Le clausole compromissorie nelle società di capitali
Notaio in Noicattaro
Inquadramento normativo e criticità del sistema
L'attuale momento storico-politico ed economico necessita di una sempre più ampia valorizzazione della certezza del diritto, soprattutto nell'ambito dell'attività di impresa ove è fortemente sentita l'esigenza di poter contare su un sistema normativo chiaro e di una giustizia rapida ed efficiente.
Sappiamo bene infatti quanto la celerità delle controversie societarie incida sull'efficienza del governo dell'impresa.
E per la verità, la ormai lontana Riforma del diritto societario del 2003 era proprio ispirata a queste finalità, ponendosi l'obiettivo di individuare strumenti che potessero stabilizzare e rafforzare gli atti e gli assetti endosocietari.
Tra i principi ispiratori della nuova disciplina delle società di capitali, infatti, l'art.2 della legge delega n. 366 del 2000[1] individuava quello di «favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese», agevolandone l'accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali.
Proprio sul fronte processuale, l'art. 12 della legge delega n. 366 del 2001[2] delegava il Governo «ad emanare norme che fossero dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti» commerciali anche incentivando forme alternative di risoluzione delle controversie.
In questo contesto si inseriva la disciplina dell'arbitrato societario[3] che, come noto, è sopravvissuta all'abrogazione dell'intero impianto normativo del processo societario.
Tuttavia, a quasi quindici anni dall'introduzione dell'Arbitrato societario, di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, possiamo dire che, nonostante i lungimiranti e tutt'ora attuali propositi della legge delega e della Riforma del 2003, qualcosa non ha funzionato.
E in effetti, tirando un po' le somme e facendo i primi bilanci in relazione all'applicazione della riforma in esame, il risultato è stato quello di assistere ad una ingente e paradossale implementazione del contenzioso societario derivante proprio dal difettoso funzionamento della disciplina delle clausole compromissorie, con un elevatissimo numero di notai sottoposti a procedimento disciplinare per aver ricevuto atti costitutivi contenenti clausole compromissorie in contrasto con l'attuale disciplina degli artt. 34 e ss. del d.lgs. n. 5 del 2003[4].
Infatti, l'arbitrato societario, tra tutti gli istituti della Riforma del 2003, è fra quelli che hanno provocato il maggior numero di contenziosi giudiziari in assoluto.
Il che deve farci riflettere in maniera decisamente profonda se pensiamo agli obiettivi e ai buoni propositi da cui la disciplina dell'arbitrato societario ha preso spunto e se pensiamo anche alla circostanza che la Riforma del 2006[5] ha riconosciuto all'Arbitrato di diritto comune un ruolo equiparabile a quello del giudizio civile, di cui rappresenta un'alternativa a tutti gli effetti.
Deve farci riflettere proprio perché la disciplina dell'Arbitrato societario, anziché rappresentare in concreto uno dei principali strumenti deflattivi del contenzioso, così come ontologicamente è e dovrebbe essere, ha paradossalmente avuto il risultato di incrementare le liti, con il frustrante effetto di generare nelle imprese e nei professionisti una forte diffidenza e sfiducia verso l'utilizzo di questo strumento.
A tutto questo, com'è noto, si sono conseguentemente aggiunti i numerosi ed oscillanti interventi della Giurisprudenza della Cassazione che non hanno affatto contribuito a chiarire le criticità del sistema.
Tali circostanze lascerebbero pensare che sia giunto il momento di un parziale ripensamento della disciplina in esame, affinché l'arbitrato societario possa davvero rappresentare, nella sua fase applicativa, un'occasione diretta ad agevolare, e non a intralciare, il perfetto funzionamento dell'attività di impresa.
E questo ripensamento, sicuramente necessario e auspicabile, ritengo che debba però essere circoscritto, dal momento che nell'attuale impianto normativo dell'Arbitrato societario vi sono degli elementi che devono permanere e piuttosto essere valorizzati.
Mi riferisco principalmente all'intenzione del legislatore di creare un arbitrato maggiormente fruibile alla società, inteso come una particolare forma di “giustizia di gruppo”, che si giustifica pienamente per la risoluzione delle controversie aventi ad oggetto la vita della società ed i rapporti correnti al suo interno (tra i soci, tra la società e i soci e i soggetti che ne costituiscono gli organi)[6].
Credo pertanto che questa idea vada davvero supportata e maggiormente valorizzata, magari attraverso l'eliminazione di quelle criticità che ad oggi costituiscono ancora dei veri limiti applicativi alla disciplina dell'arbitrato societario.
Ambito applicativo: Arbitrato e società di persone
L'inquadramento normativo della disciplina delle clausole compromissorie societarie deve muovere anzitutto dagli indizi suggeriti dalla legge delega n. 366 del 2001 che all'art. 12 attribuiva al Governo la possibilità di prevedere che gli statuti delle "società commerciali" contenessero clausole compromissorie «anche in deroga agli artt. 806 e 808 c.p.c.», ovvero alla disciplina relativa all'arbitrato di diritto comune.
