprietà sociale.

 La società potrà inoltre compiere, nei limiti e con i criteri previsti dalla legislazione tempo per tempo vigente, ogni attività non commerciale utile o necessaria per il conseguimento dell'oggetto sociale.

 In particolare, in via del tutto accessoria e strumentale all'attività di carattere non commerciale e non imprenditoriale costituente l'oggetto sociale, potrà effettuare operazioni immobiliari e finanziarie – quest'ultime con espressa esclusione di qualsiasi attività svolta nei confronti del pubblico e nei limiti di legge (d.lgs. n. 385 del 1993 e relativi provvedimenti attuativi) – che gli amministratori riterranno utili per il conseguimento dell'oggetto sociale medesimo». 

È altresì opportuno disciplinare specificamente il profilo dell’amministrazione e della rappresentanza della società, eventualmente limitando al relativo conferimento la responsabilità dei soci che (non abbiano potere di rappresentanza e pertanto) non agiscano in nome e per conto della società, come consentito dall’art. 2267, comma 1 c.c.

Si segnala, peraltro, l’esistenza in dottrina di una discussione circa l’idoneità dell’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese al fine di portare a conoscenza dei terzi il suddetto patto limitativo della responsabilità per le obbligazioni sociali ai sensi dell’art. 2267, comma 2 c.c.[[30]].

Immaginando quali soci della società semplice di gestione il capofamiglia ed i suoi tre figli, i poteri di amministrazione e di rappresentanza potranno essere attribuiti al capofamiglia, limitando la responsabilità per le obbligazioni sociali dei figli al valore di quanto conferito.

In alternativa si potrebbe diversificare la spettanza dei poteri di amministrazione e di rappresentanza a seconda che si tratti di atti di ordinaria o di straordinaria amministrazione, prevedendo per i primi l’amministrazione disgiuntiva di tutti i soci e per i secondi l’amministrazione esclusiva in capo al padre ovvero l’amministrazione congiuntiva di tutti i soci, all’unanimità o a maggioranza. 

Qualora dei poteri di amministrazione (anche solo straordinaria) e di rappresentanza sia investito un singolo socio risulta opportuno disciplinare la sorte di detti poteri per il caso di rinuncia, revoca, impedimento o morte dello stesso, prevedendo ad esempio l’amministrazione congiuntiva di tutti gli altri soci, all’unanimità o a maggioranza.

In ogni caso è doveroso prestare attenzione al grado di complessità dell’organizzazione interna al fine di evitare il pericolo di «commercializzazione»[[31]].

«L’amministrazione e la rappresentanza della Società di fronte a terzi ed in giudizio spettano, con firma libera e fino a revoca o rinuncia, al socio signor …, il quale il quale potrà compiere ogni atto di ordinaria e straordinaria gestione della Società.

In caso di rinuncia, revoca, impedimento o morte dello stesso l’amministrazione e la rappresentanza spetteranno a tutti gli altri soci congiuntamente tra loro».

«Ai sensi dell’art. 2267 comma 1 c.c. per le obbligazioni sociali risponde la Società con il proprio patrimonio.

Risponde altresì, illimitatamente e solidalmente, il socio signor ….

Salvo l’onere di pubblicità di cui all’art. 2267 comma 2 c.c. e fino a quando i poteri di amministrazione e di rappresentanza della Società siano esercitati dal socio signor …, i signori … (altri soci) sono responsabili per le obbligazioni sociali nei limiti del proprio conferimento. Analoga limitazione di responsabilità si conviene a favore degli eredi o dei legatari dei signori … (altri soci), che siano discendenti in linea retta del socio signor … e che abbiano acconsentito alla continuazione della società con i soci superstiti, secondo quanto previsto dall’art. … dei presenti patti sociali».

Un altro profilo redazionale rilevante è quello relativo alla disciplina delle modifiche dei patti sociali.

È ad esempio possibile adottare, in deroga a quanto previsto dall’art. 2252 c.c., il principio maggioritario, stabilendo le modalità di determinazione della maggioranza ed eventualmente l’utilizzo del metodo assembleare e prevedendo, in aggiunta alle cause di recesso ex lege, il diritto di recesso in capo al socio che non abbia concorso all’assunzione delle decisioni di modifica del contratto sociale c.d. “essenziali”, ovvero che incidono in maniera significativa sugli assetti concretamente voluti dalle parti in sede costitutiva, quali ad esempio il mutamento radicale dell’oggetto sociale, la modifica delle quote di partecipazione agli utili e alle perdite o l’alterazione del regime di responsabilità per le obbligazioni sociali[[32]].

