Giuffré Editore

La nozione di immobile in corso di costruzione: recenti orientamenti giurisprudenziali*


di Nicola Forte

Dottore commercialista in Roma


La nozione di immobile in corso di costruzione: considerazioni preliminari

Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, oramai in vigore da più di dieci anni, ha apportato rilevanti novità riguardanti la disciplina dell’Iva applicabile alle cessioni di fabbricati.

Secondo quanto previsto dalla novella le cessioni di fabbricati – abitativi e strumentali per natura [[1]]– sono naturalmente esenti dal tributo. L’imponibilità delle predette operazioni rappresenta dunque un’eccezione rispetto alla disciplina generale[[2]].

Nel corso dell’ultimo decennio sono intervenute numerose novità che hanno parzialmente modificato la disciplina in vigore[[3]]. Secondo l’art. 10, comma 1, nn. 8-bis) e 8-ter) del d.P.R. n. 633 del 1972 l’imponibilità o l’esenzione delle operazioni di cessione di fabbricati o delle relative porzioni dipende dai seguenti elementi: 

– la qualifica dell’impresa cedente costruttrice, di ripristino o semplicemente cedente (non costruttrice);

– la qualificazione abitativa o strumentale per natura del fabbricato oggetto di cessione;

– dal decorso o meno del periodo di cinque anni dall’ultimazione dei lavori di costruzione o dall’ultimazione dell’intervento di ripristino. 

Sembrerebbe, quindi, che il trattamento fiscale riservato ai fini Iva alle cessioni di fabbricati debba essere rinvenuto esclusivamente nel “perimetro” applicativo del citato art. 10, comma 1, nn. 8-bis) e 8-ter). Pertanto, ove sia applicabile la disciplina generale, la cessione del fabbricato sarebbe esente da Iva. Viceversa ove dovessero sussistere le condizioni per applicare le eccezioni la stessa cessione risulterebbe imponibile.

A ben vedere la disposizione citata non può considerarsi esaustiva della disciplina. È dunque possibile individuare nel corpo del d.P.R. n. 633 del 1972 ulteriori disposizioni in grado di “incidere” sui criteri di tassazione degli atti di trasferimenti di fabbricati.

Secondo quanto previsto dall’art. 10, comma 1, n. 27-quinquies) del decreto Iva sono esenti «le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19 bis 1 e 19 bis Questa disposizione deve essere applicata prioritariamente rispetto alla disciplina in rassegna di cui ai citati ai nn. 8-bis) e 8-ter). “Preliminarmente deve essere verificato se sussistono le condizioni previste per l’applicazione dall’art. 10, n. 27-quinquies). I relativi presupposti sono collegati all’atto di acquisto che è precedente rispetto alla successiva cessione. Per tale ragione se il cedente non aveva il titolo per considerare in detrazione l’Iva relativa al fabbricato acquistato, il regime di esenzione è obbligatoriamente quello previsto dal n. 27-quinquies). Viceversa, solo dopo aver verificato preliminarmente l’inapplicabilità di tale ultima disposizione (per la mancanza delle condizioni), il regime Iva dovrà essere determinato facendo riferimento alla disciplina di cui ai nn. 8-bis) ed 8-ter)[[4]].

Un’ulteriore fattispecie non riconducibile nell’ambito applicativo delle disposizioni richiamate riguarda la cessione di fabbricati in corso di costruzione. Inizialmente, subito dopo l’approvazione del decreto legge n. 223 del 2006, si riteneva che l’operazione fosse sempre imponibile. La soluzione veniva argomentata osservando che in mancanza dell’ultimazione dei lavori di costruzione il relativo termine di cinque anni[[5]], decorrente dalla fine della costruzione, non potrebbe mai essere decorso.

L’Agenzia delle entrate ha confermato l’applicazione obbligatoria del regime di imponibilità, ma sulla base di argomentazioni parzialmente diverse. Non si tratta, però, di differenze formali in quanto le motivazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria danno luogo a rilevanti implicazioni per ciò che riguarda, più in generale, i criteri di tassazione dell’atto e specificamente per ciò che attiene alle imposte ipotecaria e catastale applicabili[[6]].