Il legislatore delegato, invece, sulla scorta anche della portata generale dell'art. 1 del d.lgs. n. 5 del 2003, si è espressamente e genericamente riferito agli "atti costitutivi delle società", limitandosi ad escludere soltanto le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (probabilmente per la difficoltà da parte dei soci investitori di siffatte società, di sentirsi parte di un organizzazione di gruppo).
Vi è da dire che, nonostante la terminologia utilizzata dal legislatore delegato negli artt. 34 e ss. sembrerebbe essere maggiormente attinente alla struttura delle società di capitali, in dottrina e giurisprudenza[7] non si è dubitato che il nuovo arbitrato societario potesse applicarsi anche alle società di persone, probabilmente con la sola esclusione delle società semplici, per via del richiamo della legge delega alle sole società commerciali.
Tuttavia qualche perplessità potrebbe sorgere in relazione alla necessità, affidata in concreto all'operatore pratico, di dover porre dei correttivi di adeguamento all'applicazione della normativa in esame rispetto agli elementi strutturali delle società di persone.
Il riferimento è in particolare alla disposizione contenuta nel comma 6 dell'art. 34 del d.lgs. n. 5 del 2003, nella parte in cui richiede che «le modifiche dell'atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie debbano essere adottate ed approvate dai soci con una maggioranza qualificata che rappresenti almeno i 2/3 del capitale sociale, fermo restando il diritto di recesso per i soci assenti o dissenzienti».
Tale rafforzamento del quorum assembleare richiesto per l'introduzione e la soppressione delle clausole compromissorie costituisce una vera rarità soprattutto nel panorama della disciplina delle società di capitali a seguito della Riforma del 2003.
Rarità che si giustifica dalla necessità avvertita dal legislatore delegato di garantire un equo bilanciamento di interessi a seguito dell'imposizione normativa che sacrifica il diritto individuale dei soci di scegliere autonomamente ed indipendentemente i soggetti a cui affidare la decisione delle controversie sociali.
Dall'angolo prospettico delle società di persone, invece, dove - come noto - vige ancora ferma la regola dell'unanimità dei consensi per le modifiche del contratto sociale, quello che in astratto e, probabilmente nella volontà legislativa, dovrebbe costituire un rafforzamento dei quorum decisori e quindi un rafforzamento di tutela, giustificato dalla delicatezza degli interessi e dei diritti in gioco, diverrebbe una clamorosa deroga liberalizzatrice al medesimo principio sopra richiamato dell'unanimità dei consensi.
E questo a maggior ragione se pensiamo che, all'interno della Riforma del 2003, quando il legislatore ha voluto consentire delle deroghe alla regola dell'unanimità dei consensi all'interno del sistema delle società di persone lo ha previsto espressamente[8].
Dunque, se il legislatore ha imposto ex lege una maggioranza più elevata laddove, di norma, vige il principio della maggioranza, il buon senso impone di ritenere che tale regola non possa valere laddove, di norme, vige il principio dell'unanimità[9].
Pertanto, dal punto di vista pratico, in mancanza di un espressa e testuale indicazione in tal senso da parte del testo normativo in esame, ragioni di prudenza e buon senso dovrebbero indurre a ritenere che l'introduzione delle nuove clausole compromissorie attraverso una modifica del contratto sociale di una società di persone debba in ogni caso essere sempre adottata con il consenso unanime dei soci, salvo ovviamente che il contratto sociale non preveda già a priori la possibilità di decidere a maggioranza, in deroga al suddetto principio consacrato nell'art. 2252 c.c.
Se pertanto tale considerazione dovesse essere accolta, allora probabilmente si dovrebbe ritenere che la speciale disciplina delle clausole compromissorie societarie sia stata ispirata e pensata principalmente e direttamente per le società di capitali e solo in via estensiva e indiretta per le società di persone, per le quali dunque sarebbe richiesto un giudizio di adeguamento e di compatibilità con i principi cardine a cui le suddette società devono sempre far fede.
A tutto questo si aggiunge il dibattito in merito all'applicabilità della disciplina delle clausole compromissorie alle società semplici e alle società di persone non iscritte nel registro delle imprese.
Aspetto questo di non scarsa rilevanza considerata l'importanza che riveste l'iscrizione della domanda di arbitrato così come l'iscrizione del lodo.
Contenuto delle clausole compromissorie e rapporti con le clausole binarie ante riforma
Entrando più nello specifico della disciplina delle clausole compromissorie societarie, come già detto, con l'introduzione dell'arbitrato societario il legislatore ha voluto, da un lato, superare tutti i dubbi sulla possibilità di deferire ad arbitri le controversie societarie e, dall'altro, creare una particolare forma di giustizia di gruppo.
Il tratto peculiare della disciplina in esame, infatti, è dunque rappresentato dalla costruzione di un nuovo istituto giurisdizionale caratterizzato dalla limitazione dell'autonomia delle parti nella formazione del giudice arbitrale bilanciata da un incremento del potere decisorio[10].
