Le società familiari nella nuova era delle Srl PMI
Le società familiari (c.d. Fbs)
Definizione di società familiare
La definizione di società familiare[[1]], come si dimostrerà nelle pagine successive, non sembra poi così scontata come si potrebbe credere, visto che la dottrina affrontando il problema della definizione di società familiare ha parlato di “family business theory jungle”[[2]].
In dottrina non esiste una definizione univoca di società familiare[[3]] anche se orientativamente ciò che distingue la società familiare dalle altre sembra essere la titolarità della proprietà (alias partecipazioni sociali) in capo ai familiari, la capacità di esercitare il controllo sulla società da parte della famiglia, il coinvolgimento di più generazioni famigliari nell’impresa e l’orientamento al futuro (inteso come prospettiva di gestione nel lungo periodo della società da parte dei familiari)[[4]].
In uno dei contributi aventi maggior seguito in dottrina si sono individuati tre step caratterizzanti la società PMI familiare. Il primo, costituito: dalla intenzione di tramandare di generazione in generazione l’impresa e dalla partecipazione del fondatore/proprietario nell’attività di impresa; il secondo composto: dalla partecipazione della famiglia e dal controllo della famiglia nelle decisioni strategiche; il terzo rappresentato: dalla presenza di più generazioni contemporaneamente e dalla presenza di più membri della famiglia che rivestono ruoli di responsabilità[[5]].
In realtà, altra dottrina analizzando la società famigliare è giunta ad affermare più genericamente che la peculiarità delle società familiari consiste nella compresenza dei sottosistemi famiglia e impresa, che si influenzano reciprocamente con norme, principi e ruoli di diversa natura, ma così sovrapposti da entrare spesso anche in conflitto. Detta dottrina ha analizzato circa 250 articoli pubblicati sul tema sulle principali riviste internazionali ed è arrivata ad individuare ben 21 diverse definizioni di impresa familiare[[6]].
Si parte da chi afferma che la impresa famigliare è il business in cui devono essere identificate almeno due generazioni della stessa famiglia i cui legami devono influenzare le politiche di impresa e gli interessi della famiglia[[7]], passando alla definizione che essa è il business nel quale due o più familiari ne influenzano la gestione[[8]], o alla tesi che è l’impresa caratterizzata da forte interrelazione delle figure familiari nei diversi ruoli manageriali, radicamento nel territorio di riferimento, sovrapposizione istituzionale tra famiglia, impresa e patrimonio familiare[[9]], o diversamente motivando che è l’impresa nella quale una o poche famiglie collegate da vincoli di parentela, di affinità o alleanze detengono quote di capitale di rischio sufficienti ad assicurarne il controllo[[10]], o ancora che è il business nel quale i membri possiedono il controllo legale sulla proprietà[[11]], o che è l’impresa in cui gli aspetti strategici e gestionali sono soggetti all’influenza significativa di una o più famiglie. L’influenza è esercitata sotto forma di proprietà[[12]], a cui si aggiunge la diversa declinazione secondo cui è l’impresa in cui le principali decisioni operative e la pianificazione della successione sono influenzate dai membri della famiglia presenti nel management o nel c.d.a[[13]], concludendo con le definizioni che è il business posseduto e gestito dai membri di una o più famiglie[[14]], o che è l’impresa controllata da una o più famiglie che incidono sulla governance e influenzano le decisioni[[15]].
Tale indagine ci pone di fronte ad un orizzonte di studio piuttosto frammentato e discontinuo ove l’attenzione è posta ora sulla proprietà, ora su management, ora su strategie, partecipazione dei membri della famiglia, successione, continuità dell’assetto proprietario[[16]].
Per semplificare, chi scrive, crede che si possa concentrare l’attenzione sui tre elementi fondamentali che si intrecciano nella società familiare PMI ossia i tre distinti sistemi sociali elementari (la famiglia, la proprietà e l’impresa) rispondenti a funzioni e logiche diverse, ma strettamente interdipendenti[[17]].
I tre sistemi sociali (famiglia, proprietà, impresa) possiedono un’area comune in cui convergono e si sovrappongono totalmente, dando luogo ad un sistema complesso, la società familiare, nella quale il fondatore o l’imprenditore-proprietario è membro della famiglia e insieme capo e gestore dell’impresa, eventualmente in collaborazione con altri familiari che condividono la proprietà.
Nelle aree in cui la sovrapposizione è solo tra due dei tre sistemi sociali si possono collocare gli altri “attori” che agiscono nell’impresa familiare. Ci riferiamo: 1) ai membri della famiglia che, pur esclusi dalla proprietà, partecipano direttamente all’attività di gestione interna come dirigenti, quadri o come semplici lavoratori (manca in questo caso il requisito della proprietà); 2) ai membri della famiglia che, viceversa, non prestano alcuna attività lavorativa in azienda, ma detengono quote di capitale proprio o azionario, in qualità di soci (manca in questo caso il requisito dell’attività di impresa); 3) ai soggetti esterni all’ambito familiare, ma ugualmente coinvolti sia nella proprietà come soci terzi, che nell’attività di gestione interna (a diversi livelli). In questi tre ultimi casi descritti per taluno siamo fuori dal perimetro della società familiare, ma ad avviso di chi scrive, solo la terza ipotesi e forse la prima resta confinata all’esterno della società familiare.
Concludendo gli elementi che tratteggiano indelebilmente le società familiari e le distinguono dalle “altre imprese” possono ricondursi ai seguenti: a) il fondatore o un membro della famiglia suo erede è a capo dell’impresa come Presidente o amministratore unico (in posizione di leader); b) altri membri della famiglia del fondatore o del leader sono impiegati nell’impresa e partecipano in varia misura, alla proprietà e al processo decisionale interno; c) laddove presenti, i manager accettano formalmente o prendono atto di essere soggetti totalmente, o condizionati in modo determinante, nel loro agire dalla famiglia che esprime la proprietà, nonché dalla particolare situazione di potere, interna al nucleo familiare di controllo[[18]].
Vantaggi e svantaggi caratterizzanti le società famigliari
Per lungo tempo le Family business society (FBS) sono state considerate un residuo del passato destinato a scomparire. Ma la realtà dei fatti ha evidenziato l’esatto opposto[[19]]. Si tratta di realtà più flessibili, maggiormente orientate al duro lavoro, capaci di sopravvivere alle crisi e di porsi anche come strumento di ripiego per società più strutturate. In tempi come quelli attuali, caratterizzati da crisi, le imprese familiari hanno una marcia in più: “la famiglia”.
Nonostante le difficoltà attuali, l’unione famigliare continua a rappresentare il collante che consente all’impresa di sopravvivere.
Le qualità e i vantaggi delle società familiari possono riassumersi come segue: motivazione dei membri della famiglia e dei dipendenti, diffusione di conoscenza tacita, focus sul lungo periodo, reputazione, riduzione di costi di controllo, condivisione e capitale sociale, relazioni familiari in periodi di crisi, interesse nei confronti dei dipendenti e del territorio di riferimento, enfasi su qualità, solvibilità e fiducia, flessibilità nell’assunzione delle decisioni, minore burocrazia.
L’altra faccia della medaglia è rappresentata da: eccessiva interferenza degli interessi familiari, scarsa obbiettività, nepotismo[[20]], successione, accesso al capitale e talvolta ridotta crescita dovuta alla scarsa propensione al rischio, aspetti organizzativi confusi, fondatore troppo presente nelle decisioni, difficoltà nella gestione della relazione famiglia-business.
I rischi del cambio generazionale alla guida dell’impresa
La letteratura sul tema[[21]] del cambio generazionale[[22]] è divisa tra coloro che affrontano il fenomeno con una visione “pessimistica” dell’evento, vissuto come destabilizzante e foriero di errori, rischi, difficoltà e incoerenze che possono presentarsi durante il processo successorio e che rappresentano quindi una minaccia per la continuità e la sopravvivenza del sistema aziendale e coloro che prestano maggior attenzione sulle opportunità di cambiamento offerte dalla successione, considerata come fondamentale occasione per diffondere uno spirito innovativo all’interno della società famigliare e per avviare processi di cambiamento, da condurre secondo una logica orientata al futuro, in cui si combinino continuità e rinnovamento, tradizione e innovazione[[23]].
In realtà entrambe le visioni, quella “conservativa” da un lato e quella eccessivamente “evolutiva” dall’altro mettono in pericolo la società[[24]].
Una visione eccessivamente conservativa può portare alla c.d. “trappola del fondatore” che si realizza quando l’imprenditore-fondatore, fidandosi dei risultati ottenuti in passato, più o meno consapevolmente, escluda “a priori” possibili successori innovativi, sulla base del considerando che il modello vecchio sia quello di successo e vada mantenuto.
