I legati oggettivamente complessi
Ordinario di Diritto privato, Università della Valle d’Aosta
Il legato alternativo, che deroga al principio di “unipersonalità” del testamento[[1]], rientra nel territorio delle obbligazioni alternative; anzi, si può dire che dal punto di vista dell’esperienza storica esso abbia costituito una sorta di archetipo di tale fattispecie[[2]].
Prima di entrare in medias res si tenga a mente che la linea di confine tra istituzioni a titolo di erede e a titolo di legato è tracciata nell’art. 588 c.c. Quando oggetto della disposizione testamentaria sia una cosa specifica l’acquisto che ne consegue è a titolo particolare e non già universale, fermo restando che l’assegnazione di oggetti specificamente individuati integra gli estremi della vocazione universale ove la partizione in natura sia illustrativa dell’intento di realizzare il riparto per quote. In buona sostanza, al fine di stabilire il titolo universale o particolare dell’attribuzione occorre anzitutto valutare se la disposizione sia stata fatta dal testatore riguardo all’universum ius (in tal caso si ravvisa una finalità divisionale), oppure avendo soltanto di mira l’oggetto in sé considerato, senza relazione alcuna con l’intero patrimonio del disponente. La volontà del testatore di assegnare un beneficio patrimoniale all’onorato deve però essere chiara; di conseguenza, semplici auspici o raccomandazioni indirizzate all’erede perché attui la liberalità al terzo non bastano ad integrare gli estremi del legato giuridicamente vincolante[[3]].
L’attribuzione mortis causa a titolo universale presuppone – di massima – l’adesione del chiamato, che si esprime nell’atto di accettazione, cui occorre riconoscere la natura di elemento costitutivo della fattispecie acquisitiva. Il diverso regime di responsabilità che disgiunge lo statuto dell’erede da quello del successore a titolo di legato (si rammenti che l’onorato non risponde dei debiti, e l’eventuale onere di estinguerli non lo esporrà alla responsabilità illimitata ma sempre intra vires ex art. 671 c.c.) costituisce il fondamento logico dell’art. 649, comma 1, c.c., dal quale apprendiamo che l’oggetto della disposizione a titolo particolare si acquista senza bisogno di accettazione, fatta tuttavia salva la facoltà di rinunziare (altro discorso deve invero farsi con riguardo al legato in sostituzione di legittima ex art. 551 c.c.)[[4]]. È appena il caso di rammentare che l’evocata facoltà risponde al principio secondo cui nessuno può essere costretto a conseguire utilità patrimoniali contro la propria determinazione volitiva.
L’immediatezza (o l’automaticità) dell’acquisto presuppone che il diritto oggetto del lascito si trovi nell’asse. In caso contrario nasce in capo all’onerato l’obbligo di far conseguire al beneficiario l’attribuzione patrimoniale in conformità al programma definito nel testamento.
Non sempre il legato dà luogo a una successione nel diritto già appartenente al testatore. Quando il legato stesso involga la costituzione di un diritto nuovo (si pensi al legato di usufrutto o di altro diritto reale minore – nei limiti ammessi dall’ordinamento – su cosa del testatore, oppure importi un’obbligazione traslativa, come nell’eventualità di legato di res altrui o dell’onerato, oppure una prestazione di fare), o sottintenda una vicenda estintiva (liberazione dal debito del legatario-debitore), non è ravvisabile il trasferimento dell’identico diritto dal de cuius al beneficiario[[5]]; è però fuori discussione che il vantaggio patrimoniale innervato dalla disposizione a titolo particolare trovi la propria causa di giustificazione nell’atto di ultima volontà[[6]]. In situazioni del genere il testamento diventa giusta causa dell’acquisto di un diritto (nuovo) costituitosi per effetto della vicenda successoria a titolo particolare.
Secondo un’opinione ampiamente consolidata in dottrina, l’acquisto a titolo di legato astrae dalla scienza del beneficiario, essendo perfezionabile a dispetto del suo stato d’ignoranza circa l’esistenza o il contenuto del testamento che lo favorisce[[7]]. Questa tesi pare armonizzabile con l’istituto della rinunzia: una volta avvedutosi del beneficio (già acquisito), l’onorato che non intende conservarlo è libero di rinunziarvi[[8]].
Veniamo ora al legato alternativo. L’art. 665 c.c. si limita a dettare uno statuto sulla scelta, senza tuttavia offrire alcuna definizione della fattispecie negoziale. Essa si può ricavare dall’art. 1286, comma 1, c.c.: è dunque ravvisabile questa tipologia di legato quando la disposizione a titolo particolare abbia per oggetto due o più cose o prestazioni determinate, che concorrono tra loro in modo disgiuntivo, di guisa che l’esecuzione di una di esse, dopo la concentrazione conseguente all’esercizio del ius eligendi, produrrà l’effetto di liberare l’onerato.
L’autonomia dei privati consente al testatore di modulare ad libitum svariate combinazioni, come ad esempio è dato costatare ove egli deduca nel legato un’obbligazione pecuniaria in alternativa a un’obbligazione di concedere un alloggio in godimento: si pensi al caso – tratto dalla casistica – in cui al legatario sia riconosciuta la libertà di optare fra una somma di denaro e il diritto di continuare ad abitare l’immobile di proprietà esclusiva dell’ereditando[[9]].
Per altro verso, non si può escludere che il testatore deduca nella disposizione a titolo particolare cose generiche anziché specifiche (ad esempio, lego a Mevio uno dei dipinti appartenenti alla mia collezione, che dovrà essere scelto dall’onerato). Da questo punto di vista l’interprete è costretto a sceverare in apicibus il legato alternativo da quello generico (art. 664 c.c.). Il discrimine corre lungo la linea che segue: mentre nel legato alternativo le cose individuate – che concorrono su un piano di parità – rilevano per le loro specifiche e uniche caratteristiche fisiche, strutturali o qualitative, nel legato generico, invece, l’elemento prevalente è rappresentato dall’appartenenza del bene (suscettibile di futura specificazione) alla classe merceologica indicata dal testatore, di modo che i molteplici oggetti appartenenti al genus (limitatum) di riferimento finiscono con l’essere uniti dalla loro idoneità a soddisfare la medesima funzionalità economica[[10]]. Sicché, il rilievo assunto nel legato alternativo (di cose specifiche) dai caratteri distintivi di ogni res liberamente selezionabile (da chi è a ciò legittimato) tramite l’electio consente di dedurre nella disposizione a titolo particolare anche cose appartenenti a generi diversi (ad esempio, lego a Mevio la mia scrivania del Settecento veneziano o, in alternativa, la mia collezione di francobolli), mentre nel legato generico la scelta dovrà essere compiuta fra cose appartenenti allo stesso genere limitato[[11]]; la disposizione sarebbe invece nulla se il testatore si fosse limitato a indicare il genere illimitato (ad esempio, lego un immobile, un mobile, ecc.) in quanto mancherebbero i presupposti minimali per la determinabilità dell’oggetto entro confini che non varchino la discrezionalità assoluta.
È agevole comprendere che in caso di legato generico la discrezionalità goduta dal titolare del ius eligendi nell’esercizio dell’individuazione sia più ampia rispetto a quella che spetta al titolare del medesimo diritto in ipotesi di legato alternativo, giacché viene a mancare il concorso tra due o più res oggettivamente infungibili ma considerate dal disponente come equivalenti. Nella realtà pratica vi possono essere casi dubbi, come ad esempio quello in cui Tizio leghi a Caio uno dei suoi dipinti dell’artista Afro Basaldella, quando nella sua collezione ve ne siano, poniamo, soltanto due: la pur evidente circoscrizione del genere – che dipende non solo dall’individuazione dell’artista, ma anche dal rilievo che nel caso ora proposto il testatore ha fatto riferimento al suo patrimonio, quantunque ben avrebbe potuto legare una cosa generica estranea ad esso (come appunto stabilisce l’art. 653 c.c.)[[12]] – non dovrebbe impedire di scorgere i tratti distintivi del legato alternativo, posto che il programma successorio a titolo particolare sembra presupporre il concorso disgiuntivo tra beni unici e definiti. Altro discorso deve invece farsi se nella collezione del testatore vi siano svariati dipinti del medesimo pittore, tra cui acquarelli, olii su tela di piccole e grandi dimensioni, opere di primo periodo e di periodo tardo e così via. La palese diversità tipologica e di valore, che corre tra gli esemplari rientranti in ognuna delle predette sottoclassi, suggerisce di ritenere che il testatore intese dedurre nel legato oggetti (quantunque oggettivamente infungibili) da valutarsi non tanto alla luce della loro individualità, bensì per la provenienza dalla mano del loro autore.
