Giuffré Editore

Il legato in conto di legittima


Vincenzo Barba

Ordinario di Diritto privato, Sapienza Università di Roma


Introduzione 

L’espressione «legato in conto di legittima» si trova nella rubrica dell’art. 552 c.c., mentre l’espressione «legati imputati alla legittima», spesso considerata sovrapponibile alla prima, si trova nel testo dell’art. 564, comma 2, c.c., nel quale è richiamata anche la figura del «legato con dispensa da imputazione». 

Va, tuttavia, precisato che l’art. 552 c.c. non reca la disciplina del legato in conto di legittima, ma soltanto la disciplina di uno specifico profilo e che dietro queste formule linguistiche si celano una pluralità di ipotesi che occorre tener distinte l’una dalle altre, al fine di individuare con maggiore semplicità quale possa essere la disciplina applicabile.

Occorre in primo luogo avvertire che il tema non riguarda il solo legato in conto di legittima, ma, piú precisamente, i legati disposti a favore del legittimario e che si rende necessario coordinare queste norme con la disciplina generale in tema di legati e con quella di alcune specie. 

L’indagine deve, allora, prendere avvio dalla considerazione che nella materia dei legati disposti a favore del legittimario, si sovrappongono, inevitabilmente, due ordini di valutazioni diverse, a seconda che, rispetto al beneficiario, si abbia riguardo alla sua posizione di erede (e, dunque, alla quota ereditaria) oppure alla sua posizione di legittimario (e, dunque, alla sua quota di legittima)[[1]]. 

Questa prima considerazione consente di avvertire il diverso significato che assumono le espressioni verbali “gravare” e “imputare”, dal momento che la prima serve per stabilire a carico di quali soggetti gravi il legato (ossia sulla quota ereditaria di chi insista), mentre la seconda serve per stabilire quale sia il rapporto dell’attribuzione patrimoniale portata dal legato rispetto alla quota di legittima[[2]]. 

La differenza esistente tra quota di eredità e quota di legittima (o quota di patrimonio riservata), impone di tener distinti questi due profili[[3]], dacché ciascuno di essi evoca problematiche peculiari, con avvertenza che l’una e l’altra possono, senza meno, intersecarsi tra loro. 

In primo luogo, occorre stabilire se il legittimario a favore del quale il testatore abbia disposto il legato sia erede (per legge o per testamento), oppure sia escluso dalla successione. 

Nell’ipotesi in cui il legittimario fosse escluso dall’eredità (ciò può darsi o nel caso di testamento che istituisce eredi nella totalità del patrimonio altri soggetti, oppure nel caso di testamento diseredativo), il legato potrebbe rilevare, esclusivamente, in ragione della quota di riserva che compete al legittimario. 

Si possono dare due ipotesi. La prima che il legato sia disposto in sostituzione di legittima, la seconda che si tratti di un legato non sostitutivo. 

Nel primo caso, trova applicazione la disciplina specifica dettata all’art. 551 c.c.; nel secondo caso si tratterebbe di un legato disposto a favore di un legittimario pretermesso. 

Su questa seconda ipotesi è necessario fermare l’attenzione. 


Legato in conto di legittima con e senza dispensa da imputazione 

Il legittimario destinatario della disposizione a titolo particolare può accettare oppure rifiutare il legato. 

Nell’ipotesi in cui rifiuti il legato, non si pone alcun tipo di problema connesso alla attribuzione a titolo particolare. Il legittimario può agire con l’azione di riduzione, affinché venga accertata la sua pretermissione, ridotte le disposizioni testamentarie e accertata la sua qualità di erede. Il legittimario acquista la qualità di erede per effetto dell’azione di riduzione, mentre il legato essendo stato rifiutato non pone alcun problema. 

Diversamente, nell’ipotesi in cui il legittimario accetti il legato, si tratta di stabilire quale sia il rapporto di esso rispetto alla quota di legittima. Si pone, dunque, il primo e fondamentale problema che riguarda i legati disposti a favore di un legittimario[[4]]. 

Si possono dare due, ulteriori, ipotesi: a) che si tratti di un legato senza dispensa da imputazione (ipotesi che ricorre in assenza di una espressa volontà manifestata in tal senso[[5]]), b) oppure che si tratti di un legato con dispensa da imputazione (sebbene questa ipotesi sia difficile da immaginare, in un caso in cui il legittimario sia escluso dalla successione)[[6]]. 

Quando viene in rilievo questa distinzione si vuole, semplicemente, verificare se l’attribuzione patrimoniale disposta a favore del legatario-legittimario debba considerarsi, o no, ai fini del calcolo della sua quota di legittima[[7]]. 

Nell’ipotesi di legato con dispensa da imputazione, il legatario-legittimario, qualora agisca in riduzione, ha diritto di conseguire beni per un valore corrispondente alla quota di riserva, dacché ciò che ha ricevuto a titolo di legato deve considerarsi attribuito in aggiunta rispetto alla sua quota di legittima. 

Nell’ipotesi di legato senza dispensa da imputazione, ossia di legato con onere di imputazione, il legittimario deve considerare quanto ricevuto a titolo di legato, come ricevuto a titolo di legittima. Ciò significa che potrà agire in riduzione soltanto se abbia ricevuto a titolo di legato un bene di valore inferiore alla sua quota di legittima (non potrebbe neppure agire in riduzione se il valore del legato fosse eguale o superiore alla sua quota di legittima)[[8]] e che può domandare di conseguire beni per un valore pari alla differenza tra la sua quota di legittima e quanto ricevuto a titolo di legato[[9]]. 

Un esempio aiuta la comprensione. 

Immaginiamo che Tizio muoia lasciando dietro di sé due figli, Caio e Sempronio, un relictum pari a 90, nessun debito e nessuna donazione. Supponiamo che la successione di Tizio sia regolata da un testamento con il quale Tizio istituisce erede universale il figlio, Caio, ordinando un legato a favore del figlio Sempronio del valore di 20. Ai sensi dell’art. 537, comma 2, c.c. la quota di riserva complessivamente riservata ai figli è pari a 2/3 (ossia 60, 2/3 di 90-0+0), sicché ciascun figlio ha diritto a una quota di legittima pari a 30. Ciò posto, occorre stabilire se il legato disposto a favore di Sempronio, nel presupposto che non sia un legato in sostituzione di legittima, ma un semplice legato disposto a favore di un legittimario, sia con dispensa da imputazione o senza dispensa da imputazione.

Nell’ipotesi in cui il legato disposto a favore di Sempronio fosse senza dispensa da imputazione, Sempronio dovrebbe tener conto di questa attribuzione patrimoniale, al fine di accertare se egli possa, o no, considerarsi leso. Nel caso di specie, risulta che costui ha diritto di conseguire beni per 30, mentre ha conseguito, ancorché a titolo particolare, beni per 20[[10]]. Esiste, dunque, una lesione di 10, sicché Sempronio può agire in riduzione, chiedere l’accertamento della sua qualità di erede, con precisazione che sul relictum potrebbe conseguire beni per 10, dacché deve “imputare” alla sua quota di legittima il valore di 20 conseguito a titolo di legato[[11]]. 

Nell’ipotesi in cui il legato fosse stato disposto con dispensa da imputazione, l’esito sarebbe affatto diverso. La dispensa da imputazione esornerebbe Sempronio dal considerare quanto ricevuto con il legato, ai fini del calcolo della sua quota di legittima. Sempronio, la cui quota di legittima ammonta a 30, nonostante abbia conseguito 20, a titolo di legato, ha diritto di conseguire sul relictum beni per 30, poiché non deve imputare quanto ricevuto con il legato alla sua quota di legittima. Nell’ipotesi in cui agisse con l’azione di riduzione, costui conseguirebbe sul relictum 30, che si sommerebbero ai 20 ricevuti a titolo particolare, con la conseguenza che nel complesso costui riceverebbe beni per un valore complessivo pari a 50. 

In entrambi i casi, Sempronio consegue il bene portato nel legato, ma nel primo caso consegue sul relictum soltanto 10, mentre nel secondo consegue sul relictum 30. 

Riassumendo, i legati disposti a favore del legittimario possono essere con dispensa da imputazione o senza dispensa da imputazione. Tale distinzione rileva soltanto ai fini del calcolo della quota di riserva spettante ai legittimarî, con intesa che il legato con dispensa da imputazione deve considerarsi attribuito in aggiunta rispetto alla quota di riserva, mentre il legato senza dispensa da imputazione deve considerarsi attribuito in conto della legittima. Le figure del legato con dispensa da imputazione e del legato senza dispensa da imputazione (o legato in conto di legittima) impongono di verificare il rapporto tra attribuzione patrimoniale legata e quota di riserva[[12]]. 


