Giuffré Editore

Liberalità indirette: tipologie e rilevanza fiscale

Giampiero Petteruti

Notaio in Castelnuovo di Garfagnana



Il tema delle liberalità indirette continua ad essere di attualità, sia in dipendenza di imminenti novità normative di carattere tributario, sia in relazione all’evoluzione dell’interpretazione giurisprudenziale.

L’odierna trattazione si collega a quella fatta al convegno tenutosi qui a Bologna il 26 maggio 2017 che guardò: 

a)   al collegamento con atti immobiliari che, pur ricadendo in ambito Iva, siano esenti da tale imposta; 

  1. al collegamento con atti immobiliari soggetti ad imposta fissa di registro, oppure esenti da detta imposta, in dipendenza di trattamento agevolativo, e delle conseguenze della successiva decadenza comportante tassazione proporzionale, capace di realizzare ex post le condizioni per l’esclusione da imposta; 
  2. al collegamento con atti soggetti ad imposta di registro proporzionale oppure Iva, ma aventi per oggetto beni diversi da immobili e aziende.

In quella occasione era da poco venuta alla luce la sentenza della Cassazione n. 13133 del 24 giugno 2016, secondo la quale l’esclusione dall’imposta ex art. 1 comma 4-bis del TUS sarebbe applicabile alle sole fattispecie di liberalità emergenti in atti contenenti l’esplicitazione del collegamento, così tagliando fuori dall'esclusione tutte le fattispecie silenti.

Passati otto anni, sono sopravvenute molte novità che muovono a riportare l’attenzione su ciò che preme agli operatori pratici. Operatori pratici che, nel prestare il loro consiglio, devono necessariamente abbracciare sia i profili di carattere civilistico, sia quelli strettamente fiscali, per cui appare utile analizzare l’evoluzione dottrinaria, giurisprudenziale e fiscale, su tre fronti:

a)   quello dell’impatto di tali fenomeni sulla futura circolazione dei beni donati indirettamente, 

b)   quello delle conseguenze tributarie dell’ingresso di tali beni nelle divisioni ereditarie mediante la collazione in natura  

c)    quello della perimetrazione della tassabilità delle liberalità indiretta a seconda che risultino da atti soggetti a registrazione oppure da confessione nell’ambito di accertamenti di altri tributi.

Si premette un ennesimo cenno all'ampia gamma delle liberalità indirette, di per sé indefinita ed in continuo incremento, di cui particolare interesse mostrano le intestazioni a nome altrui di beni e rapporti contrattuali, la rinunzia a scopo di arricchimento altrui, i fenomeni endo-coniugali per ampliare o ridurre l'oggetto della comunione legale, le co-intestazioni di strumenti di investimento, la cessione indiretta di assetti imprenditoriali nelle varie forme di aumenti di capitale sottoscritti da non soci senza sovrapprezzo, recessi da società a valori di liquidazione esigui, costituzioni di società in forma evolutiva di imprese familiari, cessioni di aziende senza considerare l'avviamento, conferimento di beni in trust, e così via, tutte fattispecie con propria rilevanza sia tributaria, sia civilistica.

Per ciò che attiene all’attività del notaio, le fattispecie di maggiore interesse sono quelle collegate alle operazioni immobiliari, che chiamano a vagliarne e gestirne gli assetti, anche in vista dell’impatto sulla futura circolazione e sulle modalità di attuazione della collazione nella divisione.

Tenendo conto della posizione del Notaio chiamato a redigere atti veicolanti in modo espresso o silente le liberalità indirette, si parte dal primo dei fronti sopra indicati come oggetto dell’indagine.


Impatto delle donazioni indirette sulla successiva circolazione dei beni donati indirettamente. Lo stato della giurisprudenza

In questo campo sono a tutti note le difficoltà incontrate nel passato nel far emergere in modo esplicito i fenomeni liberali indiretti, a causa della possibile riducibilità per lesione di legittima e della ventilata ipotizzabilità, secondo autorevoli teorie dottrinali, di una azione di restituzione esperibile anche nei confronti degli aventi causa dal donatario indiretto, seppur alle condizioni stabilite per l’azione di riduzione (particolare rilevanza ha, in materia, l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario quando l’azione non sia rivolta nei confronti di coeredi – si pensi alla donazione indiretta al nipote figlio di figlio, il quale nipote non venga all’eredità del nonno in dipendenza di chiamata ereditaria in favore del suo genitore, figlio del de cuius).

In questa materia è stato merito della dottrina, seguita dalla giurisprudenza di Cassazione, avere individuata la spiegazione dell’accertamento costitutivo della lesione in termini di inopponibilità, al legittimario, del titolo oggetto della riduzione. Ed è proprio l’inopponibilità il fenomeno che colora la trattazione delle liberalità in esame, inopponibilità comportante che un certo diritto oggetto di liberalità si possa considerare nei confronti di alcuni soggetti non attribuito all'acquirente ed invece ancora compreso nel patrimonio del dante causa e conseguentemente idoneo a soddisfare in natura le ragioni di chi avanzi la pretesa di riduzione e restituzione. 

Dall’architettura costruita sull’inopponibilità si è potuto ricavare in modo lineare che, in caso di intestazione a nome altrui di un bene ceduto da un terzo, quel bene, mai entrato nel patrimonio del donante indiretto, non possa considerarsi “relativamente, presente” nel patrimonio del donante indiretto, così dovendosi escludere che l’azione di restituzione possa colpire l’avente causa dal donatario indiretto.