Proseguendo nell’esempio di cui sopra, è altresì possibile stabilire insieme alla deroga al principio unanimistico anche la necessità del consenso del capofamiglia per tutte le modifiche dei patti sociali ovvero soltanto per quelle maggiormente rilevanti[[33]]. 

Anche in tal caso risulta opportuno disciplinare l’eventualità di rinuncia, revoca, impedimento o morte del socio che ha il potere di veto, prevedendo ad esempio la necessità del consenso unanime di tutti gli altri soci per tutte le modifiche dei patti sociali.

In caso di adozione del principio maggioritario è altresì opportuno:

– disciplinare il regime di circolazione inter vivos delle quote sociali, prevedendo, ad esempio, la libera trasferibilità della quota a favore del capofamiglia ovvero di soggetti che siano discendenti in linea retta dallo stesso, nonché una clausola di prelazione e/o di gradimento per il caso di trasferimento a favore di soggetti diversi;

– disciplinare la costituzione di vincoli e gravami sulle quote sociali, prevedendo ad esempio un divieto di costituzione se non a favore del capofamiglia ovvero di discendenti in linea retta dallo stesso.

«I presenti patti sociali potranno essere variati o integrati con il consenso dei soci che rappresentino la maggioranza assoluta, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, e con il consenso del socio signor … .

In caso di rinuncia, revoca, impedimento o morte del socio signor …, risulterà a tal fine necessario il consenso unanime di tutti gli altri soci.

Ha diritto di recedere dalla società, nei tempi e nei modi di cui all’art. … dei presenti patti sociali, il socio che non abbia concorso all’assunzione delle decisioni riguardanti:

  • la modifica della clausola dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società;
  • il mutamento delle quote di partecipazione agli utili e alle perdite; 
  • l’alterazione del regime di responsabilità per le obbligazioni sociali».

Di estrema rilevanza ai fini della pianificazione del passaggio generazionale della ricchezza familiare risulta essere la predisposizione di clausole che disciplinino la sorte della partecipazione sociale in caso di morte di un socio.

Si fa riferimento, in particolare, alle clausole di consolidazione impura e di continuazione, nella variante facoltativa o obbligatoria[[34]]; si consiglia di evitare invece la variante automatica, in ragione dei noti dubbi di legittimità che la stessa solleva, ferma restando in ogni caso la validità delle clausole di continuazione relative alla morte del socio che abbia reso noto ai terzi di aver convenuto una limitazione di responsabilità ai sensi dell’art. 2267 c.c. 

Dette clausole possono eventualmente essere combinate tra loro, diversificando ad esempio la sorte della partecipazione sulla base del rapporto di parentela degli eredi/legatari con il socio defunto.

È possibile altresì disciplinare specificamente le modalità e i tempi di liquidazione della quota agli eredi/legatari in deroga alla disciplina di cui all’art. 2289 c.c., avente carattere non imperativo in quanto posta nell’interesse dei soci; si ritiene tuttavia in contrasto con il divieto del patto leonino di cui all’art. 2265 c.c. la previsione della liquidazione della quota al valore nominale[[35]].

«In caso di morte di uno dei soci gli eredi o legatari:

  • se discendenti in linea retta del socio signor …, avranno diritto di continuare la società con i soci superstiti ovvero, se già soci, accresceranno alla propria quota quella del socio defunto; qualora non tutti gli eredi o legatari acconsentano a continuare la società entro il termine di … dall’apertura della successione, la continuazione avverrà unicamente con i consenzienti, mentre i non consenzienti dovranno essere liquidati dai soci superstiti secondo quanto previsto dall’art. … dei presenti patti sociali;
  • se soggetti diversi dai discendenti in linea retta del socio signor …, dovranno ricevere la liquidazione della quota dai soci superstiti secondo quanto previsto dall’art. … dei presenti patti sociali».