Nella medesima direzione si pone la situazione della c.d. “trappola della conferma della strada vecchia” che colpisce quei managers familiari subentranti al fondatore che vogliono continuare a camminare sulla strada indicata da questi che in passato ha consentito di ottenere buone e, soprattutto sicure performance. Le loro scelte sono pertanto all’insegna della continuità e della coerenza nella prospettiva del lungo termine. Tali successori, tuttavia, quando si manifestino fenomeni di discontinuità ambientale rilevanti (ad es. crisi dell’economia, emergere di competitor nuovi nel settore) potrebbero non avere la flessibilità e la prontezza necessari per poter fronteggiare in modo efficace tali discontinuità, non riuscendo a formulare e/o implementare i necessari cambiamenti nelle scelte strategiche[[25]].
Una visione eccessivamente innovativa può portare alla c.d. “trappola del successore” che si verifica quando i nuovi managers famigliari, subentrati nella direzione dell’impresa, vogliano dimostrare subito il loro talento e le loro capacità innovative e di meritarsi la successione non per nepotismo ma per merito e capacità. È il desiderio di dimostrare di non essere una mera appendice della generazione precedente.
Tale atteggiamento, se portato agli estremi, può far allontanare l’impresa dai suoi punti di forza storicamente posseduti e che sono alla base del successo delle sue strategie.
Si può altresì verificare la c.d. “trappola della pluralità dei successori” quando in presenza di più manager familiari “innovativi” subentrati nella guida della società e in competizione tra loro, ognuno vada per la sua strada, sviluppando progetti di cambiamento slegati e non riconducibili ad una strategia aziendale comune, facendo venir meno il clima coeso e collaborativo precedente.
Non ultimo si appalesa il rischio della c.d. “trappola dei non consanguinei” quando l’inserimento delle nuove generazioni nella società familiare allarga il nucleo famigliare di appartenenza con ingresso di parenti acquisiti (genero e nuora) o di cugini che posseggono un background familiare eterogeneo e spesso lontano da quello originario.
La successione aziendale e la generazione dei babyboomer. Continuità o discontinuità?
All’attualità i manager conduttori delle società familiari si collocano in un range di età tra i 50 e 55 anni, sono pertanto nati nel periodo del c.d. “baby boom”. Tra 10/15 anni dovranno apprestarsi a lasciare la conduzione dell’azienda.
Nel concreto la fase del “cambio generazionale” o della “successione” della nuova generazione di imprenditori figli dei fondatori dell’azienda, è descritto dalla dottrina che si è interessata della c.d. “dinastic management” e delle imprese familiari “family firms” con tre approdi alternativi: 1) allargamento della proprietà rinunciando al controllo: l’impresa diventa una c.d. public company, gli imprenditori-azionisti-fondatori familiari e gli eventuali azionisti esterni scelgono di comune accordo il o i migliori managers professionali disponibili sul mercato del lavoro; 2) entrata di azionisti esterni di minoranza e chiamata del o dei migliori managers professionisti, su cui il o i soci fondatori e/o i suoi o i loro eredi esercitano un controllo ravvicinato e puntuale; 3) la vendita a precedenti collaboratori (con funzioni dirigenziali), ossia il management buy-in normalmente preferita rispetto alla vendita a un’altra impresa o a una società di private equity; 4) mantenimento della stretta proprietà famigliare e chiamata alla successione del o dei family managers eredi.
Nel mondo anglosassone prevale, di solito, la prima scelta, mentre le altre tre sono tipiche dell’Europa continentale e, soprattutto, dell’Italia, in cui è prevalsa dal punto di vista numerico, finora e di gran lunga, la quarta alternativa [[26]].
Di conseguenza, proprio su questa quarta soluzione si concentra la nostra attenzione.
Il passaggio generazionale. Scelte e modalità
L’influenza della famiglia in azienda si riflette in misura rilevante sulla scelta della destinazione dell’azienda. Normalmente le società PMI in cui tra i proprietari non vi è alcun membro della famiglia, già inserito oltre al fondatore, vengono cedute a collaboratori (con funzioni dirigenziali). Maggiore è la presenza di familiari tra i proprietari e nella direzione, più forte è il desiderio di ricorrere al family buyout, a scapito del management buyout.
Invece, la disponibilità a vendere a soggetti esterni alla famiglia e all’impresa stranger buyout, dipende meno dall’intensità dell’influenza della famiglia. L’intenzione di mantenere la società nelle mani della famiglia è maggiore se nell’impresa tra i proprietari sono presenti genitori e figli e/o fratelli. Se nella proprietà sono coinvolti solo i coniugi, oltre la metà delle società finiscono cedute all’esterno della cerchia famigliare.
I principi seguiti dal fondatore nel caso di successione nell’ambito della famiglia
Nell’ambito della successione all’interno della famiglia si pone la vicenda della c.d. electio del successore al quale trasferire la direzione e la proprietà[[27]].
Le opzioni a disposizione selezionate dalla prassi sono le seguenti: 1) lasciare l’impresa al discendente con le maggiori capacità imprenditoriali; 2) suddividerla in parti uguali tra tutti i discendenti; 3) lasciare l’impresa, secondo il principio della primogenitura, optando quindi per il trasferimento al figlio o alla figlia maggiore (opzione ormai quasi desueta).
Secondo il management aziendale la scelta che maggiormente premia in termini di performance dell’azienda è quella in cui l’impresa è stata trasferita sulla base del criterio del merito e delle capacità, (quindi la prima soluzione).
La trilogia di opzioni sopra descritta era però scelta obbligata di un sistema societario poco duttile che imponeva una scelta drastica tra le opzioni sopra descritte, attraverso gli strumenti giuridici (ormai obsoleti) riportati nel paragrafo successivo.
Gli strumenti giuridici utilizzati in passato per la successione al comando della società diversi da operazioni societarie
La successione comporta il cambiamento delle strutture e dei responsabili delle decisioni dell’azienda[[28]]. Pertanto, è di particolare rilievo la scelta dello strumento in grado di agevolare questo processo.
In passato, le scelte degli strumenti si dividevano equamente tra: 1) il ricorso a patti parasociali; 2) il ricorso a contratti di diritto comune (non strettamente ereditari) quali il trust, la donazione ecc.; 3) l’utilizzo di contratti matrimoniali (nel caso di incidenza del rapporto coniugale), ipotesi, però, residuale che spesso si conclude con la cessione dell’impresa; 4) il ricorso a contratti ai sensi del diritto ereditario (in particolare il patto di famiglia; 4). Tutti gli strumenti descritti presentavano e presentano tuttora pesanti criticità.
Il patto parasociale aveva e ha tuttora il grande difetto di non possedere “efficacia reale” cioè di non essere opponibile ai terzi e detto limite ne riduce grandemente l’efficacia.
Tra i contratti di diritto comune il trust[[29]] può essere utilizzato ad es. come trust testamentario che disponga che il trustee amministri l’azienda per un certo tempo dopo la morte del testatore, distribuendo gli utili tra gli eredi, con l’indicazione che, scaduto il termine di amministrazione, lo stesso trustee scelga a chi assegnare, tra gli eredi, l’amministrazione dell’azienda stessa[[30]], o, come voting trust, ossia come trust in cui confluiscono le partecipazioni societarie dei familiari per disciplinare l’esercizio del voto in assemblea. Il trustee diviene titolare delle partecipazioni, esercitando i diritti che ne derivano[[31]].
Tuttavia il trust non offre alcuna protezione rispetto all’azione di riduzione e alla collazione ereditaria; secondo taluno lo stesso beneficiario potrebbe agire in riduzione poiché il trust non è strumento che soddisfa, in punto di diritto la legittima, inoltre costringe, in tali evenienze, a valutare l’azienda o le partecipazioni sociali al momento dell’apertura della successione.
Quanto alla donazione è ovviamente strumento inidoneo a generare qualunque sistemazione famigliare dotata di una qualche “stabilità” tantè che la dottrina correttamente ha definito la donazione di partecipazioni sociali “una mela avvelenata”[[32]].
Il patto di famiglia[[33]] avrebbe dovuto spazzare via ogni problema[[34]] ma in realtà così non è stato.