Legato in conto di legittima che grava su tuti gli eredi, ossia il prelegato 

Ciò detto, occorre considerare i casi in cui il legittimario a favore del quale il testatore abbia disposto il legato sia erede (per legge o per testamento). In questo caso, fermo il problema appena indagato (se l’attribuzione patrimoniale legata debba considerarsi, o no, ai fini del calcolo della quota di legittima spettante al legittimario), si pone un altro e ulteriore problema, dacché occorre accertare su chi gravi il legato disposto a favore del legittimario e, dunque, quale sia il rapporto di questo legato rispetto alla quota ereditaria (non piú alla quota di legittima). 

Indagando il rapporto tra legato disposto a favore del legittimario-erede[[13]] e la sua quota ereditaria, si possono, astrattamente, dare tre diverse ipotesi, la cui diversità si coglie appieno indagando il soggetto o i soggetti su cui grava il legato[[14]]. 

Quando il testatore disponga un legato a favore di un legittimario che sia erede (per legge o per testamento) si possono dare tre diverse ipotesi: a) che il legato gravi su tutti gli eredi (tale ipotesi ricorre in tutti i casi in cui il testatore non abbia espressamente stabilito su cui debba gravare il legato[[15]]); b) che il legato non gravi sul beneficiario (in tale caso potrebbe gravare o su un solo erede o su alcuni soli eredi, oppure su un legatario); c) che il legato gravi sul solo beneficiario.

Nel primo caso ricorre la figura del prelegato[[16]], dacché si tratta di un legato a favore di un erede e a carico di tutta l’eredità. In tale evenienza non c’è dubbio che quanto sia stato attribuito al legatario-erede, si considera attribuito in aggiunta rispetto alla sua quota ereditaria (non quota di riserva), con avvertenza, però, che detto legato, gravando su tutti gli eredi, grava, pro-quota anche sul beneficiario. Si tratta, quindi, di una aggiunta alla sua quota di eredità, al netto di quanto non debba gravare sulla sua stessa quota ereditaria. L’operazione divisoria nel caso di prelegato è assai semplice: è sufficiente sottrarre al relictum quanto sia stato attribuito al legatario, dividendo la restante massa tra gli eredi, in proporzione alle loro quote. 

Un esempio aiuta la comprensione. S’immagini che Tizio, muoia lasciando un relictum di 90, nessun debito, nessuna donazione. Si immagini che lasci dietro di sé tre figli, Caio, Mevio e Sempronio e che la sua successione sia regolata da un testamento con il quale istituisce eredi i proprî figli ciascuno nella quota di 1/3, legando a Sempronio il bene immobile X del valore di 20. Ciascuno dei figli è erede, per testamento, nella quota di 1/3. Poiché il testatore ha disposto un legato a favore di uno dei proprî eredi, che grava su tutta l’eredità (ossia su tutti gli eredi), non c’è dubbio che si tratti di un prelegato. Ciò significa che prima di dividere il relictum tra gli eredi, è necessario pre-dedurre il legato. Sempronio consegue, immediatamente e per effetto dell’apertura della successione, il bene X del valore di 20 portato nel legato. Il relictum da dividere tra gli eredi, essendosi pre-dedotto il bene legato sarà pari a 70 (90-20). Ciascun figlio, avendo diritto a 1/3 dell’eredità, ha diritto di conseguire beni per un valore pari a 23,33 (1/3 di 70). In definitiva, Caio consegue beni del relictum per un valore pari a 23,33, Mevio consegue beni del relictum per un valore pari a 23,33, mentre Sempronio consegue il bene X del valore di 20 a titolo di legato, piú beni del relictum, a titolo ereditario, per un valore pari 23,33. Sempronio consegue 43,33, ossia beni per un valore nettamente superiore a quelli ricevuti dagli altri due fratelli, nonostante siano stati tutti istituti eredi nella medesima quota. Questa diversità dipende proprio dal c.d. prelegato, il quale consente all’erede di conseguire un bene in aggiunta alla propria quota ereditaria. 

In caso di prelegato, l’erede-legittimario consegue un bene in aggiunta alla quota ereditaria. Occorre precisare che si tratta di una aggiunta, soltanto parziale, perché detto legato grava anche sullo stesso erede. Lo stralcio del bene dal relictum determina, infatti, pur nella semplicità della operazione compiuta, che, pro-quota il legato gravi anche sulla quota ereditaria del legittimario-erede[[17]]. In definitiva, in caso di prelegato, il bene si aggiunge alla quota ereditaria dell’erede-legittimario, al netto di quanto gravi sulla sua stessa quota ereditaria. Ovviamente, il riferimento al prelegato, rileva, esclusivamente, ai fini di cogliere il rapporto tra bene legato e quota ereditaria, mentre lascia impregiudicata ogni questione relativa al rapporto tra attribuzione patrimoniale legata e quota di riserva. 

Il prelegato potrebbe, infatti, essere disposto sia con dispensa da imputazione, sia con onere di imputazione[[18]]. Questo ulteriore profilo, fermo quanto già detto per il prelegato, sarebbe rilevante per verificare un’eventuale lesione del legittimario[[19]]. Nell’ipotesi di donatum consistente, potrebbe, infatti, darsi, nonostante il prelegato, una lesione dell’erede-legittimario, il quale potrebbe conseguire beni insufficienti a integrare la propria quota di riserva. 

S’immagini che Tizio lasci un relictum di 90, nessun debito e una donazione fatta in vita a favore di Calpurnia del valore di 90. Supponiamo che Tizio lasci dietro di sé un solo figlio, Sempronio e che la sua successione sia regolata da un testamento con il quale istituisce erede il figlio nella quota di 1/3, l’estraneo Caio nella quota di 2/3, legando al figlio, Sempronio, il bene immobile X del valore di 20 (si tratta di un prelegato, in quanto legato a favore dell’erede e a carico di tutta l’eredità). In questa ipotesi, Tizio acquista immediatamente il legato di 20. Sul restante relictum di 70, Sempronio consegue 23,33 (1/3 di 70), mentre l’estraneo Caio consegue 46,66 (2/3 di 70). In definitiva, Sempronio consegue il bene X del valore di 20 a titolo di legato, piú beni del relictum per un valore pari 23,33, per un totale complessivo di 43,33, mentre Caio consegue beni per un valore complessivo pari a 46,66. Come è facile intendere, trattandosi di un prelegato, il valore del bene legato si aggiunge alla quota ereditaria del legittimario-erede (con intesa che, in parte e pro quota, detto legato grava anche sullo stesso beneficiario). In base a questa valutazione si stabilisce, soltanto, il rapporto tra l’attribuzione patrimoniale legata e la quota ereditaria (non quota di legittima). In particolare, si verifica se il legato si aggiunga, o no, alla quota ereditaria e sulla quota ereditaria di chi esso debba gravare. 

Tutto ciò prescinde da ogni valutazione che abbia riguardo al rapporto tra attribuzione legata e quota di legittima. Al fine di accertare se il figlio Sempronio sia, o no, leso, e ai fini di stabilire se l’attribuzione legata si debba computare, o no, nella quota di legittima, occorre accertare se il legato sia con dispensa da imputazione o in conto di legittima. Nel caso di specie, ai sensi dell’art. 537, comma 1, c.c. al figlio, Sempronio, è riservata una quota di patrimonio pari a ½, in guisa che costui ha diritto di conseguire, a titolo di legittima, beni per un valore complessivo pari a 90 (1/2 di 90-0+90). Al fine di stabilire se Sempronio sia leso, è importante stabilire se si debba, o no, considerare quanto costui abbia ricevuto a titolo di legato e, dunque, se il prelegato sia stato disposto con dispensa da imputazione, oppure in conto di legittima. Se il prelegato fosse stato disposto con dispensa da imputazione, allora dovrebbe dirsi che Sempronio, che pure ha concretamente conseguito, per successione a causa di morte, beni per un valore pari a 43,33, si considera che ha conseguito a titolo di quota di legittima beni per un valore pari a 23,33 (non si deve considerare quanto ricevuto a titolo di legato). Poiché aveva diritto a conseguire beni per un valore pari a 90, egli è leso per 66,67. Diversamente, se il prelegato fosse stato disposto senza dispensa da imputazione (ossia con onere di imputazione e, dunque, in conto di legittima), allora dovrebbe dirsi che Sempronio, che pure ha concretamente conseguito, in forza di successione a causa di morte, beni per un valore 43,33, si considera che ha conseguito a titolo di quota di legittima beni per un valore pari a 43,33. In conseguenza, Sempronio risulta leso per 45,67. L’esempio serve per dimostrare la diversità dei problemi che pone il legato disposto a favore del legittimario, quando la sua attribuzione venga considerata in rapporto alla quota ereditaria (se si aggiunga, o no, alla quota ereditaria e su chi gravi il legato) e quando venga considerata in rapporto alla quota di legittima (se si aggiunga, o no, a quanto ricevuto a titolo di legittima). 