Così stando le cose, la scelta di far emergere la liberalità indiretta dovrebbe fare i conti solo con altri aspetti, prima di tutti quello fiscale, ma un recente arresto della Suprema Corte ha rimesso qualche pulce nell’orecchio, facendo riaffiorare il dubbio che, svelata o addirittura registrata volontariamente una donazione indiretta, perfino successivamente all’alienazione dell’immobile donato indirettamente, l’avente causa possa correre il rischio della restituzione.

La questione trova un ideale parallelo nella casistica delle donazioni dissimulate, stipulate come atti onerosi, a fronte delle quali il dibattito sull’impatto del disvelamento sulle posizioni degli aventi causa non sembra sopito. Su questo specifico punto si potrebbe ritornare più diffusamente, ma non è materia all’ordine del giorno in questo convegno, per cui basti sottolineare che la tesi secondo cui il legittimario che abbia agito vittoriosamente in simulazione poi farebbe valere nei confronti dell’avente causa, non la simulazione, ma la riduzione del titolo del dante causa, non appare convincente, perché senza l’accertamento della simulazione, rispetto alla quale il terzo acquirente in buona fede si trova nella posizione prevista dall’art. 1415 c.c., non si potrebbe poi fondare l’azione di restituzione e quindi, proprio a causa di quanto stabilito dall’art. 1415, appare preferibile ritenere quel terzo fuori da ogni coinvolgimento, a tutto vantaggio delle ragioni di tutela dei traffici e della salvezza degli  acquisti in buona fede.

Tornando alle donazioni indirette ed al meccanismo di inopponibilità che normalmente le tiene fuori dalla restituzione va sottolineato è stata la Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2022, n. 4523 a mettere in dubbio che l'azione di restituzione trovi pieno ostacolo. Infatti, nel corpo di quella sentenza figura una enunciazione incidentale, priva di specifica rilevanza nel caso deciso (il classico obiter dictum) ed espressa senza confrontarsi con Cass. 11496/2010, e cioè un passaggio della motivazione secondo cui «per poter esercitare l'azione di accertamento della natura simulata di un negozio dispositivo avente ad oggetto un immobile, in funzione dell'esperimento del rimedio di cui all'art. 563 c.c., comma 4, a sua volta finalizzato al successivo avvio della domanda di restituzione ex art. 563 c.c., comma 1, l'attore è tenuto a dimostrare che la liberalità indiretta abbia avuto ad oggetto direttamente il bene, e non invece il denaro, o altro valore, utilizzato per realizzare il successivo acquisto di un immobile».

In altre parole, secondo quell’arresto, la dimostrazione che una somma fosse stata fornita per comprare un bene immobile (classico esempio di intestazione a nome altrui ove possa con sicurezza escludersi altra ricostruzione, ad esempio la somministrazione a titolo di mutuo o altro), comporterebbe l’esperibilità dell’azione di restituzione, in quanto azione riguardante gli immobili e conseguente all’azione di riduzione, una volta escusso infruttuosamente il donatario.

Grande preoccupazione fece sorgere quell’affermazione nell’ambiente degli operatori pratici ma, per fortuna, la (immediatamente) successiva Cass., ord. 02 dicembre 2022, n. 35461, proprio menzionando, senza condividerle, le sopra riportate affermazioni di Cass. n. 4523/2022, ha rimesso ordine confermando la chiara ricostruzione di Cass. n. 11496/2010 e sottolineando come quella decisione n. 4523 non avesse avuto cura di confrontarsi con quest’ultimo precedente.

Se dovessimo fare la sintesi potremmo dire, allora, che la evidenziazione della liberalità indiretta si possa agevolmente ed utilmente praticare perché fuori dalla portata dell’azione di restituzione.

Vanno fatte, però, due precisazioni.

La prima, per sottolineare che la qualificazione esplicita richiede di sollecitare l’attenzione degli attori del dono indiretto come momento che non consente più di giocare sulla qualificazione della messa a disposizione dei fondi e non apre alla possibilità di modulazione del rapporto con il beneficiario. In altre parole, non consente alcun ripensamento nel caso che emergesse la necessità del donatario indiretto di disfarsi del bene restituendolo, per così dire, al donante indiretto. Nella pratica, tale necessità sopraggiunge in caso di mancata utilizzazione del bene da parte dell’intestatario, che desideri invece rendersi acquirente di altro immobile, nella quale ipotesi anzi che ricorrere ad una contro-donazione può farsi capo all’estinzione del debito da finanziamento mediante datio in solutum che faccia pervenire il bene all’originario finanziatore.

La seconda (precisazione), per ricordare che, relativamente alla liberalità indiretta attuata mediante contratto a favore di terzo, continua ad essere di ostacolo al generalizzato impiego di questa struttura contrattuale la tesi di Mengoni, secondo cui l’azione di riduzione potrebbe essere rivolta ad ottenere l’inopponibilità della clausola di deviazione dell’effetto, così riportando nella sfera del donante indiretto il diritto sul bene  deviato verso il terzo (forse non nel caso che, ex art. 1411 c.c. ultimo comma, la prestazione non possa rimanere a beneficio dello stipulante per espressa volontà delle Parti contrattuali).