Nondimeno, se il concorso alternativo è fra un oggetto specifico[[13]] e un altro appartenente a un genere limitato (ad esempio, lego a Tizio i mie due olii orientalisti anonimi di scuola francese o, in alternativa, uno dei miei bronzi di arte contemporanea) dovrà applicarsi la regola di cui all’art. 665 c.c. per quel che concerne la scelta fra il legato specifico e quello generico, nonché – là dove la scelta andasse a cadere su quest’ultimo – la regola racchiusa nell’art. 664 c.c. per l’estrapolazione delle specie dal genere[[14]]. Resta una differenza rilevante: mentre, con riguardo alla scelta fra cose appartenenti al genere limitato, vale il criterio individuatore (che funge da limite alla discrezionalità della parte legittimata alla specificazione) ancorato alla qualità media (art. 661, commi 1 e 2, c.c.), in caso di legato alternativo, al contrario, la scelta affidata all’onerato o al legatario è insindacabile, giacché i singoli beni in esso dedotti concorrono su un piano di assoluta parità. Di conseguenza, se l’onerato scegliesse, tra quelle concorrenti, la res meno quotata, oppure – nel caso inverso – se il legatario, cui il testatore abbia assegnato il ius eligendi, preferisse la più costosa, nulla quaestio, trattandosi di esercizio di potestà insuscettibile di sindacato per opera dell’autorità giudiziaria e del tutto svincolato dal criterio della media qualità[[15]].
Nel territorio dei negozi di ultima volontà è pure dato configurare il legato con facoltà alternativa[[16]]. Ad esempio: attribuisco a Tizio il mio «Cartier», ferma restando la potestà dell’onerato (o dell’onorato) di dare (o esigere) il (similmente mio) dipinto di «Maggi» esposto alla Promotrice nel 1930 e contraddistinto dal n. 414. In tale situazione l’oggetto è unico (il «Cartier»), mentre il bene subordinato (il dipinto) è dedotto, rispettivamente, in solutione o in petitione. Quest’ultimo bene entrerà pertanto nel rapporto negoziale soltanto quando l’avente titolo abbia esercitato il ius variandi che gli compete. Di conseguenza, se perisce la cosa dovuta, trattandosi di legato con facoltà alternativa, bisognerà applicare la regola dettata dall’art. 673 c.c.: sicché, la disposizione è nulla se il bene venga meno prima dell’apertura della successione; se perisce dopo per cause estranee alla responsabilità dell’onerato, l’obbligazione si estingue (se, al contrario, il perimento è a lui imputabile, il medesimo risponderà dei correlati danni patrimoniali).
Entreranno invece in gioco gli artt. 1288 ss. c.c. allorché gli oggetti o le prestazioni dovessero concorrere in maniera non subordinata, trattandosi di legato alternativo[[17]].
Nell’ipotesi che il perimento fortuito sopravvenga alla concentrazione, si dovrà ravvisare l’estinzione dell’obbligazione gravante l’onerato quantunque l’altra prestazione sia tuttora possibile, giacché a séguito della concentrazione (e della conseguente semplificazione della fattispecie), l’oggetto scartato è stato definitivamente radiato dal rapporto obbligatorio mortis causa[[18]].
Quanto alla scelta, l’art. 665 c.c. – in modo speculare all’art. 1286, comma 1, c.c. – l’attribuisce all’onerato, salvo che il testatore l’abbia riservata al legatario o al terzo[[19]]. Nulla esclude che essa sia compiuta tramite un soggetto legittimato in forza di una procura ad hoc[[20]]. In sintonia con quanto disposto dall’art. 1285 c.c., il titolare del diritto di scelta non può costringere l’onerato o l’onorato, rispettivamente, a dare o ricevere parte dell’una e parte dell’altra delle prestazioni concorrenti[[21]].
Il terzo, fungendo da arbitratore, deve agire come vir probus, essendo quindi tenuto a contemperare gli interessi di ambedue le parti, al di fuori pertanto dell’arbitrio illimitato[[22]]. Se il terzo non vuole o non può adempiere l’incarico conferitogli – ad esempio, perché è premorto o incapace d’agire[[23]] –, la scelta è fatta a norma dell’art. 631, comma 3, c.c. (trova qui applicazione analogica l’art. 664, ult. comma, c.c.). A’ termini dell’art. 751 c.p.c., l’istanza per la scelta che precede deve essere proposta con ricorso, il quale va notificato a colui al quale spettava il ius elegendi nonché all’onerato. La scelta è fatta con decreto del presidente del tribunale.
Nel caso in cui l’onerato o il legatario legittimato alla scelta deceda prima di compierla, essa si trasmette al suo erede (art. 666, comma 1, c.c.)[[24]], a meno che la disposizione a titolo particolare venga ad estinguersi per effetto della morte del legatario o dell’onerato, essendo il suo oggetto compenetrato alla loro individualità.
In ipotesi di pluralità di eredi il diritto di scelta si trasmette in modo indiviso; sussistendo il disaccordo vale – secondo l’opinione preferibile – il principio maggioritario[[25]]: la maggioranza dovrà essere computata per capi anziché in proporzione alle quote di ciascuno. Di fronte alla mera inerzia dei suddetti contitolari del ius eligendi – sempre che sussista il concorso tra più beni al momento dell’apertura della successione[[26]] – è possibile far fissare dall’autorità giudiziaria un termine, decorso inutilmente il quale la scelta è fatta dal presidente del tribunale ai sensi del già citato art. 631, ult. comma, c.c.[[27]]. Se l’onerato o il beneficiario è legalmente incapace, la scelta compete al suo rappresentante legale (eventualità senz’altro esclusa in caso d’incapacità del terzo, posto che l’ufficio di arbitratore è inseparabile dalla sua persona)[[28]].
Più complessa è l’ipotesi di omessa scelta da parte del legatario capace d’agire, là dove il testatore non abbia previsto dei meccanismi sostitutivi (come invece capita qualora sia stabilito nella scheda che se il legatario non sceglie entro un centro termine finale, il ius eligendi viene trasferito all’onerato o al terzo). Si tende, e pour cause, a escludere che siffatta omissione sia di per sé sufficiente a integrare gli estremi della rinuncia tacita al legato[[29]]; per ravvisare questa conseguenza occorrono altri elementi idonei a suffragare il proponimento abdicativo.
Nell’illustrata situazione il debitore dovrà fissare un termine congruo al legatario per l’esercizio del diritto di scelta (arg. ex art. 1287, comma 2, c.c.)[[30]], oltrepassato il quale la scelta è fatta dal presidente del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione analogamente a quanto previsto dall’art. 631, ult. comma, c.c.[[31]]. La dottrina prevalente – che merita condivisione – esclude infatti il passaggio del ius eligendi dal legatario decaduto all’onerato secondo il meccanismo tipico degli atti tra vivi, perché esso verrebbe a contrastare con la volontà del testatore di non attribuire il detto diritto all’obbligato[[32]].
Si ritiene che la disciplina sulla scelta da parte del presidente del tribunale possa essere applicata anche quando siano stati designati più legatari o onerati, i quali non riescano a trovare l’accordo unanime[[33]]; è tuttavia preferibile adottare in subiecta materia il (già evocato) principio maggioritario, di modo che il ricorso al giudice dovrebbe essere necessario solo là dove sia impossibile raggiungere (non già la totalità dei consensi bensì) una prevalenza numerica di voti[[34]].