Legato in conto di legittima che non grava sul beneficiario 

Se il testatore volesse che quanto legato si aggiunga, per intero, alla quota ereditaria spettante all’erede-legittimario, allora dovrebbe stabilire che esso non debba gravare sul beneficiario. Il testatore potrebbe stabilire che esso gravi su alcuni soli eredi, con esclusione del beneficiario, oppure su un altro legatario. In una tale evenienza ricorre la seconda ipotesi che ho profilato: b) che il legato non gravi sul beneficiario[[20]]. Si tratta di un legato semplice, che si aggiunge, integralmente, alla quota ereditaria dell’erede-legittimario, e che grava sulla sola quota ereditaria di colui o di coloro su cui l’onere del legato è imposto. 

Anche al fine di comprendere la differenza di risultato rispetto al prelegato, si propone lo stesso esempio precedente. S’immagini che Tizio, muoia lasciando un relictum di 90, nessun debito, nessuna donazione. Si immagini che lasci dietro di sé tre figli, Caio, Mevio e Sempronio e che la sua successione sia regolata da un testamento con il quale istituisce eredi i proprî figli ciascuno nella quota di 1/3, legando a Sempronio il bene immobile X del valore di 20, che pone a esclusivo carico di Caio e Mevio. Ciascuno dei figli è erede, per testamento, nella quota di 1/3. Non trattandosi di prelegato occorre prima dividere la massa e poi sottrarre il valore del legato dalla quota dei soggetti a carico dei quali esso è stato posto. Il relictum di 90 va diviso tra i tre figli, in guisa che ciascuno consegue 30. Sulla quota di Caio e Mevio grava, però, il legato di 20, sicché tale legato grava sulle loro quote, in proporzione[[21]]. Ciascuno sopporterà il legato sulla propria quota per 10. In definitiva, Caio consegue beni del relictum per un valore pari a 20 (consegue 30, ma sopporta il legato per 10), Mevio consegue beni del relictum per un valore pari a 20 (consegue 30, ma sopporta il legato per 10), mentre Sempronio consegue il bene X del valore di 20 a titolo di legato, piú beni del relictum per un valore pari 30. Sempronio consegue 50. Rispetto al caso del prelegato, Sempronio consegue beni per un valore superiore (in questo caso consegue beni per 50, mentre in caso di prelegato avrebbe, complessivamente, conseguito beni per 46,66). Ciò dipende dal fatto che nel caso del prelegato, l’attribuzione patrimoniale grava anche sulla quota ereditaria del beneficiario, mentre nel caso di legato che non sia posto a carico del beneficiario (quindi a carico di uno o alcuni soli eredi o di un legatario), l’attribuzione patrimoniale si aggiunge, integralmente, alla quota ereditaria.

Ovviamente, anche nel caso di legato che non gravi sul beneficiario, se ci si pone nella prospettiva del legittimario, occorre stabilire (a prescindere dal rilievo che il legato si aggiunge alla quota ereditaria), se l’attribuzione si aggiunga, o no, alla quota di legittima e, dunque, quale sia il rapporto tra attribuzione legata e quota di riserva. Anche in questo caso il legato, che pure si aggiunge alla quota ereditaria, potrebbe, ai fini del calcolo delle quote di riserva, essere imputato alla legittima (legato in conto) o non imputato alla legittima. Ancóra, una volta si tratta di problemi diversi. Verificare se il legato sia con dispensa da imputazione o in conto di legittima diventa necessario al fine di accertare se il figlio Sempronio sia, o no, leso e se abbia, eventualmente titolo per agire con l’azione di riduzione[[22]]. Per contro stabilire su chi gravi il legato, serve per verificare se l’attribuzione patrimoniale portata dal legato si aggiunga o no alla quota ereditaria. 


Legato in conto di legittima che grava sul solo beneficiario 

Infine, se il testatore volesse che quanto legato non si aggiunga alla quota ereditaria spettante all’erede-legittimario, allora dovrebbe far gravare il legato proprio sulla quota dello stesso beneficiario. Ricorre la terza ipotesi che ho profilato: c) legato che grava sul beneficiario[[23]].

Il legato non costituisce una aggiunta alla quota ereditaria, ma un’attribuzione che vale proprio a concretizzare la quota ereditaria. In questo caso il legato non si aggiunge alla quota ereditaria[[24]], e ha come unico vantaggio di concretare con quel singolo bene la quota ereditaria spettante al legittimario[[25]]. 

Si propone lo stesso esempio già fatto, per comprendere la differenza del risultato. S’immagini che Tizio, muoia lasciando un relictum di 90, nessun debito, nessuna donazione. S’immagini che lasci dietro di sé tre figli, Caio, Mevio e Sempronio e che la sua successione sia regolata da un testamento con il quale istituisce eredi i proprî figli ciascuno nella quota di 1/3, legando a Sempronio il bene immobile X del valore di 20, che pone a esclusivo carico di Sempronio. Ciascuno dei figli è erede, per testamento nella quota di 1/3. Il relictum di 90 va diviso tra i tre figli, in guisa che ciascuno consegue 30. Sulla quota di Sempronio grava, però, il legato di 20. In definitiva, Caio consegue beni del relictum per un valore pari a 30, Mevio consegue beni del relictum per un valore pari a 30, Sempronio consegue beni del relictum per un valore pari a 30. Il legato disposto a favore di Sempronio è, però, a carico dello stesso Sempronio, sicché occorre sottrarre alla sua quota 20, per consentire l’attribuzione a titolo di legato. Ciò significa che Sempronio consegue il bene X del valore di 20 a titolo di legato, piú beni del relictum per un valore pari 10. Sempronio consegue, complessivamente beni per 30. Rispetto al caso del prelegato (Sempronio consegue 46,66) e del legato non a carico del beneficiario (Sempronio consegue 50), in caso di legato posto a carico del beneficiario, Sempronio consegue beni complessivi per un valore pari a 30. 

Nonostante sia stato disposto a favore di Sempronio un legato, costui non consegue piú di quanto gli spetti in ragione della quota ereditaria, proprio perché questo legato, che potremmo dire ordinato in quota ereditaria, non si aggiunge alla quota ereditaria, ma vale sostanzialmente a comporla. Ricorre questa ipotesi, che si potrebbe considerare alternativa rispetto a un’assegnazione divisionale qualificata[[26]], quando il testatore voglia, sostanzialmente, comporre la quota dell’erede con un certo bene e quando voglia che detto bene venga immediatamente acquistato dall’erede, anche a prescindere dall’accettazione dell’eredità[[27]]. 

Anche in questo caso, come già abbia detto con riguardo al prelegato e al legato non a carico del beneficiario, non v’ha dubbio che occorre accertare, ponendosi nella prospettiva del legittimario, se il legato (a prescindere dal rilievo che esso non si aggiunge alla quota ereditaria) si debba considerare, o no, ai fini del computo della quota di legittima, ossia se il valore del legato debba essere imputato alla legittima (legato in conto) oppure non si debba considerare ai fini del calcolo della legittima[[28]]. 

