La sospensione degli obblighi di cui agli artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c. e la non operatività delle cause di scioglimento prevista negli artt. 20, 64 ed 89 del CCII
1. Premessa
Il Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, in tre diverse disposizioni (art. 20, 64 e 89), dal contenuto sostanzialmente analogo, prevede la sospensione, pur in presenza di perdite rilevanti, dagli obblighi di riduzione nominale del capitale e sinanche di ricapitalizzazione e, così, anche della operatività della relativa causa di scioglimento.
Pur dovendosi evidenziare taluni aspetti che differenziano le singole previsioni, pare potersi desumere una stessa finalità che il legislatore ha voluto perseguire: quella di consentire, anche alle società con perdite rilevanti (o anche con patrimonio netto negativo), di accedere ad una delle procedure richiamate.
In realtà tale finalità era già stata dichiarata nell'art. 33 della Relazione di accompagnamento al d.l. n. 83 del 2012 che aveva introdotto, nella legge Fallimentare, l'art. 182-sexies, il cui contenuto è oggi riprodotto pedissequamente, salvi, ovviamente, i diversi richiami alle varie procedure, negli articoli 64 e 89 del CCII[[1]].
Giova ricordare, peraltro, che la richiamata modifica della legge fallimentare, portata dal decreto sviluppo del 2012, era il frutto e trasformava in dato positivo, un orientamento sia della dottrina che della giurisprudenza, secondo il quale, per una società in concordato preventivo, non vi fosse l'obbligo di procedere ad operazioni di riduzione del capitale per perdite[2]. Si riteneva, tuttavia che, su basi volontarie si potesse, comunque, procedere alla copertura delle perdite (aspetto sul quale, dovrà, segnalarsi una differenza con la disciplina vigente).
2. Le precedenti disposizioni dal contenuto analogo
Non è soltanto all'interno della legge fallimentare che possono rinvenirsi altre disposizioni che, in passato, avevano già previsto la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione e dell'operatività della conseguente causa di scioglimento.
Tuttavia, anche da un punto di vista cronologico, l'art. 182-sexies costituisce il primo esempio, sul quale, probabilmente, sono stati tarati i successivi interventi normativi.
In diverse occasioni, infatti, il legislatore ha ritenuto di dover sospendere o comunque rinviare l'applicazione delle regole poste a tutela del capitale sociale in presenza di perdite rilevanti.
Tuttavia, come potrà facilmente rilevarsi dalle singole disposizioni che si andranno a richiamare, in alcuni casi si tratta di norme a regime ed in altri di previsioni "transitorie", poichè legate a particolari eventi e, quindi, con una applicabilità temporalmente limitata.
Così, con il d.l. n. 179 del 2012, per le start-up innovative, si è previsto che il termine entro il quale le perdite devono risultare diminuite a meno di un terzo, è posticipato al secondo esercizio successivo al primo ed anche che le assemblee, convocate senza indugio, in alternativa all'immediata riduzione ed al contemporaneo aumento del capitale sociale per perdite, possano deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell'esercizio successivo; così fino alla chiusura di tale esercizio non opera la relativa causa di scioglimento.
In occasione, invece, degli eventi sismici del 2012, con il d.l. 26 aprile 2013, n. 43, convertito in legge 24 giugno 2013, n. 71, per alcune aree del paese (Emilia – Lombardia – Veneto) si dispose che «A partire dalla data del 31 dicembre 2012, le perdite relative all'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2012 non rilevano nell'esercizio nel quale si realizzano e nei quattro esercizi successivi, ai fini dell'applicazione degli articoli 2446, 2447, 2482-bis, 2482-ter, 2484 e 2545-duodecies c.c. ... »
Una previsione, per quanto strutturale, dal contenuto sostanzialmente analogo è, poi, data dall'art. 41 comma 1-octies del d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. Codice Antimafia), come modificato dalla legge 161 del 17 ottobre 2017, ove si prevede che «per le società sottoposte a sequestro ai sensi del presente decreto, le cause di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile non operano dalla data di immissione in possesso sino all'approvazione del programma di prosecusione o ripresa dell'attività e, per lo stesso periodo, non si applicano gli articoli 2446, comma secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile».
Si tratta di una disposizione che, peraltro, ha, nel suo complesso, un forte addentellato con le procedure concorsuali, inserendosi all'interno di una procedura tesa, ricorrendone i presupposti, a garantire all'organo gestorio "giudiziale", di poter valutare la possibilità di una "prosecuzione" o di una "ripresa dell'attività" (vedi comma 1 lett. c) dello stesso art. 41), sempre attribuendo all'impresa, o meglio al complesso aziendale, un valore oggettivo.
Certo la previsione più rilevante, in ragione dell'impatto economico della crisi determinata dalla pandemia, è l'art. 6 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, più volte oggetto di interventi[[3]].
3. Analisi delle diverse fattispecie e loro breve inquadramento sistematico
Venendo così all'esame delle disposizioni contenute nel Codice della Crisi, è opportuno premettere che, indipendentemente dalle diverse condizioni e dai diversi presupposti per l'applicabilità di tali previsioni, sarà opportuno verificare quanto e se, le stesse, possano presentare delle aree di sovrapposizione o richiedere una'attività di coordinamento.
Al solo fine di circoscrivere correttamente il campo di operatività delle previsioni in commento, giova, preliminarmente, rammentare come le norme delle quali si prevede la "sospensione" non costituiscono l'intero sistema che disciplina la riduzione del capitale sociale per perdite per le società di capitali, poichè il legislatore, come già fatto nelle precedenti occasioni, ha selezionato le disposizioni per le quali prevede la non operatività "temporanea".