In effetti, in un caso concreto di compravendita di bene pervenuto all’alienante in dipendenza di contratto a favore di terzo con “stipulante” la madre e “terzo a favore” la figlia, è stato sollevato proprio questo aspetto, dopo di che l’impasse della cessione a terzo e della correlata operazione di mutuo è stata risolta con la “polizza donazione sicura”. Aggiungo che per questa specifica fattispecie non risultano precedenti giurisprudenziali e, considerando aperta la questione della effettiva e conveniente praticabilità di questa soluzione contrattuale ed assicurativa in vista delle negoziazioni successive[[1]] si può prospettare un possibile accorgimento, consistente nel far sì che stipulante sia il mandatario senza rappresentanza, che agisca per conto e non in nome del donante indiretto e che dia contezza dell'agire in tale veste. Ad esempio, un soggetto può stipulare in favore di terzo dichiarando di agire per conto e con denaro di altra persona la quale, volendo l'intestazione del bene al terzo, abbia approntati i mezzi di pagamento attingendo al suo patrimonio personale ed abbia dato mandato senza rappresentanza ad agire come stipulante.

Termina qui questa parte di analisi e si passa al secondo fronte di analisi, quello della collazione in natura del bene ricevuto mediante liberalità indiretta


Collazione in natura di bene oggetto di liberalità indiretta

A monte della questione vi è l’obbligazione collatizia, disciplinata dall’art. 737 c.c. come obbligo di conferire.

Giova riepilogare brevemente caratteri e condizioni della collazione, per poi concentrare l’attenzione sulla collazione in natura.

A) La collazione per imputazione degli immobili e dei mobili si fa riguardo al valore dell’immobile all’apertura della successione, perché così stabiliscono l’art. 747 c.c. e l’art. 750 c.c.; per i mobili la collazione si fa solo per imputazione, mentre per gli immobili è possibile anche la collazione in natura e in questa ipotesi le regole di valorizzazione non giocano ruolo alcuno perché, entrato il bene nella massa, anche per esso vale la regola della valorizzazione dei beni all’epoca della divisione.

Questi aspetti hanno maggior rilevanza nelle epoche in cui i valori subiscono consistenti oscillazioni tra l’apertura della successione e la data della divisione. In tale ipotesi, la collazione in natura su scelta dell’obbligato si presta a sollevare il conferente da una valorizzazione particolarmente elevata al momento dell’apertura della successione, fortemente ridimensionata all’epoca della divisione. Si presta, inoltre, ad una successiva allocazione del bene donato in capo ad altro condividente.

B) Sintetizzando conclusioni raggiunte in altra sede a proposito del meccanismo di funzionamento della collazione in natura, si può prospettare, 

– che l’obbligo di conferire non è un vero e proprio obbligo rispetto al quale possa ipotizzarsi l’esecuzione in forma specifica, e va inteso, dal lato dei beneficiari della collazione, come soggezione dell’obbligato al corrispondente diritto dei controinteressati al prelevamento, ove l’onerato non scelga il conferimento in natura;

– che l'obbligo di conferire è considerato dalla prevalente dottrina imprescrittibile in correlazione all’imprescrittibilità dell’azione di divisione ed alla sua attuazione soltanto nella fase di scioglimento della comunione ereditaria;

– che sino alla divisione il bene è nella piena disponibilità del donatario, che disponendone anche parzialmente può creare, anche involontariamente, i presupposti per impedire la collazione in natura;

C) La collazione in natura del bene oggetto di donazione diretta non comporta un effetto traslativo. Se si attribuisse effetto traslativo al conferimento in natura, i coeredi condividenti diventerebbero per quel bene aventi causa dal donatario, benché la collazione sia operazione divisionale diretta a distribuire il patrimonio del comune dante causa. L’esclusione della portata traslativa della collazione in natura deriva dalla sua ricostruzione in termini di inopponibilità relativa, modulata dalla scelta dell'obbligato, inopponibilità che per i beneficiari della collazione vale ad incrementare la massa solo nei loro confronti. L’inopponibilità relativa comporta che essa non vale nei confronti del Fisco, per cui il bene non aumenta il relictum su cui applicare l’imposta di successione (che si applica sull’asse ereditario netto), 

D) L'assegnatario del bene conferito in natura è in ogni caso avente causa dal de cuius. Se il bene conferito venisse poi assegnato proprio al conferente il suo titolo muterebbe da donativo a divisorio.

Nonostante quanto sopra riportato, si sottolinea che la questione della rilevanza tributaria della collazione nella divisione ereditaria ha avuto autonomo sviluppo a causa della formulazione dell’art. 34 TUR, con una negazione della computabilità dei beni oggetto di collazione (nell’operazione di controllo della corrispondenza della porzione alla quota di diritto) a lungo affermata da prassi e giurisprudenza e recentemente ammessa, prima timidamente e poi pienamente.

Per i precedenti che respingevano assolutamente la rilevanza della collazione nel computo di corrispondenza tra quote e porzioni si ricordano: Risoluzione Min. fin. del 12 maggio 1987 n. 250249; Cass., 10 aprile 2006, n. 8335;  Cass. civ., sez. VI, 16 ottobre 2018, n. 25929; Cass. (ord.), 27 aprile 2021, n. 11040.