Resta da osservare che ai sensi dell’art. 666, comma 2, c.c., la scelta è irretrattabile[[35]]. Secondo i princìpi di diritto comune in tema di negozi giuridici unilaterali, questo effetto presuppone che essa sia stata comunicata alla controparte, o ad ambedue le parti ove competa al terzo. In consonanza con quanto previsto dall’art. 1286, comma 2, c.c., se la scelta rientra nella sfera giuridica dell’onerato, l’esecuzione della prestazione rende irrevocabile la concentrazione[[36]].
In merito alla forma della scelta, non vi sono oneri particolari da rispettare (lo stesso discorso vale per la sua comunicazione)[[37]], salvo che il legato abbia natura immobiliare, perché in detta eventualità l’atto scritto è richiesto sotto pena di nullità[[38]], dovendo l’electio essere pure resa pubblica mediante il procedimento di trascrizione.
Secondo l’opinione più accreditata tanto il legato di genere[[39]] quanto quello alternativo[[40]] producono l’effetto reale soltanto grazie al perfezionamento dell’atto d’individuazione o selezione[[41]]. Vero è che tanto nell’un caso quanto nell’altro mancano i presupposti dell’unicità ed esclusività dell’oggetto onde assicurare l’efficacia diretta del legato, essendo dunque necessario il compimento di un autonomo atto giuridico (specificazione o scelta) – funzionalmente collegato al negozio fonte dell’attribuzione – affinché la cosa possa essere finalmente attratta nella sfera giuridica dell’onorato. Come non è possibile che il testatore trasformi in obbligatorio un legato dotato di naturale efficacia diretta o reale (si vuole alludere al legato di cosa specifica ed esistente nell’asse con riguardo alla quale il testatore manifesti il proposito che sia l’onerato a trasferirla all’onorato tramite atto pubblico)[[42]], così è quantomeno difficile ipotizzare, spostando l’attenzione sul legato alternativo di bene individuati e compresi nel relictum, che il testatore stesso voglia trasferirli immediatamente al legatario, condizionando risolutivamente l’acquisto degli oggetti ex post radiati dalla scelta[[43]].
In ogni caso, la trascrizione potrà esser eseguita all’esito della scelta individuatrice del bene coinvolto nel trasferimento a causa di morte. Occorrerà pertanto trascrivere sia l’estratto autentico del testamento richiesto dall’art. 2648, ult. comma, c.c., sia il negozio unilaterale che completa la vicenda traslativa, finendo (eccezionalmente) quest’ultimo con l’integrare ab externo il negozio di ultima volontà[[44]].
Parte della dottrina – soprattutto di vocazione notarile[[45]] – ragiona diversamente e afferma che: a) il legato alternativo immobiliare sia immediatamente trascrivibile; b) di conseguenza, il successivo atto di scelta da parte del soggetto legittimato a compierlo costituirà titolo per l’annotazione a margine dell’antecedente trascrizione. Orbene, a prescindere dal rilievo giusta il quale contro questa seconda deduzione osta, oltre al principio di tipicità degli atti suscettibili d’annotazione, la regola racchiusa nell’art. 2645 c.c., la tesi in parola finisce nel complesso con il sottovalutare che (anche nell’area delle successioni mortis causa a titolo particolare) l’effetto traslativo non retroagisce ma acquista efficacia giuridica dall’istante dell’avvenuta concentrazione. Come – e sul punto, si badi, v’è ampia concordia – nel legato di genere il passaggio di proprietà avviene ex nunc a séguito dell’atto d’individuazione della species oggetto dell’attribuzione testamentaria integrata da esso, così nel legato alternativo – ove, invece, si avvertono le maggiori tensioni ermeneutiche e applicative – il medesimo effetto trae origine dal testamento, che ne costituisce la causa giustificativa, nonché dall’electio, la quale – oltre a essere modus adquirendi – concorre (sebbene su un piano di subordinazione gerarchica in aderenza alla teoria nel collegamento negoziale genetico o necessario) con il sottostante negozio mortis causa a integrare gli elementi costitutivi del titulus adquirendi.
Occorre chiarire che i profilati acquisti ex nunc sono perfettamente compatibili con i princìpi del sistema successorio. Da quest’angolatura conviene prendere le mosse dal rilievo che il diritto oggetto di legato può essere sottoposto a una condizione sospensiva o risolutiva (similmente alla disposizione a titolo universale), oppure a un termine iniziale o finale (arg. ex art. 637 c.c., il quale applica la finzione di non apposizione soltanto all’istituzione di erede). In caso di condizione sospensiva il legatario di cosa presente nell’asse e specificamente individuata otterrà il pieno dominio, senza bisogno di accettazione, nell’istante in cui sopraggiunge l’evento futuro e incerto. Se il beneficiario muore pendente condicione, il diritto oggetto di legato si trasferirà ai suoi eredi (arg. ex art. 139 disp. att. c.c.)[[46]]. L’acquisto risalirà all’apertura della successione stante l’efficacia retroattiva della condizione (art. 646 c.c.). L’avveramento della condizione risolutiva importa l’estinzione ex tunc dell’acquisto a titolo particolare; gli atti dispositivi già perfezionati saranno pertanto posti nel nulla. A questo proposito serve ricordare che il legatario sub condicione non è tenuto a svolgere un’attività di mera amministrazione conservativa; può infatti godere e disporre liberamente del bene, salvo l’interevento degli interessati ai sensi dell’art. 639 c.c. Non si perda altresì di vista che la clausola condizionale, ove sia stata trascritta (art. 2660, comma 2, n. 6, c.c.), è opponibile alla generalità dei consociati che vantino posizioni soggettive conflittuali. Riguardo ai beni mobili non registrati i diritti dei terzi sono fatti salvi nei limiti fissati all’art. 1153 c.c. Il legislatore ha temperato l’effetto retroattivo appena tratteggiato stabilendo che l’erede o legatario, nell’eventualità di delazione sottoposta a condizione risolutiva, non sia tenuto a restituire i frutti se non dal giorno in cui la condizione si è verificata (art. 646 c.c.). Per chi ritiene che quest’ultima regola abbia natura dispositiva, diventa inevitabile riconoscere la facoltà del testatore di prevedere una disciplina diversa. In fatto di atti d’amministrazione legittimamente compiuti in pendenza della condizione, vale la norma di cui all’art. 1361 c.c.
Importa bene considerare che il termine, a differenza della condizione, non è dotato di forza retroattiva[[47]]. Questa fondamentale diversità applicativa consente d’afferrare per quale motivo è ammessa la vocazione a titolo universale sub condicione mentre non è riconosciuta l’analoga vocazione a termine. L’arcano si può così illustrare: il sopraggiungere o lo scadere del termine, a differenza di quanto accade in tema di condizione, non estingue gli effetti della chiamata precedente, la quale rimarrebbe un accadimento rilevante tanto sotto il profilo storico quanto sotto quello giuridico; ecco allora che affiora l’interrelazione fra erede a termine (iniziale o finale) e sostituzione fedecommissaria. Il medesimo nesso non è invece scorgibile con riguardo al legato, siccome in ipotesi di termine finale il consequenziale effetto estintivo importa che il diritto oggetto della disposizione a titolo particolare si consoliderà nella sfera patrimoniale dell’onerato. Manca quindi una doppia istituzione, che sarebbe ciò nonostante ravvisabile qualora il testatore disponesse che il lascito, decorso il termine finale, debba andare all’ulteriore (terzo) legatario. Nell’eventualità di termine iniziale, l’acquisto in capo all’onorato di cosa specifica e presente nell’asse è posticipato, non potendo risalire all’epoca dell’apertura della successione.
Dal canto suo l’erede-onerato è medio tempore titolare di una proprietà sulla cosa legata «funzionalizzata» all’effetto traslativo differito. Si tratta di una forma speciale di dominio (accostabile, sotto taluni punti di vista, a quella del mandatario all’acquisto o ad altre forme di proprietà fiduciaria)[[48]], nell’interesse alieno (ossia, del legatario). La trascrizione del termine rende opponibile erga omnes il vincolo di destinazione che precede[[49]].