E, difatti, in tutte le ipotesi all'esame si prevede che, durante una determinata fase delle diverse procedure, in seguito singolarmente valutate, delle norme date per il caso di riduzione del capitale per perdite nelle SpA, ossia gli artt. 2446 e 2447 (applicabili alle Sapa per effetto del richiamo portato dall'art. 2454 c.c.) e nelle Srl, ossia gli artt. 2482-bis e ter (non rilevando in questa sede l'art. 2482-quater c.c.), non trovino applicazione, dell'art. 2446 c.c., solo il secondo e terzo comma, dell'art. 2482-bis, solo il quarto, quinto e sesto comma; di contro, per gli artt. 2447 e 2482-ter, è prevista l'integrale disapplicazione.
Separatamente verranno analizzati l'art. 2484 comma 1, n. 4 e l'art. 2545-duodecies, norme relative al verificarsi della conseguente causa di scioglimento nelle società di capitali e nelle cooperative.
Posto che le norme date per le SpA e per le Srl sono, nella sostanza, sovrapponibili, se ne può delineare un meccanismo concretamente unitario.
Può così dirsi che, mentre restano in vigore tutti gli obblighi di natura informativa, viene sospeso l'obbligo di procedere alle riduzioni nominali del capitale, quando le perdite, superiori al terzo, non si riducano sotto tale soglia nell'esercizio successivo a quello nel quale vengono accertate (artt. 2446 e 2482-bis), o, sinanche, di ricapitalizzare la società per dotarla di un capitale pari al minimo di legge, quando, sempre per effetto di perdite superiori al terzo, il patrimonio netto risulti inferiore al capitale nominale minimo (artt. 2447 e 2482-ter), salva, in ogni caso, la possibilità di trasformazione.
Questo significa che tutte le tre norme in commento (art. 20, 64 e 89), per le varie fattispecie che ciascuna disciplina, non fanno venir meno l'obbligo, per l'organo gestorio, pur nella diversa configurazione che possa avere (anche in ragione dei possibili sistemi alternativi previsti per le SpA), di convocare i soci perchè gli stessi, sulla base di apposita relazione sulla situazione patrimoniale della società, accompagnata dalle osservazioni dell'organo di controllo, se previsto, possano prendere gli opportuni provvedimenti.
Tuttavia, se è facilmente intuibile il perchè ai soci debba essere garantita la necessaria informazione sulle condizioni economico-finanziare della società, tanto da permanere, altresì, l'obbligo di dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione, più difficile appare la concreta individuazione degli opportuni provvedimenti che i soci, appunto, potrebbero prendere.
E questo, specificatamente, per il caso degli accordi di ristrutturazione e di accesso alla procedura di concordato preventivo, in ragione dello spostamento delle competenze in favore dell'organo gestorio, come in seguito si avrà modo di meglio considerare.
Come conseguenza, in certo modo inevitabile, il legislatore prevede poi che non operi la causa di scioglimento data, per le società di capitali, dall'art. 2484, n. 4 c.c. (per il caso di riduzione del capitale sociale sotto il minimo legale, non trovando poi applicazione gli artt. 2447 e 2482-ter c.c.) e, per le cooperative, della perdita "integrale" del capitale sociale, come previsto dall'art. 2545-duodecies c.c. (che non contempla, nel richiamo alle cause di scioglimento previste dall'art. 2484 c.c., proprio il numero 4).
Appare opportuno segnalare come, in taluni commenti, sia stato evidenziato come l'espresso richiamo alla sola fattispecie prevista dal n. 4 dell'art. 2484 c.c., imponga di considerare la possibile operatività delle restanti cause di scioglimento previste dalla stessa norma ed in particolare, verrebbe da dire, quella portata dal n. 2, ossia l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale[[4]].
Tuttavia, indipendentemente da ogni valutazione relativa alla possibilità di leggere il venir meno della continuità aziendale quale causa di scioglimento, da collocarsi, appunto, all'interno della previsione dell'art. 2484, n. 2 c.c. (questione discussa in dottrina), è evidente che l'accesso a queste procedure, ed in particolare al concordato preventivo con continuità aziendale, attribuisca ai creditori ed alla Autorità giudiziaria ogni valutazione in merito alla possibilità che il conseguimento dell'oggetto sociale possa, appunto, restare nei piani della società[[5]].
Non è certo questa la sede, poi, per affrontare questioni di carattere sistematico relative alla funzione del capitale sociale (se sia o meno un sistema a tutela dei creditori, anche solo in funzione informativa) o anche solo relative al concetto stesso di perdite ed alla loro determinazione; argomenti rispetto ai quali è sufficiente rinviare a precedenti studi[[6]] ed agli sviluppi che, nel tempo, si sono delineati nelle tecniche di ricapitalizzazione; nè deve qui affrontarsi il rapporto tra l'art. 2446 e l'art. 2447 (e, pure tra gli artt. 2482-bis e ter c.c.), se cioè la prima, piuttosto che la seconda disposizione, costituisca il genere o, comunque, quale delle due norme assuma rilevanza centrale ed, ancor meno, stabilire se il sistema delle riduzioni obbligatorie possa costituire sinanche un privilegio per i soci[[7]].
Quello che rileva è che, in ogni caso, la considerazione di fondo per cui la presenza, più o meno penetrante, di un controllo "giudiziario" o anche lo spossessamento, se pur in taluni casi attenuato, può garantire i creditori più di quanto possa farlo il capitale sociale, perchè è in questa prospettiva che si giustifica il sistema che si và illustrando[[8]].
La finalità è, così, quella di delineare, più concretamente, l'ambito di operatività delle tre previsioni con particolare riferimento al dies a quo ed al dies ad quem, e, quindi, all'arco temporale durante il quale opera la sospensione degli obblighi.