La circ. 12/E del 1° marzo 2007 ha precisato che: «la cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo … sia esclusa dall’ambito applicativo dei richiamati 8-bis) e 8-ter dell’articolo 10 del d.P.R. n. 633 del 1972 trattandosi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione deve essere in ogni caso assoggettata ad Iva». Conseguentemente, trovando applicazione il c.d. principio di alternatività le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa.

Questa Commissione studi ha ritenuto che la medesima motivazione favorevole all’imponibilità delle cessioni di beni nuovi (in corso di costruzione) possa essere utilizzata anche per le cessioni di beni non nuovi oggetto di cessione durante la fase di ristrutturazione. In questo caso, fatta salva la ricorrenza dell’ulteriore condizione dell’effettività della realizzazione dei lavori edili, la cessione dei predetti beni è sempre imponibile ai fini Iva. «A supporto di tale conclusione, che si ritiene di condividere, si può fare riferimento non solo a un’evidente assimilazione tipologica tra le due classificazioni di beni, ma anche al disposto normativo di cui all’art. 10 nn. 8–bis e 8–ter che collega il momento dell’ultimazione sia alla costruzione di un nuovo fabbricato che agli interventi di recupero (tra cui rientra la ristrutturazione edilizia) di cui all’articolo 31 primo comma lettera c), d) ed e) legge n. 457 del 1978»[[7]].


La nozione di immobile in corso di costruzione

Sulla base della ricostruzione normativa sin qui effettuata appare evidente come l’attribuzione dello status di immobile in corso di costruzione incida sui criteri di tassazione dell’atto di trasferimento. L’operazione risulterà sempre imponibile ai fini Iva e le imposte ipotecarie e catastali saranno dovute in misura fissa.

L’Agenzia delle entrate, nonostante siano decorsi più di dieci anni dall’entrata in vigore del decreto legge n. 223 del 2006, non ha mai fornito un’esplicita definizione di «immobili in corso di costruzione». Tale nozione si desume solo indirettamente dalla citata circ. n. 12/E del 2007 laddove è stato fatto espresso riferimento ai fabbricati ancora nel circuito produttivo e per tale ragione la relativa cessione risulta sempre imponibile ai fini dell’Iva.

L’amministrazione finanziaria ha però chiarito in maniera molto più puntuale quando un fabbricato possa considerarsi ultimato. Ne consegue che la nozione di immobili in corso di costruzione può essere desunta a contrario considerando tali gli immobili non ancora ultimati.

A tal fine si dovrà fare riferimento ancora una volta alla circ. n. 12/E (cfr. par. 10). L’Amministrazione finanziaria ha così chiarito come «il concetto di ultimazione della costruzione o dell’intervento di ripristino dell’immobile …, debba essere individuato con riferimento al momento in cui l’immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo. Pertanto, come già precisato con circolare 38/E del 12 agosto 2005 in materia di accertamento dei requisiti “prima casa”, si deve considerare ultimato l’immobile per il quale sia intervenuto da parte del direttore dei lavori l’attestazione dell’ultimazione degli stessi, che di norma coincide con la dichiarazione da rendere in catasto ai sensi degli articoli 23 e 24 del d.P.R 6 giugno 2001, n. 380. Inoltre, si deve ritenere “ultimato” anche il fabbricato concesso in uso a terzi, con i fisiologici contratti relativi all’utilizzo dell’immobile, poiché lo stesso, pur in assenza della formale attestazione di ultimazione rilasciata dal tecnico competente, si presume che, essendo idoneo ad essere immesso in consumo, presenti tutte le caratteristiche fisiche idonee a far ritenere l’opera di costruzione o di ristrutturazione completata».

Conseguentemente se il direttore dei lavori non è ancora in grado di attestare in catasto l’ultimazione dei lavori, né il fabbricato presenta caratteristiche tali da poter essere concesso in uso a terzi, l’immobile non può considerarsi ultimato, ma in corso di costruzione. Tale nozione prescinde completamente dalla circostanza che il fabbricato in questione sia stato nel frattempo ceduto ad un soggetto che lo utilizzerà per finalità personali senza destinarlo subito dopo l’avvenuto acquisto al mercato immobiliare. In buona sostanza la nozione di immobile in corso di costruzione ha “natura oggettiva” essendo necessario fare riferimento allo “stato fisico” del fabbricato.