Si consiglia inoltre di valutare nel singolo caso concreto l’utilità di una scissione soggettiva della titolarità di diritti reali sulla partecipazione sociale del capofamiglia, con conseguente regolamentazione della spettanza dei diritti sociali ad essa relativi, ovvero di una specifica disciplina della ripartizione dei guadagni e delle perdite in deroga al criterio proporzionale di cui all’art. 2263 c.c.

Vi è infine la possibilità di prevedere che il capofamiglia rivesta la qualifica di socio d’opera non capitalizzato, con assunzione dei poteri gestori e di rappresentanza della società, quanto meno in relazione agli atti di straordinaria amministrazione. Sarà fondamentale, in tale ipotesi, disciplinare specificamente le modalità di liquidazione della quota del socio d’opera, sia per il caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente allo stesso, che per il caso di scioglimento della società.

«Per il caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio d'opera, allo stesso o ai suoi eredi spetterà, nel rispetto dell'art. 2289 c.c., esclusivamente la liquidazione di una somma di denaro che rappresenti il valore della quota del socio d'opera. Solo in funzione di tale liquidazione i soci determinano convenzionalmente la quota di partecipazione spettante al socio d'opera stesso nel …% del netto patrimoniale risultante dalla situazione patrimoniale della società al giorno in cui si verifica lo scioglimento. Altresì il socio o i suoi eredi parteciperanno agli utili e alle perdite inerenti le operazioni in corso alla data dello scioglimento del rapporto sociale, sulla base della quota di partecipazione del socio d'opera ai medesimi.

 Le medesime disposizioni troveranno applicazione per il caso di liquidazione della quota del socio d'opera in sede di scioglimento della società».

[1] Trib. Padova 18 aprile 1998, in Giur. comm., 2000, II, 720 ss., secondo il quale può essere iscritta nel registro delle imprese, sezione speciale, la società semplice che ha per oggetto «l'acquisto, il godimento e l'amministrazione dei beni mobili e immobili di proprietà sociale, non ravvisandosi in tale attività né gli estremi del mero godimento né le caratteristiche tipiche di un'impresa commerciale, posto che la gestione di tali beni si configura come mero sfruttamento economico del reddito degli stessi, con l’esclusione dell’intermediazione nella loro circolazione  (art. 2195, n. 2 c.c.)». In senso sostanzialmente conforme si vedano già Trib. Roma 30.04.1981, in Dir. fall., 1982, II, 158 e Cass. 6 aprile 1982 n. 2014, in Giur. comm., 1982, II, 409.

[2] App. Trieste 23 dicembre 1999, in Soc., 2000, 9, 1105. Conforme Trib. Varese 31 marzo 2010, reperibile al seguente link http://mobile.ilcaso.it/sentenze/societario/2835/societario.

[3] Trib. Roma, sez. spec. impresa, 8 novembre 2016, in Soc., 2017, 856, nota di CACIOLLI. A favore di tale orientamento ha preso di recente posizione anche il Consiglio Nazionale del Notariato, in particolare negli Studi di impresa a firma di P. SPADA, Dalla società civile alla società semplice di mero godimento, n. 69-2016/I, di G. BARALIS, L’”eretica” società semplice di mero godimento immobiliare: riflessioni, n. 73-2016/I e di F. RAPONI, Trasformazione di società commerciale immobiliare in società semplice – problematiche fiscali, n. 92-2016/T, approvati nelle date del 31 marzo 2016, quanto ai primi due, e del 21 aprile 2016, quanto al terzo, e pubblicati nel CNN Notizie del 22 giugno 2016. Nonostante si sia constatata una certa asimmetria nelle fonti, generata dal fatto che il legislatore ha consentito, entro determinati limiti, la trasformazione agevolata di società di godimento in società semplici senza però incidere sulla lettera degli artt. 2247-2248 c.c. (cfr. anche A. PAOLINI, Società semplice di mero godimento, Quesito n. 210-2007/I, in Studi e materiali, 2008, 871 ss.), si conclude in senso favorevole all’ammissibilità della costituzione della società semplice di “mero godimento”. L’adesione all’orientamento maggiormente restrittivo avrebbe infatti comportato, quale corollario, l’emersione di rilevanti dubbi di legittimità costituzionale in termini di disparità di trattamento sulla base dell’articolo 3 della Costituzione.