L'art. 34 del d.lgs. n. 5 del 2003, infatti, richiede che la clausola compromissoria inserita negli statuti sociali conferisca in ogni caso e a pena di nullità il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società, prevedendo altresì la necessità che i soci decidano il numero e le modalità di nomina degli arbitri[11].
Norma che è stata letta sin da subito con assoluta attenzione soprattutto dal punto di vista dell'operatore pratico, qual è il notaio, vista e considerata l'espressa comminatoria di nullità che contiene.
La ratio di tale rilevante novità doveva principalmente rispondere non solo alla ovvia necessità di garantire l'esigenza di estraneità, neutralità ed imparzialità nella definizione del giudizio attraverso la nomina di un designatore esterno, ma soprattutto consentire di superare le difficoltà del passato che derivavano dalla nomina degli arbitri negli arbitrati multiparti (all'interno dei quali vi sono una pluralità di soggetti e di interessi coinvolti), considerato che le vecchie clausole binarie contenute negli statuti ante riforma prevedevano la nomina di un arbitro da parte di ciascuno dei soggetti chiamati in causa e la nomina del terzo arbitro di comune accordo dai primi due designati.
E dunque, la codificazione di un nuovo meccanismo di nomina degli arbitri, che andava nettamente a differenziarsi rispetto a quello dettato dal codice di rito, anche dopo la recente novellazione del 2006, rendeva le clausole in oggetto come species di clausole arbitrali in ambito societario[12].
Tuttavia, su questo aspetto, negli ultimi anni sono sorte le maggiori discussioni.
Infatti, secondo una buona parte della dottrina[13], l'arbitrato societario doveva porsi in rapporto di alternatività e di concorrenza con quello previsto dal codice di rito, aggiungendosi ma non sostituendosi all'arbitrato di diritto comune.
L'intento del legislatore, supportato da alcune indicazione della Relazione ministeriale al d.lgs. n. 5 del 2003[14], sarebbe stato dunque quello di ampliare le possibilità delle società commerciali, non diminuirle.
Così intesa, quindi, la disciplina dell'arbitrato societario doveva costituire un'opportunità di scelta, opzionale e facoltativa, verso una giustizia di gruppo.
Tuttavia, come ben noto, l'intervento incisivo della copiosa Giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni ha nettamente fugato ogni dubbio, imponendo la necessità di preferire la tesi dell'esclusività dell'arbitrato societario in ragione del carattere di specialità e soprattutto di imperatività della nuova normativa.
Infatti le numerose sentenze della Cassazione degli ultimi anni hanno espressamente e ripetutamente stabilito che «il principio di diritto secondo il quale negli atti costitutivi delle società di capitali può essere inserita un'unica tipologia di clausola compromissoria, ovvero quella prevista dall'art. 34 del d.lgs. n. 5 del 2003, restando escluso il ricorso in via alternativa od aggiuntiva alla clausola compromissoria di diritto comune disciplinata dall'art. 808 c.p.c., determina la nullità di una clausola che non rispetti le prescrizioni della norma in punto di nomina degli arbitri»[15].
Il suddetto principio espresso costantemente dalla Cassazione, elevando notevolmente il grado di imperatività ed esclusività della disciplina delle clausole compromissorie, in punto di nomina degli arbitri, ha altresì avuto l'ulteriore effetto di incidere pesantemente sulla responsabilità disciplinare del notaio con riferimento agli atti costitutivi contenenti clausole affette dalla suddetta radicale invalidità.
Pertanto, dopo aver ribadito la natura esclusiva dell'arbitrato societario, la Suprema Corte, con la sentenza n. 15892 del 20 luglio 2011, ha espressamente stabilito che: «Ai fini della responsabilità disciplinare del notaio, che abbia rogato un atto costitutivo contenente una clausola affetta da tale radicale invalidità, secondo il nuovo regime normativo e, conseguentemente, abbia integrato sotto il profilo oggettivo, la fattispecie di cui all'art. 28 legge notarile, l'illecito disciplinare può ritenersi perfezionato solo quando la sanzione della nullità sia univocamente riconosciuta e non possa darsi luogo a dubbi interpretativi. Ne consegue che in virtù della nomofilachia della Corte di Cassazione, quando la presente pronuncia diverrà nota al pubblico, eventuali atti costitutivi rogati da notai con previsione di clausole compromissorie difformi alla previsione dell'art.34 diverranno sanzionabili sotto il profilo disciplinare».
Non solo. La Cassazione ha altresì ribadito e confermato la responsabilità disciplinare del notaio per l'inserimento di una clausola compromissoria che deferisca le controversie ad arbitri nominati dalle parti, «a nulla rilevando che l'ordinamento preveda la sostituzione automatica di tale clausola ai sensi dell'art. 1419 c.c., trattandosi di rimedio predisposto dal legislatore al solo fine di conservare l'atto a fini privatistici, né che la nullità riguardi non l'intero atto, ma una singola clausola, trattandosi comunque di nullità parziale assoluta»[16].