Peraltro, nell'analizzare ciascuna previsione, dovrà, altresì, essere valutato se possano essere individuati diversi profili relativamente alla responsabilità degli amministratori; è bene, infatti, considerare che dal combinato disposto del primo e del secondo comma dell'art. 2486 c.c., discende la responsabilità degli amministratori, che pure conservano il potere di amministrare la società al verificarsi di una causa di scioglimento (fino alla consegna ai liquidatori della documentazione contabile previste dall'art. 2487-bis comma 3 c.c.), per atti o omissioni compiuti in violazione dell'obbligo di conservare l'integrità ed il valore del patrimonio sociale.
Si tratta di aspetto non secondario poichè, come è stato giustamente osservato con riferimento alla previsione portata dall'art. 6 del d.l. n. 23 del 2020, (che pure non richiama espressamente l'art. 2486 c.c.), le scelte degli amministratori devono, in ogni caso, «considerare le effettive prospettive di recupero della società»; a maggior ragione le loro scelte «peraltro sempre da scrutinare in ossequio alla Business Judgment Rule»[[9]], nelle fattispecie in esame, ossia, quando da valutare in presenza di una condizione di crisi, dovranno fare i conti con l'espresso richiamo all'art. 2486 c.c. Ed anche ove tale richiamo non sia diretto, come nel caso della disciplina alla composizione negoziale della crisi, non può sottovalutarsi l'esplicito riferimento alle loro responsabilità per la gestione, comunque prevista nell'art. 21.
4. L'art. 20: la composizione negoziale della crisi
Nell'esaminare, così, le varie fattispecie, in ragione della sua "novità", verrà fornita qualche ulteriore, se pur sintetica, indicazione sulla composizione negoziale della crisi, mentre la disciplina degli accordi di ristrutturazione e dei concordati verrà solo richiamata per brevi cenni e, questo, al solo fine di collocare, come anticipato, l'operatività temporale delle disposizioni in commento.
L'art. 20 è la specifica previsione che disciplina la sospensione degli obblighi di cui si discute, all'interno delle norme relative alla composizione negoziale della crisi, portate dagli artt. dal 12 al 25-quinquies del CCII.
La composizione negoziale della crisi è, oggi, lo strumento di emersione precoce della crisi, ma non si tratta di una procedura concorsuale, benchè possa condurre ad uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza.
Si tratta di un istituto rivolto agli imprenditori iscritti nel Registro delle imprese, nell'ottica di agevolare il risanamento di imprese prossime alla crisi ed all'insolvenza che hanno, però, potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell'azienda o di un ramo di essa[[10]].
È così previsto che l'imprenditore in difficoltà possa chiedere di farsi affiancare da un esperto che agevoli le trattative con i creditori ed eventuali altri soggetti intervenuti, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario.
Con tale richiesta, quindi, si apre una parentesi temporale diretta allo svolgimento di trattative riservate, tra privati, agevolate, come detto, da un esperto terzo ed imparziale, ed incentivate dalla previsione di possibili benefici e meccanismi tendenzialmente favorevoli all'imprenditore stesso.
Ha una natura tipicamente riservata e stragiudiziale benchè sia possibile chiedere al giudice l'applicazione di misure protettive o l'adozione di provvedimenti cautelari. Come in parte anticipato, può anche chiudersi con la stipula di uno o più contratti con creditori, con una composizione di moratoria, con la predisposizione di un piano attestato di risanamento o anche con la domanda di accordo di ristrutturazione dei debiti.
Il codice prevede che all'atto del deposito della istanza di nomina dell'esperto o anche con successiva dichiarazione, e, sino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione, non si applichino le disposizioni codicistiche in materia di riduzione del capitale sociale per perdite, già più volte richiamate, ove l'imprenditore, appunto, renda specifica dichiarazione in tal senso.
I relativi effetti decorrono, così, a partire dalla pubblicazione nel Registro imprese di tale dichiarazione, che risulta, quindi, presupposto essenziale, così pure individuandosi il dies a quo.
Quanto al dies ad quem, mentre, fisiologicamente, lo stesso è da individuarsi nella conclusione delle trattative o nella archiviazione dell'istanza, deve, però, rilevarsi che, nel caso in cui sia stata richiesta l'applicazione di misure protettive del patrimonio ex art. 18 e 19, la sospensione degli obblighi e delle operatività della cause di scioglimento cessa a partire dalla eventuale pubblicazione nel Registro delle imprese del provvedimento con il quale il Tribunale dichiari l'inefficacia delle stesse misure o ne disponga la revoca.
Nel definire quali siano i presupposti per un tale provvedimento, appare opportuno considerare, anche con riferimento ai profili di responsabilità dell'organo gestorio, cui si accennava, come, in linea di principio, durante le trattative, l'imprenditore conservi la gestione ordinaria o straordinaria dell'impresa (art. 21).
Ma se pure l'imprenditore conservi la gestione, non per questo è sciolto da vincoli, risultando, comunque, prevalente l'interesse dei creditori.
Proprio per questa ragione restano ferme le responsabilità nell'ambito della gestione dell'impresa, come indicato all'art. 21, il che consente di ritenere comunque applicabile l'art. 2486 c.c., pur in mancanza di espresso richiamo[[11]].
La sospensione degli obblighi può così terminare per effetto della eventuale dichiarazione di inefficacia o di revoca delle misure protettive, che può aversi quando l'esperto, che deve essere informato preventivamente in relazione agli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, manifesti il proprio dissenso.