La soluzione proposta può essere agevolmente conciliata con l’indicazione dell’Agenzia delle entrate la quale ha ritenuto sempre imponibili le cessioni di fabbricati non ancora fuori usciti dal circuito produttivo. A tal proposito è agevole osservare che secondo tali indicazioni possono essere sicuramente considerati in corso di costruzione i fabbricati presenti all’interno del predetto circuito, ma la circostanza non vale ad escludere da tale nozione i fabbricati nel frattempo oggetto di cessione in favore di “consumatori finali”. Gli acquirenti  di immobili non completati potrebbero a loro volta appaltare l’ultimazione del fabbricato che risulta “oggettivamente non completato” all’atto dell’acquisto.

La nozione di immobile in corso di costruzione non è giuridica, ma richiede una valutazione in punto di fatto facendo riferimento alla situazione oggettiva dell’immobile. Tale soluzione è desumibile anche da alcune indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate.

Il primo documento di prassi riguarda i chiarimenti in tema di inversione contabile a seguito dell’estensione di tale modalità specifica di assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto. La circ. 27 marzo 2015, n. 14/E (cfr. par. 1.4) ha esaminato il perimetro applicativo dell’art. 17, comma 1, lett. a-ter) del d.P.R. n. 633 del 1972 che prevede l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile anche alle prestazioni di servizi di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici.

L’Amministrazione finanziaria ha confermato che il termine “completamento” di edifici, quindi nella sostanza immobili non completati, ovvero “in corso di costruzione,” contenuto nella lettera a-ter), «è utilizzato dal legislatore in modo atecnico. L’articolo 3 del Testo Unico dell’edilizia (decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2011, n. 380), non menziona, infatti, la nozione di completamento, ma fa riferimento a interventi quali manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, etc. Peraltro, non si ravvisa una nozione di completamento né nella Direttiva del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE né nel Regolamento di esecuzione (UE) n. 1042/2013 del Consiglio del 7 ottobre 2013». L’Agenzia delle entrate ha poi individuato con un elenco dettagliato alcune specifiche prestazioni che si sostanziano nel completamento dell’edificio[[8]]. Conseguentemente se devono essere ancora realizzate le predette opere il fabbricato non può considerarsi completato ed è «in corso di costruzione»[[9]].

La necessità di fare riferimento esclusivamente allo “stato” in cui si trova effettivamente l’immobile è ulteriormente confermata dalla citata circ. n. 12/E del 2007 (par. 10). L’Agenzia delle entrate ha affermato che «Con riferimento ai fabbricati in corso di ristrutturazione … la relativa cessione si deve ritenere imponibile ad Iva a condizione che i lavori edili siano stati effettivamente realizzati anche se in misura parziale. Non è sufficiente, pertanto, la semplice richiesta delle autorizzazioni amministrative alla esecuzione dell’intervento perché il fabbricato possa considerarsi in fase di ristrutturazione. Se è stato richiesto o rilasciato il permesso a costruire o è stata presentata la denuncia di inizio attività ma non è stato dato inizio al cantiere, il fabbricato interessato non può essere considerato, ai fini fiscali, come un immobile in corso di ristrutturazione». Vale a dire che è irrilevante il dato formale rappresentato dal permesso necessario per effettuare l’intervento di ripristino, mentre è essenziale lo stato effettivo dell’immobile, cioè l’inizio dell’intervento con l’apertura del cantiere. Si deve dunque fare riferimento alla situazione di fatto.