Al notaio dunque incombe l'obbligo di prestare massima attenzione nel ricevimento di atti introduttivi di clausole compromissorie[17].
Attenzione che è stata manifestata anche con riferimento alle clausole compromissorie presenti negli statuti delle società ante riforma che prevedevano la nomina degli arbitri con modalità difformi alla vigente disciplina, secondo il modello delle clausole binarie.
Con riferimento alle suddette clausole, a seguito dell'intervento risolutorio appena citato della Cassazione, si dovrebbe infatti ritenere che si sia verificata un'ipotesi di “nullità sopravvenuta” a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2003 avvenuta il 1° gennaio 2004, con la conseguente totale inefficacia delle suddette clausole[18].
Tuttavia, nel tentativo di salvaguardare l'efficacia delle preesistenti clausole compromissorie, da più parti si è ipotizzata la possibilità che dette clausole, nella parte in cui prevedevano il conferimento del potere di nomina alla parte interessata e non ad un terzo estraneo, fossero sostituite, secondo il meccanismo di conversione previsto dall'art.1419, comma 2, c.c., con la disposizione contenuta nell'attuale art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5 del 2003, che supplisce al caso in cui il terzo designato non provveda alla nomina degli arbitri, prevedendo che la nomina sia chiesta al Presidente del Tribunale del luogo in cui ha sede la società, o con quella prevista nell'art. 809 c.p.c., in tema di arbitrato di diritto comune, che demanda la nomina sempre al Presidente del Tribunale per il caso in cui la convenzione di arbitrato nulla abbia previsto[19].
Ipotesi questa che tuttavia non ha ricevuto l'avallo della giurisprudenza che ha ribadito in più di un'occasione l'assenza, nella nuova disciplina in tema di arbitrato societario, della norma imperativa richiesta all'interno del meccanismo di conversione della nullità di clausole di cui al citato art. 1419 c.c.[20]
E credo che questo orientamento non possa che essere condiviso, poiché consentire la conversione ope legis delle vecchie clausole binarie dal vecchio al nuovo modello di nomina degli arbitri, senza alcun benestare dell'organo assembleare, potrebbe risultare assai pericoloso, avendo la nuova clausola arbitrale come contrappeso una limitazione dell'autonomia del singolo rispetto a un diritto costituzionalmente garantito e implicando soprattutto l'adozione di un sistema vincolante di decisione delle controversie.
Il che spiega anche agevolmente la previsione del diritto di recesso e del rafforzamento dei quorum per l'assunzione della delibera di introduzione delle clausole compromissorie.
Da tali considerazioni, dunque, emerge un altro importante concetto che deriva dalla disciplina in esame: quello della vincolatività e imperatività delle clausole compromissorie che, accompagnata dalla previsione di un rigido sistema di pubblicità dell'intero procedimento arbitrale nel Registro delle imprese, viene espressa e rimarcata più volte nel testo della disciplina di cui agli artt. 34-35 (con riferimento non solo alla società, ma anche ai soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia, ma anche per gli amministratori, liquidatori e sindaci), quasi a testimonianza della consapevolezza da parte del legislatore di aver dovuto "forzatamente" assoggettare a mo' di clausola statutaria una regola contrattuale che, seppur ispirata a principi di terzietà, neutralità e giustizia sociale, probabilmente, incidendo su diritti e libertà fondamentali dell'individuo, avrebbe dovuto richiedere in linea di principio l'approvazione unanime di tutti i soggetti coinvolti.
Ma tutto questo dimostra ancora una volta l'esistenza di una forte dialettica all'interno della disciplina dell'arbitrato: da un lato, il favor che l'ordinamento ha voluto attribuire all'arbitrato societario, come sistema di giustizia privata delle controversie societarie vincolante per tutti gli organi della società, ma che al contempo garantisse attraverso taluni opportuni correttivi le singole posizioni individuali dei soggetti coinvolti, evitando i rischi di incostituzionalità di un arbitrato obbligatorio imposto dalla legge; dall'altro un'eccessiva e limitante imperatività della disciplina così come prevista dal legislatore, che ne riduce fortemente la flessibilità, frustrando di fatto i virtuosismi che ne erano alla base.
Natura delle controversie compromettibili in arbitri
Veniamo infine all'analisi di quella che è ad oggi la principale problematica in tema di arbitrato societario che riguarda la natura dei diritti e le materie delle controversie che possono essere compromesse in arbitri.
Conviene anche qui richiamare il testo dell'art. 12 della legge delega che attribuiva al governo la possibilità che gli statuti delle società commerciali contenessero clausole compromissorie «anche in deroga agli artt. 806 e 808 c.p.c.».
Il citato art. 12 si preoccupava altresì di precisare che «nel caso in cui la controversia concerna questioni che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto, restando escluso il giudizio di equità ed il lodo sarà impugnabile anche per violazione di legge».
Il legislatore delegato, tuttavia, non pare abbia pienamente recepito l'assist fornito dalla legge delega, in quanto permane nel testo dell'art. 34 il generale limite costituito dalla compromettibilità in arbitri delle controversie che hanno ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale insorgenti tra i soci, ovvero tra i soci e la società.