[4] Cfr. Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie – Commissione Società, Orientamento G.A.10 - (Attività di gestione di beni quale oggetto sociale – 1° pubbl. 9/16 – motivato 9/17), in Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari. Settembre 2017, Milano, 2017.

[5] Relazione alla Maestà del Re Imperatore del Ministro Guardasigilli (GRANDI), presentata all’udienza del 16 marzo 1942-XX per l’approvazione del testo del “codice civile”, il cui testo è reperibile al link  https://www.consiglionazionaleforense.it/collana-studi-storici-e-giuridici/-/asset_publisher/IXdcpIwg0t9M/content/relazione-del-ministro-guardasigilli-grandi-al-codice-civile-del-1942?largefont

[6] Cfr. anche L. DE ANGELIS, L’oggetto sociale, in PREITE – BUSI (a cura di), Trattato società di persone, Milano, 2015, tomo I, parte I, Cap. XXXIII, 667 ss.; M. CAVANNA, Appunti in tema di società di mero godimento, in Orientamenti e questioni di diritto commerciale e fallimentare. Atti del Convegno di Milano 10 marzo 2017, Notariato. Quaderni, n. 39, Milano, 2017, 88-89.

[7] Cfr. l’orientamento del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie – Commissione Società O.A.11 – (Ammissibilità di società semplici aventi ad oggetto la gestione di immobili, mobili registrati e partecipazioni sociali – 1° pubbl. 9/16 – motivato 9/17, in Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari. Settembre 2017, Milano, 2017, nel quale si riconosce al contenuto delle norme suddette norme fiscali valore di «interpretazione autentica di sistema».

[8] Cfr. il citato orientamento O.A.11; nello stesso senso v. P. SPADA, Studio di impresa n. 69-2016I, cit.

[9] Cfr. G. MARASÀ, Le società. Società in generale, in IUDICA - ZATTI (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2000, 39 ss., secondo il quale «in ciascun contratto associativo emergono una componente causale e una organizzativa: la prima segnala il tipo di risultato che le parti intendono conseguire, la seconda esprime le regole secondo cui dovranno prodursi gli atti, costituenti nel loro insieme l’attività di esecuzione del contratto e di realizzazione della causa. In sintesi la causa esprime il perché ci si associa, l’organizzazione il come si produrrà l’attività di realizzazione della causa».  Sul punto v. anche M. CAVANNA, Appunti in tema di società di mero godimento, cit., 88., il quale, nell’ipotizzare una lettura delle norme in tema di trasformazione eterogenea che ne valorizzi la portata sistematica, sostiene che la forma societaria, causalmente neutrale, rilevi principalmente come mera organizzazione, al punto che sottraendo alla società l’organizzazione ne resterebbe una comunione. 

[10] G. BARALIS, Studio di impresa n. 73-2016/I, cit.; cfr. in particolare la nt. 26 e i riferimenti bibliografici ivi citati.