Per il nuovo corso della giurisprudenza si segnala la sequenza di arresti data da Cass., 27 gennaio 2023, n. 2588 e Cass. (ord.), 3 agosto 2021, n. 22123, commentati con studi e segnalazioni di novità in CNN Notizie.

Per la prassi amministrativa si segnala la risposta fornita dalla DRE Toscana all’interpello 911-484/2022, che accoglie pienamente la soluzione della computabilità della donazione oggetto di collazione nella verifica di corrispondenza tra quote e porzioni.

Per la collazione in natura non vi sono copiosi riscontri, ma nulla osta a riportarla allo stesso modo nella massa di computo, sempre precisando che l'imposta di divisione deve arretrare per la parte di valore riferibile al bene conferito in natura, perché non facente parte dell'attivo ereditario.

Ebbene, tutta la materia della collazione in natura, incentrata ancora sull'inopponibilità relativa, va ad incontrare un ostacolo diverso proprio in tema di liberalità indirette, perché per esse, come per l'azione di riduzione e restituzione, il criterio dell'inopponibilità non può portare a far rientrare il bene nel patrimonio del donante indiretto e quindi una lata portata traslativa del conferimento in natura potrebbe astrattamente profilarsi.

Giunge però a fornire elementi di depotenziamento di questo aspetto la modifica dell’art. 34 TUR nella parte che accredita espressamente la rilevanza della collazione anche in campo tributario, stabilendo che «Ai soli fini della determinazione della massa comune e delle quote di diritto, nelle comunioni ereditarie si tiene conto anche dei beni donati in vita dal defunto ai soggetti tenuti alla collazione ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice civile; tali beni non sono soggetti all’imposta di registro in sede di divisione. Nelle altre comunioni, la massa comune è costituita dai beni risultanti da precedente atto che abbia scontato l'imposta propria dei trasferimenti».

Considerata l’ampiezza della previsione, la novità normativa è idonea ad accogliere senza ulteriori incidenze tributarie anche l'entrata nella massa della liberalità indiretta, anch'essa da considerare come entità patrimoniale proveniente dal de cuius. Ogni diversa soluzione creerebbe sperequazione di trattamento tra donatari diretti e donatari indiretti.

Affrontando il terzo fronte di analisi, va esaminato se si renda necessaria l’evidenziazione in atto del collegamento previsto dall’art. 1 comma 4-bis del TUS.


Liberalità indiretta – esenzione da tassazione ex art. 1 comma 4-bis TUS – La Cassazione, la circolare 20/E del 2000 e la risposta 366 del 2022

Il collegamento tra donazione indiretta e atti di acquisto, che comporta l'esclusione della fattispecie donativa dal perimetro dell'imponibilità, ha causato le già accennate difficoltà interpretative e prese di posizione che hanno destato perplessità e responsabilità professionale da difetto di dovere di consiglio.

In una fattispecie di passaggio di risorse liquide da genitori a figli per importo di euro 2.500.000 la Cassazione, con la più volte ricordata sentenza n. 13133 del 2016, ritenne inapplicabile il criterio di esclusione, per il motivo della mancata evidenziazione negli atti di compravendita dell'avvenuta somministrazione delle somme occorrenti per la compravendita al fine di realizzare una liberalità indiretta. 

Nella sentenza si affermò che l'atto non recasse «alcuna menzione della circostanza che il denaro necessario provenisse in tutto o in parte da atto di liberalità; né risultava che agli atti di compravendita (negozi-fine) avessero partecipato i donanti. In assenza di enunciazione, risultava dunque che si trattasse di compravendite poste in essere con provvista propria degli acquirenti e, come tali, non "collegate" a preordinati atti di liberalità (negozi od operazioni-mezzo)».

A parte la confusione espositiva nell’individuare negozio-mezzo e negozio-fine, la novità della pronuncia stette nell'aver ritenuto inapplicabile il regime di esclusione da tassazione del negozio-fine sol perché in negozio mezzo non contenesse alcuna indicazione. E quindi, il trasferimento di euro 2.500.000 in prossimità della corresponsione del prezzo della compravendita, non venne ritenuto prova sufficiente della finalizzazione e della conseguente ricaduta nel regime di esclusione, ma sufficiente soltanto a giustificare che non si trattasse di reddito. Con l'esito di tassare con l'imposta di donazione l'extra franchigia di 1.500.000.

L’argomento ritenuto decisivo in quella motivazione fu il seguente: «per regola generale (Cass., ord. n. 2777/2016), l'esenzione dal tributo (e, più in generale, la fruizione del beneficio fiscale) presuppone l'esplicito esercizio del diritto corrispondente da parte del contribuente il quale, a tal fine, è conseguentemente onerato dal farne espressa dichiarazione in atto; ciò allo scopo di certa e tempestiva individuazione degli elementi fondamentali e costitutivi del rapporto tributario, oltre che di porre l'amministrazione finanziaria in condizione di immediatamente rilevare e verificare l'effettiva sussistenza dei presupposti di non imponibilità. La mancata dichiarazione negli atti di compravendita, in definitiva, esula dalla sfera di applicazione della disposizione in oggetto, rendendo la liberalità indiretta tassabile – ex art. 56-bis cit. – in quanto dichiarata dai beneficiari, in via del tutto contingente e casuale, soltanto nel corso di un diverso accertamento intrapreso a loro carico».