Quindi possiamo dire che restano fuori dall'ambito applicativo dell'arbitrato societario le controversie che hanno ad oggetto diritti indisponibili e, per espressa indicazione legislativa, quelle per le quali la legge prevede l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero.
Per la verità, non sembra tuttavia che il legislatore delegato non abbia affatto tenuto conto delle indicazioni della legge delega; infatti l'art. 36 prevede che «anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto con lodo impugnabile anche a norma dell'art. 829 c.p.c., secondo comma, quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l'oggetto del giudizio sia costituito dalla validità delle delibere assembleari»[21].
Dunque appare assolutamente interessante notare come il legislatore se, da un lato, ha preferito non derogare ai limiti di competenza arbitrale già contenuti nel testo dell'art. 806 c.p.c., dall'altro, ha comunque ampliato il potere degli arbitri attribuendo la possibilità di conoscere incidenter tantum su questioni astrattamente non compromettibili.
Disposizione, quest'ultima, che è stata successivamente recepita e resa applicabile anche al nuovo testo dell'arbitrato di diritto comune, come riformato dal d.lgs. n. 40 del 2006, e in particolare all'art. 829 c.p.c.
All'interno di siffatto quadro normativo si è aperto un ampio e vivace dibattito in dottrina che verte in ordine alla difficoltà di individuare un criterio oggettivo e condiviso, capace di determinare compiutamente l'oggetto delle materie e dei diritti compromettibili, sempre all'interno del rapporto sociale.
Per la verità, l'orientamento giurisprudenziale tradizionale, anche prima della riforma, individuava, quale criterio distintivo per la determinazione della compromettibilità della lite, quello della natura degli interessi, considerando arbitrabili quelli che facevano capo a posizioni individuali dei soci ed escludendo quelli che facevano capo alla società ovvero quelli che riguardavano posizioni collettive dei soci e di terzi.
A tale criterio, veniva spesso affiancato quello dell'inderogabilità o derogabilità delle norme, la cui violazione è oggetto della controversia e, con riferimento alle impugnative delle delibere assembleari, quello del tipo di invalidità, distinguendosi così tra controversie non arbitrabili, per le nullità della delibera e controversie arbitrabili, per le ipotesi di annullabilità.
Criteri questi che secondo gran parte della dottrina non avrebbero potuto calarsi agevolmente nella realtà associativa tipica delle società[22].
All'interno di tale quadro interpretativo, infatti, le maggiori difficoltà si riscontrano in relazione alla arbitrabilità delle controversie riguardanti la validità delle delibere assembleari ed in particolare delle delibere di approvazione del bilancio, dove sia in dottrina sia in giurisprudenza, non vi è affatto uniformità di vedute.
Senza entrare troppo nel vivo di tale ampio dibattito ermeneutico, appare opportuno soltanto segnalare la circostanza che, probabilmente, il concetto di disponibilità dei diritti, ripreso dalla disciplina dell'arbitrato di diritto comune, che a sua volta deriva dalle norme in tema di transazione, e richiamato anche in tema di mediazione, sembrerebbe essere maggiormente e tipicamente ispirato a fattispecie di natura strettamente contrattuale e sinallagmatica, che ineriscono alle posizioni soggettive individuali delle parti.
All'interno della realtà associativa e organizzativa tipica delle società, modellata da un sistema di regole di natura strettamente procedimentale, finalizzate alla realizzazione di interessi superindividuali e sociali, il principio della disponibilità dei diritti andrebbe concepito sotto una diversa prospettiva.
E dunque, la natura dei diritti disponibili di cui all'art. 34 potrebbe acquisire un nuovo significato, ben lontano dal piano dell'agire individuale, ma più orientato verso il distinto piano dell'agire corporativo (e ciò soprattutto ai fini della compromettibilità delle controversie in tema di validità delle delibere assembleari)[23].
Se tale criterio fosse condiviso, e si auspica che l'intervento della giurisprudenza nei prossimi anni possa incidere nella stessa misura con cui ha definito le dispute in ordine all'esclusività delle nuove clausole compromissorie, si realizzerebbero le principali finalità della disciplina dell'arbitrato societario di estendere il più possibile il novero delle materie suscettibili di devoluzione ad arbitri, con l'aspettativa che tale strumento di risoluzione dei conflitti endosocietari possa avere diretta incidenza sull'efficienza del governo dell'impresa.
Proprio come accade anche in altri ordinamenti, i quali hanno affrontato la questione della delimitazione delle controversie arbitrabili, adottando soluzioni di massima apertura: in Spagna, ad esempio, l'art. 11-bis della legge sull'arbitrato prevede la possibilità di compromettere in arbitri qualunque tipo di controversia societaria, eliminando il riferimento al concetto di disponibilità dei diritti oggetto della controversia; anche in Germania, si è preferito utilizzare il criterio della patrimonialità del diritto conteso, escludendo quello della disponibilità.