Tali atti non sono, infatti, diversamente vietati, ma se l'atto di straordinaria amministrazione, ritenuto pregiudizievole dall'esperto, viene comunque compiuto, quest'ultimo, nei 10 giorni successivi, ha facoltà di segnalare il proprio dissenso, con la conseguenza che (nel caso in cui l'imprenditore avesse appunto beneficiato delle misure protettive), con l'iscrizione del dissenso, lo stesso esperto debba procedere con la segnalazione prevista dall'art. 19, perchè il Tribunale provveda a revocare (o abbreviare la durata di) tali misure, con il conseguente venir meno della sospensione degli obblighi in questione.
Si è pure anticipato come, all'esito delle trattative, tra le varie ipotesi, l'imprenditore possa domandare l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57, 60 e 61 del CCII, soluzione, questa, che, a breve vedremo, porta all'applicazione dall'art. 64, che è la previsione che disciplina la disattivazione degli stessi obblighi nell'ambito, appunto, degli accordi di ristrutturazione.
Si può, quindi, anche ipotizzare che, nella possibile consecutio delle procedure, nel caso di accesso ad un accordo di ristrutturazione dei debiti (come previsto dall'art. 23 comma 2 lett. b), ai sensi degli artt. 57, 60 e 61, oggetto del successivo paragrafo, la sospensione degli obblighi perduri, senza interruzione, sino alla definizione delle stesse.
Da ultimo occorre segnalare come, a differenza delle altre fattispecie all'esame, poichè questo procedimento non determina automaticamente la sospensione delle norme in questione, poichè tale effetto, come già illustrato, è connesso solo ad una dichiarazione resa dall'imprenditore, pare si possa affermare che, almeno in questo caso, su basi volontarie, si possa anche procedere ad operazioni di riduzione del capitale per perdite ed ancor più, di ricapitalizzazione[[12]]. E tanto, a maggior ragione, in considerazione del fatto che nel caso di composizione negoziale della crisi non è previsto alcuno spostamento di competenze come, invece, avremo modo di valutare, avviene per gli accordi di ristrutturazione e per i concordati preventivi.
Art. 57 – 60 – 61 – Art. 64
Accordi di Ristrutturazione
Si tratta di una procedura definita, dalla dottrina, come bifasica.
Volendo indicarne i tratti essenziali può osservarsi come, ad una prima fase, di natura stragiudiziale, finalizzata alla conclusione di un accordo tra l'imprenditore ed una maggioranza qualificata dei suoi creditori, segua una seconda fase, di natura giudiziale, che ha ad oggetto l'omologazione dell'accordo da parte del Tribunale[[13]].
Nel tentativo di tracciare, in estrema sintesi, la differenze più marcate con il concordato, nel quale, la par condicio creditorum può essere derogata solo attraverso la suddivisione in classi, deve rilevarsi come negli accordi di ristrutturazione, possano liberamente essere previste condizioni differenziate per i vari creditori. Altro dato fondamentale, da evidenziare, è che, negli accordi di ristrutturazione, non è prevista una fase di approvazione della proposta, dal momento che la conclusione, in via stragiudiziale, dell'accordo, rappresenta il presupposto per poterne chiedere l'omologazione[[14]].
Infine, mentre il concordato approvato dalla maggioranza dei creditori vincola anche gli altri, solo se gli aderenti all'accordo rappresentano almeno il 60% dei creditori, gli stessi sono ad esso vincolati, (percentuale ridotta alla metà, nei casi di cui all'art. 60, accordi di ristrutturazione agevolata); per tale motivo i non aderenti dovranno essere integralmente soddisfatti (se pur entro un certo termine dall'omologazione) e resta salva, tuttavia, la diversa disciplina degli accordi ad efficacia estesa ex art. 61.
Riepilogando le tre ipotesi:
– all'art. 57, in presenza di uno stato di crisi o insolvenza, è previsto, come detto, che vi sia un accordo con almeno il 60% dei creditori;
– all'art. 60 è stabilito che sia sufficiente una percentuale ridotta del 30%, a condizione che il debitore non proponga la moratoria per il pagamento dei creditori estranei agli accordi e non abbia richiesto e rinunci a misure protettive temporanee;
– in relazione all'art. 61 pare opportuno evidenziare come alla lettera c) sia richiesto, quale presupposto, che l'accordo non abbia carattere liquidatorio, «prevedendo la prosecuzione dell'attività d'impresa in via diretta o indiretta ai sensi dell'art. 84».
In tutti i casi, comunque, la domanda di omologazione dovrà essere presentata a norma dell'art. 120-bis.
Questo aspetto, per taluni effetti che ne conseguono, suggerisce una trattazione congiunta con il concordato, mentre, per il momento, appare solo opportuno accennare come la continuità aziendale, che è richiamata, a vario titolo, in tutte le fattispecie al'esame, è concetto che richiederebbe una approfondita valutazione per tutta una serie di ragioni.
L'art. 64 prevede che, automaticamente (o almeno così sembrerebbe), dalla data di deposito della domanda (di omologazione) degli accordi di ristrutturazione, in una delle diverse forme indicate, ovvero dalla richiesta di misure cautelari e protettive ai sensi dell'art. 54, e sino alla sua omologazione, non si applichi il sistema di riduzione del capitale per perdite e per lo stesso periodo non operi la causa di scioglimento.
Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della richiesta di misure cautelari e protettive, l'applicazione dell'art. 2486 c.c.
Con riguardo al dies a quo, rispetto all'idea che con il deposito della domanda si abbia, automaticamente la sospensione degli obblighi è, però, da chiedersi cosa possa significare che le norme in questione possano trovare applicazione anche solo dalla richiesta di misure cautelari o protettive, se queste sono proponibili nel corso del procedimento?
Forse, allora, che la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione non si applichi automaticamente?
In effetti il dubbio può nascere in considerazione del tenore letterale dell'art. 64 già richiamato[[15]].