Nel corso degli anni si è poi voluto dare fondamento a quegli assunti considerando la tassabilità da “mancata esplicitazione del collegamento” come una sorta di compensazione della “delusione” del Fisco derivante dall’avere impiegate energie nell’accertamento e di veder vanificata la pretesa in esito alla successiva evidenziazione della regolare e giustificata provenienza delle poste patrimoniali. Però, così si è creata una forte irrazionalità di sistema per via interpretativa, perché nonostante che donazione diretta e liberalità siano accomunate nella tassabilità (con le precisazioni che si faranno, riguardo ai criteri di esenzione) solo le liberalità indirette di cui all’art. 56-bis TUS e cioè quelle non risultanti da atti soggetti a registrazione ma accertabili per confessione sarebbero escluse dal perimetro dell’art. 1-comma 4-bis TUS. Irrazionalità che potrebbe rimuoversi interpretativamente con un nuovo corso giurisprudenziale. 

Più precisamente, secondo la giurisprudenza alle donazioni indirette accertate ex art. 56-bis è applicabile sempre e soltanto l’aliquota massima di imposta di donazione (8%) (a prescindere dai gradi di parentela), sono applicabili le franchigie[[2]] ma non può valere l’esenzione per collegamento con atto di trasferimento inciso da imposta di registro proporzionale/iva.

Al contrario, per quelle registrate volontariamente ex art. 56-bis, comma 3, il rinvio operato alle aliquote di cui all'art. 56 (disposizione i cui commi da 1 a 3 sono stati espressamente abrogati dall’art. 52 d.l. n. 262 del 2006), si presta ad essere coordinato sia con le nuove aliquotesia con le franchigie introdotte  dal d.l. n. 262 del 2006, art. 2, commi 49 e 49-bis, più volte citato, così da «mantenere il regime impositivo più favorevole riservato al contribuente totalmente collaborativo»[[3]].

Come si vede, la registrazione volontaria della liberalità indiretta viene intesa come meritevole di trattamento “premiale” rispetto alla tassazione da dichiarazione in occasione di procedimenti di accertamento, quasi che non averla evidenziata antecedentemente sia una ‘colpa’ da sanzionare.  

A tale proposito va messo in evidenza che l’aliquota 7% presente nell’art. 56-bis veniva individuata come sostanzialmente sanzionatoria (in verità senza convincente ragione, visto che è stato il legislatore a stabilire la tassabilità per le liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, così esonerando dalla tassazione tutte quelle prive di tale risultanza) e considerando, ancora senza convincente ragione, che chi avverta (come?) di poter subire un accertamento per altri tributi debba sentirsi obbligato a registrare volontariamente la liberalità indiretta (per evitare al Fisco la «fatica infruttuosa di un accertamento induttivo di reddito imponibile destinato ad essere vanificato»).

In verità, le sopra indicate differenziazioni nel delimitare l’esclusione da imposta per collegamento con trasferimenti immobiliari/aziendali non sembrano trovare giustificazione.

Infatti, se la corresponsione dell’imposta di registro proporzionale/Iva deve valere ad elidere l’imposta di donazione, non si vede motivo per un trattamento differenziato in dipendenza della modalità di emersione del collegamento ex art. 1 comma 4-bis.

A tale riguardo emerge un argomento ulteriore che sembra decisivo, dato da Cass., sez. trib., 12 aprile 2022, n. 11831, secondo la quale «la prova del collegamento in parola può essere data adducendosi un qualsivoglia elemento che corrobori la funzionalità dell'atto liberale all'acquisto dell'immobile o dell'azienda. […] Va messo in evidenza che il citato art. 1, comma 4-bis, pone quale condizione per l'irrilevanza impositiva della liberalità indiretta che il trasferimento sconti l'Iva oppure l'imposta proporzionale di registro, non che il contribuente dichiari la finalità donativa».

Da ciò sembra venir meno tutto il costrutto intorno all’inapplicabilità dell’esclusione ex art. 1-comma 4.bis solo nel caso dell’art. 56-bis, che rimarrebbe debolmente ancorata alla mancata evidenziazione preventiva di quel “qualsivoglia elemento”.

In ultima analisi, scartato che il “qualsivoglia elemento” debba ricavarsi dall’atto veicolante la liberalità indiretta, non si vede quale azione ulteriore possa chiedersi alle Parti per scongiurare la super-tassabilità ex art. 56-bis.

Si segnala, poi, altra questione sorta a proposito della latitudine del comma 4-bis:

La circolare 207/E del 19 novembre 2000, nell'illustrare la riforma portata dalla l. n. 342 del 2000, sottolineò l'impatto del nuovo comma 4-bis con queste parole:

«Il comma 1, lettera a, dell'articolo 69 in commento, introducendo il comma 4-bis all'articolo 1 del testo unico, stabilisce l'inapplicabilità dell'imposta alle donazioni o altre liberalità indirette collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari o il trasferimento di aziende che siano già assoggettati all'imposta di registro in misura proporzionale oppure all'imposta sul valore aggiunto.