Parte della letteratura riconosce che la scelta nel legato alternativo, non partecipando della natura di actus legitimus, possa essere sottoposta a condizione o a termine iniziale[[50]]. Il termine iniziale da un lato sottende in ogni caso l’avvenuta concentrazione dell’obbligazione sull’oggetto così selezionato (tale corollario si deve valutare alla stregua di un effetto ormai irretrattabile, stante appunto la definitività dell’electio)[[51]], dall’altro fa nascere una specie di proprietà temporanea in capo all’onerato (nell’eventualità in cui il bene selezionato appartenga al testatore al momento dell’apertura della successione), destinata a estinguersi quando sopravviene il dies a quo da cui consegue l’acquisto in capo al legatario. Il tratto distintivo della perpetuità qualificante il dominium non esclude, infatti, che possano essere previste dall’autonomia dei privati forme di proprietà con termine iniziale e finale. È, d’altronde, lo stesso legislatore a prevedere ipotesi di proprietà ad tempus: si pensi alla proprietà superficiaria (art. 953 c.c.), oppure alle vendita con patto di riscatto (artt. 1500 ss. c.c.). Né si può sostenere che verrebbe in tal modo contraddetto il principio di tipicità delle situazioni reali d’appartenenza, perché la dimensione cronologica, che caratterizza il trasferimento del diritto assoluto accompagnato dalla clausola temporale o da altra pattuizione (qual è il patto di riscatto) implicante il diritto potestativo di riacquistare il ius in re, non snatura il contenuto della proprietà, ma la limita soltanto sotto il profilo della sua (altrimenti tendenzialmente indefinita, fatte salve le conseguenze imputabili alla prescrizione acquisitiva) estensione cronologica[[52]].
Quanto alla condizione, alcuni interpreti sono dell’avviso che durante lo stato di pendenza della medesima la scelta – data la sua immanente provvisorietà – possa essere ritrattata, sebbene già comunicata[[53]]. Questa tesi non pare corretta: l’art. 666, comma 2, c.c., enuncia una regola speciale, che sancisce l’irretrattabilità della scelta a prescindere dai suoi eventuali accidentalia negotii, fatte ovviamente salve le vicende strettamente correlate all’evento futuro e incerto. Ciò significa che la scelta condizionata è di per sé irretrattabile, ancorché l’avveramento dell’evento condizionante possa cagionarne l’estinzione con effetto ex tunc; di lì il consequenziale risorgere del ius eligendi.
Si afferma inoltre che la scelta possa essere di nuovo esercitata, con riguardo alle cose tuttora disponibili (che ab origine concorrevano nel legato alternativo), non solo in ipotesi di evizione del bene selezionato per una causa antecedente all’effetto reale, ma anche quando esso sia ammorbato da vizi corporali occulti che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinato oppure si riveli di qualità inferiore alla media (salvo che tale ultima patologia fosse prima facie identificabile al momento in cui il legatario la ricevette senza nulla obiettare)[[54]]. Anche tale opinione non può essere condivisa: a ben guardare, l’electio è in queste situazioni sempre irreversibile; semmai, la tutela del legatario potrà essergli assicurata dalla disciplina, rispettivamente, sulla responsabilità evizionale (ove l’evento «depredativo» sia addossabile all’onerato) e sui vizi e difetti qualitativi negli stessi termini in cui dei medesimi è tenuto a rispondere il donante (art. 798 c.c.)[[55]].
Si tenga infine a mente che la dichiarazione di scelta, stante la sua natura di atto giuridico unilaterale e recettizio[[56]], può essere impugnata per errore-vizio, oltre che per dolo e violenza; una volta annullata con sentenza costitutiva, la vicenda individuatrice dell’oggetto potrà essere rinnovata dalla parte cui spetta il ius eligendi[[57]].
[1] M.C. TATARANO, Il testamento, in Tratt. Perlingieri, Napoli, 2003, 430. Il negozio d’ultima volontà, tenuto conto della sua natura di atto personale e soggetto a particolari oneri formali, acquista efficacia giuridica ove il regolamento d’interessi forgiato dal dichiarante sia esaustivamente espresso in piena aderenza al modello legale. Stiamo evidentemente trattando del principio di completezza della volizione testamentaria, secondo cui il documento deve incorporare la totalità delle determinazioni imputabili all’autore, destinate a produrre effetto dopo la sua morte secondo la finalità programmatica dell’atto impediente in tutto o in parte la disciplina sulla successione legittima (si veda A. TRABUCCHI, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, in AA.VV., Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, III, Padova, 1950, 697). Questo principio soffre alcune importanti eccezioni, oltre a quella già indicata nel testo: la mente corre agli artt. 631 (disposizioni rimesse all’arbitrio del terzo) e 664 c.c. (adempimento del legato di genere); cfr. A. PALAZZO, Le successioni, II, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1996, 672; M.C. TATARANO, Il testamento, cit., 421.
[2] Cfr. S. CHERTI, L’obbligazione alternativa. Nozione e realtà applicativa, 2a ed., Torino, 2008, 49, nt. 179.
[3] E. PEREGO, I legati, in Tratt. Rescigno, VI, 2a ed., Torino, 1997, 225.
[4] V., ad esempio, F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, 9a ed., Milano, 1962, 499.
[5] A. GIORDANO MONDELLO, voce Legato, in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, 722; E. PEREGO, I legati, cit., 223; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, cit., 482.
[6] M.C. TATARANO, Il testamento, cit., 375 ss.
[7] C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, II, Milano, 1948, 241.
[8] A. MASI, Dei legati, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, sub art. 649-673, Bologna-Roma, 1979, 5.
[9] Cass., 4 maggio 2012, n. 6772, in DeJure.
[10] Si veda G. CRISCUOLI, Le obbligazioni testamentarie, 2a ed., Milano, 1980, 113, il quale avverte che il suddetto criterio «ha un profilo soggettivo per quanto concerne la composizione del genus o la posizione in via alternativa dei beni di scelta, mentre ha un profilo oggettivo per quanto concerne l’accertamento che i beni indicati per la scelta abbiano, rispettivamente, una medesima o diverse funzionalità economiche» (ibidem).
[11] Si vedano G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, II, 2a ed., Milano, 2002, 662; A. PALAZZO, Le successioni, II, cit., 672 ss.
[12] Non sono scorgibili gli estremi del legato di genere quando l’atto d’individuazione risulti inessenziale: ciò accade là dove il testatore abbia legato a favore di Tizio tutte le cose appartenenti a un genere particolare (ad esempio: «Lego a Tizio tutti i dipinti del maestro Antonio Giuseppe Santagata appartenenti alla mia collezione»). In tale circostanza il legatario acquisterà immediatamente la proprietà del patrimonio così individuato dal testatore sulla base dell’appartenenza delle cose a una tipologia merceologica (cfr. G. BONILINI, I legati, Artt. 649-673, in Comm. Schlesinger, Milano, 2001, 236).
[13] La specificità ricorre anche quando oggetto della disposizione sia la somma di denaro che sarà ottenuta dalla vendita di certi beni ereditari nonché il saldo attivo che risulta, all’epoca dell’apertura della successione, dall’estratto conto bancario intestato al de cuius. Si veda, in termini, Cass., 6 giugno 2013, n. 14358, in Riv. not., 2014, 370 ss., con nota di G. MUSOLINO, Legato di genere e legato di specie. Il legato di somme depositate in banca, secondo cui «deve ribadirsi la natura di legato di specie del diritto che alla percezione di quegli importi nasceva dalle disposizioni testamentarie: invero, per quello che concerneva le somme derivanti dalla liquidazione del patrimonio mobiliare del testatore, la disposizione del legato, facendo riferimento alle somme che si sarebbero ricavate dalla vendita dei beni mobili presenti, alla data dell’apertura della successione, nell’abitazione del testatore, rendeva evidente l’intenzione di costui di considerare il denaro come espressione della monetizzazione degli stessi e quindi non costituiva se non il mezzo per attribuirlo al beneficiato; del pari la indicazione delle somme presenti ad un certo momento nel conto corrente – come tali producenti interessi secondo le convenzioni bancarie – puntualizzava la volontà del testatore di attribuire non già un ammontare di numerario qualunque, bensì il diritto ad esigere il capitale ed i frutti civili dello stesso, che, all’apertura della successione, fossero stati presenti nel conto».