[11] V. sul punto G. BARALIS, Studio di impresa n. 73-2016/I, cit., il quale ritiene necessario, in relazione alla seconda ipotesi, «provvedere a documentare l’avvenuta, sostanziale trasformazione». La sede del presente intervento non consente di dilungarsi su tale aspetto, ma si intende mettere in guardia sulle conseguenze che la riqualificazione della fattispecie in società commerciale potrebbe comportare, prima tra tutte l’esposizione alla liquidazione giudiziale della società. Da tali ragionamenti si possono trarre due ulteriori corollari applicativi: a) l’attività di gestione statica di beni ben può essere esercitata attraverso un qualsiasi tipo societario, essendo inibito alla società semplice lo svolgimento di attività commerciali ai sensi dell’art. 2449 c.c., ma non anche alle altre società lo svolgimento di attività non commerciali (cfr. il citato orientamento O.A.11, nella parte motiva); b) se si aderisse alla tesi secondo cui la disciplina del patto di famiglia richiede che la partecipazione sociale di cui si dispone sia idonea a consentire all'assegnatario la continuazione dell'attività d'impresa già esercitata, in forma societaria, dal cedente, si dovrebbe conseguentemente ritenere che la qualificazione della società semplice di gestione come società senza impresa precluda nell’ipotesi in esame l’utilizzo dello strumento del patto di famiglia. Il punto è in realtà controverso. In questo senso v. G. PETRELLI, La nuova disciplina del “patto di famiglia”, in Riv. not., 2006, 401; G. BARALIS, Studio di impresa n. 73-2016/I, cit. Tuttavia in senso contrario v. F. PENE VIDARI, Scioglimento, recesso e patologia del Patto di Famiglia, in Patti di famiglia per l’impresa, Atti dei Convegni tenutisi a Milano il 31 marzo, a Napoli il 12 maggio e a Palermo il 16 giugno 2006, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, 2-3, 2006, reperibile anche al link http://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=02/0217&mn=3; G.A.M. TRIMARCHI, Il patto di famiglia, in IACCARINO (diretto da), Successioni e donazioni, Milano, 2017, tomo II, parte III, cap. XXXI, 1963-64. Le superiori considerazioni inducono infine a riflettere sulla portata della modifica dell’art. 2257 c.c. entrata in vigore il 19 marzo scorso, operata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155, è stato pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2019 – Serie generale e, ai sensi dell’art. 389, entrerà in vigore decorsi diciotto mesi dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, tranne che per alcune delle norme in esso contenute, che entreranno in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione medesima. In particolare, ci si chiede se il rinvio all’art. 2086 c.c. di cui al primo comma della norma in parola trovi applicazione soltanto nella misura in cui la società semplice eserciti un’attività di impresa non commerciale ovvero sempre e quindi a prescindere dalla natura dell’attività svolta. Preliminarmente si precisa che la dottrina notarile è incline a ridimensionare la portata riformatrice dell’intervento, distinguendo tra gestione organizzativa, espressamente rimessa alla competenza esclusiva degli amministratori, e gestione operativa, che può continuare ad essere oggetto di cogestione da parte di amministratori e soci nei limiti previsti dalle norme di legge relative a ciascun tipo sociale. N. ATLANTE – M. MALTONI – A. RUOTOLO, Il nuovo articolo 2475 c.c. Prima lettura, Studio di impresa n. 58-2019/I, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 14 marzo 2019, pubblicato nel CNN Notizie del 18 marzo 2019; N. ATLANTE – D. BOGGIALI, Riflessi del nuovo codice della crisi d’impresa sull’amministrazione delle società di persone, Studio di impresa n. 110/2019/I, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 21 maggio 2019, pubblicato nel CNN Notizie del 25 giugno 2019. In senso sostanzialmente conforme v. A. BUSANI, La riforma della crisi d’impresa riscrive il ruolo dei soci della Srl, in Il Sole 24 ore del 19 febbraio 2019, 17; N. ABRIANI – A. ROSSI, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 2019, 4, 393; G.A.M. TRIMARCHI, Codice della crisi: riflessioni sulle prime norme, in Notariato, 2019, 2, 115). I soli – a quanto consti – autori che si sono espressi sul punto ne hanno data una lettura estensiva, ritenendo che i doveri di cui all’art. 2086 c.c., di predisposizione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi di impresa e di attivazione per l’adozione di strumenti vòlti al suo superamento, siano «intriseci ad ogni attività esercitata in forma societaria, sì che tutte le società, anche qualora non svolgano attività di impresa, sono comunque assoggettate alla sua disciplina» (N. ABRIANI – A. ROSSI, Nuova disciplina della crisi d’impresa, cit.).

[12] G. BARALIS, Studio di impresa n. 73-2016/I, cit.

[13] Sul punto v. G. BARALIS, Studio di impresa n. 73-2016/I, cit.; per un esempio di oggetto sociale incompatibile con l’attività di gestione statica esercitabile dalla società semplice cfr. altresì A. PAOLINI – A. RUOTOLO, Oggetto sociale: società semplice, acquisto di immobili e partecipazioni sociali, Quesito di impresa n. 52-2015/I, pubblicato nel CNN Notizie del 9 aprile 2015.

[14] Si precisa che l’attività di assunzione di partecipazioni societarie può oggi essere liberamente svolta da qualsiasi soggetto, senza che sia richiesto il possesso di determinati requisiti ovvero l’iscrizione in particolari albi o registri. Per l’evoluzione della relativa disciplina cfr. A. RUOTOLO, Oggetto sociale: assunzione di partecipazioni, Quesito di impresa n. 115-2011/I, pubblicato nel CNN Notizie del 30 giugno 2011; A. BUSANI – M. CORSO, Gli oggetti delle società, Milano, 2018, 255 ss.