In questa ipotesi, si potrebbe pensare che il legato, proprio perché grava sulla quota del legittimario, sia nullo ai sensi dell’art. 549 c.c. Specie nel caso in cui il legittimario sia istituito erede nella sola quota di legittima, un eventuale legato, che gravasse integralmente sulla sua quota, sembrerebbe atteggiarsi a vero e proprio peso posto sulla legittima. Credo, però, che in questo caso tale soluzione non possa essere considerata condivisibile e che esistano ragioni per considerare valido detto legato. In primo luogo, va osservato che la funzione della norma di cui all’art. 549 c.c. è di evitare che siano apposti dei pesi sulla quota di legittima, che avvantaggino altri soggetti. Nel caso di specie, tale norma non assolverebbe alla sua funzione, dal momento che il peso che grava sulla quota di legittima, finisce, sostanzialmente, per avvantaggiare il solo legittimario sulla cui quota il legato grava. Se si affermasse la nullità del legato, non soltanto il legittimario non ne avrebbe alcun vantaggio, ma, addirittura, potrebbe risultare pregiudicato, perché non avrebbe acquistato il bene immediatamente, con la conseguenza che quel bene farebbe parte della comunione ereditaria e potrebbe non essere assegnato a quel legittimario. Sotto un diverso profilo, non è neppure detto che un peso che grava sulla quota legittima debba considerarsi sempre nullo, dacché la norma si limita a porre un divieto, con la conseguenza che sarebbe rimesso all’interprete di dover individuare il rimedio adeguato a realizzare l’interesse sotteso nel caso concreto, evitando di ricorrere alla nullità, quando si tratti di una conseguenza sproporzionata e irragionevole rispetto agli interessi coinvolti. Da ultimo, si consideri che, anche a voler accedere alla tesi della nullità, credo che si tratti di una conseguenza che opera non immediatamente, ma soltanto su eccezione della parte interessata, con la conseguenza che in difetto di una eventuale azione o eccezione da parte del soggetto nel cui interesse essa è posta, non si potrebbe, comunque, far valere la nullità. Con l’ulteriore vantaggio che sarebbe, integralmente, rimessa, alla scelta e alla valutazione della parte interessata se eccepire o no la eventuale nullità del peso posto sulla legittima, in modo da poter individuare la soluzione che nel caso concreto realizzi nel miglior modo l’interesse della persona. 


I sei possibili legati in conto di legittima 

Riassumendo, i legati disposti a favore dell’erede-legittimario possono gravare sull’intera eredità; su soggetti diversi dal beneficiario, esclusivamente sul beneficiario. Tale distinzione serve, soltanto, per stabilire il rapporto che si pone tra attribuzione legata e quota ereditaria, ossia per accertare se l’attribuzione oggetto del legato si aggiunga, o no, alla quota ereditaria spettante all’erede-legittimario e su chi debba gravare il predetto legato. Rimane inteso che tale distinzione è irrilevante ai fini di valutare se il legittimario risulti leso nella sua quota di legittima e, dunque, se ai fini del calcolo della quota di riserva si debba tenere in conto quanto l’erede-legittimario abbia ricevuto a titolo di legato. Al fine di risolvere questo problema, indipendentemente dal rilievo che si tratti di legato a carico di tutta l’eredità, o a carico di soggetti diversi dal beneficiario o a carico del solo beneficiario, occorre verificare se si tratti di legato con dispensa da imputazione o di legato in conto di legittima. Con intesa che il legato con dispensa da imputazione deve considerarsi attribuito in aggiunta rispetto alla quota di riserva, mentre il legato senza dispensa da imputazione deve considerarsi attribuito in conto della legittima. 

In definitiva, quando si discorre di legati disposti a favore dell’erede-legittimario, oltre al legato in sostituzione di legittima, potrebbero darsi, mescolando il profilo dell’imputazione alla legittima (legato con dispensa da imputazione e legato in conto di legittima) e il profilo del soggetto sui cui il legato debba gravare (legato a carico di tutta l’eredità, legato a carico di soggetti diversi dal beneficiario, legato a carico del beneficiario), si possono dare sei possibili ipotesi. 


La norma di cui all’art. 552 c.c.

Svolte queste considerazioni, è possibile accostarsi alla norma di cui all’art. 552 c.c., nella consapevolezza che la medesima, nonostante rechi una rubrica di cosí ampio tenore, ben lungi dal contenere la disciplina generale del legato in conto di legittima, si limita a dettare una regola di dettaglio e di contenuto assai specifico[[29]]. 

La norma in parola prescrive, infatti, la disciplina applicabile nel caso in cui l’erede-legittimario destinatario di un legato in conto di legittima (nulla si dice in merito al soggetto sui cui debba gravare il legato, potendosi, dunque, dare il caso sia di prelegato, sia di legato a carico di soggetti diversi dal beneficiario, sia di legato a carico del beneficiario) rinunzî all’eredità. 

Nella prima parte, in modo assai ovvio, stabilisce che il legittimario che rinunzi all’eredità può trattenere quanto abbia ricevuto dal defunto a titolo di legato o di donazione. Nella seconda parte stabilisce che se, per integrare la quota di legittima spettante ad altri legittimarî, sia necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni che non sarebbero state soggette a riduzione se il legittimario avesse accettato l’eredità e si riducono le donazioni o i legati fatti a quest’ultimo[[30]]. La norma prevede, dunque, una sorta di sanzione nei confronti del legittimario destinatario di un legato (o di una donazione), che non abbia accettato l’eredità, disponendo una deroga a suo sfavore sul criterio con il quale operare la riduzione. 

Occorre, però, fissare con esattezza quale sia il perimetro applicativo di questa ipotesi e quando, effettivamente, la mancata accettazione dell’eredità da parte del legittimario possa determinare la riduzione di disposizioni testamentarie o di donazioni, che non sarebbero state soggette a riduzione se il legittimario avesse accettato l’eredità. 

Secondo una diffusa chiave di lettura questa norma sarebbe destinata a operare in tutti i casi in cui un legittimario rinunzî all’eredità, sul presupposto che, per effetto di questa rinunzia, dovrebbero rideterminarsi le quote di legittima spettanti agli altri legittimarî in concorso con il rinunziante[31]. Si dice, anzi, che questa norma offrirebbe una precisa conferma normativa del principio di rideterminazione delle quote di legittima in caso di rinunzia all’eredità o rinunzia all’azione di riduzione da parte di un legittimario. Avvertendo che ragionando diversamente, questa norma non avrebbe alcuno spazio applicativo, dacché escludendo la possibilità di rideterminare le quote di legittima in caso di rinunzia all’eredità (o all’azione di riduzione) da parte di un legittimario, non si potrebbe mai dare una lesione di altri legittimarî. 

L’idea che la quota di legittima spettante ai legittimarî si debba determinare in esito a un’eventuale rinunzia all’eredità (o all’azione di riduzione) da parte dei legittimarî non è affatto condivisibile. Al fine di determinare quali siano i legittimarî e le quote di patrimonio loro riservate, occorre fare esclusivo riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione, essendo irrilevante la situazione che si viene a creare all’esito di eventuali rinunzie all’eredità o rinunzie all’azione di riduzione, o accettazione di un legato in sostituzione della legittima. Questa idea non soltanto è stata approvata dalle sezioni unite della Cassazione[32], ma è anche l’unica capace di offrire una lettura della disciplina di tutela dei legittimarî coerente ai princípi e ai valori normativi vigenti.

Movendo da questa premessa, occorre verificare se possa residuare una qualche applicazione di questa norma, ovvero se essa si debba considerare inefficace in un sistema ordinamentale che rifiuta l’idea di una rideterminazione delle quote di riserva. 

Autorevole dottrina[[33]] ha individuato uno spazio applicativo della norma di cui all’art. 552 c.c., anche a prescindere da una rideterminazione delle quote di legittima in caso di rinunzia all’eredità da parte del legittimario. In particolare, la norma di cui all’art. 552 c.c. sarebbe applicabile quando il legittimario, che rinunzi all’eredità, abbia ricevuto una donazione e costui sia tenuto a collazione. In caso di mancata accettazione, costui non sarebbe tenuto a collazione, alla quale, altrimenti, sarebbe obbligato[[34]].

Un esempio aiuta la comprensione del caso. 