[14] Cfr. F.P. LOPS, Il legato, in RESCIGNO (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, 1049 ss.; A. MASI, Dei legati, cit., 124; E. PEREGO, I legati, cit., 265; v. anche G. BONILINI, I legati, cit., 380. Qualora nel patrimonio ereditario si trovasse una sola cosa appartenente al genere indicato dal testatore, deve intendersi attribuita siffatta res, salvo che il testatore stesso abbia diversamente stabilito (in modo espresso, non potendo la deroga – si afferma – essere semplicemente tratta dal tenore del testamento: cfr., segnatamente, P. BOERO, Sub art. 664, in SESTA (a cura di), Codice delle successioni e donazioni, I, Milano, 2011, 1442). Ne discende, in termini applicativi o concreti, la straordinaria paralisi del ius eligendi. Il legato – in linea di principio – viene appunto a concentrarsi sul predetto bene ad astrarre dal suo livello qualitativo (A. MASI, op. ult. cit., 117). Diversa è l’ipotesi in cui, spettando la scelta all’onerato, nell’asse si rinvengano due o più cose appartenenti al genere dovuto, ma di qualità inferiore alla media. In tale situazione questi sarà tenuto ad adempiere il legato procurandosi al di fuori dell’asse ereditario una cosa di qualità rientrante nella media appena indicata [P. BOERO, Sub art. 664, cit., 1441; G. BONILINI, op. ult. cit., 369 ss.; F.P. LOPS, op. ult cit., 1049; A. MASI, op. loc. ult. cit.]. Non mancano invero isolate opinioni di segno contrario: si veda E. PEREGO, op. ult. cit., 264, il quale ritiene che l’onerato non possa essere costretto a procurarsi beni estranei all’asse qualora, come testé ipotizzato, in esso si trovino soltanto cose al disotto della qualità media. Tale orientamento dal punto di vista logico sembra di primo acchito cogliere nel segno: infatti, parrebbe irrazionale – in tesi astratta – condizionare l’obbligazione dell’onerato, di procurarsi fuori del relictum beni utili a soddisfare il requisito della qualità media, alla circostanza che in esso si rinvengano due o più cose appartenenti al genere definito dal testatore, mentre la medesima obbligazione sfumerebbe ove vi fosse un unico bene rientrante in quella classe merceologica. Sennonché, la lettera dell’art. 664, comma 1, c.c., è chiara e tale chiarezza impedisce di seguire la (pur idealmente apprezzabile) tesi appena esposta. Nulla, beninteso, impedisce all’onerato di selezionare un bene superiore al livello ordinario (cfr. G. BONILINI, op. ult. cit., 369; A. MASI, op. loc. ult. cit.); nello stesso tempo l’onerato, cui spetta il ius eligendi, non sembra tenuto ad acquistare aliunde il bene di media qualità ove il legatario manifesti il proprio interesse a ottenere una cosa dell’asse, pur di qualità inferiore alla media, che tuttavia potrebbe avere interesse ad acquistare per ragioni di natura affettiva o per altri motivi contingenti (P. BOERO, op. ult. cit., 1443). Quando la scelta sia lasciata al legatario o al terzo, essa deve compiersi similmente concentrando l’obbligazione ex legato sul bene di media qualità (art. 664, comma 2, c.c.). Questa regola vale solo quando cose del genere indicato non si trovino nell’eredità; qualora, al contrario, esse vi si trovino, il legatario (cui spetta la scelta, ma non già il terzo arbitratore) può optare per la migliore: cfr. G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice Civile, Padova, 1982, 504; P. BOERO, op. ult. cit., 1442.
[15] G. BONILINI, I legati, cit., 380.
[16] Cfr. G. BONILINI, I legati, cit., 378; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, II, cit., 662; F.P. LOPS, Il legato, cit., 1050; A. Masi, Dei legati, cit., 123; A. PALAZZO, Le successioni, II, cit., 674.
[17] P. BOERO, Sub art. 665, in SESTA (a cura di), Codice delle successioni e donazioni, I, cit., 1447.
[18] Cass., 4 maggio 2012, n. 6772, in DeJure: «Il giudice di appello, premesso che l’obbligazione dedotta nel legato di cui era stato onerato il C. costituiva una obbligazione alternativa a scelta della beneficiaria (ovvero o il consentire la permanenza della B. nella casa già coabitata con la de cuius, oppure, in caso di mancato godimento dell’immobile, la dazione dell'importo di lire quattromilioni), ha rilevato che, nel momento in cui l’obbligazione alternativa, con la morte della C., era divenuta esigibile, la scelta operata dalla beneficiaria per la permanenza nel suddetto immobile aveva determinato la concentrazione della prestazione unicamente sul godimento del bene; pertanto, allorché nel luglio 1988 la permanenza della B. era divenuta impossibile in conseguenza dell’emissione di una ordinanza sindacale di sgombero a causa di un pericolo di crollo, l’unica prestazione alla quale era ormai tenuto C.G. era divenuta impossibile ex art. 673, comma 2, c.c., essendosi resa necessaria la demolizione dell'immobile con conseguente perimento della cosa legata. Tale convincimento deve essere condiviso. L’obbligazione alternativa ai sensi dell’art. 1285 c.c. ss. presuppone l’originario concorso di due o più prestazioni, poste in posizione di reciproca parità e dedotte in modo disgiuntivo, nessuna delle quali può essere adempiuta prima dell’indispensabile scelta di una di esse, rimessa alla volontà di una delle parti (nella fattispecie alla volontà della creditrice), e che diviene irrevocabile con la dichiarazione comunicata all’altra parte; una volta poi operata tale concentrazione, l’obbligazione alternativa, avendo ad oggetto esclusivamente la prestazione scelta, diventa semplice, con la conseguenza che, se tale ultima prestazione diviene impossibile dopo la scelta per una causa non imputabile al debitore – come appunto nella specie ritenuto in linea di fatto dalla sentenza impugnata – l’obbligazione stessa si estingue».
[19] Tale determinazione del testatore deve essere radicata nella scheda testamentaria, non potendo essere estrapolata aliunde: v., tra gli altri, G. BONILINI, I legati, cit., 379.
[20] G. BONILINI, I legati, cit., 388; A. MASI, Dei legati, cit., 126.
[21] G. BONILINI, I legati, cit., 379 ss.
[22] G. BONILINI, I legati, cit., 371; P. BOERO, Sub art. 664, cit., 1443; v. anche – sul fronte del diritto tedesco – L. ENNECCERUS – H. LEHMANN, Recht der Schuldverhältnisse. Ein Lehrbuch, II, 15. Aufl., Tübingen, 1958, 39.
[23] Si ritiene infatti che per la scelta occorra la capacità d’agire «sia per uniformità rispetto all’analogo atto compiuto dall’onerato o dal legatario, sia perché, in base ai princìpi generali, la possibilità di fare la scelta presuppone la capacità di compiere l’atto con cui essa si effettua»: così P. BOERO, Sub art. 664, cit., 1444; v. anche A. MASI, Dei legati, cit., 120. In senso contrario si veda G. BONILINI, I legati, cit., 371, il quale motiva la propria idea facendo perno sullo stigma fiduciario dell’electio.
[24] Come avverte A. MASI, Dei legati, cit., 124 ss., la norma enuncia un principio immanente al sistema. Essa fa riferimento alla «facoltà» di scegliere: si tratta, in realtà, di un’imprecisione, perché ci troviamo di fronte a un vero e proprio diritto (ivi, 125). V. anche G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., 505; G. BONILINI, I legati, cit., 386; G. CRISCUOLI, Le obbligazioni testamentarie, cit., 309; F.P. LOPS, Il legato, cit., 1050.
[25] Contra A. MASI, Dei legati, cit., 126.
[26] Cfr. A. MASI, Dei legati, cit., 121.
[27] P. BOERO, Sub art. 666, in SESTA (a cura di), Codice delle successioni e donazioni, I, cit., 1449; A. MASI, Dei legati, cit., 121; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, cit., 503; v. anche G. BONILINI, I legati, cit., 372.
[28] G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., 505; P. BOERO, Sub art. 664, cit., 1444; G. BONILINI, I legati, cit., 386; E. PEREGO, I legati, cit., 265; v. anche G. BONILINI, I legati, cit., 374.