I profili di criticità sono molteplici: 1) innanzitutto, la legge, anche per interpretazione pacifica pretende la partecipazione al contratto di tutti coloro che sono legittimari del titolare dell’azienda o delle partecipazioni sociali alla data della stipula. Dunque, è necessario un contesto familiare pacifico;
2) è inoltre ricorrente il problema dell’obbligato alla liquidazione dei legittimari diversi dall’assegnatario. Per legge obbligato è quest’ultimo, ma in tal caso come recentemente precisato dalla Corte di Cassazione del 19 dicembre 2018, n. 32823 peraltro «il patto di famiglia di cui agli artt. 768 c.c. è assoggettato all’imposta sulle donazioni per quanto concerne sia il trasferimento dell’azienda o della partecipazione del disponente al discendente (fatto salvo il ricorso delle condizioni di essenzialità di cui all’art. 3, comma 4-ter, d.lgs. n. 346 del 1990), sia la corresponsione di somma compensativa della quota di legittima dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni ai legittimari non assegnatari; quest’ultima corresponsione è assoggettata ad imposta in base all’aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario»[[35]]. Non erra, pertanto, chi sostiene che il patto di famiglia sia stato “azzoppato” dalla Cassazione[[36]], o che comunque il patto di famiglia “inciampa sul fisco”[[37]]. Infatti il patto di famiglia è assoggettato secondo la recente pronuncia della Suprema Corte a una doppia tassazione: la prima a favore del coniuge e dei parenti in linea retta: oltre 1 milione di euro aliquota del 4%; la seconda a favore dei fratelli e delle sorelle oltre 100.000 euro aliquota del 6%;
3) inoltre, solitamente l’assegnatario è privo dei mezzi necessari per operare la liquidazione di tutti i legittimari; nella prassi, tale onere è adempiuto dal disponente imprenditore, con la tecnica dell’adempimento del terzo, a titolo di liberalità indiretta a favore dell’assegnatario, che guadagna la liberazione dall’obbligo di liquidare gli altri legittimari. Di qui il dibattito dottrinale in ordine all’esenzione da riduzione e collazione anche delle liberalità comprese nel patto diverse dalle partecipazioni sociali;
4) debole è anche la possibilità di avvalersi effettivamente del recesso, e quindi del diritto di ripensamento, per una precisa ragione: vi è infatti stato un esborso economico compensativo a favore degli altri legittimari. Dovendo sopportare un sacrificio economico, l’assegnatario non accetta solitamente l’inserzione di simile clausola nel patto di famiglia. Ne consegue, per quanto scritto, che il patto di famiglia comporta il trasferimento definitivo della proprietà della società all’assegnatario che spesso si impegna a saldare i legittimari a rate o comunque con modalità dilazionate e ciò senza che si possa più intervenire sul compendio aziendale di fronte a sventure patrimoniali dell’assegnatario.
In conclusione, con riferimento al patto di famiglia si è scritto che lo stesso, spesso, non è soddisfacente dal punto di vista patrimoniale, in quanto presuppone la liquidazione dei discendenti non assegnatari dell’azienda con la sola quota di legittima, dunque con un valore inferiore rispetto a quello attribuito agli assegnatari[[38]]. È, invece, frequente che il capo famiglia, pur volendo attribuire le responsabilità gestorie solo ad uno o al massimo ad alcuni discendenti, non intenda in alcun modo fare differenze tra i suoi figli nelle attribuzioni patrimoniali. Quindi il fondatore normalmente vuole adottare nella ripartizione dell’azienda principi differenti, trasferendo la direzione operativa sulla base del “principio del merito” e quindi al discendente con le maggiori capacità imprenditoriale, mentre quando si tratta di trasferire la proprietà, invece, le capacità imprenditoriali dei discendenti sono molto meno rilevanti, prevalendo nettamente il “principio dell’equità”.
Creando categorie di quote (come si vedrà) è oggi possibile rispettare sia il principio dell’equità sia il principio del merito nel trasferimento della società famigliare.
Le operazioni societarie finalizzate alla realizzazione del passaggio generazionale. Il family buy out (fbo)
Una soluzione prospettata per consentire l’uscita dall’impresa familiare di alcuni soci/familiari è rappresentata dall’operazione denominata “family buy out”. I soci/familiari che escono dalla società sono quelli non più interessati o disposti a partecipare alla gestione societaria o a permanere nella società.
L’operazione FBO è una variante dell’operazione societaria denominata “leverage buy out” con la quale presenta alcuni elementi comuni. Qui di seguito si riassumerà rapidamente la “struttura” dell’operazione.
Il family buy out[[39]] si differenzia dal leveraged buy out per il fatto che la costituzione della new company viene promossa, invece che da una società prevalentemente industriale, dal gruppo di familiare interessati alla prosecuzione dell’attività intrapresa dal fondatore. Costituita la new company, tutti i soci, interessati e uscenti, provvedono a trasferirvi, attraverso cessione o conferimento, le quote di partecipazione al capitale dell’impresa di famiglia. La new company, attraverso il ricorso agli intermediari finanziari, si procura le risorse necessarie al fine di acquistare l’impresa di famiglia (target company) e liquidare i soci uscenti; avendo provveduto a ciò, le alternative saranno rappresentate dalla possibilità di procedere ad una fusione tra la new company e la target company ovvero mantenere giuridicamente distinte le due entità[[40]].
Il family buy out, dunque, risponde efficacemente all’esigenza di realizzare la ristrutturazione dell’assetto proprietario nelle aziende familiari che si trovano ad affrontare il delicato momento del ricambio del vertice di governo ed assicura, oltre che la perdurabilità dell’impresa, anche la stabilità e l’unitarietà del controllo di questa. Accanto a questi indubbi vantaggi esistono, tuttavia, dei dubbi legati particolarmente alla considerevole esposizione debitoria che tale procedura comporta[[41]].
Altre tecniche utilizzate per la successione di impresa. L’usufrutto e la nuda proprietà delle quote
Uno dei modi più comuni per favorire il passaggio generazionale è rappresentato dall’utilizzo degli istituti dell’usufrutto e nuda proprietà sulle quote sociali[[42]].
È in uso che l’imprenditore fondatore, generalmente titolare con la moglie della totalità delle quote dell’impresa di famiglia, trasferisca la nuda proprietà delle partecipazioni agli eredi (figli o altri eredi designati).
Il trasferimento avviene a titolo oneroso o per donazione, con la scelta della seconda opzione quando gli eredi non possano dimostrare la disponibilità del corrispettivo. Il trasferimento della nuda proprietà peraltro riduce l’onere del corrispettivo complessivo del trasferimento. Infatti, questa soluzione riduce l’imponibile di una cessione di partecipazione. Il valore della nuda proprietà è calcolato sulla base del patrimonio netto, decurtato il valore dell’usufrutto commisurato tabellarmente alle prospettive di vita dell’usufruttuario, come previsto dall’art. 16 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, relativo all’imposta sulle successioni e donazioni. Alla morte dell’usufruttuario, l’usufrutto si riunisce automaticamente alla nuda proprietà, senza alcun ulteriore imponibile su tale ricongiungimento.
L’imprenditore fondatore mantiene l’usufrutto a suo favore al fine di: avere a disposizione una rendita vitalizia, data dai dividendi che saranno distribuiti dalla società e continuare ad esercitare il diritto di voto nelle assemblee[[43]], così da sentirsi ancora elemento attivo e legato all’impresa familiare.
Questa tecnica è congeniale all’ipotesi in cui l’erede non sia ancora pronto, per ragioni di età o per altri motivi, a succedere al capofamiglia, sebbene la selezione del soggetto designato ad assumere la guida della società sia già avvenuta, ma non si intenda comunque procedere ad un cambio immediato della gestione e si preferisca riservare un ruolo di supervisore al capostipite.
Per previsione legale è l’usufruttuario ad esercitare il diritto di voto e in tal caso non vi è alcun limite all’esercizio del diritto di voto del capofamiglia usufruttuario che non trovi un espresso riconoscimento nella convenzione eventualmente stipulata ai sensi dell’art. 2352, c.c.: Infatti, in assenza di una specifica convenzione, il capo-famiglia usufruttuario può esercitare il diritto di voto senza alcuna limitazione.
La holding di famiglia
Una delle modalità più praticate per favorire il passaggio generazionale è la costituzione di una società holding di famiglia. Per holding, termine di origine inglese ed abbreviazione di holding company (ormai entrato nel nostro dizionario e sinonimo di capogruppo), deve intendersi una società controllante appartenente ad un gruppo societario che esercita nei confronti delle proprie controllate un’attività di direzione e coordinamento come previsto dall’art. 2497, c.c. In tale contesto, tutte le società appartenenti al gruppo sono assoggettate al controllo ovvero all’influenza della holding che le dirige e coordina secondo un disegno unitario.
Le holding sono catalogate in due diverse tipologie: da un lato la c.d. holding pura (ovvero finanziaria) che si limita a gestire le proprie partecipazioni nelle altre società appartenenti al gruppo. In questo caso la capogruppo non esercita alcun tipo di attività produttiva di beni o servizi, né in modo diretto, né indiretto; dall’altro la c.d. holding impura (ovvero mista, operativa o industriale) quando essa svolge, oltre all’attività di direzione e coordinamento nei confronti delle proprie controllate, anche un’attività industriale o commerciale di produzione o di scambio di beni o servizi. In quest’articolo si esaminerà solo la prima fattispecie come tipo maggiormente idoneo a strutturare una impresa famigliare.
I vantaggi conseguibili mediante la creazione di una Holding di famiglia sono di tre tipologie differenti (societari, fiscali, finanziari).