Alle fattispecie appena richiamate non si applica, pertanto, la presunzione di liberalità prevista dall'articolo 26, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Di conseguenza, per tutti gli acquisti immobiliari finanziati da terzi sarà possibile dichiarare in atto che il pagamento è avvenuto a cura del soggetto donante, così da consentire alle famiglie di rendere trasparenti i loro rapporti economici (ad esempio, la dazione di denaro dal padre al figlio ovvero il pagamento del relativo prezzo da parte del padre per l'acquisto di una casa)».

Successivamente, un contribuente, agitato dal dubbio, chissà da chi inoculatogli, che il comma 4-bis non si applicasse alle donazioni dirette, ha presentato interpello per avere conferma dell'applicabilità anche alle donazioni dirette ed ha esposto correttamente la portata della disposizione, ma il rispondente, riportandosi al punto della circolare 207/E che esemplificò i casi di applicabilità riferendosi agli acquisti immobiliari finanziati da terzi accompagnati dalla dichiarazione in atto che il pagamento fosse avvenuto a cura del soggetto donante, inquadra l’inciso come se fosse la disposizione di legge e da ciò esclude l'applicabilità del comma 4-bis alle donazioni dirette.

Basta leggere la disposizione per rendersi conto dell’errore del rispondente.

Rimane ora da trattare l’ultima questione, riguardante il modo di procedere allorché la donazione preceda la compravendita.

In effetti, al momento della donazione del denaro, non di modica entità, l'atto di trasferimento programmato ma non ancora attuato che essa sia destinata a finanziare, non è ancora presente e quindi si pone il problema di come possa fruirsi dell'esclusione pur senza poter fare riferimento ad un atto sottoposto ad imposta proporzionale o Iva.

Una prima soluzione è stata individuata nella donazione sottoposta alla condizione dell'acquisto, in modo che si saldi la catena negoziale nel momento in cui la donazione produca l'effetto finale. Tale metodica comporta, allorché non si tratti di donazione di importi in franchigia, di dover provvedere alla denunzia ex art. 19 TUR nei 30 giorni[[4]] dall'atto che costituisca l'evento dedotto in condizione sospensiva.

Una seconda soluzione, meno rigorosa sul piano del collegamento formale, è stata individuata considerando che nulla depone per la limitazione della neutralità fiscale alla sola donazione che segua l’acquisto, per cui appare plausibile, benché non confermata da prassi amministrativa espressa, seguire la tesi dottrinale secondo cui la donazione di denaro anteriore all’investimento – per la quale si renda astrattamente applicabile l’imposta di donazione (come si verifica per la donazione tra estranei oppure tra parenti ed affini ma ultra franchigia) si può considerare registrabile in provvisoria esenzione da imposta a causa del collegamento (esposto in atto) con l’acquisto da perfezionare, salvo recupero dell’imposta dovuta ove l’acquisto non sia fatto nel termine individuabile in quello di decadenza dall’azione del Fisco. Vista da altro angolo visuale, si tratterebbe di considerare il collegamento così esposto ancora come evento futuro ed incerto che condizioni il gesto, rendendolo provvisoriamente non tassabile.


NOTE: 