S’immagini che Tizio muoia lasciando dietro di sé un coniuge, Caia, e due figli, Mevio e Sempronio, un relictum di 90, nessun debito, una donazione fatta a favore di Sempronio del valore di 90. S’immagini, ancóra, che la successione di Tizio sia regolata da un testamento con il quale ha istituito eredi il coniuge e i due figli ciascuno nella quota di 1/3, legando all’estranea Calpurnia il bene immobile X del valore di 30. Se tutti gli eredi accettassero l’eredità, ciascuno conseguirebbe sul relictum 20 (ciascuno avrebbe diritto a 1/3 del relictum, ossia a 30, ma su ciascuno graverebbe, per 1/3 il peso del legato, complessivamente pari a 30 e, dunque, per ciascuno pari a 10). Inoltre, poiché Sempronio sarebbe tenuto a collazione nei confronti degli altri eredi, ciascuno conseguirebbe parte del valore della donazione, in guisa che ciascuno conseguirebbe 30 (la donazione di 90, dovrebbe essere ripartita tra il donatario e i soggetti a favore del quale opera la collazione). Caia conseguirebbe, complessivamente, 50 (20 sul relictum e 30 per collazione); Mevio conseguirebbe, complessivamente, 50 (20 sul relictum e 30 per collazione); Sempronio conseguirebbe, complessivamente, 50 (20 sul relictum 30 a titolo di donazione, al netto di quanto dovuto agli altri per collazione). 

Occorre verificare se si dia una lesione della quota di legittima. A norma dell’art. 542, comma 2, c.c. al coniuge è riservata la quota di patrimonio di ¼, mentre ai figli è, complessivamente riservata la quota di patrimonio di ½, con la conseguenza che a ciascun figlio è riservata la quota di patrimonio di ¼. Ciascun legittimario ha diritto di conseguire beni per 45 (1/4 di 90-0+90). Non vi sarebbe la lesione di alcuno e non si dovrebbe procedere a riduzione. 

Immaginiamo, però, che Sempronio non accetti l’eredità; ipotesi che per questi sarebbe, astrattamente, piú vantaggiosa dal momento che non sarebbe tenuto a collazione. 

Il relictum dovrebbe essere diviso unicamente tra Caia e Mevio, con la conseguenza che le loro quote di eredità sarebbero non piú di 1/3, bensí di ½ ciascuno. Caia conseguirebbe 30 sul relictum, a titolo di erede (consegue 45, ma sulla sua quota grava proporzionalmente il legato disposto a favore di Calpurnia); Mevio conseguirebbe 30 sul relictum, a titolo di erede (consegue 45, ma sulla sua quota grava proporzionalmente il legato disposto a favore di Calpurnia); Sempronio conseguirebbe 90 a titolo di donazione. 

In questo caso, sia Caia sia Mevio sarebbero lesi; ciascuno aveva diritto di conseguire beni per 45, mentre ha conseguito beni per 30, sicché ciascuno è leso per 15. Costoro, secondo le norme sulla riduzione delle disposizioni lesive, dovrebbero agire, dapprima, sulle disposizioni testamentarie lesive e, dunque, nel caso in parola, sul legato disposto a favore di Calpurnia. Poiché ciascuno deve conseguire 15 e, complessivamente, debbono conseguire 30, il legato disposto a favore di Calpurnia andrebbe integralmente ridotto. 

In questo esempio è facile intendere che se Sempronio (erede-legittimario) non rinunzia all’eredità non si procede alla riduzione del legato, diversamente se Sempronio rinunziasse all’eredità, si dovrebbe procedere alla riduzione del legato. Ossia alla riduzione di una disposizione testamentaria che non sarebbe soggetta a riduzione nell’ipotesi in cui Sempronio accettasse l’eredità.

In questo caso, sembrerebbe operare la norma di cui all’art. 552 c.c., la quale stabilisce che il legittimario che rinunzia all’eredità può trattenere quanto ricevuto dal defunto a titolo di donazione o di legato, con avvertimento che si procede alla riduzione delle disposizioni a lui fatte se, per effetto della sua rinunzia, dovessero ridursi disposizioni, che altrimenti sarebbero fatte salve.

Nel caso di specie, la norma di cui all’art. 552 c.c. servirebbe per derogare le regole poste dagli artt. 554 e 555 c.c. in quanto consentirebbe di ridurre, in via preferenziale, le disposizioni fatte a favore del legittimario che abbia rinunziato all’eredità.

Nel caso di specie, Caia e Mevio dovrebbero agire in riduzione non già contro la legataria Calpurnia, bensí contro lo stesso Sempronio, aggredendo, prioritariamente, una donazione e non la disposizione testamentaria[[35]]. 

In questo senso si spiegherebbe il funzionamento della norma di cui all’art. 552 c.c., che, in ogni caso, sarebbe destinata a un’applicazione assai limitata e, sotto un certo profilo, si potrebbe dire, anche di scuola. 

Sotto un diverso profilo deve osservarsi che non è neppure certo che, in un caso come quello sopra prospettato, i legittimarî debbano prima ridurre la donazione e non la disposizione testamentaria. Tale risultato, infatti, sarebbe necessario, se davvero dovessimo escludere una lesione degli altri legittimarî in caso di accettazione dell’eredità da parte del legittimario che ha ricevuto la donazione. Nel caso che abbiamo profilato, abbiamo escluso che i legittimarî Caia e Mevio debbano agire in riduzione, perché a loro favore opererebbe la collazione. 

Rimane, però, da verificare se si debba prima procedere a collazione e poi a riduzione, oppure prima a riduzione e poi a collazione; ossia se esista una priorità logica della riduzione o della collazione[[36]]. Se, come credo, si debba dare una priorità logica della riduzione sulla collazione[[37]], nel caso di specie, pur in presenza di un’accettazione dell’eredità da parte di Sempronio, Caia e Mevio, prima di cercare di recuperare una parte della donazione fatta dal defunto a Sempronio, dovrebbero agire in riduzione, dacché si dovrebbe dare la priorità logica della riduzione sulla collazione. 

Se cosí fosse, costoro dovrebbero agire in riduzione integrale del legato e, successivamente, ottenere la collazione. A ragionare cosí, non vi sarebbe, però, la possibilità di applicare la norma di cui all’art. 552 c.c., la quale dimostrerebbe di essere stata progettata per un sistema nel quale era plausibile una rideterminazione delle quote di riserva in caso di rinunzia all’eredità, ma che risulta, sostanzialmente, inapplicabile e inutile in un sistema che, in conformità ai princípi e ai valori normativi vigenti, escluda che si debba procedere a una rideterminazione della quota di riserva in caso di rinunzia all’eredità da parte dell’erede-legittimario[[38]].


[1] Per tutti, A. CICU, Legato in conto o sostituzione di legittima e usufrutto del coniuge superstite, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, 277 ss., il quale precisa, sebbene non si possa trascurare nella comprensione del pensiero dell’A. la sua idea di quota di riserva e quota di legittima (su cui v. nota 6), che occorre tenere distinti i due profili. «il non distinguere le due quote, porta la dottrina a vedere i nomi donazione o legato fatto al legittimario, donazione o legato fatto un conto del diritto che la legge gli attribuisce». 

[2] L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu e Messineo, XLIII, 2, 4a ed., Milano, 2000, 66; N. VIRGILIO, I legati in favore dei legittimari, in VOLPE (a cura di), La successione dei legittimari, Milano, 2017, 118; N. VIRGILIO – F. DAL RI, Il (pre)legato in conto di quota ereditaria: analisi del rapporto giuridico unisoggettivo, in Riv. not., 2013, 323. 

[3] G. SCHIAVONE, Le disposizioni testamentarie dirette ai legittimari, Milano, 2012, 145 ss., «giova tenere distinti, in primo luogo, il concetto di imputazione alla quota ai fini della divisione ereditaria e quello di imputazione alla legittima nel senso di cui agli artt. 553 564, cpv., c.c., giacché quest’ultima non necessariamente implica conferimento alla massa dividenda; il che equivale a dire che l’imputazione alla quota di un’attribuzione non è incompatibile con il concetto di prelegato». 

[4] Secondo L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 137, legato in conto e preterizione sarebbero concetti incompatibili, in quanto il legato in conto presuppone necessariamente la vocazione ereditaria. Tale osservazione può essere condivisibile nella misura in cui si affermi che la imputazione presuppone che il soggetto acquisti la qualità di erede, ma non nel senso che il legittimario deve, di necessità essere chiamato alla successione per legge o per testamento. L’esempio proposto nel testo credo che serva a dimostrare questo assunto. Non v’ha dubbio che il concetto di legato in conto rileva nel momento in cui si faccia questione di successione nella quota di riserva. Se pure il legittimario destinatario del legato fosse preterito non per questo si esclude la rilevanza del concetto del legato in conto. Il legittimario preterito che agisce in riduzione (ove pure fosse preterito), dovrebbe imputare quanto ricevuto a titolo di legato alla quota di legittima, con la conseguenza che avrebbe diritto di conseguire beni per un valore pari alla differenza tra la quota di legittima e quanto ricevuto a titolo di legato. 