[29] Cfr. G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., 504, testo e nt. 2; G. BONILINI, I legati, cit., 373; A. MASI, Dei legati, cit., 121.
[30] Invece, ad avviso di A. MASI, Dei legati, cit., 121, il termine in questione deve essere fissato dall’autorità giurisdizionale. A nostro parere possono tuttavia ricorre al giudice per la fissazione del termine i terzi interessati (ad esempio, il legatario chiamato in sostituzione o per rappresentazione), soprattutto nel caso in cui anche l’onerato resti inerte. Si deve comunque escludere che l’inerzia del legatario protratta dopo il termine giudiziale importi rinunzia al legato; tale inerzia cagiona infatti la decadenza dal diritto di scelta ma non già da quello a succedere a titolo particolare (v. P. BOERO, Sub art. 664, cit., 1445). D’altra parte, anche l’infruttuoso decorso del termine ex art. 650 c.c. determina la perdita del diritto a rinunciare ma non già ad acquisire il legato (cfr. A. MASI, op. ult. cit., 121).
[31] G. BONILINI, I legati, cit., 373.
[32] P. BOERO, Sub art. 664, cit., 1445. In senso contrario v., invece, G. CRISCUOLI, Le obbligazioni testamentarie, cit., 309.
[33] P. BOERO, Sub art. 664, cit.,1445; G. BONILINI, I legati, cit., 387.
[34] G. CARAMAZZA, Delle successioni testamentarie, art. 587-712, in Comm. c.c. De Martino, Roma, 1973, 424 ss.
[35] Come osserva G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., 505, «È questa, però, una regola generale che vale per ogni specie di scelta e non soltanto per quella indicata nell’articolo in esame. La sua enunciazione fatta nel solo art. 666 non deve perciò lasciar supporre che negli altri casi in cui deve aver luogo la scelta (cfr. artt. 631, 664, 665) il principio non debba egualmente valere, dato che la ragione della irretrattabilità – che riposa sul bisogno di rendere certo e definitivo il rapporto – ricorre ugualmente in ogni caso di scelta, a chiunque essa sia devoluta».
[36] G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., 505; P. BOERO, Sub art. 666, cit.,1449.
[37] Si veda, segnatamente, G. GROSSO, Efficacia diretta ed efficacia obbligatoria del legato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, ora in Id., Scritti storico giuridici, III, Torino, 2001, 639. Non deve invero sfuggire che il testatore potrebbe imporre una forma particolare per la scelta, quantunque essa sia ex lege svincolata da ogni onere di solennità. A nostro avviso deve applicarsi nel caso di specie la presunzione di cui all’art. 1352 c.c. È vero che quest’ultima disposizione fa riferimento ai contratti, ed è ugualmente pacifico che l’art. 1324 c.c. limiti verbatim l’estensione delle regole sui contratti agli atti unilaterali tra vivi, ma al di là di tutto non può essere sottaciuto che il medesimo art. 1352 c.c. enunci un criterio interpretativo la cui finalità non sembra circoscrivibile ai soli accordi c.d. normativi. Per giunta, la circostanza che l’art. 1324 c.c. alluda agli atti unilaterali fra vivi non basta a escludere l’estensione dell’art. 1352 c.c. all’area del diritto successorio qui indagata, perché il ius eligendi, volto alla concentrazione dell’obbligazione sul bene oggetto della (programmata) electio innervante l’effetto reale, non ha natura di atto giuridico a causa di morte, essendo semmai un negozio perfezionato post mortem testatoris dalla persona capace d’agire, cui spetta tale diritto preordinato ad integrare ab externo il negozio giuridico di ultima volontà (cfr., su tale ultimo punto, L. BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, I, La struttura, Milano, 1946, 457).
[38] F.P. LOPS, Il legato, cit., 1050; E. PEREGO, I legati, cit., 265; contra G. BONILINI, I legati, cit., 388; A. MASI, Dei legati, cit., 127.
[39] P. BOERO, Sub art. 666, cit.,1450; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, II, cit., 650; A. CICU, Testamento, 2ª ed., Milano, 1951, 244; G. CRISCUOLI, Le obbligazioni testamentarie, cit., 99, secondo cui «nel legato di cosa determinata solo nel genere, la proprietà di questa cosa trapassa con la sua specificazione ed in proposito deve essere decisamente negato che l’effetto traslativo in parola retroagisca al momento dell’apertura della successione. Tale affermazione è del tutto arbitraria in mancanza di un’apposita norma che la legittimi; ed è, anzi, in aperto contrasto con la impostazione legislativa del nostro sistema, che, col principio, d’ordine generale, posto dalla ricordata disposizione dell’art. 1378 c.c. e con le norme dell’articolo 649 … e 664 c.c., afferma che il trasferimento del diritto … non avviene prima della individuazione» (ivi, 102). Prova ne sia che – come stabilisce l’art. 669, comma 2, c.c. – nel legato di cosa generica appartenente al patrimonio ereditario i frutti da essa prodotti sono goduti dall’erede anche dopo l’apertura della successione, giacché fino al momento della specificazione egli non ne perde la titolarità (ivi, 103). In questa situazione i medesimi frutti spettano al legatario dal giorno della domanda giudiziale o da quello in cui la prestazione del legato sia stata promessa. Cfr. pure P. RESCIGNO, In tema di legato di genere, nota Trib. Napoli, 28 ottobre 1955, in Dir. giur., 1956, 536 ss.; C. ROMANO, I legati, in CALVO – PERLINGIERI (a cura di), Diritto delle successioni e delle donazioni, II, 2a ed., Napoli, 2015, 1197 ss. In senso contrario v. però l’autorevole (ma non condivisibile) voce di F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, cit., 503.
[40] A. CICU, Testamento, cit., 570; G. CRISCUOLI, Le obbligazioni testamentarie, cit., 123; G. GROSSO, Efficacia diretta ed efficacia obbligatoria del legato, cit., 639, il quale in proposito nota che «come efficacia normale del legato generico o alternativo, anche se avente per oggetto proprietà o diritti reali e con riguardo a cose esistenti nel patrimonio ereditario (artt. 653, 654, comma 1, 664, comma 1, c.c.), quella di determinare l’obbligazione dell’erede di dare una cosa genericamente determinata o di dare una delle cose dedotte alternativamente nel legato (cfr. art. 664, art. 665, art. 1178, art. 1286 c.c.). Ed a questa costruzione corrisponde la norma dell’art. 669, comma 2, c.c.». Contra C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, II, cit., 248. Come osserva G. CRISCUOLI, op. ult. cit., 123 ss., nt. 40, sarebbe in astratto possibile condividere la tesi contraria soltanto ove si ammettesse che nel legato alternativo i beni in esso dedotti ricadano immediatamente nella sfera patrimoniale dell’onorato, fermo restando che a séguito della scelta l’acquisto di quelli esclusi verrebbe a risolversi con effetto retroattivo. Sennonché, il nostro sistema non ha accolto il modello appena descritto dell’acquisto risolutivamente condizionato dei beni esclusi dalla sopraggiunta electio.
[41] L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 457; A. CICU, Testamento, cit., 570; F.P. LOPS, Il legato, cit., 1048; A. PALAZZO, Le successioni, II, cit., 672.
[42] Rileva in proposito G. GROSSO, Efficacia diretta ed efficacia obbligatoria del legato, cit., 637, che siffatta disposizione si basa su «equivoche raffigurazioni della portata degli effetti giuridici, che la dazione da parte dell’erede può ridursi alla consegna, cioè al possesso, e che la proprietà passa direttamente».