[1] Cass. civ., sez. II, 02 dicembre 2022, (ud. 07 ottobre 2022, dep. 02 dicembre 2022), n. 35461. Ribadisce Cass. n. 11496/2010: l'azione di restituzione presuppone che il bene sia uscito dal patrimonio del donante e non è possibile in caso di intestazione a nome altrui comportante che il bene sia ceduto da un terzo diverso dal donante indiretto. In tal caso il bene oggetto della donazione indiretta non è mai stato del donante indiretto e l'azione di riduzione, volta a rendere inopponibile al legittimario la fuoruscita del bene dal patrimonio del donante, non trova spazio. Se il donatario beneficiario della disposizione lesiva abbia alienato l'immobile donatogli, il legittimario, se ricorrono le condizioni stabilite dall'art. 563 c.c., può chiederne la restituzione anche ai successivi acquirenti, che sono invece al riparo da ogni pretesa restitutoria del legittimario nella diversa ipotesi di riduzione di una donazione indiretta (ad esempio nell'intestazione di beni in nome altrui); infatti nella donazione indiretta, come chiarito da questa Suprema Corte nel 2010, poiché l'azione di riduzione «non mette in discussione la titolarità del bene [...] il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta dev'essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito» (così testualmente Cass. n. 11496/2010; contra Cass. n. 4523/2022, nella quale è data per scontata l'applicabilità dell'art. 563 c.c. anche alle c.d. donazioni indirette, senza tuttavia confrontarsi con Cass. n. 11496/2010 cit., che, recependo le indicazioni espresse in dottrina, tale applicabilità aveva motivatamente escluso). Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2022, (ud. 20 ottobre 2021, dep. 11 febbraio 2022), n. 4523. (Confonde l'azione di accertamento della simulazione – Vendita simulata che cela una donazione - Dall'azione di accertamento della liberalità indiretta – intestazione di bene a nome altrui) L'intento liberale può, in concreto, essere realizzato mediante la messa a disposizione, da parte del disponente, di una somma di denaro necessaria a consentire, da parte del ricevente, l'acquisto di un bene immobile. In tali ipotesi, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, occorre distinguere il caso in cui la liberalità abbia ad oggetto il denaro, poi eventualmente utilizzato dal donatario per l'acquisto di un immobile, da quello – diverso – in cui il donante fornisca il denaro, quale mezzo per l'acquisto dell'immobile, che – in tale evenienza – costituisce esso stesso l'oggetto della donazione, in funzione dello stretto collegamento esistente tra elargizione del denaro ed acquisto del cespite (Cass. sez. un., 05 agosto 1992, n. 9282, Rv. 478443; Cass., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5310, Rv. 515917;  Cass., sez. II,  22 settembre 2000, n. 12563, Rv. 540389; Cass., sez. II, 30 maggio 2017, n. 13619, Rv. 644326). Solo nella ricorrenza della seconda ipotesi, evidentemente, si potrebbe ipotizzare un margine di esperibilità del rimedio di cui all'art. 563 c.c., comma 1, poiché esso – nell'assicurare la restituzione del bene – presuppone logicamente che la liberalità abbia ad oggetto quest'ultimo, e non il denaro utilizzato per il suo acquisto. Dal che consegue che, per poter esercitare l'azione di accertamento della natura simulata di un negozio dispositivo avente ad oggetto un immobile, in funzione dell'esperimento del rimedio di cui all'art. 563 c.c., comma 4, a sua volta finalizzato al successivo avvio della domanda di restituzione ex art. 563 c.c., comma 1, l'attore è tenuto a dimostrare che la liberalità indiretta abbia avuto ad oggetto direttamente il bene, e non invece il denaro, o altro valore, utilizzato per realizzare il successivo acquisto di un immobile. In linea teorica, quindi, l'azione di simulazione di un contratto dissimulante una donazione di un bene immobile può essere esperita, dal coniuge o dal parente in linea retta del disponente, anche prima dell'apertura della successione di quest'ultimo, allo specifico scopo di consentire l'opposizione di cui all'art. 563 c.c., comma 4, e di rendere, in futuro, possibile l'esperimento della domanda di restituzione del bene donato di cui all'art. 563 c.c., comma 1, (cfr.  Cass., sez. II, 09 settembre 2019, 22457 Rv. 655219). Va affermato che l'opposizione di cui all'art. 563 c.c., comma 4, è esperibile, in relazione alle donazioni compiute dal disponente e potenzialmente lesive dei diritti del legittimario, anche prima dell'apertura della successione del primo. Quando essa ha ad oggetto un atto di liberalità indiretta, inoltre, il legittimario è titolato ad agire per ottenere l'accertamento della natura simulata del negozio dissimulante la liberalità potenzialmente lesiva delle sue aspettative. Tuttavia, poiché l'azione di restituzione prevista dall'art. 563 c.c., comma 1, è ammessa soltanto qualora non siano decorsi vent'anni dalla trascrizione della donazione, e considerato che l'opposizione di cui del richiamato art. 563 c.c., comma 4, è tesa ad assicurare, in favore del coniuge o parente in linea retta del disponente, unicamente la sospensione del termine ventennale di cui al comma 1, l'esercizio della stessa non è consentito in relazione ad atti di liberalità, diretti o indiretti, che siano stati trascritti da oltre venti anni. Non avrebbe, infatti, alcun senso logico ipotizzare, a favore del legittimario, l'esercizio di uno strumento cautelare finalizzato all'esperimento di una domanda non più proponibile. Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496. Alla riduzione delle liberalità indirette non si può applicare il principio della quota legittima in natura, connaturale invece all'azione nell'ipotesi di donazione ordinaria d'immobile (art. 560 c.c.); con la conseguenza che l'acquisizione riguarda il controvalore, mediante il metodo dell'imputazione, come nella collazione (art. 724 c.c.). La riduzione delle donazioni indirette non mette, infatti, in discussione la titolarità dei beni donati, né incide sul piano dalla circolazione dei beni.