E credo che questa apertura vada intrapresa anche nel nostro ordinamento, rendendo l'arbitrato societario più consono e appetibile alla materia dei rapporti commerciali, dove vige la regola dell'autonomia privata, eliminando dunque tutti quei vincoli e i limiti che non appaiono giustificati, evitando così quella che ad oggi è una grande preoccupazione per le nostre imprese, ovvero la fuga dalla giustizia domestica verso l'estero.
L'art. 37 e il c.d. arbitrato economico
Da segnalare infine la presenza all'interno della disciplina dell'arbitrato societario di una norma, contenuta nell'art. 37, che regola il c.d. arbitrato economico e gestionale, che tuttavia ha ricevuto scarsa considerazione e nella trattazione scientifica e nella pratica.
L'art. 37, espressamente limitato soltanto alle società di persone e alle società a responsabilità limitata, in virtù della forte ingerenza dei soci nella gestione della società, e nella commistione di competenze, dispone che «gli atti costitutivi possano contenere clausole con le quali si deferiscono ad uno o più terzi i contrasti tra coloro che hanno il potere di amministrazione in ordine alle decisioni da adottare nella gestione della società, e che il soggetto o il collegio chiamato a dirimere i contrasti possa dare indicazioni vincolanti anche sulle questioni collegate con quelle espressamente deferitegli».
La ratio di tale previsione va colta nel particolare modello di amministrazione disciplinato dagli artt. 2257-2258, per le società di persone, applicabile anche alle società a responsabilità limitata, a seguito della Riforma del 2003 che, distanziandosi dal modello di amministrazione collegiale, comporta il potenziale rischio della formazione di compagini societarie paritarie che determinino situazioni di stallo gestionale (o dead lock) con conseguente impossibilità di conseguire l'oggetto sociale[24].
Istituto che si colloca in una posizione intermedia tra arbitrato e arbitraggio e che potrebbe rivestire un ruolo importante nel novero degli strumenti deflattivi del contenzioso, soprattutto all'interno del nostro sistema economico, ove vi sono ancora numerosissime società personali, nelle quali i contrasti gestionali sono ben difficilmente risolvibili col principio maggioritario, al pari delle Srl di piccole dimensioni[25], e che potrebbe ricevere i connotati di una sorta di Amministrazione in forma arbitrale e domestica.
Con riferimento a tale istituto, nel panorama internazionale, la prassi ha già da tempo messo in atto diversi strumenti che sono in grado di fronteggiare questo tipo di "stato di crisi gestionale": è il caso del più noto "casting vote", oppure dello "swing man", che attribuisce un voto prevalente ad un amministratore indipendente, o ancora della "cooling off rule" che consente agli stessi amministratori di osservare un periodo di riflessione con la speranza che la notte porti consiglio e si arrivi ad un confronto più sereno e pacato.
In conclusione, si auspica che i nuovi e futuri interventi legislativi o interpretativi possano tener conto degli sforzi fin qui mostrati dalla dottrina e dalla giurisprudenza e che quindi, nell'ottica di una maggiore semplificazione dei procedimenti arbitrali, possano mirare davvero a rendere l'arbitrato societario maggiormente perfettibile e funzionale alle esigenze sociali ai fini di una migliore efficienza dell'attività di impresa.
[1] Art. 2, legge delega 3 ottobre 2001, n. 366: «1. La riforma del sistema delle società di capitali di cui ai capi V, VI, VII, VIII e IX del titolo V del libro V del codice civile e alla normativa connessa, è ispirata ai seguenti princìpi generali:
a) perseguire l’obiettivo prioritario di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali; b) valorizzare il carattere imprenditoriale delle società e definire con chiarezza e precisione i compiti e le responsabilità degli organi sociali; c) semplificare la disciplina delle società, tenendo conto delle esigenze delle imprese e del mercato concorrenziale; d) ampliare gli ambiti dell’autonomia statutaria, tenendo conto delle esigenze di tutela dei diversi interessi coinvolti; e) adeguare la disciplina dei modelli societari alle esigenze delle imprese, anche in considerazione della composizione sociale e delle modalità di finanziamento, escludendo comunque l’introduzione di vincoli automatici in ordine all’adozione di uno specifico modello societario; f) nel rispetto dei princìpi di libertà di iniziativa economica e di libera scelta delle forme organizzative dell’impresa, prevedere due modelli societari riferiti l’uno alla società a responsabilità limitata e l’altro alla società per azioni, ivi compresa la variante della società in accomandita per azioni, alla quale saranno applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di società per azioni; g) disciplinare forme partecipative di società in differenti tipi associativi, tenendo conto delle esigenze di tutela dei soci, dei creditori sociali e dei terzi; h) disciplinare i gruppi di società secondo princìpi di trasparenza e di contemperamento degli interessi coinvolti».