I vantaggi societarie sono molteplici: in primo luogo si ottiene la razionalizzazione del controllo societario creando una società posta indirettamente al vertice di tutte le società; in secondo luogo, in caso di conflitto tra i membri della famiglia le eventuali battaglie legali societarie si combattono a livello della holding senza che l’attività delle società operative ne sia danneggiata da un coinvolgimento diretto;
i vantaggi finanziari sono i seguenti: razionalizzazione della distribuzione degli utili. La società holding incassa i dividendi delle società controllate e li distribuisce ai soci, dopo aver valutato le esigenze finanziarie dell’intero gruppo; possibilità di utilizzo di strumenti di finanziamento infragruppo elastici;
i vantaggi fiscali sono individuabili: nella possibilità di pianificare il trasferimento generazionale, al fine di limitare l’impatto delle imposte dirette e indirette una sola volta e al solo livello più elevato della struttura societaria; nella possibilità di utilizzare la tassazione di gruppo ai fini delle imposte dirette e ai fini Iva.
Le nuove Srl PMI
La normativa
Con il dl n. 50 del 24 aprile 2017 art. 57 comma 1[[44]] il legislatore ha esteso a tutte le Srl PMI le opzioni “da SpA” previste dall’art. 26 del d.l. n. 179 del 2012 inizialmente concesse alle sole start-up innovative costituite in forma di Srl ed estese poi con il d.l. n. 3 del 2015[[45]] anche alle PMI innovative costituite in forma di Srl.
Detta ultima normativa «estende in pratica a tutte le Srl prerogative fino ad oggi tipiche delle società per azioni e delle società innovative»[[46]].
Infatti rientrano fra le piccole e medie imprese le società di capitali che non risultino “grandi imprese”.
Si tratta di una riforma di grande impatto, anche se formalmente limitata alla sostituzione con il termine PMI Srl dell’originario termine start-up innovativa Srl e PMI innovativa, perché estende regole proprie della SpA a quasi tutte le Srl[[47]], e, si badi, non attraverso lo strumento dell’applicazione analogica, ma attraverso la applicazione diretta tramite l’art. 26 commi 2-5 e 6 del d.l. n. 179 del 2012[[48]].
Il travagliato percorso normativo
Inizialmente le opzioni “da SpA” (c.d. speciali[[49]] e c.d. eccezionali) previste dall’art. 26 del d.l. n. 179 del 2012 convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221 (c.d. Decreto Crescita 2.0) erano concesse alle sole start-up innovative costituite in forma di Srl ed erano poi state estese con il d.l. n. 3 del 2015 convertito con modifiche in legge n. 33 del 2015 del 24 marzo 2015 (c.d. decreto Investiment Compact 2015)[[50]] anche alle PMI innovative costituite in forma di Srl[[51]].
Successivamente, però, il legislatore aveva deciso con la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. legge di stabilità 2017) di consentire, in via generale, a tutte le piccole e medie imprese, anche in forma di Srl, di accedere al canale di raccolta di capitali attraverso piattaforma web (c.d. crowdfunding), sostituendo la parola PMI alle parole “start-up innovative” e “PMI innovative”, indipendentemente dall’innovatività dell’oggetto sociale o dall’investimento.
Precisamente l’art. 1, comma 70, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017) intervenendo sugli artt. 1, comma 5-novies e 50-quinquies del TUF, ha consentito la raccolta di capitale tramite portali c.d. crowd) non più solo alle start-up innovative e alle PMI innovative, ma a tutte le PMI in genere.
Tuttavia mentre in occasione dell’approvazione del Decreto Crescita 2.0 del 2012, prima, e del Decreto Investiment Compact del 2015, poi, si era espressamente prevista la deroga alle disposizioni di diritto societario (ed in particolare alla disposizione che vieterebbe che le partecipazioni dei soci di Srl possano formare oggetto di offerte al pubblico di prodotti finanziari (art. 2468, c.c.), in tal modo consentendo espressamente alle imprese innovative organizzate in forma di Srl di offrire al pubblico “le proprie quote atipiche”, altrettanto non è stato fatto in occasione dell’emanazione dell’art. 1, comma 70, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017).
In altre parole, in occasione dell’approvazione dell’art. 1, comma 70, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017) che emenda la disciplina italiana in materia di equity crowdfunding, una analoga disposizione espressa è invece assente.
Infatti, tra le disposizioni di cui alla legge di stabilità n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017) non vi è alcun riferimento alla disciplina societaria di fonte codicistica e allea deroghe alla stessa.
Tale ultimo intervento normativo aveva sollevato numerosi dubbi non solo di ordine pratico, ma anche sistematico.
Infatti, la novella del 2016 (legge di stabilità 2017) aveva nell’ordina:
1) omesso di estendere espressamente l’art. 100-ter TUF alle PMI tout court (tale norma individua solo per le start-up innovative e le Srl innovative gli strumenti finanziari che possono essere oggetto di crowdfunding;
2) omesso di richiamare per le PMI costituite in forma di Srl la deroga al principio di diritto sancito all’art. 2468, comma primo, c.c., impedendo formalmente a quest’ultime di accedere al crowdfunding.
Il difetto di coordinamento risultava di non poco conto in quanto, in assenza di siffatta deroga, la raccolta dei capitali al pubblico sembrava concretamente percorribile solo per le Srl start-up innovative, per le PMI innovative e per le PMI non innovative aventi forma di SpA[[52]]; non, dunque, per le PMI non innovative aventi forma di Srl.
In tal modo veniva meno proprio quello che era l’intento originario del legislatore: garantire l’applicazione del crowdfunding alle Srl quali strutture societarie maggiormente diffuse.
Con il d.l. n. 50 del 24 aprile 2017 art. 57 comma 1[[53]] convertita senza modificazioni in legge 21 giugno 2017 n. 96 (pubblicata in G.U. n. 144 del 23 giugno 2017) il legislatore ha esteso a tutte le Srl PMI[[54]] le deroghe a norme codicistiche che dettavano per le Srl divieti (in particolare gli artt. 2468 e 2474, c.c.), norme che non consentivano alle stesse di accedere al finanziamento tramite crowd e ad altre norme “c.d. speciali”.
La tecnica normativa per ovviare a tale grave dimenticanza, utilizzata dal legislatore, è stata quelle della sostituzione dell’espressione “start-up innovativa/e” con il termine PMI.
La modifica riguarda direttamente i commi 2,5,6 dell’art. 26 e, di riflesso anche il comma 3 del d.l. n. 179 del 2012 del 18 ottobre 2012 convertito con modificazioni in legge n. 221 del 2012 del 17 dicembre 2012. Non sono modificati i commi 1, 7 e 8 dell’art. 26 della medesima normativa.
Nulla questio per il comma 1 e l’8, norme eccezionali di favore per le sole società innovative (riguardanti un regime agevolativo della disciplina della riduzione del capitale per perdite e un regime agevolativo in materia di procedure concorsuali).
Restava e resta da decifrare se risulta preclusa alle PMI non innovative la possibilità di emettere strumenti finanziari ex comma 7 dell’art. 26 del d.l. n. 179 del 2012 del 18 ottobre 2012 convertito con modificazioni in legge n. 221 del 2012 del 17 dicembre 2012, in considerazione della mancata “sostituzione” del richiamo all’art. 25, comma secondo (riguardante le start-up innovative) contenuta nel comma 7 dell’art. 26 (sostituzione che avrebbe richiesto un intervento più articolato, visto che la sostituzione non poteva riguardare la norma richiamata riguardante la stessa definizione di Srl start-up innovativa).
La definizione di PMI. Incertezze
La nozione di PMI non è contenuta in norme dell’ordinamento italiano e, pertanto, le uniche “fonti” definitorie sono quelle di matrice Comunitaria.
La scelta di rifarsi per la definizione alla raccomandazione comunitaria n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003, anche se recepita nel decreto MISE del 18 aprile 2005, non è così apertamente condivisa dalla dottrina che ha criticamente affermato che «si tratta di una nozione dettata a ben altri fini, che oltretutto dovrebbe essere riferita non già alla singola Srl, bensì all’intero gruppo di cui fa parte e dovrebbe essere subordinata al fatto che non vi siano soci pubblici con almeno il 25% del capitale o dei voti esercitabili in assemblea»[[55]].
Preso atto delle critiche, al fine di non condannare all’oblio l’intera riforma delle Srl Pmi ci si deve accontentare di “quello che passa il convento” e ci dobbiamo tenere le uniche definizioni spendibili di Pmi che come vedremo, peraltro, sono più di una e più precisamente due, applicabili, ad avviso di chi scrive, la prima alle PMI che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, la seconda alle c.d. PMI che si avvalgono anche del crowdfunding per collocare le partecipazioni presso il pubblico.
La definizione
La definizione di PMI è desumibile dalla raccomandazione comunitaria n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003 recepita dal decreto MISE del 18 aprile 2005[[56]].
E’PMI il soggetto giuridico che soddisfi contemporaneamente le seguenti caratteristiche:
1 svolga una qualsiasi attività economica, anche non commerciale e anche non di impresa (art. 1 racc. CE). In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o le altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica[[57]];
2 a) occupi durante l’anno a tempo determinato o indeterminato non più di 250 dipendenti; b) abbia un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni inteso come ricavi dalle vendite e delle prestazioni; c) totale dell’attivo patrimoniale inferiore a 43 milioni.