La nozione di immobile in corso di costruzione secondo il recente orientamento giurisprudenziale (criticabile)

La Corte di Cassazione ha fornito la nozione di immobile in corso di costruzione con la sentenza n. 23499 del 18 novembre 2016. Il giudice di legalità non ha considerato che tale nozione (o qualificazione) è di tipo oggettivo, cioè correlata all’avanzamento della costruzione (cfr. supra). È necessario quindi verificare se il fabbricato sia o meno pronto per essere destinato all’effettivo utilizzo, vale a dire non completato o in corso di costruzione.

Il giudice di legalità fa derivare tale nozione dalla “posizione soggettiva” dell’acquirente. In buona sostanza se l’acquirente è un “privato” non imprenditore, la circostanza (l’avvenuta cessione) determina l’interruzione del ciclo di produzione. Conseguentemente il bene deve considerarsi finito anche se materialmente non è stato ultimato. La soluzione sembra essere fondata su una finzione ritenendo che la cessione effettuata in favore di un “privato” coincida con il momento di ultimazione o completamento dell’immobile, in evidente contrasto con le indicazioni di cui alla circ. n. 14/E del 2015 cit. Ciò considerando che l’acquirente destinerà il fabbricato all’uso personale e non alla rivendita immettendolo nuovamente sul mercato. In buona sostanza, secondo questo orientamento giurisprudenziale, e contrariamente a quanto affermato dall’Agenzia delle entrate, è irrilevante che l’immobile non sia ancora completato in quanto mancante dei pavimenti, degli infissi e dei vetri. Se l’acquirente è un “privato” l’immobile si assume in ogni caso come “ultimato” e quindi non è in corso di costruzione.

La Suprema Corte ha così ritenuto che ove l’impresa abbia ancora in corso la costruzione del bene strumentale, e contestualmente l’immobile risulti oggetto di cessione ad un “privato”, le imposte ipotecarie e catastali saranno dovute in misura proporzionale e non in misura fissa. I tributi dovranno essere liquidati e versati, rispettivamente, nella misura del 3 e dell’1 per cento, come se l’immobile fosse di fatto ultimato. Secondo l’orientamento giurisprudenziale in rassegna, la disciplina fiscale indicata sarebbe una conseguenza diretta dell’applicazione dell’art. 10, comma 1, n. 8–ter) del d.P.R. n. 633 del 1972 avente ad oggetto, appunto, la tassazione degli atti di trasferimento degli immobili strumentali per natura ultimati.

L’orientamento della Corte di Cassazione non risulta condivisibile sulla base di diverse argomentazioni. In primis è irrilevante che la  circ. n. 12/E colleghi la qualifica di fabbricato non ultimato (o in corso di costruzione) alla circostanza che il bene immobile si trovi ancora all’interno del “circuito produttivo”. Solitamente l’ultimazione   di un immobile non ancora completato si realizza prima che il fabbricato sia oggetto di cessione al “consumatore finale”. Conseguentemente, nei diversi passaggi che sono posti in essere prima di arrivare all’acquirente “finale,” l’immobile deve essere in ogni caso considerato come non completato (in corso di costruzione). Questa è l’indicazione fornita dall’Agenzia delle entrate che però non ha affatto escluso, qualora l’immobile sia ceduto ad un “privato” consumatore finale, che il cespite perda la qualifica di immobile in corso di costruzione per poi acquisire lo status di immobile completato rientrante nell’ambito della disciplina di cui all’art. 10, comma 1, n. 8–ter) del d.P.R. n. 633 del 1972. D’altra parte tale circostanza, cioè la mancata ultimazione dell’immobile, è ampiamente dimostrata, come per la fattispecie esaminata dalla citata sentenza n. 23499 del 2016, dall’inidoneità dello stesso ad essere utilizzato dal consumatore finale. L’acquirente ha così dovuto appaltare ad altro soggetto, o anche all’impresa cedente, il completamento del fabbricato. L’immobile, quindi, deve considerarsi non ultimato secondo le indicazioni fornite proprio dalla circ. n. 12/E del 2007 cit. in quanto non idoneo all’utilizzo ed allora è naturale domandarsi come possa non essere considerato in corso di costruzione.