[2] Art. 12, legge delega 3 ottobre 2001, n. 366: «1. Il Governo è inoltre delegato ad emanare norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione di procedimenti nelle seguenti materie: a) diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali; b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58, e successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 2. Per il perseguimento delle finalità e nelle materie di cui al comma 1, il Governo è delegato a dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali;b) l’attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la mera facoltatività della successiva instaurazione della causa di merito dopo l’emanazione di un provvedimento emesso all’esito di un procedimento sommario cautelare in relazione alle controversie nelle materie di cui al comma 1, con la conseguente definitività degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorché gli stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalità diverse; d) un giudizio sommario non cautelare, improntato a particolare celerità ma con il rispetto del principio del contraddittorio, che conduca alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato; e) la possibilità per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell’atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite; f) uno o più procedimenti camerali, anche mediante la modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile ed in estensione delle ipotesi attualmente previste che, senza compromettere la rapidità di tali procedimenti, assicurino il rispetto dei princìpi del giusto processo; g) forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata dei diversi tipi di procedimento di cui alle lettere precedenti trattati dai tribunali, dalle corti di appello e dalla Corte di cassazione. 3. Il Governo può altresi prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1. Nel caso che la controversia concerna questioni che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto, restando escluso il giudizio di equità, ed il lodo sarà impugnabile anche per violazione di legge. 4. Il Governo è delegato a prevedere forme di conciliazione delle controversie civili in materia societaria anche dinanzi ad organismi istituiti da enti privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza e che siano iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia».
[3] Sulla disciplina in tema di Arbitrato societario in generale si veda: G. ARIETA - F. DE SANTIS, Diritto processuale societario, Padova, 2004; F. AULETTA, sub artt. 34-37, in La riforma delle società. Il processo, SASSANI (a cura di), Torino, 2003; ID., La nullità della clausola compromissoria a norma dell'art. 34 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5: a proposito di recenti (dis-) orientamenti del Notariato, in Riv. arb., 2004; P. BIAVATI, Il procedimento nell’arbitrato societario, in Riv. arb., 2003; M. BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, in Giur. comm., 2003; F. CORSINI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur.it., 2003; G. COSTANTINO e G. CABRAS, Il Processo commerciale e l'arbitrato societario, in AA.VV., Commentario romano al nuovo diritto delle società, Padova, 2009; F. DANOVI, L’arbitrato nella riforma del diritto processuale societario, www.judicium.it; E. FAZZALARI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Riv. arb., 2002; A. FUSARO, Sui confini della responsabilità disciplinare notarile: a proposito della clausola compromissoria statutaria e delle nullità relative, Studio CNN n. 248/C, Approvato dalla Commissione studi civilistici il 1° dicembre 2011; ID., La clausola compromissoria negli statuti societari. L'elaborazione giurisprudenziale, in Riv. dir. priv., 2013; F. LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, in www.judicium.it; ID., L’arbitrato amministrato nelle controversie con pluralità di parti, in Riv. arb., 2001; ID., sub artt. 34-37, in F. LUISO (a cura di), Il nuovo processo societario, Torino, 2006; L.M.C. MORELLINI, Le parti e l’oggetto dell’arbitrato societario: spunti per una riflessione, in Società, 2005; I. PAGNI, Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune in materia societaria dopo l'intervento della Cassazione n. 24867/2010, in Società, 2011; E.F. RICCI, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ, 2003; V. SALAFIA, Alcune questioni di interpretazione del nuovo arbitrato societario, in Società, 2004; ID., L'arbitrato societario: contrasti interpretativi, in Società, 2011; F. SANTAGADA, Arbitrato e conciliazione, in E. D’ALESSANDRO - M. GIORGETTI - F. SANTAGADA - M.A. ZUMPANO, Il nuovo processo societario, Milano, 2006; N. SOLDATI, Le clausole compromissorie nelle società commerciali, Milano, 2005; ID., Arbitrato societario e nullità della clausola arbitraria binaria, in nota a Coll. arb. 29 aprile 2005, Riv. arb., 2006; A. ZOPPINI, I «diritti disponibili relativi al rapporto sociale» nel nuovo arbitrato societario, in www.judicium.it; E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003; ID., Modelli arbitrali e controversie societarie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006; ID., in P. BIAVATI - F. CARPI - E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Arbitrato societario, Bologna, 2004.
[4] S.A. CERRATO, Arbitrato societario: è tempo di una riforma, in Riv. arb., Anno XXV, 2015, 3, 613 ss.
[5]Si tratta della Riforma contenuta nel d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
[6] E.F. RICCI, Il nuovo arbitrato societario, cit., 523; L.M.C. MORELLINI, Le parti e l'oggetto dell'arbitrato societario: spunti di riflessione, cit., 79 ss.
[7] Cass. civ., 4 giugno 2010, n. 13664, in Giur. comm., 2011, 5, 1080.
[8] Il riferimento è all’art. 2500-ter c.c., in tema di trasformazione da società di persone in società di capitali, in cui si prevede che: «La trasformazione di società di persone in società di capitali è decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili; in ogni caso al socio che non ha concorso alla decisione spetta il diritto di recesso».
[9] F. LUISO, sub artt. 34-37, cit., 562; F. CORSINI, L'arbitrato, cit., 1291.