Il mancato superamento dei parametri di cui al punto due e tre è da intendersi in termini alternativi (art. 2 racc. CE).
3 non appartenga a gruppi di imprese il cui potere economico superi quello di una PMI (ai sensi del considerando (9) e ss. e degli artt. 3 e 6 della racc. CE).
Alla predetta definizione di “piccole o medie imprese” (abbreviato PMI) se ne aggiunge e in parte sovrappone una seconda contenuta nel Regolamento (UE) n. 2017/1129 (art. 2, Par. 1 lettera f) primo allinea, riferibile alle sole società che ricorrono al crowdfunding, inserito con d.l. n. 129 del 2017.
Secondo detta fonte si considerano PMI:
1) le società che in base al loro più recente bilancio annuale o consolidato soddisfino almeno due dei tre criteri seguenti:
numero medio dei dipendenti nel corso dell’esercizio inferiore a 250, totale; totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni di euro e, infine, fatturato netto annuale non superiore a 50 milioni di euro;
oppure
2) piccole e medie imprese quali definite all’articolo 4, paragrafo 1, punto 13, della direttiva 2014/65/UE, ovvero: capitalizzazione di borsa media inferiore a 200 milioni di euro sulla base delle quotazioni di fine anno dei tre precedenti anni civili.
Infine, sono classificate PMI:
fermo quanto previsto da altre disposizioni di legge, le piccole e medie imprese, emittenti azioni quotate, il cui fatturato anche anteriormente alla negoziazione delle proprie azioni, sia inferiore a 300 milioni di euro, ovvero che abbiano una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro.
Non si considerano PMI gli emittenti azioni quotate che abbiano superato entrambi i predetti limiti per tre anni consecutivi[[58]].
La definizione di PMI. Dubbi interpretativi
Alla luce della Raccomandazione 2003/361/CE considerando (4) il criterio degli occupati (in prosieguo il criterio degli effettivi) rimane senza dubbio tra i più significativi e deve imporsi come criterio principale; tuttavia l’introduzione di un criterio finanziario costituisce il completamento necessario per apprezzare la vera importanza di un’impresa, i suoi risultati e la sua situazione rispetto ai concorrenti. Non sarebbe però auspicabile prendere in considerazione come criterio finanziario solo il fatturato, dato che il fatturato delle imprese nel settore del commercio e della distribuzione è normalmente più elevato di quello del settore manifatturiero. Il criterio del fatturato deve quindi essere considerato unitamente a quello del totale di bilancio, che riflette l’insieme degli averi di un’impresa, ed uno dei due criteri può essere superato.
Secondo il Regolamento UE n. 2017/1129 è lo stesso a stabilire i requisiti relativi alla redazione all’approvazione e alla diffusione del prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica di titoli o la loro ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato che ha sede o opera in uno stato membro.
In considerazione della compresenza di due definizioni simili ma non coincidenti appare sostenibile l’affermazione che: 1 ai fini della applicabilità delle deroghe al diritto societario in Srl chiuse (categorie di quote e acquisto proprie partecipazioni) si applichi la definizione di PMI contenuta nella Raccomandazione n. 2003/361/CE (ossia che il numero massimo di 249 occupati debba sempre sussistere unitamente ad uno dei restanti criteri (meno di 50 milioni di euro di fatturato annuo – meno di 43 milioni di euro totale bilancio annuo); 2 ai fini del crowdfunding Srl aperte si applichi la definizione contenuta nel regolamento Ue n. 2017/1129 (ossia almeno due dei tre criteri – liberamente scelti: meno di 250 dipendenti – euro 50 milioni di fatturato annuo – euro 43 milioni totale bilancio annuo).
La tesi sostenuta apre la strada ad una divaricazione tra disciplina speciale di Srl PMI e disciplina eccezionale di Srl PMI, quest’ultima in vigore solo quando la Srl ricorra al mercato del capitale di rischio mediante crowd.
Ulteriori precisazioni sui criteri per identificare le PMI
Secondo l’art. 4 Raccomandazione 2003/361/CE i dati impiegati per calcolare gli effettivi e gli importi finanziari sono quelli riguardanti l’ultimo esercizio contabile chiuso e vengono calcolati su base annua. Essi sono presi in considerazione a partire dalla data di chiusura dei conti.
L’importo del fatturato è calcolato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) e di altri diritti o imposte indirette.
Se un’impresa, alla data di chiusura dei conti, constatava di aver superato, nell’uno o nell’altro senso e su base annua, le soglie effettive o le soglie finanziarie di cui all’art. 2 essa perde o acquisisce la qualifica di media, piccola o micro-impresa solo se questo superamento avviene per due esercizi consecutivi.
Non erra la dottrina quando, sulla basa del dato normativo appena citato sottolinea come la c.d. «disciplina dedicata è instabile, potendo una data società appartenere al novero delle PMI ad anni alterni, secondo le proprie dimensioni contingenti».
Non pare allora predicabile per questa via la configurabilità di un tipo, che risulterebbe a composizione elastica, per tacere dell’indistinguibilità dalla grande Srl, in assenza di evidenze di alcun genere.
Poiché, tuttavia, la possibilità di avvalersi legittimamente delle deroghe al codice civile dipende dalla ricorrenza di tali parametri economici, si pone il problema, per il notaio chiamato ai sensi dell’art. 2436, c.c., ad effettuare il controllo di iscrivibilità delle deliberazioni importanti le modifiche volte a recepire tali opportunità, di valutarne la sussistenza.
Dalle risultanze del bilancio si possono trarre parte delle informazioni.
Per verificare il fatturato annuo (non superiore a euro 50.000.000) occorre prendere in esame il conto economico (art. 2425, c.c.), e precisamente quanto riportato alla lettera A1.
Per accertare il totale dell’attivo patrimoniale (non superiore a euro 43.000.000) si deve verificare lo stato patrimoniale (art. 2424 c.c.), nel numero finale complessivo dopo i “ratei e riscontri”.
Molto più complessa è la situazione riguardante l’accertamento del numero medio dei dipendenti (inferiore a 250).
Esso dovrebbe risultare nella nota integrativa (art. 2427, c.c.), al n. 15.
Quando si parla dei dipendenti si parla dei c.d. effettivi, ovvero ai sensi del successivo art. 5 della Raccomandazione, delle persone (dipendenti, soggetti che lavorano per l’impresa, proprietari gestori e soci che svolgono un’attività regolare nell’impresa e beneficiano di vantaggi finanziari da essa forniti) che, durante tutto l’anno in questione, hanno lavorato nell’impresa o per conto di tale impresa a tempo pieno (numero di Unità Lavorative-anno o ULA).
Il lavoro dei dipendenti che non hanno lavorato tutto l’anno oppure che hanno lavorato a tempo parziale, a prescindere dalla durata, o come lavoratori stagionali, è contabilizzato in frazioni ULA (confronta, inoltre, ai fini della concessione di aiuti alle attività produttive, le indicazioni recate dai commi 5 lettera C) e 6 lettera b) dell’art. 5 del DM 27 ottobre 2005)[[59]].
L’accertamento della qualifica di PMI e il notaio
Secondo una tesi, premesso che la sussistenza dei requisiti per la qualificazione come PMI è presupposto per l’iscrivibilità della delibera, sembra opportuno che a tal fine alla dichiarazione di parte, eventualmente nella forma della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, si accompagni sempre un riscontro da parte del notaio della sussistenza di detti requisiti, riscontro che può essere effettuato sulla base delle predette voci di bilancio[[60]].
Sembra preferibile la soluzione proposta da altra dottrina secondo cui l’affermazione dell’organo societario competente con cui si dichiara la ricorrenza dei presupposti che consentono di qualificare la società come PMI, eventualmente allegata al verbale, costituisca condizione sufficiente per procedere alle modifiche statutarie speciali senza costringere il notaio ad esaminare risultanze di almeno due bilanci e certificare (il numero medio dei dipendenti) attraverso un conteggio che non gli compete mentre tale requisito “medio” può essere attestato dall’organo amministrativo, sulla scorta di una dichiarazione del consulente del lavoro[[61]].
L’ assenza della previsione di una iscrizione presso una sezione speciale nel Registro delle imprese per le Srl PMI
La normativa straordinaria inizialmente prevista per le sole Srl start-up innovative, ossia per un numero limitato di società poi estesa nel 2015 alle Srl PMI[[62]] innovative che tuttavia costituivano ancora una fetta del mercato marginale, ha terminato per interessare, potremmo dire “a macchia d’olio”, quasi tutte le Srl.
Viceversa, la qualifica di Srl PMI non solo non richiede una specialità statutaria (come per la Srl start-up innovativa che doveva avere come oggetto sociale prevalente un’attività innovativa), ma non richiede nemmeno una decisione degli amministratori di presentare una apposita iscrizione in una sezione del registro delle imprese (come per la Srl PMI innovativa).