L’orientamento della Suprema Corte è stato recentemente confermato dalla sentenza n. 22138 del 22 settembre 2017 che si è spinta ancora oltre rispetto alla prima pronuncia. In tal caso è stato precisato che l’immobile si intende uscito dal circuito produttivo anche quando l’acquisto venga effettuato da un’altra impresa, e non solo da un “privato,” a condizione che l’acquirente impresa lo utilizzi quale bene strumentale invece di destinarlo alla vendita. In buona sostanza il mero impiego del fabbricato acquistato come “mezzo di produzione” strumentale fa assumere al soggetto acquirente, sia esso “privato”, sia esso imprenditore, la qualifica di consumatore finale. Tale circostanza determina, seguendo l’orientamento della Corte di Cassazione, che le cessioni di fabbricati strumentali, effettuate nei confronti di “consumatori finali,” hanno sempre per oggetto beni immobili ultimati. Ciò anche nell’ipotesi in cui, successivamente all’atto di trasferimento, l’acquirente “consumatore finale” appalti ad un’altra impresa (o all’impresa cedente) i lavori di completamento del fabbricato. In senso conforme a tale orientamento si è espressa la prima sentenza della Corte di Cassazione n. 22757 del 9 novembre 2016. Secondo la tesi della Suprema Corte un fabbricato non ultimato può essere considerato in corso di costruzione solo se la relativa cessione viene effettuata in favore di un’altra impresa edile in grado di “garantire” la permanenza dello stesso nel circuito produttivo al fine di procedere all’ultimazione dello stesso[[10]]. Secondo le indicazioni della Corte di Cassazione possono verificarsi le seguenti fattispecie:

  1. cessione di fabbricato strumentale ultimato: in tale ipotesi la cessione è riconducibile nell’ambito della disciplina di cui all’art. 10, comma 1, n. 8–ter) del d.P.R. n. 633 del 1972. Se non sono decorsi più di cinque anni dal termine dei lavori e la vendita è effettuata dall’impresa costruttrice l’operazione è naturalmente imponibile; l’imposta di registro è dovuta nella misura fissa di 200 euro; le imposte ipotecaria e catastale sono dovute nella misura “rinforzata,” rispettivamente del 3 e dell’1 per cento;
  2. cessione di fabbricato strumentale in lavorazione nei confronti di un consumatore finale “privato”: in tale ipotesi, avendo riguardo alla posizione soggettiva dell’acquirente, che utilizzerà direttamente l’immobile, si verifica la fuori uscita del bene dal circuito produttivo e, di conseguenza, il fabbricato deve considerarsi ultimato. Si applicherà l’articolo 10, comma 1, n. 8–ter) del decreto Iva. L’operazione si considererà naturalmente imponibile coincidendo l’ultimazione del fabbricato con il momento di fuori uscita del bene dal circuito produttivo. Per tale ragione l’operazione risulterà sempre  imponibile non potendosi verificare in concreto il decorso di un quinquennio rispetto al momento finale di ultimazione dei lavori che, come ricordato, deve essere assunto come coincidente con l’operazione di “estromissione”;
  3. cessione di fabbricato strumentale in lavorazione nei confronti di un consumatore finale “impresa”. Le modalità di tassazione sono analoghe a quelle dei due punti precedenti. Preventivamente dovrà essere verificato se l’impresa acquirente ha acquisito effettivamente lo status di “consumatore” finale, cioè se ha deciso di impiegare effettivamente il fabbricato acquistato come bene strumentale nel processo produttivo senza destinarlo, almeno inizialmente, alla successiva rivendita. In tale ipotesi il fabbricato deve considerarsi ultimato. L’operazione è naturalmente imponibile; l’imposta di registro è dovuta nella misura fissa di 200 euro; le imposte ipotecaria e catastale sono dovute nella misura “rinforzata” del 4 per cento (3 e 1 per cento):
  4. cessione di fabbricato strumentale in lavorazione nei confronti di un soggetto diverso dal consumatore finale: l’operazione non è riconducibile nell’ambito della disciplina di cui all’art. 10, comma 1, n. 8-ter) del d.P.R. n. 633 del 1972. La cessione è sempre imponibile ai fini Iva. In questo caso l’imponibilità dell’operazione troverà applicazione naturalmente. Conseguentemente l’imposta sul valore aggiunto dovrà essere assolta secondo i criteri ordinari e non con l’applicazione del reverse charge. Inoltre, trovando piena applicazione il principio di alternatività, l’imposta di registro, ma anche le imposte ipotecaria e catastale saranno in ogni caso dovute in misura fissa.