[5] La norma di cui all’art. 564, comma 2 c.c. statuisce che la dispensa da imputazione debba essere “espressa”, diversamente dalla norma di cui all’art. 737, comma 1, c.c. che non richiede per la dispensa da collazione che l’erede sia dispensato espressamente. In ragione di ciò si dice che mentre la dispensa da collazione (si v. V. BARBA, La dispensa da collazione, in Dir. succ. fam., 2016, 1 ss.) può risultare anche implicitamente, la dispensa da imputazione non può essere desunta in via implicita. 

[6] La dispensa da imputazione si traduce in un vantaggio per il legittimario, sicché è difficile pensare che il testatore, che ha escluso dalla successione quel legittimario, rendendolo destinatario del solo legato, lo abbia inteso avvantaggiare. 

[7] G. IUDICA, Il legato in conto di legittima, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, III, cit., 300 ss., G. IUDICA, Il legato in conto di legittima nel sistema dei legati in favore del legittimario, in Familia, 2003, 296 ss., discorre, per questa ragione, di legato imputabile ai fini della riduzione. N. VIRGILIO, I legati in favore dei legittimari, cit., 114, precisa che la qualificazione di legato in conto di legittima «rileva nella misura in cui il legittimario venga alla successione come tale: solo in caso di successione nella legittima, può tecnicamente parlarsi di imputazione ad essa di un’attribuzione determinata». 

[8] Sto prospettando l’ipotesi che il legittimario abbia accettato il legato. Rimane ovvio che il legittimario può rifiutare il legato, chiedere l’accertamento della sua qualità di erede e conseguire beni ereditarî per un valore corrispondente alla sua quota di legittima. 

[9] Precisa N. VIRGILIO, I legati in favore dei legittimari, cit., 119, «diviene in tal modo meno teorica e maggiormente percepibile la rilevanza dell’indagine innanzi svolta sull’uso delle locuzioni “in conto di legittima” e “imputabile fini della riduzione”. Il legato in favore del legittimario è naturaliter una disposizione imputabile ai fini della riduzione. È (rectius diviene) in conto di legittima nell’ipotesi di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione o quando vi sia un’espressa volontà testamentaria diretta connotare in tal senso l’attribuzione patrimoniale». 

[10] Secondo L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 135 ss., nei rapporti tra coeredi l’imputazione delle liberalità in conto assume una funzione di concretamente della quota riservata soltanto nel caso in cui il legittimario viene alla successione quale mero legittimario. Ciò accade in tre ipotesi: a) quando il de cuius dopo aver disposto un legato o una donazione a favore del legittimario istituisce erede nella disponibile un estraneo (va tuttavia precisato che in questa ipotesi proposta dall’A. non è chiaro chi sia l’erede nella quota di riserva. In assenza di una precisa volontà si dovrebbe aprire la successione legittima e, in conseguenza il legittimario, già destinatario della donazione o del legato sarebbe anche erede nella quota di legittima); b) quando il de cuius dopo aver disposto un legato o una donazione a favore del legittimario pretermette o esclude dalla successione il legittimario; c) quando la quota in cui il legittimario è stato istituito erede gli consente di conseguire beni per un valore inferiore rispetto alla quota di legittima. Credo, tuttavia che il discorso potrebbe essere semplificato, limitandosi a constatare che occorre distinguere il problema del rapporto tra attribuzione patrimoniale e quota di eredità e quello del rapporto tra attribuzione patrimoniale e quota di riserva. 

[11] Se il legato disposto a favore di Sempronio fosse stato del valore di 30, Sempronio non avrebbe potuto agire in riduzione, dacché non si sarebbe potuto considerare, neppure, leso, dal momento che avrebbe ricevuto, seppure a titolo particolare, beni per un valore esattamente corrispondente alla quota di patrimonio che l’ordinamento gli riserva. 

[12] Precisa L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 130 ss., che l’onere della imputazione prescinde dalla impugnativa di disposizioni testamentarie lesive. «A essa si deve far luogo anche in casi in cui non si pone una questione di riduzione: ad esempio, per conoscere in quale misura sia privo di effetto, ai sensi dell’art. 549, un peso imposto all’istituzione del legittimario in una quota di eredità. Il caso piú importante è previsto dall’articolo 553 in riferimento al concorso, nella successione intestata, di successibili legittimari con altri successibili».

[13] Si tratta di una questione che riguarda, piú in generale, i casi di legati disposti a favore di un erede, anche se costui non sia legittimario. 

[14] Negli esempi precedenti e quando si abbia riguardo al rapporto del legato con la quota di riserva non si pone il problema del soggetto su cui grava il legato, dacché la quota di legittima, essendo una quota ideale, che si limita a esprimere il valore minimo che la legge riserva ai legittimari, non pone questo tipo di problema, dovendosi soltanto stabilire se quanto ricevuto a titolo di legato debba, o no, sottrarsi a quanto al legittimario abbia diritto di pretendere a titolo di legittima. 

[15] La norma di cui all’art. 662, comma 1, c.c. stabilisce, infatti, che il testatore può stabilire su chi debba gravare il legato, con intesa che quando il testatore non abbia disposto alcunché, tutti gli eredi sono tenuti alla prestazione e, dunque, il legato grava su tutti gli eredi. 

[16] Si v. V. BARBA, Il prelegato, in AA.VV., Le disposizioni testamentarie diretto da G. Bonilini e coordinato da V. Barba, Torino, 2012, 889 ss.; F. GERBO, Prelegato e funzione del contenuto testamentario, Padova, 1996, 1 ss.; G. BONILINI, Dei legati, in Cod. civ. Commentario Schlesinger, 2a ed., Milano, 2006, 373 ss.

[17] Potrebbe ragionarsi anche nel modo che segue. Il relictum, pari a 90, va diviso tra gli eredi in proporzione alle loro quote ereditarie. Nel caso di specie sono eredi i tre figli di Tizio, Caio, Sempronio e Mevio, ciascuno nella quota di 1/3. Ciascuno ha diritto di conseguire 1/3 del relictum e, dunque, ha diritto di conseguire 30. Caio consegue sul relictum beni per 30, Sempronio consegue sul relictum beni per 30 e Mevio consegue sul relictum beni per 30. Una volta che tutti gli eredi abbiano conseguito i beni, occorre stabilire su chi grava il legato. Nel caso di specie, trattandosi di prelegato, esso grava su tutti gli eredi, in proporzione della loro quota. Il legato pari a 20 deve gravare per 1/3 sulla quota di Caio, per 1/3 sulla quota di Mevio e per 1/3 anche sulla quota di Sempronio. Ciò significa che ciascuno degli eredi deve perdere sul relictum un valore pari a 6,66 (1/3 di 20), in modo da consentire a Sempronio di conseguire 20. La quota di 30, spettante a ciascun erede si riduce a 23,33 (30-6,66), sicché in definitiva ciascun erede consegue sul relictum beni per un valore pari a 23,33, mentre Sempronio consegue anche 20 a titolo di legato. In questo esempio è chiaro che il legato di 20 grava, in proporzione anche sulla quota di Sempronio. Si capisce, chiaramente, che il prelegato costituisce per il legatario un’aggiunta rispetto a quanto costui consegue a titolo di erede, con intesa che si tratta di una aggiunta al netto di quanto non debba gravare sulla quota spettante sullo stesso legatario. Ovviamente, se il legato gravasse soltanto sugli altri eredi (o su Caio e Mevio o su uno soltanto di loro; se, dunque, non gravasse sul beneficiario) si tratterebbe di una aggiunta integrale rispetto alla quota ereditaria. 

[18] G. IUDICA, Il legato in conto di legittima, cit., 290 ss., il quale precisa che la circostanza che il beneficiario sia un legittimario non preclude l’applicazione delle norme di cui all’art. 661 e 662 c.c. A pagina 291 ss., precisa: «in assenza di contrarie indicazioni del testatore … il legato in favore del coerede legittimario è un semplice prelegato, che, in sede di successione necessaria, esplica diversi effetti in ordine alla determinazione dell’an e del quantum della lesione della legittima, a seconda che il de cuius abbia o meno espressamente provveduto alla dispensa dall’imputazione». L’A. riprende questa idea a pagina 300 ss., in cui precisa che la mancata chiarezza è di ostacolo alla comprensione dei rapporti tra prelegato e legato ordinato in conto della quota riservata. 