Di conseguenza, la Srl PMI come la Srl (grande impresa) sono iscritte al registro imprese ed operano nel traffico giuridico semplicemente come società a responsabilità limitata (tout court) e sono pertanto indistinguibili nel mercato.
La dottrina ha sottolineato che l’identificazione, o meglio differenziazione tra Srl PMI e Srl (grande impresa) potrebbe emergere solo «ad una attenta (e ovviamente inesigibile) analisi dell’atto costitutivo»[[63]], ma ciò è vero solo in parte.
Potrebbe verificarsi che lo statuto della Srl PMI venga sì implementato delle clausole speciali/eccezionali previste dalla legislazione speciale, ma che dette modifiche siano rimaste cristallizzate nello statuto di una Srl che un tempo aveva i requisiti di Srl PMI ma che all’attualità non li ha più (salvo ritenere che in caso di superamento dei limiti la Srl PMI sia costretta ad annullare le deroghe speciali/eccezionali apportata alle Srl in ragione della sua classificazione quale Srl PMI)[[64]]. Infatti, la Srl PMI è classificata come tale in virtù di una situazione di fatto negativa, ossia non essere qualificabile come grande impresa.
L’ammissibilità delle categorie di quote in Srl PMI che non ricorrono al mercato del capitale di rischio
La maggior parte della dottrina non ha mai affrontato la questione della ammissibilità di Srl PMI che ricorrano all’opzione speciale di emettere categorie di quote senza contemporaneamente ricorrere all’opzione eccezionale di collocarle nel mercato del capitale di rischio. Tuttavia, tale possibilità non sembra essere posta in dubbio da nessun autore e anche senza una espressa motivazione è ritenuta pacificamente ammessa[[65]].
In ogni caso, per quanto l’emissione di categorie di partecipazioni sia strumento elettivo per il ricorso al mercato del capitale di rischio, dalla formulazione dell’art. 26 d.l. n. 179 del 2012 si desume che il loro collocamento sul mercato è una mera facoltà. Infatti, l’art. 26, comma secondo, d.l. n. 179 del 2012 si riferisce esclusivamente alla possibilità di costituire categorie di partecipazioni, a prescindere dalla scelta di farne oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. Non è, allora, escluso che le p.m.i. costituite in forma di Srl possano avvalersi della facoltà di emettere quote di categoria, pur senza offrirle agli investitori, al solo scopo di assegnarle ai componenti di determinati nuclei societari ad es. nel caso di società familiari[[66]].
In questo modo si realizzerebbe un meccanismo particolarmente congeniale all’organizzazione delle società Srl in particolare ad assetto familiare, dato che l’istituto permette di attribuire ai soci posizioni differenziate, in grado di essere tramandate ai successori mediante il trasferimento delle partecipazioni. È quindi possibile articolare la compagine sociale in gruppi omogenei, tendenzialmente costituiti dagli esponenti dei singoli rami anche familiari, attraverso l’attribuzione di specifiche quote di categoria.
La giustezza di quanto affermato, ossia che l’emissione di categorie di quote prescinde dal loro collocamento sul mercato del capitale del rischio, è confermata dalla mancata deroga al diritto di sottoscrizione delle quote di nuova emissione da parte dei già soci anche nel caso di aumento del capitale da collocare presso il mercato del capitale di rischio. Ciò conferma, se ve ne fosse stato bisogno, che le categorie di quote si possono “fermare” presso i soci anche se potenzialmente destinate al mercato del capitale di rischio, non potendosi escludere che tutti i soci ordinari sottoscrivano anche tutte le quote di categoria.
In conclusione, si può affermare che «la semplice creazione di categorie di quote e l’eventuale attribuzione di diritti speciali non necessariamente è correlata al carattere aperto negli assetti proprietari»[[67]], restando come mero corollario eventuale che una siffatta articolazione statutaria può aiutare ad avviare anche una ipotetica futura trasformazione di una Srl familiare in public company con soci estranei meri investitori[[68]].
Le Srl PMI familiari
Le Srl familiari prima della introduzione della normativa della Srl PMI
Uno dei modelli di Srl maggiormente diffusi in Italia è quello della Srl i cui soci siano componenti della medesima famiglia[[69]], spesso costituita in seguito all’evoluzione dell’impresa individuale creata dal capo famiglia che, nel tempo, ha voluto condividere con il coniuge e i propri discendenti i risultati economici della sua attività.
In dette società sono sempre esistite di fatto due categorie di soci, anche se non enunciate: i soci imprenditori (il capo famiglia e/o uno o più dei suoi discendenti), interessati alla gestione della società oltre che a conseguire l’utile, e i soci di capitale (gli altri famigliari), estranei alla gestione ma interessati ai dividendi.
La circostanza che fino ad ora in Italia, fosse perlomeno dubbio che si potessero caratterizzare in specifiche categorie di quote i singoli diritti a cui erano interessati i diversi soci (e soprattutto si potesse escludere il diritto di voto)[[70]] aveva portato a soluzioni empiriche più prudenti nel tentativo di attribuire, quanto meno di fatto, a ciascun socio le prerogative che gli dovevano essere proprie[[71]].
Nella prassi le soluzioni più comunemente adottate sono state le seguenti: l’elevazione delle maggioranze decisionali, al fine di rendere determinante il voto dei soci imprenditori. Tale soluzione tuttavia ha consentito ai soci imprenditori di godere di un diritto di veto sulle decisioni[[72]], ma non un vero diritto decisionale, esponendo la società al rischio dello stallo decisionale[[73]]; la riserva per statuto ai soci imprenditori del diritto di amministrare nella forma del diritto particolare dei soci. Tale opzione consente ai soci imprenditori di mantenere il controllo della gestione[[74]] ma non il controllo sulle decisioni dei soci ed in particolare sulla decisione di approvazione del bilancio che assegna agli altri soci un potente strumento di opposizione; la previsione di clausole di prelazione o gradimento nel caso di vendita a soggetti estranei al nucleo famigliare[[75]]. Tuttavia, dette clausole hanno il limite di imporre ai soci che non intendono acconsentire al trasferimento delle partecipazioni di liquidare gli altri soci.
La Srl PMI familiare. Opzioni
Le Srl PMI familiari possono avvalersi della facoltà di emettere quote di categoria pur senza offrirle agli investitori, al solo scopo di assegnarle ai componenti di determinati nuclei familiari.
In questo modo si realizzerebbe un meccanismo particolarmente congeniale all’organizzazione delle società familiari, dato che l’istituto permette di attribuire ai soci posizioni differenziate, in grado di essere tramandate ai successori mediante il trasferimento delle partecipazioni[[76]]. È quindi possibile articolare la compagine sociale in gruppi omogenei, tendenzialmente costituiti dagli esponenti dei singoli rami familiari, attraverso l’attribuzione di specifiche categorie di quote[[77]].
La dottrina ritiene che nelle Srl PMI familiari, anche qualora la società non ricorra al mercato di rischio, sia possibile creare quote ordinarie da attribuire ai soci imprenditori e quote di categoria, prive del diritto di voto e eventualmente dotate di tutti gli altri diritti, da attribuire ai soci familiari.
In tal modo si definiscono i reali diritti attribuiti a ciascun socio, senza artifizi o compromessi, ottenendo la certezza e la stabilità degli equilibri[[78]].
Inoltre, nel caso di successiva cessione delle quote di categoria, si attenua enormemente l’interesse dei soci imprenditori a negare il gradimento od a esercitare la prelazione con obbligo di liquidare i soci che intendono alienare le loro partecipazioni, visto che le limitazioni di diritti portate dalle quote di categoria rendono di fatto indifferente ai soci ordinari chi siano i loro titolari.
Non solo, sotto il profilo operativo, creando in anticipo le categorie di quote, quando ancora la società appartenga al capo famiglia (che le sottoscriverà tutte nell’esercizio legittimo del proprio diritto di sottoscrizione), sarà possibile per il fondatore gestire il passaggio generazionale con una semplice disposizione testamentaria, o gradualmente nel tempo, attribuendo a ciascun figlio le quote di categoria che riterrà opportune.
Nel caso concreto sarà poi possibile caratterizzare ulteriormente le varie categorie di quote attribuite ai discendenti al fine di assecondare esigenze o aspettative specifiche.
Ad esempio, si potrà attribuire il diritto di recesso ai titolari delle quote senza voto nel caso in cui la società non raggiunga determinati risultati economici (slegandoli così dall’obbligo di condividere il risultato della gestione altrui);
si potrà prevedere una maggiorazione nella distribuzione degli utili per i soci gestori, superando così quel senso di ingiustizia latente che viene spesso percepito dai discendenti che gestiscono l’impresa quando devono dividere in parti uguali con i fratelli i risultati del loro impegno[[79]].
si potranno prevedere limiti alla circolazione solo per le quote senza voto, favorendo così il consolidamento nel tempo nei soli soci gestori delle intere partecipazioni.