L’orientamento della Corte di Cassazione è ancor più debole nella parte in cui ha ritenuto di poter attribuire lo “status” di consumatore finale all’impresa acquirente che utilizzerà il fabbricato oggetto di acquisto in proprio. In tale ipotesi il contrasto con la circ. n. 14/E del 2015 cit. è ancor più evidente. Si consideri ad esempio il caso in cui la Società Alfa ceda alla Società Beta un immobile mancante dei pavimenti e degli infissi. L’acquirente non intende rivendere il bene acquistato, ma lo stesso sarà utilizzato direttamente dopo che il fabbricato sarà stato ultimato con la realizzazione delle opere mancanti. Per tale ragione la Società Beta appalta a Gamma la posa in opera dei pavimenti e degli infissi. Secondo la tesi della Cassazione la cessione ha per oggetto un fabbricato ultimato (non in corso di costruzione). Tale conclusione è fondata, come ricordato, sulla posizione soggettiva dell’impresa acquirente. Tuttavia le argomentazioni poste a sostegno di tale orientamento mettono “in crisi” le modalità di assolvimento dell’imposta riferibili al completamento del fabbricato effettuato in base al contratto di appalto tra Beta e Gamma. Seguendo le indicazioni della circ. n. 14/E, trattandosi di prestazioni di completamento di edifici, la società Gamma non avrebbe titolo per esercitare il diritto di rivalsa ex art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972 nei confronti della società appaltante. Infatti, l’imposta deve essere assolta con l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile e l’impresa appaltante sarà obbligata ad integrare la fattura ricevuta con l’indicazione della base imponibile e dell’Iva. Secondo, invece, il diverso orientamento della Cassazione le predette prestazioni non dovrebbero essere considerate “di completamento” essendo l’immobile oggetto della precedente cessione ultimato (non in corso di costruzione). Conseguentemente la Società Gamma avrebbe titolo per esercitare la rivalsa. In buona sostanza, come evidenziato più volte, la soluzione della Suprema Corte si pone in evidente contrasto con le indicazioni fornite, sia pure ai fini dell’applicazione dell’inversione contabile, dall’Agenzia delle entrate. Né sembra corretto affermare la coesistenza di due diverse nozioni di immobili in corso di costruzione: l’una riguardante le operazioni di cessione, l’altra ai soli fini dell’applicazione del reverse charge.

L’infondatezza dell’orientamento del giudice di legalità è ancor più evidente se si considera anche la “clamorosa” svista” commessa dai giudici che hanno ritenuto come gli atti in questione dovessero essere assoggettati ad imposta di registro. A tal proposito è stato correttamente osservato che «l’AE non ha mai contestato la imponibilità Iva delle cessioni dei fabbricati strumentali non ultimati, ma soltanto la mancata applicazione delle imposte ipotecaria e catastale rinforzate (nella seconda negando la restituzione di quelle pagate). Mentre i giudici di legittimità hanno fondato il loro convincimento sul presupposto che per l’applicazione delle suddette imposte in misura proporzionale la cessione debba essere esente da Iva (ignorando che per gli immobili strumentali per natura ultimati le ipocatastali del 3 + 1 si applicano in ogni caso). Così come in ogni caso, quindi sia per le cessioni imponibili, sia per le cessioni esenti, l’imposta di registro si applica nella misura fissa, attualmente di Euro 200»[[11]].