Tale disposizione, infatti, come anticipato, collega il prodursi degli effetti "sospensivi" si al deposito della domanda di omologazione degli accordi "ovvero" (leggasi ma anche) «dalla richiesta di misure cautelari e protettive», tra le quali non pare possa certo collocarsi la sospensione degli obblighi di cui si discute.
Il dato positivo, quindi, di per sè, consente di escludere che la sospensione degli effetti in questione possa rientrare tra le misure cautelari o protettive[[16]], ma allo stesso modo, non prevede, almeno espressamente, la necessità di una richiesta perchè possa operare la sospensione degli effetti legati all'esistenza di perdite rilevanti.
Dette misure (cautelari o protettive), tuttavia, si evince dall'art. 54, possono essere emesse dal Tribunale nel corso del procedimento per l'apertura del concordato o di omologazione degli accordi di ristrutturazione.
Affrontando separatamente le due ipotesi, (per quanto gli argomenti saranno, nella sostanza, identici), quanto ai provvedimenti cautelari, che sembrerebbero da individuare tra quelli idonei ad assicurare, provvisoriamente, l'attuazione delle sentenze di omologazione (vedi comma 1 dell'art. 54), sarebbe giustificata una lettura della norma secondo la quale la relativa istanza (di provvedimenti cautelari), possa essere anche successiva al deposito della domanda (di omologazione dell'accordo).
Ma, se così fosse, potrebbe giustificarsi, pur in presenza di un dato letterale apparentemente inequivocabile, quanto meno l'opportunità di presentare, cautelativamente, una specifica richiesta perchè la sospensione degli effetti in questione possa operare, come, peraltro, sembrerebbe potersi desumere da un recente caso giurisprudenziale (se pur in materia di concordato)[[17]].
È evidente, infatti, che se si ipotizzasse che gli effetti "sospensivi" possano prodursi anche da un momento successivo, ma solo eventuale, rispetto al deposito della domanda di omologazione, una tale ricostruzione, di per sè, presupporrebbe la mancanza di un qualsiasi effetto automatico.
Quanto alle misure protettive, il comma 2 lascia intendere che la richiesta debba essere prevista nella domanda e che, tuttavia, possono essere richieste ulteriori misure con successiva istanza.
Le sole misure protettive, poi, in base al comma 3, possono, invece, essere richieste anche prima del deposito della domanda, nel corso delle trattative, a certe condizioni.
Ma se ragioniamo in ordine alla richiesta di misure protettive dopo il deposito della domanda, le considerazioni sin qui svolte per le misure cautelari, sarebbero esattamente riproponibili.
Tuttavia l'art. 64, quando fa discendere gli effetti in questione oltre che dalla data di deposito della domanda, (di omologazione), anche dalla eventuale richiesta di misure protettive (oltre che cautelari) ai sensi dell'art. 54, avrebbe una sua coerenza, e non contrasterebbe con un effetto automatico della sospensione degli obblighi, solo se il riferimento si dovesse limitare alle misure protettive previste dal terzo comma, ossia in caso di istanza "preventiva"[[18]].
Ma per proporre questa interpretazione dovremmo operare una lettura "ortopedica" dell'art. 64, escludendo, cioè, non solo il riferimento alle misure cautelari ma, altresì, in ogni caso, limitando, anche per le misure produttive, il richiamo al solo comma 3.
Questa esigenza si manifesta anche sulla scorta di una ulteriore precisa considerazione: tenuto conto dello spostamento delle competenze, di cui meglio si dirà in materia di concordato, se la sospensione degli effetti non si determinasse automaticamente, con il solo deposito della domanda, come, si ribadisce, il testo dell'art. 64 lascerebbe intendere, e se, effettivamente, tale effetto potesse decorrere anche solo da un momento successivo, ossia da una successiva richiesta di misure cautelari o di protezione, si avrebbe una fase in cui gli obblighi di operare sul capitale permarrebbero, ma sarebbe difficile comprendere come l'organo gestorio potrebbe mai provvedervi.
La scelta di una lettura "ortopedica", cui si accennava, sarebbe, quindi, soluzione cronologicamente e funzionalmente coerente, orientata, anche sotto un profilo sistematico, alla stessa logica delle misure protettive che, ai sensi del comma 2 dell'art. 54 consistono nella "sospensione" delle norme sull'attuazione dei diritti dei creditori; tuttavia, al momento, non pare vi siano precisi orientamenti.
Riassumendo, alla luce di tali considerazioni, deve quindi ribadirsi che mentre le eventuali richieste "preventive", di cui al comma 3 dell'art. 64, non si pongono in contrasto con un effetto automatico, negli altri casi il sistema dei rinvii richiamati potrebbe creare seri dubbi interpretativi.
Peraltro, se l'effetto, come pure appare corretto ritenere, fosse da ritenersi collegato anche alla presentazione della domanda con riserva ex art. 44, nella quale, appunto, può non essere indicato lo strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, il dubbio, generato da una interpretazione strettamente letterale, potrebbe, in astratto, "colpire" tutte le ipotesi[[19]].
E proprio in relazione a tale ipotesi dovrà affrontarsi la tematica anche in relazione al concordato preventivo.
Altro aspetto che qui si segnala e che, in realtà, pure accomuna, nella sostanza, l'art. 64 con l'art. 89, nasce da un confronto lessicale con l'art. 20.
Difatti, da un punto di vista terminologico, raffrontando la norma in commento (come anche l'art. 89) con il contenuto dell'art. 20, può osservarsi che, mentre con riferimento alle norme in tema di riduzione del capitale per perdite viene utilizzato lo stesso sintagma, prevedendo, che tali norme "non si applicano", con riferimento alla causa di scioglimento, nell'art. 20 si dice che la stessa (causa di scioglimento) non si verifica, mentre, nella previsione in esame, e così anche nell'art. 89, forse più correttamente, è previsto che la stessa causa di scioglimento non operi.