[10] A. RUOTOLO, Le clauole arbitrali e l'attività notarile, Studio CNN n. 5856/I, approvato dalla Commissione studi d'impresa il 15 luglio 2005, 8.
[11] Per la verità nel disegno di legge originario, il testo dell'art. 34 prescriveva la nullità delle clausole anche per il caso di mancata indicazione del numero e delle modalità di nomina degli arbitri.
[12] G. LIOTTI, La convenzione di arbitrato: compromesso, clausole arbitrali e risvolti sull'attività notarile, in Notariato, 2014, 417.
[13] V. SALAFIA, Il nuovo arbitrato societario e altre questioni, nota a Trib. Latina, 22 giugno 2004, in Società, 2005, 97 ss.; F. AULETTA, Dell'Arbitrato, in SASSANI (a cura di), la Riforma delle società. Il processo, Torino, 2004, 328 ss.; A. ZOPPINI - F. AULETTA, Doppia chance di arbitrato per le società, in Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2004, 19; P.L. NELA, in CHIARLONI (diretto da), Il nuovo processo societario, Bologna, 2004, 971.
[14] Si legge infatti nella Relazione ministreriale al d.lgs. n. 5 del 2003 che: «La formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta species arbitrale, che si sviluppa senza pretesa di sostituire il modello codicistico (naturalmente ultrattivo anche in materia societaria)».
[15] Su tutte: Cass., 28 ottobre 2015, n. 22008; Cass., 10 ottobre 2012, n. 17287; Cass., 20 luglio 2011, n. 15892; Cass., 9 dicembre 2010, n. 24867.
[16] Cass., 13 ottobre 2011, n. 21202.
[17] Per una disamina delle decisioni delle Commissioni regionali disciplinari si veda: Co.Re.Di. Lazio, 16 ottobre 2008; Co.Re.Di. Sicilia, 21 ottobre 2008; Co.Re.Di. Calabria, 22 ottobre 2008; Co.Re.Di. Campania, 23 gennaio 2009; Co.Re.Di. Calabria, 26 maggio 2010.
[18] Sul concetto di nullità sopravvenuta si veda Trib. Udine, 4 novembre 2004, in Società, 2005, 6, secondo cui: «non incorrono in una nullità sopravvenuta le clausole compromissorie statutarie contenute negli atti costitutivi e negli statuti societari adottati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2003. La nullità rimane, infatti, un vizio genetico dell’accordo delle parti, dipendente dalla situazione di fatto e di diritto esistente nel momento della conclusione del contratto e non è comprensibile perché una sopravvenuta previsione di nullità dovrebbe travolgere degli accordi negoziali già perfezionatisi e che hanno validamente prodotto i loro effetti obbligatori (nel caso delle clausole compromissorie quello di obbligare le parti a sottomettere le controversie future al giudizio degli arbitri, sia pure condizionatamente al concreto insorgere di una controversia)».
[19] F. LUISO, sub artt. 34-37, cit., 717; F. CORSINI, L’arbitrato, cit., 1294; E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, cit., 929 ss.
[20] Trib. Latina, 22 giugno 2004, in Società, 2005, 93 ss.; Trib. Milano, 25 giugno 2005, in Giur. it, 2006, 1639; Trib. Catania, 26 novembre 2004, in Giur. comm., 2006, 3, 500.
[21] Si legge nella Relazione ministeriale al d.lgs. n. 5 del 2003 che: «Circa le controversie arbitrabili - da estendere per volontà del delegante anche a questioni "che non possono formare oggetto di transazione" - la norma apprestata muove dalla considerazione che l'oggetto principale della controversia debba essere disponibile e che la clausola possa invece prevedere il potere degli arbitri di conoscere incidenter tantum di questioni non compromettibili, perciò in deroga al vigente art. 819, comma 1, c.p.c., ma in armonia con scelte altrove compiute in sede di revisione organica della disciplina del codice processuale ... Il testo si occupa anche dell'arbitrato "in deroga agli articoli 806 e 808 c.p.c.", come autorizza a fare il delegante; in particolare, vi si trova l'affermazione dell'inalienabilità del potere cautelare del Tribunale qualunque sia la previsione arbitrale (anche irrituale, dunque) che si intendesse opporre per sostenere l'inammissibilità del ricorso d'urgenza (in linea, peraltro, con recentissimi orientamenti della Corte costituzionale [ordinanza n. 340 del 2002] e più risalenti indirizzi dottrinali)».
[22] M. BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, cit., 473 ss.; I. PAGNI, Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune, cit., 462; V. SALAFIA, L'arbitrato societario: contrasti interpretativi, cit., 465.
[23] A. ZOPPINI, I «diritti disponibili relativi al rapporto sociale», cit., 1179.
[24] F. SANTAGADA, Arbitrato e conciliazione, cit., 293; F. CORSINI, sub art. 37, cit., 1017.
[25] A. RUOTOLO, La risoluzione dei contrasti nalla gestione della società, Studio CNN n. 5734/I, Approvato dalla Commissione studi d'impresa il 15 luglio 2005.