[15] Per un approfondito esame delle differenze tra le fattispecie del controllo e della direzione unitaria, non possibile in tale sede, si rinvia a G. SBISÀ, Commento sub art. 2497, in MARCHETTI –  BIANCHI – GHEZZI – NOTARI (diretto da), Commentario alla riforma delle società, SBISÀ (a cura di), Direzione e coordinamento di società, Milano, 2012, 18-19; C. PICCIAU, Commento sub art. 2497-sexies, in MARCHETTI –   BIANCHI – GHEZZI – NOTARI (diretto da), Commentario alla riforma delle società, cit., 345-348; A. DACCÒ, I gruppi di società, in CIAN (a cura di), Diritto Commerciale, Torino, 2013, vol. II, sez. VI, par. 66, 667 ss.; P. DAL SOGLIO, Commento sub art. 2497, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve al diritto delle società, Milano, 2017.

[16] Cfr. la definizione di “gruppo di imprese” di cui all’art. 2, comma 1, lett. h) del D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (v. nt. 11).

[17] Cass., 26 febbraio 1990, n. 1439, in Giur. it., 1990, I, 1, 713, nota di WEIGMANN, la quale ha concluso la nota vicenda Caltagirone.

[18] Cass., 25 luglio 2016, n. 15346, in Fallimento, 2017, 8-9, 988.

[19] Cass., 26 febbraio 1990, n. 1439, sopra citata.

[20] Seppur con riferimento ad una persona fisica, v. Cass., 18 marzo 2005, n. 1763, in Pluris.

[21] Analoga presunzione è contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. h) del citato d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (v. nt. 11).

[22] Sul tema cfr. C. PICCIAU, Commento sub art. 2497-sexies, cit., 360 ss., in particolare con riguardo agli atti o fatti attraverso i quali si manifesta la direzione unitaria, tra i quali si ricordano la predisposizione di piani industriali, finanziari e strategici, l’emanazione di direttive in materia finanziaria, la definizione di strategie di mercato, l’accentramento della tesoreria o di altre funzioni di assistenza finanziaria, la predisposizione di “regolamenti di gruppo”, la puntuale osservanza dell’obbligo di motivazione delle decisioni di cui all’art. 2497-ter c.c.

[23] Cass., 26 febbraio 1990, n. 1439, sopra citata. Sostanzialmente conformi Cass., sez. un., 29 novembre 2006, n. 25275, in Mass. Giur. It. 2006; Cass., 6 marzo 2017, n . 5520, CED Cassazione 2017.

[24] Sul punto v. T. CACIOLLI, La società semplice, tra mero godimento e attività economica non commerciale, nota a Decr. Trib. Roma, Sez. Spec. Impresa, 8 novembre 2016, in Società, 2017, 7, 858; L. DE ANGELIS, L’oggetto sociale, cit., 668; M. PIAZZA – P. DI FELICE – A. ACCINNI – S. SCIUMÈ, La società semplice: profili fiscali, civilistici e di amministrazione, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2018, 37, 35, reperibile al link http://sfef.egeaonline.it/ e, a conferma della suddetta ricostruzione, i provvedimenti dell’Agenzia delle entrate ivi citati, in particolare la circolare n. 32/E datata 8 luglio 2011, nella quale si distingue tra holding imprese, ovvero «che esercitano concretamente attività di gestione e coordinamento delle partecipazioni detenute ed erogano servizi in modo accentrato alle società controllate», e holding passive, ovvero che «si limitano a detenere partecipazioni e ad incassare i relativi frutti, senza svolgere attività alcuna» e si citano a sostegno la sentenza 10 gennaio 2006, C-222/2004 della Corte di Giustizia UE, nonché le sentenze della Corte di Cassazione a sezioni unite nn. 1576 e 1593, entrambe del 22 gennaio 2009.

[25] Per la natura dei beni oggetto di gestione v. G. BARALIS, Studio di impresa n. 73-2016/I, cit. Si reputa infatti non corretto inferire una diversificazione basata sulla natura dei beni oggetto di gestione dal fatto che le norme fiscali più recenti sopra citate non contemplino espressamente tra essi le partecipazioni sociali.