Questo perchè, analogamente a quanto osservato con riferimento, più in generale, al prodursi degli effetti dipendenti dal verificarsi di una causa di scioglimento, una cosa è il prodursi dell'evento, altra il prodursi degli effetti dipendenti dall'evento[[20]].
In altri termini così come le perdite si verificano ed in quanto tali rilevano quando, in misura superiore al terzo del capitale, vadano ad intaccare l'entità del capitale nominale (di modo che il patrimonio netto si riduce a valori inferiori allo stesso ed anche al minimo di legge), ma si sospende l'applicazione delle norme che impongono determinate operazioni, con riferimento alla causa di scioglimento non può dubitarsi che la stessa si verifichi (come stabilisce l'art. 2484, n. 4) ma, piuttosto, può dirsi che tale causa di scioglimento non operi, non produca effetto, come più correttamente indicato negli articoli 64 e 89.
Il tenore letterale dell'art. 20, invece, per il quale la causa di scioglimento sembrerebbe "non verificarsi", appare, in questa prospettiva non particolarmente felice.
Se dubbi vi possono essere sul dies a quo per l'operatività della sospensione degli obblighi in questione, nessun dubbio, invece, pare doversi segnalare con riferimento al dies ad quem: con l'omologazione degli accordi le norme del codice civile tornano pienamente efficaci[[21]].
In realtà deve, però, anche darsi conto del fatto che tale termine può coincidere, oltre che con la mancata omologazione, anche con l'eventuale interruzione della procedura o con il ritiro della domanda.
Non pare, in ogni caso, potersi ipotizzare una efficacia retroattiva dei relativi effetti di modo che gli obblighi di cui si prevede la sospensione tornano, più semplicemente, ad applicarsi dall'arresto del procedimento.
In ogni caso, analogamente a quanto si avrà modo di valutare a breve in materia di concordato, negli accordi di ristrutturazione, anche quando l'accordo non dovesse avere una componente remissoria, (tale da eliminare, di per sè, lo squilibrio patrimoniale), ossia quando all'accordo non dovesse conseguire un effetto di esdebitazione connesso alla falcidia, (ben potendo esclusivamente prevedere un mero riscadenziamento dei crediti, impattando, così, esclusivamente sul piano finanziario dei conti della società), con l'omologa la società dovrà comunque dotarsi di un nuovo capitale di rischio, tornando pienamente operativi gli articoli 2446, 2447, 2482-bis e ter c.c.[[22]]
E rispetto tale considerazione, vedremo a breve, come fosse stata proposta una diversa soluzione interpretativa pure in presenza di un dato letterale inequivocabile.
5. Art. 89 Concordato preventivo
Per il concordato preventivo, istituto che più frequentemente interessa o comunque ha interessato l'attività professionale, la disapplicazione delle norme in materia di riduzione del capitale per perdite ed il conseguente operare della causa di scioglimento, è prevista nell'art. 89 nel quale è fissato un dies a quo che non può lasciare spazio a dubbi interpretativi poichè coincidente con il deposito della domanda (senza, in altri termini, siano previste alternative).
In ragione del precedente testo dell'art. 182-sexies l. fall. e pur valutando, come non sia più prevista una espressa indicazione in tal senso, si è indotti a ritenere che lo stesso effetto si determini anche quando la domanda dovesse esser presentata ai sensi dell'art. 44, con riserva, quindi, di presentare la necessaria documentazione a corredo, compresa la proposta[[23]].
Ora è bene dire che a parte i dubbi connessi alla segnalata possibilità di una diversa lettura che, in qualche modo, potrebbe discendere dalle previsioni date in materia di accordi di ristrutturazione, un recente caso giurisprudenziale, come si accennava, ha però contestato questa interpretazione, anche se la dottrina appare, comunque, diversamente orientata. Peraltro, come pure già detto, sembrerebbe introdotto anche per il concordato – almeno in quello con riserva – un principio secondo il quale risulterebbe, necessaria una specifica istanza; questo benchè, è bene rimarcarlo, non vi sia, nel dato positivo, alcun elemento che possa giustificare tale orientamento[[24]].
La scelta ha, evidentemente, rilevanti ricadute applicative, poiché ove si dovesse ritenere, come appare preferibile, anche alla luce di una ricostruzione sistematica che, per effetto del solo deposito della domanda, anche se "con riserva", si determini la sospensione degli effetti di cui si discute, un tale approdo consentirebbe di superare ogni dubbio anche per gli accorsi di ristrutturazione.
Le due procedure sarebbero, in altri termini, sotto tale profilo, accomunate e tanto in ragione della semplice considerazione in base alla quale, ove nel presentare la domanda con riserva, non dovesse essere indicato neanche lo strumento di regolazione della crisi, come si ritiene consentito, l'indeterminatezza della scelta renderebbe, di fatto, impossibile applicare una diversa disciplina così pure permettendo di superare i dubbi esposti nel precedente paragrafo[[25]].
Quanto al dies ad quem che, anche in questo caso è coincidente con l'omologazione del concordato, con riferimento alla possibilità di arresto del procedimento precedente all'omologa, in caso di dichiarazione di inammissibilità, potrebbe, forse, anche ipotizzarsi una sorta di effetto retroattivo, di reviviscenza degli obblighi senza alcuna "sospensiva"[[26]].