[19] N. VIRGILIO, I legati in favore dei legittimari, cit., 116 ss., «legato in conto di legittima e prelegato non sono incompatibili nella misura in cui il primo si riferisce alla quota di legittima, mentre il secondo grava sull’eredità. Fin quando non vi sia “conversione” della quota di legittima in quota di eredità, a seguito della successione nella legittima, la disposizione a titolo particolare costituisce un’aggiunta rispetto alla quota ereditaria». Per questa ragione l’A. reputa piú efficace discorrere di legato imputabile ai fini della riduzione. Nello stesso senso, N. VIRGILIO – F. DAL RI, Il (pre)legato in conto di quota ereditaria …, cit., 320. 

[20] L’ipotesi non mi pare presa in considerazione nell’ampio lavoro di G. IUDICA, Il legato in conto di legittima, cit., 287 ss., che, pure, propone una delle piú efficaci ricostruzioni dei legati disposti a favore del legittimario e neppure nel lavoro di N. VIRGILIO – F. DAL RI, Il (pre)legato in conto di quota ereditaria …, cit., 309 ss. 

[21] Al fine di stabilire in che misura ciascuno sopporta il peso del legato, sarà necessario fare il seguente calcolo. Chiamiamo: D il debito o il legato; Qc la quota di eredità di Caio; Qm la quota di eredità di Mevio; Xc la misura in cui Caio deve sopportare il debito o legato in proporzione alla sua quota; Xm la misura in cui Mevio deve sopportare il debito o legato in proporzione alla sua quota. Impongo che D: Xc = (Qc+Qm): Qc, per cui ricavo che Xc = . Ossia Xc =  =  = . In conseguenza chiamando D il debito o il legato; Xn la misura in cui l’erede n deve contribuire al pagamento dei debiti e Qn la quota ereditaria dell’erede n; Qn1, la quota ereditaria dell’erede n1 e via discorrendo, si impone la seguente proporzione D:Xn=(Qn+ Qn1+ Qnx):Qn. Da cui Xn =.

[22] Si propone lo stesso esempio fatto in caso di prelegato. S’immagini che Tizio lasci un relictum di 90, nessun debito e una donazione fatta in vita a favore di Calpurnia del valore di 90. Supponiamo che Tizio lasci dietro di sé un solo figlio, Sempronio e che la sua successione sia regolata da un testamento con il quale istituisce erede il figlio nella quota di 1/3, l’estraneo Caio nella quota di 2/3, legando al figlio, Sempronio, il bene immobile X del valore di 20 e ponendo il legato a carico di Caio. Il relictum di 90 va diviso tra i due eredi in proporzione delle loro quote: Sempronio consegue 30, mentre Caio consegue 60. Poiché il legato grava sulla sola quota di Caio, soltanto da essa si deve dedurre quanto necessario per consentire a Sempronio di conseguire il legato. In definitiva, Sempronio consegue il bene X del valore di 20 a titolo di legato, piú beni del relictum per un valore pari 30, per un totale complessivo di 50, mentre Caio consegue beni per un valore complessivo pari a 40 (60 di relictum – 20 di legato che grava sulla sua quota). Come è facile intendere, il valore del bene legato si aggiunge, integralmente, alla quota ereditaria del legittimario-erede. In base a questa valutazione si valuta soltanto il rapporto tra l’attribuzione patrimoniale legata e la quota ereditaria (in particolare se si aggiunga, o no, alla quota ereditaria e su chi grava il legato). Tutto ciò prescinde da ogni valutazione che abbia riguardo al rapporto tra attribuzione legata e quota di legittima. Al fine di accertare se il figlio Sempronio sia, o no, leso, e ai fini di stabilire se l’attribuzione legata si debba computare, o no, nella quota di legittima, occorre accertare se il legato sia con dispensa da imputazione o in conto di legittima. Nel caso di specie, ai sensi dell’art. 537, comma 1, c.c. al figlio Sempronio è riservata una quota di patrimonio pari a ½, in guisa che costui ha diritto di conseguire, a titolo di legittima, beni per un valore complessivo pari a 90 (1/2 di 90-0+90). Al fine di stabilire se Sempronio sia leso è importante stabilire se si debba, o no, considerare quanto costui abbia ricevuto a titolo di legato e, dunque, se il bene prelegato sia con dispensa da imputazione o in conto di legittima. Se il prelegato fosse stato disposto con dispensa da imputazione, allora dovrebbe dirsi che Sempronio, che pure ha concretamente conseguito, a titolo ereditario, beni per un valore 50, si considera che ha conseguito a titolo di quota di legittima beni per un valore pari a 30. Poiché aveva diritto a conseguire beni per un valore pari a 90, egli è leso per 60. Diversamente, se il prelegato fosse stato disposto senza dispensa da imputazione (ossia con onere di imputazione e, dunque, in conto di legittima), allora dovrebbe dirsi che Sempronio, che pure ha concretamente conseguito, a titolo ereditario, beni per un valore 50, si considera che ha conseguito a titolo di quota di legittima beni per un valore pari a 50. In conseguenza, Sempronio risulta leso per 40.

[23] Questa ipotesi è detta «legato ordinato in conto di quota ereditaria», sulla quale si v. G. IUDICA, Il legato in conto di legittima, cit., 293; V. N. VIRGILIO – F. DAL RI, Il (pre)legato in conto di quota ereditaria …, cit., 352.

[24] In ragione del fatto che il legato grava, esclusivamente sul beneficiario N. VIRGILIO – F. DAL RI, Il (pre)legato in conto di quota ereditaria …, cit., 344 ss. discorrono di rapporto unisoggettivo. Nella prospettiva che mi sento di condividere, secondo cui il rapporto giuridico in termini di struttura non è altro che un rapporto tra situazioni giuridiche correlate, non v’ha dubbio che si pone alcun problema, dal momento che il soggetto solleva un problema di titolarità, ma mai di configurabilità del rapporto. Sul punto, per tutti, P. PERLINGIERI – P. FEMIA, Nozioni introduttive e princípi fondamentali del diritto civile, 2a ed., Napoli, 2004, 113 ss. 

[25] Mi sentirei di escludere che si possa discorrere di concretamente della quota di riserva. La quota di riserva indica, infatti, il quantum in termini di valore che il legittimario ha diritto di conseguire. Mi pare, invece, che il legato assuma una funzione di concretamente della quota ereditaria. Ciò, ove pure il testatore avesse istituito il legittimario erede nella quota di riserva. Tale istituzione non vale a determinare una coincidenza precisa, dacché essa occorre soltanto in assenza di donatum. Ma ove pure in assenza di donatum, vi sia una coincidenza tra quota di legittima e quota di eredità (perché il testatore ha istituito il legittimario erede nella sola quota di riserva), è sempre bene distinguere, da un punto di vista logico, la quota di eredità dalla quota di legittima. 

[26] G. IUDICA, Il legato in conto di legittima, cit., 293. 

[27] Se il testatore avesse scelto di fare un assegno divisionale qualificato (cfr. art. 734 c.c.), il destinatario avrebbe conseguito il bene assegnato soltanto se avesse accettato l’eredità. Se il chiamato rinunzia all’eredità, non consegue neppure il bene oggetto dell’assegno divisionale qualificato. Diversamente, in caso di legato ordinato in quota ereditaria, il chiamato consegue quanto attribuito a titolo di legato (salvo rifiuto), anche nel caso in cui decidesse di rinunziare all’eredità. Si v. N. VIRGILIO – F. DAL RI, Il (pre)legato in conto di quota ereditaria …, cit., 327-330. Gli AA. in conclusione del lavoro affermano «unicamente in tal senso si può parlare di legato divisionis causa: pur mantenendo ferme natura, alterità ed entità delle delazioni, tale disposizione sembra atteggiarsi, ove ricorra pluralità di eredi ed unicamente rapporti interni a questi, quale ha posizionamento divisionale, di cui condivide raggiungere taluni effetti pratici». Diverso, ancóra, sarebbe stato se il testatore avesse fatto una istituzione ex re certa, dal momento, che il bene o il complesso di beni attribuito in funzione di quota, pur essendo immediatamente assegnato al beneficiario, che lo acquista, in esito all’accettazione dell’eredità, cade in comunione ereditaria. Precisa G. SCHIAVONE, Le disposizioni testamentarie dirette ai legittimari, cit., 79, «mentre i beni assegnati funzione di quota cadono nella comunione ereditaria, e perciò sono compresi nella stessa secondo il loro valore al tempo della divisione, i beni attribuiti a titolo di legato in conto non cadono in comunione e sono imputati alla quota del legatario secondo il loro valore al tempo dell’aperta successione, quando cioè effettivamente avviene l’acquisto». 