Note giurisprudenziali. Massima ufficiale. La sentenza si occupa degli effetti − in sede successoria − della donazione indiretta attuata mediante acquisto con denaro proprio del disponente di immobile che venga intestato direttamente al soggetto che costui intenda beneficiare. Nell'ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l'acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, come noto, la giurisprudenza − con il conforto di dottrina autorevole − ha da tempo ritenuto che tale fattispecie sia propriamente qualificabile come donazione non già del denaro bensì direttamente dell'immobile (siffatto orientamento è stato inaugurato da sez. un., 5 agosto 1992, n. 9282, che quindi andasse assoggettato a collazione. Con riferimento all'azione di riduzione, la Corte di cassazione applica qui il diverso principio, escludendo che operi la regola della quota legittima in natura − che secondo la pronuncia sarebbe connaturata alla sola ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.) −, poiché l'azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l'acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell'imputazione. Pertanto, mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta dev'essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito. Aggiunge, fra l'altro, la Corte che, nella fattispecie concretamente sottoposta al suo esame (quello di fallimento del beneficiario), la domanda segue il rito concorsuale dell'accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della legge fallimentare (e vi è da chiedersi quanto la concreta fattispecie ed il favor fallimenti costantemente dimostrato dalle Corti abbiano influito sulla decisione). La massima non è affatto coerente, posto che per lo stesso fenomeno vengono chiamate ad operare regole diverse; neppure essa è conforme ad altri precedenti. V., infatti, Cass. civ., 6 maggio 1991, n. 4986, in Giust. civ., 1991, I, 2981, con nota di DI MAURO; in Vita not., 1991, 987, che ha diversamente ritenuto operare la riduzione in natura. Successivamente, si è pronunciata in termini più sfumati, Cass. civ., 2 settembre 2010, n. 19015 (conforme anche Cass. civ., 16 novembre 2000, n. 14864, in Giust. civ., 2001, I, 699; in Notariato, 2001, 929), nella quale si legge, infatti, che, quando gli eredi assumono che il de cuius abbia disposto di tutto il suo patrimonio con una donazione indiretta in favore di un solo erede, la domanda di accertamento che i beni assegnati facevano parte del patrimonio ereditario e la richiesta di determinazione dell'intero asse e della quota spettante a ciascun erede configura una mera domanda di divisione, non idonea a conseguire il risultato di inficiare la donazione indiretta; a questo fine specifico l'ordinamento prevede l'azione di riduzione che, indipendentemente dall'uso di formule sacramentali, richiede − oltre la deduzione della lesione della quota di riserva − l'espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione della donazione indiretta posta in essere in vita dal de cuius: pronuncia che mitiga la sentenza in commento partendo piuttosto dalla qualificazione della domanda azionata in giudizio dai coeredi. Sulle modalità attraverso le quali potrebbe realizzarsi una donazione indiretta e sugli effetti ai fini successori che vengano così a determinarsi, si segnala Cass. civ., 12 novembre 2008, n. 26983, in Obbl. contr., 2009, 3, con nota di RUBINO, pronunciata in una fattispecie nella quale gli eredi di una defunta chiedevano alla cointestataria di un libretto di risparmio il rimborso del 50% della somma portata dal libretto, da costei incassata per intero: qui la S.C. ha enunciato il principio per cui la possibilità che costituisca donazione indiretta l'atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito − qualora la predetta somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari − è legata all'apprezzamento dell'esistenza dell'animus donandi, consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità. Si segnala − sempre in materia di donazione indiretta − anche Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23545, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 355, con nota di FAROLFI, su caso di un bene acquistato in regime di comunione da uno dei coniugi con denaro in parte proveniente dal patrimonio dell'altro, del quale era stata accertata la natura personale. Con riferimento a tale fattispecie, la Suprema Corte ha statuito come si renda necessario qualificare giuridicamente il titolo della dazione al fine di verificare se sussistano i presupposti dell'obbligo di restituzione della metà del denaro versato a titolo di prezzo, potendo tale fattispecie integrare o un contratto di mutuo, o una donazione diretta del denaro o una donazione indiretta del bene.

[2] Cass. civ. (ord.), sez. trib., 9 dicembre 2020, n. 28047: «l'art. 56-bis, comma 1, va interpretato nel senso  che  le liberalità diverse dalle donazioni  (e   da  quelle  risultanti   da  atti  di donazione effettuati all'estero a favore di residenti), ossia  tutti  quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un  impoverimento (del donante) senza l'adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall'art. 769 c.c., e che costituiscono manifestazione di capacità  contributiva,   essendo irrilevante a tali fini la formale stipula di un atto e viceversa  rilevante il fatto economico provocato dal trasferimento da un patrimonio ad un altro, sono accertate e sottoposte ad imposta in presenza di una  dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall'interessato nell'ambito  di procedimenti diretti all'accertamento di   tributi,  se  sono   di  valore  superiore   alle franchigie oggi esistenti: Euro 1.000.000 per coniuge e  parenti   in  linea retta, Euro 100.000 per fratelli  e  sorelle,   Euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap, mentre per i  casi   in  cui  la   norma  vigente  non prevede franchigie (ovvero con  riguardo a soggetti diversi da  coniuge, parenti in linea retta, fratelli e sorelle, persone portatrici di handicap), l'imposta trova applicazione sull'intero importo della liberalità. Per le fattispecie di liberalità imponibili come sopra individuate, l'aliquota da applicare è quella dell'8 per cento, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore. Cass. (ord.), 3 dicembre 2020, n. 27665: «In tema di imposta di successione, ai sensi dell'art. 56-bis,  comma 1, d.lgs. n. 346 del 1990, le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti gli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l'adozione della forma solenne del contratto di e di cui all'art. 769 c.c., che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono sottoposte ad imposta quando siano di valore   superiore alle franchigie previste e l'interessato, nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi, abbia reso una dichiarazione in  merito alla loro esistenza, applicandosi l'aliquota massima dell'8 per cento, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario.» (Commento di S. MASSAROTTO, Liberalità informali: la Corte di Cassazione chiarisce definitivamente sulla tassazione ai fini dell’applicazione dell’art. 56-bis del Tus?, in Riv. dir. trib., 3 febbraio 2021).

[3] In verità, il contribuente che registra volontariamente una donazione indiretta non presta ossequio volontario ad un precetto, non si ravvede, né collabora con chicchessia, per il semplice motivo che non ha alcun obbligo di versare un tributo su ciò che in linea di principio è qualificato non tassabile, bensì è mosso dall’ interesse ad evidenziare attribuzioni incidenti sui futuri rapporti tra coeredi o in funzione della soddisfazione della legittima (mentre solo mediatamente può avere ruolo nei rapporti con il Fisco, in vista di quanto possa accertarsi ex art. 56-bis TUS).

[4] Termine di 30 gg stabilito dall'articolo 14, comma 1, del d.l. 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2022, n. 122.