Ma se è vero la norma non lascia spazio a dubbi interpretativi, con riferimento all'ipotesi di omologazione, merita segnalare come, in ragione delle modifiche intervenute con il d.lgs. n. 83 del 2022, che ha modificato l'originaria previsione del d.lgs. n. 14 del 2019, coerente con il precedente impianto dell'art. 186-bis l. fall., appare oggi di più modesta portata la tematica relativa alla necessità di differire il termine di operatività della sospensione delle regole in questione sino all'esecuzione del concordato in continuità con il rischio, segnalato, altrimenti, di far perdere utilità ai piani industriali a supporto, rischiando di snaturarne la sostanza stessa[[27]].
Questo perchè, in ragione di quanto previsto dal più volte richiamato art.84, la continuità aziendale, che appunto consente che i creditori vengano soddisfatti in «misure anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta», viene oggi declinata in modo certo più ampio, (comunque relegando il concordato liquidatorio in una posizione di assoluta marginalità).
Per il concordato, e così per gli accordi di ristrutturazione, tuttavia, devono essere proposte ulteriori considerazioni legate alla necessità di indagare sulla possibilità di procedere, su basi volontarie, alle operazioni per le quali le norme che si stanno analizzando dispongono la sospensione degli obblighi.
Alcuni commentatori, infatti, ritengono anche oggi consentito, su basi volontarie, procedere alla riduzione del capitale ed anche alla ricapitalizzazione, pur dopo la presentazione della domanda ex artt. 40 e 120-bis del codice[[28]].
Ora, se anche si dovesse ritenere che gli effetti "sospensivi" non siano automaticamente determinati dalla presentazione della domanda, la necessità di valutare con attenzione tali operazioni discende direttamente dallo spostamento di competenze che deriva dall'art. 120-bis[[29]].
Tali operazioni, difatti, non sembrerebbero più (come, evidentemente, anche una delibera di revoca dello stato di liquidazione) di competenza dei soci, ma, piuttosto, dell'organo gestorio.
Questo aspetto, tuttavia, richiederebbe una più approfondita ed attenta valutazione.
Difatti, per quanto detta previsione (i.e. l'art. 120-bis) determini, coerentemente con il sistema delineato dal legislatore, l'attribuzione all'organo amministrativo di competenze proprie dei soci, non per questo gli stessi soci risultano del tutto privati dei loro diritti "decisionali".
La dottrina ha, infatti, affermato che la compressione dei diritti dei soci «è limitata unicamente al divieto di interferenza con le misure che riguardano, appunto, la soluzione, inclusa la ricapitalizzazione, ad essa funzionale, ma non si estendono di certo alla generale capacità deliberativa dell'assemblea»[[30]].
Si tratta, quindi, di definire gli esatti contorni di tali competenze residue, fermo restando che l'indagine dovrà, necessariamente, tener conto dello spirito del codice.
Nell'operare questa valutazione, inevitabilmente, uno dei criteri ispiratori sarà dato, quindi, dal contenuto del piano.
Difatti, dovrebbero potersi ritenere legittime, oltre le delibere previste nel piano (e quindi funzionali alla soluzione della crisi), anche quelle che risultino non in contrasto con lo stesso strumento di regolazione della crisi.
Ancor prima, quindi, di valutare l'organo competente a decidere tali operazioni, ne andrebbe valutata la coerenza con le soluzioni (se già individuate) dall'organo amministrativo (sempre che, ovviamente, non si dovesse ritenere che i soci possano, comunque, "riappropriarsi" della società)[[31]-[32]].
Altro problema, poi, è quello di valutare se la competenza dell'organo gestorio a procedere alla riduzione del capitale (e ad eventuali ricapitalizzazioni) si limiti al solo caso in cui tale operazione sia inserita nel piano; questo indipendente da ogni valutazione in ordine ai profili di eventuali competenze residue in capo ai soci.
È evidente, poi, che dato il particolare oggetto delle delibere che sono destinate ad incidere sugli assetti patrimoniali delle società "in crisi", la valutazione, che nel merito non potrà mai essere affidata al giudizio del notaio, richiederà, con buona probabilità, oltre che, ovviamente, particolare cautela, una valutazione dell'Autorità giudiziaria competente e degli organi della procedura, se già nominati.
NOTE:
[1] Nella relazione testualmente si legge «Il nuovo art. 182-sexies l. fall. riguarda le perdite di capitale delle società in crisi, volto ad incentivare la risoluzione delle situazioni di crisi di impresa».
[2] Nella relazione è, infatti, pure detto che «la norma recepisce un orientamento interpretativo diffuso in tema di concordato preventivo».
In dottrina, per tutti, R. NOBILI- M.S. SPOLIDORO, La riduzione del capitale in Trattato delle SpA Colombo - Portale, VI, Torino 1993, 329. Vedi anche lo studio n. 3658, approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato e sia consentito richiamare F.P.PETRERA, Crisi dell'impresa, soluzioni concordatarie ed operazioni societarie, in AA.VV., L'immobile e l'impresa, V. VINCI – B. VOLPE (a cura di), Quaderni del Notariato, Milano, 2013, 202.
[3] Si veda, per tutti, lo Studio n. 88/2021/I, La nuova sospensione degli obblighi di riduzione del capitale sociale nella legislazione di emergenza Covid-19, in Studi e materiali, II, 2022, 603 e ss.
[4] A. AUDINO, Sub art. 89 CCII, in A. MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario Breve alle Leggi su Crisi d'Impresa e d'Insolvenza, Milano, 2023, 652, infatti, afferma «ne consegue che, nonostante l'inoperatività della causa di scioglimento predetta faccia venire meno l'obbligo di accertamento di cui all'art. 2485 c.c., ... si reputa, ... che gli amministratori siano obbligati a procedere all'accertamento di una causa di scioglimento diversa da quella di cui all'art.2484 n.4 c.c.» ed ancor più nettamente, S. ADDAMO, Sub art. 20 CCII, nello stesso Commentario, 129.