Un ulteriore elemento che consente di dubitare circa la correttezza della soluzione della Corte di Cassazione riguarda, ancora una volta, gli acquisti effettuati dalle imprese che assumono lo status di consumatori finali (cfr. supra punto n. 3). Tale qualificazione, e la conseguente disciplina fiscale applicabile, risulterebbe “condizionata” dalle modalità di impiego del bene acquistato. Il notaio rogante non è in grado di fare tale verifica e dovrebbe acquisire una dichiarazione dell’acquirente in sede di rogito circa l’immediata e futura destinazione del fabbricato. Occorre poi considerare che, rispetto alla destinazione strumentale iniziale, anche se manifestata nell’atto notarile, l’acquirente potrebbe, in un momento immediatamente successivo, destinare nuovamente il fabbricato strumentale alla vendita. Conseguentemente collegare la natura del fabbricato (in lavorazione o ultimato) alla manifestazione di volontà ed al comportamento concretamente assunto dall’acquirente/impresa, non appare un criterio idoneo a soddisfare le esigenze di certezza che devono caratterizzare la tassazione dei trasferimenti dei fabbricati.

La tesi della Corte di Cassazione potrebbe eventualmente essere in grado di incidere esclusivamente sulla misura delle imposte ipotecaria e catastale. Se la fuori uscita del fabbricato dal circuito produttivo coincide con il momento in cui il fabbricato è “figurativamente” ultimato l’operazione sarà sempre imponibile ai fini Iva. Ciò in quanto, all’atto del trasferimento non saranno sicuramente decorsi cinque anni dall’ultimazione del fabbricato[[12]12]. In buona sostanza l’operazione risulterebbe imponibile come se l’immobile fosse ancora in corso di costruzione. Invece considerare l’immobile ultimato, riconducendo  lo stesso nell’ambito applicativo dell’art. 10, comma 1, n. 8-ter) darebbe luogo, per i soli immobili strumentali per natura, all’applicazione delle imposte ipotecarie e catastali nella misura “rinforzata”, rispettivamente del 3 e dell’1 per cento. Si ritiene, invece, contrariamente alla tesi della Cassazione, che ai fabbricati in questione debba attribuirsi la qualifica di immobile in corso di costruzione con la conseguente applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa.


Conclusioni

Per quanto riguarda la disciplina Iva, l’orientamento della Corte di Cassazione non è in grado di incidere sull’imponibilità delle predette cessioni. Infatti, anche laddove la “fuoriuscita” del bene dal circuito produttivo si realizzasse a seguito della cessione del fabbricato nei confronti di un “consumatore finale”, questo momento assumerebbe rilevanza al fine del computo del termine quinquennale che, non essendo decorso, darebbe in ogni caso luogo all’imponibilità dell’operazione. Conseguentemente l’imposta di registro è sempre dovuta in misura fissa. D’altra parte, come già ricordato, l’Agenzia delle entrate si è limitata a richiedere, con riferimento alle controversie esaminate dalla Corte di Cassazione, le imposte ipotecaria e catastale nella misura rinforzata del 3 e dell’1 per cento. 

Non può essere condiviso l’orientamento espresso dalla Suprema Corte secondo cui non può essere considerato in corso di costruzione l’immobile non ultimato ceduto ad un consumatore finale, anche se esercente un’attività d’impresa.

La nozione di immobile in corso di costruzione è rappresentata da una situazione “oggettiva” e di fatto e cioè avendo riguardo all’effettivo stato in cui si trova il fabbricato. Se l’immobile non è stato ancora completato e quindi, come affermato dalla circ. n. 12/E del 2007, non è idoneo all’uso, il fabbricato deve essere considerato in corso di costruzione non assumendo alcun rilievo, al fine di tale nozione, la posizione soggettiva dell’acquirente.

La nozione di fabbricato “completato” (non in corso di costruzione) elaborata dalla Corte di Cassazione, dà luogo alla mancata e non corretta applicazione dell’inversione contabile qualora l’impresa acquirente il fabbricato “virtualmente completato” dovesse appaltare ad altra impresa il completamento dello stesso. Secondo la tesi della Suprema Corte, anche se non lo si afferma espressamente, le predette prestazioni, rese in esecuzione del contratto di appalto, non configurerebbero attività di completamento (essendo l’immobile già ultimato) e come tali sarebbero soggette all’applicazione dell’Iva con i criteri ordinari. Il contrasto dimostra l’infondatezza della costruzione elaborata dalla giurisprudenza.