Si potrà secondo taluni attribuire alle quote prive del voto un diritto alla distribuzione degli utili, senza necessità di una delibera in tal senso dei soci ordinari, così evitando conflitti di interessi tra soci gestori e soci di capitale.
Sotto il profilo fiscale, l’attribuzione del diritto di voto solo ad una categoria di quote, anche se minoritaria rispetto al capitale complessivo, consentirà lo sfruttamento dell’agevolazione fiscale prevista dal comma 4-ter dell’art. 3 del d.lgs. n. 346 del 90 (T.U. successioni e donazioni) anche nell’ipotesi in cui al discendente designato nel proseguire la gestione della società sia attribuita una partecipazione che rappresenti una minoranza del patrimonio sociale, come spesso è necessario fare in presenza di più figli[[80]].
Infatti, detto socio avrà comunque tecnicamente il controllo della società.
Sul piano dei diritti amministrativi è significativa la facoltà di escludere in radice il diritto di voto o la sua attribuzione in senso non proporzionale: quanto alle posizioni a rilievo patrimoniale l’assenza di limiti temporali alla distribuzione degli utili rende l’istituto congeniale all’organizzazione delle imprese a costituzione familiare, in quanto permette di modulare il contenuto delle categorie di quote assegnate ai componenti di singoli nuclei familiari in considerazione del loro diverso interesse alla remunerazione del capitale.
Su tali ultimi due aspetti si concentrerà in seguito l’attenzione dello scrivente, ma prima di esaminare detti aspetti sembra necessario gettare uno sguardo alle prassi operative straniere in tema di clausole societarie inerenti imprese familiari.
La Srl PMI familiare. Opzioni rinvenibili nelle esperienze straniere per controbilanciare il potere di voto dei soci manager
Nel caso di categorie di quote che attribuiscono ad un determinato ramo familiare o ad alcuni familiari eletti il diritto di governare la società normalmente nell’esperienza (soprattutto anglosassone) si consiglia l’introduzione di una serie di clausole che in qualche modo controbilancino lo strapotere dei famigliari prescelti nella direzione dell’impresa al fine di evitare una loro gestione troppo sbilanciata in favore dei loro interessi personali.
Una prima clausola normalmente negoziata in favore della classe di quotisti rappresentanti i familiari soci non interessati e/o non coinvolti nella gestione della società è quella della c.d. “board rappresentation”, che riconosce ai soci familiari di mero capitale il diritto di natura amministrativa di nominare e revocare parte dei componenti dell’organo amministrativo: immaginando un c.d.a. composto di 5 membri, si potrà avere un board nel quale la categoria di quote dei famigliari fondatori o managers nominerà tre amministratori tra i quali per clausola statutaria dovrà essere scelto l’amministratore delegato, mentre gli altri due (spesso con spettanza della elezione a presidente) verranno nominati dalla categoria di quote dei familiari soci di mero capitale. Normalmente per previsione statutaria agli amministratori designati dai soci di mero capitale non spettano né deleghe operative né particolari emolumenti. Le tecniche relative al voto (voto di lista ecc.) consentono di realizzare la volontà negoziale di cui sopra.
I soci famigliari di mero capitale, spesso privati del diritto di voto, sono interessati ad avere un diritto di veto (c.d. veto right)[[81]] su determinate delibere riguardanti operazioni straordinarie come fusioni, scissioni, emissioni di nuove classi di quote o modificare di diritti sulle categorie di quote, piani di stock options, acquisto di quote proprie, distribuzioni di dividendi o riserve. A detti argomenti si aggiungono anche eventuali diritti di veto su operazioni di gestione che i soci si siano riservati statutariamente ex art. 2479 c.c. come ad es. l’assunzione o modifica di finanziamenti di importo superiore a una certa cifra o acquisto o cessione di partecipazioni sociali o di aziende. Detti diritti definiti “restrictive convenants” assegnando a una determinata categoria di soci un diritto di veto ridisegnano e limitano la libertà di azione dell’organo amministrativo e possono comunque ingenerare nella categoria di soci “vietanti” anche un eventuale responsabilità ex art. 2476, settimo comma, c.c.
I soci familiari di mero capitale negoziano spesso anche un ulteriore diritto di natura amministrativa, ossia quello di avere un’informativa periodica relativa all’andamento economico, finanziario e di business della società, con rendicontazioni addirittura mensili per quanto riguarda il rendiconto finanziario e trimestrali per quanto riguarda la situazione economico patrimoniale. Recentemente a detti documenti se ne aggiunto un ulteriore ossia il rapporto che sintetizza il business delle attività di sviluppo. Normalmente a detta implementazione del generico diritto di informazione si accompagna l’esclusione del pervasivo diritto di ispezione e controllo di cui all’art. 2476, secondo comma, c.c., sostituito da un più indiretto controllo sulla gestione affidato a un organo sindacale.
Ulteriore diritto che viene negoziato è quello di cedere le proprie partecipazioni nell’eventualità che il socio familiare manager cede la propria partecipazione di controllo, c.d. clausola di tag along. Detta clausola che la Consob ha previsto debba obbligatoriamente essere inserita a tutela del socio investitore nell’ipotesi di collocazione della quota presso il pubblico dei finanziatori (mediante crowdfunding) e altrettanto necessaria in favore dei soci familiari spesso depotenziati nel loro diritto di voice con l’esclusione spesso quasi totale del diritto di voto. Tale clausola spesso si accompagna a quella che vieta ai soci famigliari con poteri di gestione di cedere le partecipazioni per un arco di tempo che normalmente oscilla tra i due e cinque anni dal momento in cui il socio fondatore ha passato la mano all’erede designato.
Una clausola spesso contrattata è quella “anti dilution”, ovvero quella clausola che consente al famigliare non coinvolto nell’attività di impresa di non veder diluita la propria partecipazione[[82]] nel caso in cui vi sia un aumento del capitale con ingresso di nuovo/i socio/i. Tale clausola va predisposta con attenzione al fine di evitare di incappare nel divieto del patto leonino.
Un socio famigliare particolarmente oculato e forte nella contrattazione potrebbe anche garantirsi la presenza di una clausola di “liquidation preference”. Tale clausola consente al famigliare di garantirsi un certo ritorno patrimoniale nel caso di operazioni straordinarie , quale potrebbe essere la cessione di un pacchetto di controllo della società, la cessione dell’azienda o la liquidazione/scioglimento della società, trattamento che verrebbe riservato a detta categoria di soci in via prioritaria almeno fino al raggiungimento del valore della loro partecipazione al momento della abdicazione al diritto di voice in favore del socio erede designato che si fa carico da quel momento della gestione sociale (assumendone onori e però anche oneri)[[83]].
Srl PMI. Speciali categorie di quote (tetto massimo al voto, voto scaglionato, voto capitario, voto plurimo, voto maggiorato
Come già scritto in altra sede[[84]] l’atto costitutivo della Srl/PMI, anche in deroga all’articolo 2479, quinto comma, c.c., può creare categorie di quote che non attribuiscono diritti di voto o che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione da questi detenuta ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.
È evidente che la “categoria di quote”, insieme al meccanismo di crowdfunding evidenziano la volontà di creare una categoria di soci che non sono particolarmente interessati ad essere coinvolti nella vita e nella gestione societaria ma che puntano invece sulla remunerazione del proprio capitale. Lo scambio da proporre a detti soci è pertanto “sacrificale” per quanto riguarda il coinvolgimento del socio nelle decisioni e nella gestione della società e premiale nel rapporto patrimoniale e eventualmente solo ed esclusivamente nelle relative decisioni.
Non si vuole né si potrebbe in questa sede approfondire tutte le possibilità inerenti il voto (ad es. tetto massimo di voto, voto scalare, voto scaglionato, voto capitario etc.)[[85]] che potrebbero caratterizzare le categorie di quote ma sembra opportuna una breve rassegna: partiamo dal tetto massimo ad es. uno stesso soggetto potrà esprimere fino al 10% del capitale un solo voto; oltre nulla; o ancora il voto scaglionato in relazione alla quantità delle quote possedute o alla percentuale di capitale detenuta da uno stesso soggetto[[86]]; si pensi alla clausola statutaria che tolga il voto a pacchetti di quote superiori a una certa soglia (ad esempio, il 10 per cento, cosicché le quote eccedenti tale soglia non votino) oppure che lo diminuisca progressivamente (ad es.: 10% del capitale = 10 voti; 20% del capitale = 18 voti; 30% del capitale = 24 voti etc.)[[87]].
La dottrina ha individuato la differenza tra voto scalare[[88]] voto plurimo nel fatto che nel primo caso la sospensione del voto generata dal raggiungimento delle soglie previste dallo statuto è possibile in quanto si tratterebbe di una modalità di esercizio del voto «che non attiene al contenuto dell'azione, ma si riferisce esclusivamente alla posizione soggettiva dell'azionista» [[89]].