[5] In tal senso è sufficiente richiamare G. STRAMPELLI, Capitale sociale e struttura finanziaria nelle società in crisi, in Riv. soc., 2012, 4, 605.
[6] Sul punto si veda il citato studio n. 3658 del Consiglio Nazionale del Notariato.
[7] G. FERRI JR, La riduzione del capitale per perdite, in I quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2008, 76 e ss. e dello stesso autore La struttura finanziaria della società in crisi, in Riv. dir. soc., 2013, 3, 477 e ss.
[8] Così, per tutti, nel vigore della precedente disciplina, gli autori già citati in nota 2 oltre F. GUERRERA, Commento sub art. 152 l. fall., in AA.VV., A. JORIO (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007, II, 2224.
[9] Così, espressamente, con riferimento alla sospensione degli obblighi legati alla crisi pandemica, A. PAOLINI, nel citato Studio 88/2021/I, 613.
[10] F.S. DAMIANI, La composizione negoziata della Crisi d'impresa, in AA.VV., G. TRISORIO LIUZZI (a cura di), Diritto della Crisi d'impresa, Bari, 2023, 40.
[11] Sulla responsabilità degli amministratori si veda S. ADDAMO, Sub art.20 CCII, cit., 129.
[12] Così espressamente S. ADDAMO, Sub art. 20 CCII, cit., 128.
[13] F.G. DEL ROSSO – N. MINAFRA, Gli Accordi di ristrutturazione dei debiti, in AA.VV., Diritto della Crisi d'impresa, cit., 206.
[14] Ibidem, 206.
[15] Deve segnalarsi come G. D'ATTORRE, Manuale di diritto della Crisi e dell'insolvenza, Torino, 2022,79, nell'analizzare la previsione in commento, faccia riferimento alla «richiesta di misure protettive anticipate» operando, sostanzialmente, l'interpretazione nel testo a proporsi senza, tuttavia, alcuna motivazione espressa.
[16] Così espressamente G. FAUCEGLIA, Brevi osservazioni sulla sospensione dagli obblighi di riduzione del capitale sociale negli strumenti di regolazione della crisi, in Le Società, 2023, 5, 558.
[17] Tanto, infatti, può desumersi dal provvedimento del Tribunale di Arezzo del 7 novembre 2022, pubblicato, con nota contraria di G. FAUCEGLIA, in Le Società, 2023, 5, 557.
[18] E solo a questa ipotesi, infatti, fa riferimento, G. D'ATTORRE, Manuale di diritto della Crisi e dell'insolvenza, 79.
[19] Contro questa interpretazione, tuttavia, Trib. Arezzo citato in nota 17 con nota contraria di G. FAUCEGLIA.
[20] Si veda, sul punto, lo Studio 15-2008/I, Rimozione delle cause di scioglimento delle società e l'efficacia della deliberazione di revoca, in Studi e Materiali, 2008, 3, 1143.
[21] Sul punto G. BARRAS, Sub art. 64 CCII, in Commentario Breve alle Leggi su Crisi d'Impresa e d'Insolvenza, cit., 454.
[22] Sui possibili effetti delle sopravvenienze attive legate alla falcidia concordataria, se pur in materia di concordato, A. AUDINO, Sub art. 89 CCII, cit., 651.
[23] Si rinvia per le relative motivazioni a G. FAUCEGLIA, op. cit.
[24] G. FAUCEGLIA, op. cit., 51, sembra ipotizzare, nel caso di concordato con riserva, una specifica istanza, così escludendo, in tal caso, l'efficacia automatica.
[25] Si veda, ove per ulteriori riferimenti lo Studio CNN n.42/2023-I, La decisione degli amministratori sull'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza delle società (art.120-bis CCII).
[26] Sul punto A. AUDINO, Sub art. 89 CCII, cit., 650.
[27] È quanto sostenuto nel documento pubblicato dalla UNGDC dell'ottobre 2013, secondo il quale la sospensione dovrebbe durare sino all'esecuzione del concordato. Si veda, altresì, A. AUDINO, Sub art. 89 CCII, cit., per ulteriori riferimenti sul punto.
[28] Espressamente sul punto O. CAGNASSO – C.F. GIULIANI – G.G. MICELI, L'accesso delle società al concordato preventivo, in Le Società, 2023, 8-9, 991. Si veda anche A. AUDINO, Sub art. 89 CCII, cit.
[29] Sul punto si veda M. MALTONI, Spunti di riflessione sulla disciplina delle modifiche statutarie in caso di accesso della società ad uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, in Riv. soc., 2022, 5-6, 1299 e M.S. SPOLIDORO, I soci dopo l'accesso a uno strumento di regolazione della crisi, in Riv. soc., 2022, 5-6, 1258 e come detto, in senso assolutamente contrario, O. CAGNASSO – C.F. GIULIANI – G.G. MICELI, L'accesso delle società al concordato preventive, cit.
[30] Così G.A.M. TRIMARCHI, La ricapitalizzazione delle società ed il contrasto alla crisi nel contesto degli strumenti di regolazione della crisi (e dell'insolvenza). Verso l'emersione di un nuovo diritto sostanziale della crisi e dell'insolvenza, nella relazione tenuta in occasione di questo Convegno, nel testo consultato per cortesia dell'Autore.
[31] Come, appunto, sostenuto da O. CAGNASSO – C.F. GIULIANI – G.G. MICELI, L'accesso delle società al concordato preventive, cit., 651.
[32] Peraltro viene da osservare che, indipendentemente da ogni ulteriore valutazione, gli amministratori sono, in realtà, i responsabili delle condizioni che avranno portato la società ad accedere ad uno degli strumenti di regolazione della crisi.