[43] Anche in questo caso l’interprete deve valutare se la disposizione sia o no frutto di una non perfetta comprensione da parte del testatore dei meccanismi giuridici presidianti il secondo libro del nostro codice. Se l’equivoco fosse evidente, allora occorrerebbe interpretare la clausola in modo da adottare una soluzione applicativa il più possibile vicina alla voluntas testatoris. Tale soluzione potrebbe essere appunto quella di attribuire al legato alternativo la consueta efficacia obbligatoria. Da questi cenni è facile avvedersi dell’importanza che rivesta l’interpretazione della scheda testamentaria. Serve allora segnalare che il basilare principio di personalità del testamento impone all’interprete di privilegiare ogni criterio ermeneutico extratestuale utile (tenuto ovviamente conto delle variegate circostanze qualificanti la situazione sottoposta allo scrutinio dell’autorità giudicante) a ricercare l’effettivo intento del dichiarante (ossia, il suo «pensiero direttivo») (C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, III, cit., 293), purché il punto di riferimento esterno tragga dal documento la propria radice logica. In questa materia «mèta diretta dell’interpretazione è il pensiero del disponente, anche se non trovasi espresso in modo adeguato nella dichiarazione, purché abbia in essa un univoco addentellato e risulti da circostanze esteriormente riconoscibili, nella cerchia sociale del disponente, mercé illazioni dettate dalla comune esperienza»: E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 357; in senso conf. v. C. GANGI, op. ult. cit., 294; A. TRABUCCHI, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 690, il quale pone efficacemente in risalto che la «volontà del testatore è senza dubbio necessaria; ma, per produrre effetti, dev’essere prima di tutto una volontà testamentaria. È chiaro che il significato principale di questa formula contiene il riferimento alla forma dei testamenti». Scrutando questo panorama serve inoltre considerare che se «il testamento non è solo una forma che contenga delle intenzioni, ma è un atto a sé, con una propria disciplina, atto insostituibile per le disposizioni in tema di successione ereditaria, ne ricaviamo come conseguenza: in primo luogo è assolutamente necessario trovare una espressione in forma testamentaria per tutte le disposizioni mortis causa; secondo, la intenzione da ricercare dev’essere una intenzione testamentaria, e non una generica intenzione di beneficiare in occasione della propria morte. Ne deriva pure logicamente che i problemi interpretativi di cui stiamo parlando si riferiscono unicamente a quelle disposizioni che possono essere date solo per testamento, e non quindi per esempio ad un riconoscimento di figlio naturale che sia contenuto in un atto di ultima volontà» (ivi, 695). In materia testamentaria non ci sono interessi antagonistici che confluiscono nel meccanismo contrattuale sorretto da pesi e contrappesi variamente modulati, ma c’è una sola volontà da attuare che è quella del disponente. Tale volontà si pone al centro del regolamento la cui nota distintiva consiste in ciò, che l’atto di autonomia privata proietta un fascio di precetti i quali acquisteranno giuridica efficacia e forza vincolante per il tempo in cui il dichiarante non sarà più in vita (P. RESCIGNO, Interpretazione del testamento, Napoli, 1952, 10). Il punto di vista appena delineato informa nel complesso il problema qui studiato in virtù dell’assunto, davvero imprescindibile, che obbliga ad attenersi al significato individuale (o soggettivo) anziché tipico o socialmente prevalente [cfr. G. CIAN, Il testamento nel sistema degli atti giuridici, in DELLE MONACHE (a cura di), Tradizione e modernità nel diritto successorio dagli istituti classici al patto di famiglia, cit., 169; G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, 169; C. GRASSETTI, voce «Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile)», in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1957, 907. In tal senso si veda l’insegnamento affiorante dal parere legale elaborato da R. CICALA, Pareri pro veritate, a cura di P. Perlingieri, Napoli, 2006, 33 ss.]. Spetta all’interprete, quindi, valutare se il linguaggio del testatore risponda al suo significato comune; in ipotesi di contrasto occorrerà sempre dar prevalenza al senso soggettivo (o personale), essendo l’unico adatto a secondare l’individualità e il modo di vedere (Weltanschauung) del dichiarante (v. G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento …, cit., 185; P. TRIMARCHI, Interpretazione del testamento mediante elementi ad esso estranei, in Giur. it., 1956, I, 1, c. 447; quanto al diritto casistico cfr. Cass., 14 gennaio 2010, n. 468, in Giust. civ., 2010, I, 527 ss.). Ad esempio, se Tizio lega a Caio la propria collezione di «diamanti», l’attribuzione in discorso avrà per oggetto la raccolta d’incunaboli nel caso in cui sia dimostrato che il disponente fosse solito definire con tale vocabolo (il cui valore semantico generalmente riconosciuto è ben diverso) i rari libri da questi gelosamente raccolti per diletto. Insomma, distaccare la dichiarazione dal documento ove è incorporato per ricondurla alla vitalità dell’autore significa inserirla nell’ambiente socioculturale in cui si sono plasmati e sviluppati l’insieme dei tratti caratteriali e intellettuali che distinguono ciascun essere dagli altri. Solo attraverso questo modo di procedere è dopotutto possibile attribuire alle parole il significato più aderente all’individualità del testatore. L’uso di gerarchie postulate da chi predica la superiorità dei criteri d’interpretazione oggettiva su quella soggettiva, andrebbe evidentemente contro l’additata esigenza di ricerca della volontà del dichiarante. Interpretare il testamento significa, come si è già detto, ricostruire la determinazione del defunto fuori di qualsivoglia limitazione formale, che ostacolerebbe la ricerca del voluto e finirebbe con il far prevalere il dichiarato, benché non rappresenti l’effettivo intento dell’ereditando. Ragionare diversamente significherebbe spersonalizzare il testamento, con l’inammissibile epilogo di travolgerne la sua natura di atto proiettante post mortem il vero programma successorio plasmato dal suo autore (cfr. C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, III, cit., 292; P. TRIMARCHI, Interpretazione del testamento mediante elementi ad esso estranei, cit., c. 448).
[44] E. PEREGO, I legati, cit., 265. Recita l’art. 631, comma 1, c.c., che è «nulla ogni disposizione testamentaria con la quale si fa dipendere dall’arbitrio di un terzo l’indicazione dell’erede o del legatario, ovvero la determinazione della quota di eredità». Per capire il senso di questa regola si tenga a mente che la caratteristica ruotante attorno alla personalità del negozio testamentario sarebbe manifestamente contraddetta da un sistema il quale (in teoria) ammettesse il conferimento al terzo della funzione di arbitratore allo scopo d’indicare tramite electio il successore a titolo universale o particolare, oppure di stabilire la quota d’eredità. L’evocato divieto d’arbitraggio va interpretato in termini assoluti, dovendo essere esteso non solo all’arbitrio mero («Nomino eredi Tizio e Caio ai quali andranno i beni relitti secondo le determinazioni di Sempronio, il quale valuterà ad libitum»), ma altresì all’arbitrium boni viri («Nomino eredi Tizio e Caio le cui quote ereditarie saranno saggiamente determinate da Sempronio tenuto conto del loro stato di bisogno economico al momento della mia morte») (in senso contrario v. F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, IV, 4ª ed., Padova, 2004, 236 ss. e 239, secondo cui la nullità di cui all’art. 631 c.c. deve essere circoscritta al mero arbitrio del terzo; cfr. altresì M. ALLARA, Principî di diritto testamentario, Torino, 1957, 114; M.C. TATARANO, Il testamento, cit., 273). La plausibilità di questa tesi è suffragata dalla ratio legis: se la volizione del testatore, stante la sua radice eminentemente personale che preclude (come già avvertimmo) la compresenza di volizioni altrui, non può essere completata dalla risoluzione del terzo, il divieto in discussione vale dunque ad astrarre dalla variabile legata all’intensità del potere determinativo riconosciuto all’estraneo (G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., 459; C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, II, cit., 111 ss. e 147 ss.; A. GIORDANO MONDELLO, Il testamento per relazione. Contributo allo studio del negozio per relationem, Milano, 1966, 133; S. PUGLIATTI, Dell’istituzione di erede e dei legati, in Comm. c.c. D’Amelio-Finzi, Firenze, 1941, 521 ss. In proposito è stato deciso