[28] Per comprendere il problema si propone lo stesso esempio fatto sia in caso di prelegato sia in caso di legato non a carico del beneficiario. S’immagini che Tizio lasci un relictum di 90, nessun debito e una donazione fatta in vita a favore di Calpurnia del valore di 90. Supponiamo che Tizio lasci dietro di sé un solo figlio, Sempronio e che la sua successione sia regolata da un testamento con il quale istituisce erede il figlio nella quota di 1/3, l’estraneo Caio nella quota di 2/3, legando al figlio, Sempronio, il bene immobile X del valore di 20 e ponendo il legato a carico di Sempronio. Il relictum di 90 va diviso tra i due eredi in proporzione delle loro quote: Sempronio consegue 30, mentre Caio consegue 60. Poiché il legato grava sulla sola quota di Sempronio, quanto necessario per conseguire il legato si toglie proprio dalla sua quota. In definitiva, Sempronio consegue il bene X del valore di 20 a titolo di legato, piú beni del relictum per un valore pari 10 (30 di relictum – 20 di legato che grava sulla sua quota), per un totale complessivo di 30, mentre Caio consegue beni per un valore complessivo pari a 60. Come è facile intendere, il valore del bene legato non si aggiunge, ma compone, la quota ereditaria del legittimario-erede. In base a questa valutazione si valuta soltanto il rapporto tra l’attribuzione patrimoniale legata e la quota ereditaria (in particolare se si aggiunga, o no, alla quota ereditaria e su chi grava il legato). Tutto ciò prescinde da ogni valutazione che abbia riguardo al rapporto tra attribuzione legata e quota di legittima. Al fine di accertare se il figlio Sempronio sia, o no, leso, e ai fini di stabilire se l’attribuzione legata si debba computare, o no, nella quota di legittima, occorre accertare se il legato sia con dispensa da imputazione o in conto di legittima. Nel caso di specie, ai sensi dell’art. 537, comma 1, c.c. al figlio Sempronio è riservata una quota di patrimonio pari a ½, in guisa che costui ha diritto di conseguire, a titolo di legittima, beni per un valore complessivo pari a 90 (1/2 di 90-0+90). Al fine di stabilire se Sempronio sia leso è importante stabilire se si debba o no considerare quanto abbia ricevuto a titolo di legato e, dunque, se il bene prelegato sia con dispensa da imputazione o in conto di legittima. Se il prelegato fosse stato disposto con dispensa da imputazione, allora dovrebbe dirsi che Sempronio, che pure ha concretamente conseguito, a titolo ereditario, beni per un valore 30, si considera che ha conseguito a titolo di quota di legittima beni per un valore pari a 10. Poiché aveva diritto a conseguire beni per un valore pari a 90, egli è leso per 80. Diversamente, se il prelegato fosse stato disposto senza dispensa da imputazione (ossia con onere di imputazione e, dunque, in conto di legittima), allora dovrebbe dirsi che Sempronio, che pure ha concretamente conseguito, a titolo ereditario, beni per un valore 30, si considera che ha conseguito a titolo di quota di legittima beni per un valore pari a 30. In conseguenza, Sempronio risulta leso per 60.

[29] L. FERRI, Dei legittimari, Art. 536-564, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, 2a ed., Bologna-Roma, 1981, 140. 

[30] Secondo L. FERRI, Dei legittimari, cit., 129, la regola secondo cui il legittimario che rinunzia all’eredità può trattenere quanto gli è stato legato, imputando l’attribuzione alla quota disponibile non è condivisibile. Sarebbe stato opportuno porre una regola analoga a quella disposta in caso di legato in sostituzione di legittima. «Sarebbe stato pertanto piú conforme a buon senso che anche il legato in conto, conseguito dal legittimario che ha rinunciato all’eredità, dovesse gravare sull’indisponibile. Contro questa soluzione ha agito, ripeto, il pregiudizio teorico che la legittima sia quota di eredità e non possa essere conseguita che da chi sia erede; pregiudizio che non ha invece operato per il legato sostitutivo, ove si stabilisce che il legato vada a calcolato sulla legittima e pertanto si ammette che il legittimario, anche se non erede, consegua ugualmente la legittima o, il che è lo stesso, dei beni che vanno questa imputati». 

[31] Cosí, L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 148; G. AZZARITI, Successione dei legittimari e successioni dei legittimi, cit., 150 ss.; G. IUDICA, Il legato in conto di legittima, cit., 305 ss.; G. MARINARO, La successione necessaria, cit., 236 ss.; G. SCHIAVONE, Le disposizioni testamentarie dirette ai legittimari, cit., 155 ss. Precisa L. FERRI, Dei legittimari, cit., 141, che «il legato in conto viene considerato alla stregua di legato fatto ad un estraneo e il legittimario stesso un estraneo e ciò non solo agli effetti della imputazione del legato alla disponibile, ma anche per le conseguenze riguardanti gli eventuali altri legittimari cui si accrescerà la quota del rinunciante, il quale inoltre non farà numero agli effetti della determinazione della legittima complessiva».

Si segnala anche la posizione di P. CASALI, Art. 552, in Comm. c.c. Gabrielli, Delle successioni, Artt. 456-564, cit., 630 ss., 633 ss., secondo cui la norma troverebbe applicazione soltanto nel caso di rinunzia all’eredità, dal momento che soltanto in questo caso si avrebbe una rideterminazione delle quote di legittima, mentre non si avrebbe alcun ricalcolo nel caso di rinunzia all’azione di riduzione

[32] Cass., sez. un., 9 giugno 2006, n. 13429, in Riv. dir. civ., 2008, 211, con nota adesiva di C.M. BIANCA, Invariabilità delle quote di legittima; in Fam. pers. succ., 2008, 796, con nota di M. GRANDI, Conseguenze applicative in tema di legati ai legittimari, delle «sentenze gemelle» a sezioni unite del 9 e 12 giugno 2006; in Nuova giur. civ., 2007, 736, con nota di E. DE BELVIS, Mancato esercizio dell’azione di riduzione ed espansione della quota di riserva; in Giur. it., 2007, 1116, con nota di F. PUGLIESE, Criteri per il calcolo della quota di legittima. Cass., sez. un., 12 giugno 2006, n. 13524, in Notariato, 2006, 671, con nota di F. LOFFREDO, La determinazione della quota di riserva spettante ai legittimari nel caso in cui uno di essi rinunzi all’eredità ovvero perda, per rinunzia o prescrizione, il diritto di esperire l’azione di riduzione; in Corr. giur., 2006, 1713 ss., con nota di U. STEFINI, Determinazione della quota di riserva in presenza di legittimari rinunzianti all’azione di riduzione; in Fam. pers. e succ., 2008, 796, con nota di M. GRANDI, cit., 796 ss. 

[33] C.M. BIANCA, Invariabilità delle quote di legittima, cit., 219 ss.

[34] N. VIRGILIO, I legati in favore dei legittimari, cit., 113. 

[35] In questo senso per tutti, con chiarezza, C.M. BIANCA, Invariabilità delle quote di legittima, cit., 219 ss. 

[36] Si v. V. BARBA, Tutela dei legittimarî, quota di patrimonio e quota di eredità, riduzione e collazione, in Dir. succ. fam., 2017, 699 ss. 

[37] In senso contrario, C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, 3a ed., Milano, 2001, 607. 

[38] Ragionando cosí verrebbe superata anche l’apparente disparità di trattamento che sembra esistere tra il caso di legato in sostituzione di legittima e legato in conto di legittima, quando il legittimario rinunzi all’eredità. Su questa apparente disparità di trattamento, V.E. CANTELMO, I limiti alla libertà di disporre, cit., 531, il quale osserva «il legittimario che rinunzia all'eredità per trattenersi una donazione o un legato in conto di legittima è sottoposto ad una disciplina diversa rispetto al legittimario tacitato con legato sostitutivo. A quest’ultimo l’art. 551, con la disposizione del comma 2, consente di cumulare la legittima con la disponibile: alla prima invece l’art. 552 non solo chiede il cumulo, ma nemmeno consente di trattenere la liberalità sulla disponibile secondo le regole generali».