* Riproduzione autorizzata dal CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO.

[1] Fabbricati aventi categoria catastale A/10, B, C, D e E.

[2] Per una disamina delle eccezioni che determinano l’imponibilità delle operazioni di cessioni di fabbricati cfr. l’art. 10, comma, nn. 8-bis) e 8-ter) del d.P.R. n. 633 del 1972.

[3] Secondo l’originaria formulazione delle disposizioni l’imponibilità delle cessioni era altresì condizionata dalla possibilità del soggetto acquirente di considerare o meno in detrazione il tributo in misura pari o superiore al 25 per cento. Inoltre il termine di cinque anni dalla fine dei lavori di costruzione o dell’intervento di ripristino, che una volta superato avrebbe dato luogo all’esenzione della cessione, era originariamente stabilito in quattro anni.

[4] N. FORTE, Manuale Iva 2017, Santarcangelo di Romagna, 2016, 615. L’applicazione dell’una o dell’altra disposizione, anche se l’atto di cessione potrebbe risultare comunque esente, sarebbe in grado di determinare effetti diversi ai fini della tassazione per l’applicazione dell’imposta di registro. Infatti, se l’oggetto della cessione è costituito da un fabbricato strumentale per natura la prioritaria applicazione dell’art. 10, comma 1, n. 27-quinquies) dà luogo all’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale e anche le imposte ipotecaria e catastale sono applicate nella misura ordinaria del 2 e dell’1 per cento.

[5] In precedenza quattro anni.

[6] Se si realizza la cessione di un fabbricato strumentale per natura (categoria catastale A/10, B, C, D ed E), riconducibile nell’ambito della disciplina di cui all’art. 10, comma 1, n. 8-ter) del d.P.R. n. 633 del 1972, quindi ultimato, le imposte ipotecaria e catastale sono sempre dovute nella misura “rinforzata” del 3 e dell’1 per cento.

[7] F. RAPONI, Iva – cessione di fabbricato strumentale in corso di ristrutturazione edilizia – aliquota applicabile, Studio n. 99-2009/T, in Studi e materialiwww.notariato.it; conforme V. LA PECCERELLA, Trattamento fiscale, ai fini Iva, della cessione di un complesso immobiliare, “non ultimato”, Risposta a quesito n. 190 – 2014/T, in Banca dati CNN Notizie.

[8] Si tratta, ad esempio, delle prestazioni di intonacatura e stuccatura, posa in opera di infissi e controsoffitti, rivestimenti di pavimenti e di muri, tinteggiatura e posa in opera di vetri, etc.

[9] Ad esempio se l’immobile è ancora mancante degli infissi e dei vetri non può considerarsi completato e quindi è in corso di costruzione.

[10] Per un approfondimento critico sulle argomentazioni della Corte di cassazione cfr. R. TRABACE, Cessione di fabbricato strumentale per natura non ultimato da soggetto Iva a “consumatore finale”, in Federnotizie, 14 novembre 2017. Secondo l’autore «il riferimento all’impresa “edile” appare non adeguato al disposto di cui al n. 8–ter), norma che valorizza, ai fini dell’applicazione della relativa disciplina, la figura dell’impresa costruttrice, dovendosi considerare tale, come pacificamente ammesso dalla stessa AE, l’impresa che realizza la costruzione anche avvalendosi per l’esecuzione dei lavori di imprese terze, quindi anche l’impresa che non abbia per oggetto della propria attività la costruzione dei predetti fabbricati».

[11] Cfr. R. TRABACE, Cessione di fabbricato strumentale per natura non ultimato da soggetto Iva a “consumatore finale”, cit.

[12] Ad esempio se il fabbricato in corso di costruzione viene ceduto ad un “soggetto” privato in data 10 luglio 2018, e secondo la tesi della Cassazione l’ultimazione dell’immobile coincide con tale data (assunta quale “fine lavori”), al momento della cessione non sarà sicuramente decorso il termine di cinque anni (dalla fine dei lavori). Pertanto l’operazione si considererà in ogni caso imponibile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.