che ricade sotto il divieto ex art. 631, comma 1, c.c., in quanto fa dipendere l’istituzione di erede dall’arbitrio dello Stato – chiamato all’eredità in subordine – la disposizione testamentaria condizionante l’istituzione all’assunzione del cognome del testatore da parte del primo istituito, se intesa nel senso che tale vicenda debba essere giuridicamente perfezionata entro un termine fissato dal disponente: Cass., 29 marzo 1982, n. 1928, in Foro it. 1982, I, 1916). Il medesimo divieto vale anche per le disposizioni rimesse indirettamente all’arbitrio altrui, quali ad esempio sono quelle tramite le quali il testatore fissa la quantità di denaro legato a Tizio richiamando la medesima quantità legatagli da Mevio. La ragione della tesi qui difesa consiste in ciò, che anche nella rappresentata situazione le lacune della determinazione volitiva imputabile al disponente finiscono né più né meno con l’essere colmate da volizioni estranee alla sua sfera personale (contra M. ALLARA, Principî di diritto testamentario, cit., 114). La regola che precede è derogata dal capoverso dell’art. 631 c.c., il quale riconosce in via d’eccezione la validità del legato a beneficio di persona da scegliersi – tramite mandato testamentario post mortem (cfr. G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, cit., 130 ss.) – dall’onerato o da un terzo tra più individui determinati dal testatore o appartenenti a famiglie o categorie di persone da lui determinate, ed è pure valida la disposizione a titolo particolare a favore di uno tra più enti del pari selezionati dal testatore. Ne consegue che è valida la disposizione testamentaria così formulata: «Nomino erede universale il mio unico figlio Tizio. Lego la mia biblioteca a uno dei figli dell’amica fraterna Sempronia, che si sarà distinto per meriti culturali secondo l’insindacabile giudizio del mio commercialista Lucio». Torna utile ripetere che ove siano state indicate più persone in modo alternativo senza stabilire chi debba fare la scelta, questa si considera lasciata all’onerato. Se l’onerato o il terzo non può o non vuole fare tale scelta, questa è effettuata con decreto dal presidente del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, dopo avere assunto le opportune informazioni (art. 631, comma 3, c.c.). Da detta disciplina è possibile supporre che il legislatore abbia riconosciuto come ammissibile, nonostante il principio di personalità del testamento, l’arbitraggio (equo o prudente) avente per oggetto l’individuazione del legatario entro i ferrei limiti tratteggiati dalla norma appena riportata. In tale scenario emerge la diversa rilevanza tra istituzione di erede e disposizione a titolo particolare; l’additata distinzione affiora – anche in termini simbolici – con particolare evidenza evocando, per un verso, il subentro dell’erede nell’universalità del patrimonio ereditario, per altro verso, il differente grado di responsabilità per debiti e oneri che assume l’erede rispetto al legatario. A completamento della regola espressa nell’art. 631, comma 1°, c.c., con riguardo all’elemento oggettivo dell’attribuzione testamentaria l’art. 632 c.c. – il quale va letto, secondo l’opinione che pare preferibile, interpretando unitariamente 1 e 2 comma (cfr. N. IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui. Problemi generali, Milano, 1967, 252 ss.; in senso contrario v. però A. CICU, Testamento, cit., 194; C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, II, cit., 112 e 148 ss., a giudizio del quale il capoverso dell’art. 632 c.c. avrebbe mera portata esemplificativa; v. altresì M.C. TATARANO, Il testamento, cit., 278) – stabilisce che l’onerato o il terzo – chiamato dal disponente a integrare il regolamento privato d’interessi a causa di morte secondo equo apprezzamento – possa determinare l’oggetto o la quantità del legato rimuneratorio (cioè del legato destinato a ricompensare colui che ha prestato servizi al testatore). La nullità della disposizione destinata a essere integrata ab externo è dunque circoscritta all’ipotesi in cui l’atto d’arbitraggio si fondi sul mero arbitrio del terzo (per identità di ragioni pare qui estensibile l’art. 631, ult. comma, c.c.). Il legislatore ha previsto la regola in esame perché si è accorto che può essere impossibile per il testatore stabilire tramite disposizione a titolo particolare la giusta rimunerazione della persona che ha prestato servizi a suo favore (si pensi al caso del legato alla badante per l’assistenza prestata sino al giorno del decesso dell’ereditando). In tal caso l’arbitraggio boni viri consente di realizzare ex post il programma successorio voluto dal testatore ricostruendo in modo obiettivamente verificabile il criterio di misura adatto a fissare il giusto compenso.
[45] P. BOERO, Sub art. 666, cit., 1450.
[46] E. PEREGO, I legati, cit., 253. Contra G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., 482.
[47] V., diffusamente, T.E. CASSANDRO, Il termine nelle disposizioni testamentarie, in RESCIGNO (a cura di) Successioni e donazioni, I, cit., 1144 ss.
[48] Sul tema v. T.E. CASSANDRO, Il termine nelle disposizioni testamentarie, cit., 1149 ss.; diversamente orientati sono C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, II, cit., 246 ss., e G. BONILINI, Sub art. 649, in CUFFARO – DELFINI (a cura di), Delle successioni, artt. 565-712, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 2010, 632.
[49] V, amplius, T.E. CASSANDRO, Il termine nelle disposizioni testamentarie, cit., 1150 ss. La segregazione del patrimonio amministrato dal fiduciario importa la nascita di un diritto di proprietà che mal si adegua al modello tradizionale consacrato dall’art. 832 c.c., il quale si regge sugli attributi (classici) di esclusività e assolutezza del dominio. La proprietà del “trustee” è programmaticamente destinata ai beneficiari ed è quindi temporaneamente esercitata nel loro interesse. L’interesse dei medesimi beneficiari assieme alla fiducia nutrita dal disponente sulla probità del gestore costituiscono la spina dorsale della vicenda segregativa, la quale giustifica ma, nello stesso istante, limita la proprietà temporanea dell’amministratore. Ne discende che il fiduciario, nonostante il suo titolo formale d’appartenenza, non può godere a proprio vantaggio dei beni attribuitigli dal disponente, né di massima è legittimato a disporne mettendo a frutto il valore di scambio. Dai superiori rilievi affiora la specificità della proprietà fiduciaria sul patrimonio segregato, che dà corpo allo “smembramento” del ius in re, essendo l’atto traslativo, che attribuisce la titolarità del “trust fund” in capo al gestore, preordinato alla realizzazione di un obiettivo ulteriore rappresentato dalla cura dell’interesse altrui. L’accennato «smembramento» viene spesso descritto evocando lo sdoppiamento tra proprietà formale e proprietà sostanziale: cfr. A. FALZEA, Introduzione e considerazioni conclusive, in AA.VV., Destinazione di beni allo scopo. Studi raccolti dal Consiglio nazionale del notariato, Milano, 2003, 35; v. anche R. QUADRI, La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata, Napoli, 2004, 300 ss. Se ne deduce che il vincolo obbligatorio, permeante d’attributi fiduciari la proprietà in esame, finisca con l’alterare il normale contenuto del diritto assoluto per eccellenza; da qui il rischio d’assistere alla formazione di situazioni d’appartenenza incrinanti il principio di tipicità dei diritti reali, rischio che si percepisce con particolare evidenza in ipotesi di perpetuità del vincolo segregativo. D’altronde, la medesima metamorfosi è ravvisabile con riguardo alla proprietà soggetta al vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. Per ulteriori riferimenti su questo tema sia consentito rinviare a R. CALVO, Fiducia, situazioni gestorie e opponibilità. Contributo allo studio della proprietà destinata, in Riv. dir. priv., 2016, 85 ss.
[50] L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 457 ss.
[51] P. BOERO, Sub art. 666, cit., 1450; A. MASI, Dei legati, cit., 127.
[52] Si veda in proposito il fondamentale studio di M. ALLARA, La proprietà temporanea, in Circolo giuridico, 1930, 69 ss.
[53] A. MASI, Dei legati, cit. 127, a parere del quale «una scelta condizionale non può dirsi effettuata prima dell’avverarsi della condizione».
[54] G. BONILINI, I legati, cit., 389; A. MASI, Dei legati, cit., 127.
[55] Cfr. P. BOERO, Sub art. 666, cit., 1451.
[56] P. BOERO, Sub art. 664, cit., 1441; F.P. LOPS, Il legato, cit., 1050.
[57] G. G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., 505, nt. 3; P. BOERO, Sub art. 666, cit., 1451; G. BONILINI, I legati, cit., 389; A. MASI, Dei legati, cit., 127; E. PEREGO, I legati, cit., 265.