[26] Sotto il profilo tributario la società semplice riceve dall’ordinamento un trattamento significativamente diverso da quello riservato alle società commerciali, fermo il principio della tassazione per trasparenza in capo ai soci del reddito prodotto dalla società semplice (art. 5 del d.P.R. 1986, n. 917). Quest’ultima rimane anzitutto esclusa dall’ambito soggettivo di applicazione della disciplina tributaria delle   società di “comodo” o non operative (art. 30 della l. 1924 n. 724 per la società non operativa per insufficienza di ricavi e art. 2, commi 36-decies ss. del d.l. 2011 n. 138 per le società in perdita sistematica), delle disposizioni in materia di studi di settore, parametri d’impresa e indicatori di normalità economica, nonché delle norme relative alle comunicazioni obbligatorie all’Anagrafe Tributaria da parte degli operatori finanziari (art. 7, comma 6 del d.P.R. 1973, n. 605). In secondo luogo le plusvalenze su terreni agricoli e fabbricati risultano tassabili unicamente se realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni (art. 67 del d.P.R. 1986 n. 917). Infine, alla società semplice risultano applicabili le norme in materia di rivalutazione delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati e dei terreni edificabili e con destinazione agricola (artt. 5 e 7 della L. 28 dicembre 2001 n. 282). Sul tema, con specifico riferimento alle società semplici di gestione, cfr. M. PIAZZA – P. DI FELICE – A. ACCINNI – S. SCIUMÈ, La società semplice, cit.

[27] Sul punto v. A. BUSANI, La società semplice si veste da holding, in Il Sole 24 ore del 12 giugno 2006, 42; M. PIAZZA – P. DI FELICE – A. ACCINNI – S. SCIUMÈ, La società semplice, cit.

[28] Per la natura del rendiconto cfr. L. BENATTI, Il diritto al rendiconto, in PREITE – BUSI (a cura di), Trattato società di persone, Milano, 2015, tomo I, parte I, cap. XVI, sez. II, 330 ss.

[29] Cfr. BUSATO, Esercizio dell’attività economica in comune nella società semplice, in PREITE – BUSI (a cura di), Trattato società di persone, cit., 518; orientamento O.A.11 della Commissione Società del Comitato Triveneto, sopra citato.

[30] In senso negativo C. IBBA, La pubblicità delle imprese, Padova, 2012, 36; secondo G. RESCIO, Gli effetti dell’iscrizione, in IBBA – DEMURO (a cura di), Il Registro delle Imprese a vent’anni dalla sua attuazione, Torino, 2017, 172 ss. è invece difficile contestare idoneità – quanto meno astratta – del mezzo in questione, trattandosi di un sistema pubblicitario specificamente dedicato agli atti e ai fatti dell’impresa, ferme restando la non esclusività dello stesso nonché la possibilità per il terzo di dimostrarne l’inidoneità in concreto.

[31] G. BARALIS, Studio di impresa n. 73-2016/I, cit.

[32] Cfr. P. SIMONETTI – A. DE TORRES, Modifiche del contratto sociale e vicende della partecipazione sociale, in PREITE – BUSI (a cura di), Trattato società di persone, cit., 489-490; M. SARALE, Le modificazioni del rapporto sociale, ivi, 814 ss.

[33] M. SARALE, Le modificazioni del rapporto sociale, cit., 809.

[34] Per la classificazione e la natura di tali clausole cfr. N. SANTACROCE, Clausole di continuazione con gli eredi, in PREITE – BUSI (a cura di), Trattato società di persone, cit., 704 ss.; M. NAGAR, Clausole societarie di predisposizione successoria. Società di persone, in IACCARINO (diretto da), Successioni e donazioni, Milano, 2017, tomo II, parte III, cap. XXX, sez. II, 1882 ss. Sul punto anche M. PIAZZA – P. DI FELICE – A. ACCINNI – S. SCIUMÈ, La società semplice, cit.

[35] Nello stesso senso G.L. NIGRO, Lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, in PREITE – BUSI (a cura di), Trattato società di persone, cit., 939; in senso contrario G. GARESIO, Lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, in COTTINO (a cura di), La società in generale. Le società di persone. Le società tra professionisti, in CAGNASSO – COTTINO (diretto da), Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale. Diritto commerciale, parte II, sez. I, cap. IV, 721.