Per altra tesi la differenza rilevante è stata rintracciata nella mobilità che contraddistingue il voto scalare, e cioè nel fatto che la limitazione del diritto di voto è legata al numero delle azioni possedute in un determinato momento e dunque ne segue le sorti consentendone sia una compressione che una riestensione in conseguenza delle soglie previste dallo statuto[[90]]; è consentita anche una clausola c.d. mista, che combina, cioè, gli elementi del voto scalare e del tetto massimo, prevedendo uno scaglionamento del voto, che viene depotenziato fino ad una certa percentuale di possesso, per essere, infine, sterilizzato quando il possesso supera una certa quantità; voto capitario: quest'ultimo, normalmente caratterizzato da un numero contenuto di soci, sul piano fattuale si avvicina ad una clausola di mera rideterminazione quantitativa del diritto di voto. In forza di una simile previsione statutaria ciascun socio potrà esercitare un unico voto, a prescindere dalla quota di capitale posseduta; altra ipotesi è l’attribuzione alla quota del voto intermittente, caratterizzato dal fatto che il diritto di voto spetta solo al raggiungimento di un determinato importo di fatturato, di utile o di patrimonio netto, o nel caso di perdita del capitale; in questo caso il socio avrà diritto di voto a intermittenza, ossia tutte quelle volte che detto importo sarà raggiunto; si parla anche di c.d. clausole di rinascita o di clausole risolutive del voto, che condizionano la possibilità di esercitare il diritto di voto ovvero ne impediscono l’uso al ricorrere di determinati eventi. Le clausole possono essere costruite in modo tale da riproporre la sospensione del voto o la riallocazione del voto una volta verificatosi l’evento ed esercitato il diritto: oppure possono determinare anche definitivamente il venir meno del particolare contenuto della categoria, causando la conversione della partecipazione in ordinaria ovvero modificando i termini della categoria da partecipazioni con diritto di voto condizionato a partecipazioni prive del diritto di voto; si è già anticipato in altra occasione[[91]] che, ad avviso di chi scrive, nelle Srl è possibile dare vita alla nuova categoria delle quote “a voto plurimo” le quali consentono di esprimere un numero di voti maggiori di uno anche in multipli superiori al limite di tre (limite valevole per le sole SpA chiuse)[[92]]; diverso discorso vale per le quote a voto maggiorato pensate come strumento per stimolare il mantenimento di investimenti a lungo termine e, dunque, la presenza di soci durevoli[[93]].
Dal punto di vista operativo è opportuno precisare che le quote a voto maggiorato fidelizzanti (c.d. loyalty shares), a differenza di quelle a voto plurimo, che vanno a comporre una speciale categoria di partecipazioni, non rappresentano una nuova categoria di quote, ma un diritto attribuito al singolo socio e quindi spetta, con parità di trattamento, a tutti i soci che la meritano, in conseguenza della loro protratta permanenza nel capitale sociale.
Srl PMI. Speciali categorie di quote: il c.d. voto determinante incrementale
Gli schemi statutari legati a differenti categorie di quote possono attribuire ad alcune partecipazioni diritti speciali il cui esercizio, in determinate circostanze, degrada il potere maggioritario, spettante ad altre partecipazioni. È il caso di una clausola statutaria di una società formata da un capitale diviso in quote ordinarie e quote speciali con diritto di voto determinante in alcune materie espressamente indicate dallo statuto. Si pensi alla seguente clausola:
«Art. La deliberazione di…deve essere approvata dalla maggioranza del capitale sociale espresso dalle quote ordinarie; la relativa proposta deve avere il voto favorevole di oltre il 75% delle quote di categoria speciali».
Il peso relativo delle quote speciali (che potrebbero essere un mero 20% del capitale) è decisivo per l’assunzione della decisione. Si tratta del c.d. voto determinante incrementale, in quanto una maggioranza teoricamente idonea di per sé ad assumere la decisione (50% più uno del capitale sociale) deve essere incrementato dall’aliquota prescritta delle quote c.d. speciali.
Diritti speciali. Il diritto agli utili e gli altri diritti di natura patrimoniale
In dottrina, in riferimento ai privilegi in termini di partecipazione agli utili[[94]] è stata coniata la distinzione tra partecipazioni di priorità e partecipazioni di preferenza (o privilegiate in senso stretto)[[95]], che si basa sul criterio di ripartizione del risultato. Le partecipazioni di priorità incorporano il diritto a una attribuzione di utili con priorità rispetto alle altre partecipazioni, mentre le partecipazioni privilegiate danno diritto a una attribuzione di utili maggiore di quella spettante alle altre partecipazioni.
Tra le prime rientrerebbero le azioni con dividendo fisso, in caso di distribuzione degli utili, determinato con riferimento ad un certo parametro o in misura fissa, e che possono poi partecipare o meno alla distribuzione dell’ulteriore parte di utile residuo[[96]]. Tra le seconde rientrano le categorie di partecipazioni che, in termini quantitativi, attribuiscono una partecipazione più che proporzionale rispetto alle altre partecipazioni[[97]].
Altra vicenda essenziale è l’individuazione del parametro eventualmente utilizzato per determinare il privilegio, sia esso di priorità o di preferenza. Detto parametro può essere individuato nel prezzo di sottoscrizione (comprensivo del sovraprezzo) come nel valore nominale delle partecipazioni. Il primo parametro è ritenuto preferibile nelle operazioni di venture capital, visto che nel caso di scelta del valore nominale il privilegio potrebbe subire inaspettate modifiche a seguito di operazioni sul capitale sociale[[98]].
Particolarmente interessante è la possibilità di prevedere il c.d. dividendo cumulativo[[99]]. La funzione di detta fattispecie è quella di impedire che il privilegio patrimoniale nella forma della partecipazione agli utili durante societate sia vanificato da decisioni improntate a un aggressivo ricorso all’autofinanziamento. Infatti, in ipotesi di ripetuta mancata distribuzione degli utili per diversi esercizi, in assenza della natura cumulativa del dividendo non sembra possibile accedere a interpretazioni estensive del termine utili netti di cui all’art. 2350, primo comma, c.c. fino a ritenere che il diritto di priorità o preferenza si estenda anche alla porzione di utile accantonato negli esercizi precedenti e non distribuito ai soci.
Lo statuto dovrà quindi prevedere che i dividendi siano cumulativi, anche eventualmente permettendo che il recupero dei dividendi arretrati avvenga attraverso l’utilizzo dell’utile di bilancio o comunque di determinate riserve disponibili[[100]].
Una clausola del genere ha l’effetto di garantire in presenza di una deliberazione dell’utile, il pagamento degli importi arretrati derivanti dal privilegio sull’utile durante societate in prededuzione rispetto al pagamento del dividendo afferente all’esercizio di distribuzione e in aggiunta all’importo del dividendo da pagare ai soci privilegiati e ordinari afferente all’esercizio di distribuzione[[101]].
Le clausole di dividendo cumulativo non tutelano, però, i soci privilegiati nel caso di mancata distribuzione di utili anche qualora, nonostante la perdita di esercizio, residuino utili di bilancio. Per affrontare tale situazione è necessario prevedere statutariamente il c.d. dividendo obbligatorio, attraverso una automatica distribuzione di utili[[102]].
È da precisare che le clausole che prescrivono una automatica distribuzione di utili, garantendo a una certa categoria di partecipazioni un dividendo obbligatorio, ovviamente sempre in caso di esistenza di un utile di bilancio distribuibile, non servono ad esonerare la società dalla deliberazione assembleare, quanto piuttosto a vincolare l’assemblea a una certa deliberazione, che se contraria alla pattuizione statutaria è annullabile[[103]]. L’unica perplessità riguarda la legittimità di clausola statutaria che imponga a priori la distribuzione di tutto l’utile di esercizio[[104]].
Altri diritti di natura patrimoniale sono il diritto a sottoscrivere, in sede di aumento del capitale a pagamento, una partecipazione di valore più che proporzionale al conferimento. Sulla liceità di tale possibilità si è espressa recentemente la Commissione società del Consiglio notarile di Milano con Massima n. 154/2016 che così recita: «è legittima la clausola statutaria che attribuisce a uno o più soci un diritto di opzione più che proporzionale rispetto alla partecipazione posseduta, valevole in tutti i casi di aumento del capitale sociale a pagamento (fatta eccezione per gli aumenti in natura, ove previsti dallo statuto), fermo restando il diritto di recesso, in occasione di ogni decisione di aumento del capitale, ai soci cui spetta un diritto di opzione meno che proporzionale». Una distribuzione dell’utile accantonato o una sua assegnazione non proporzionale mediante aumento gratuito del capitale riservato. È quanto ipotizzato da Commissione società del Consiglio notarile di Milano con Massima n. 155/2016 che così si pronuncia: «è legittima la clausola statutaria che attribuisce a uno o più soci, in deroga all’art. 2481-ter, comma secondo, c.c., il diritto di ottenere in sede di aumento gratuito del capitale sociale un incremento della propria partecipazione in misura più che proporzionale rispetto alla partecipazione posseduta»[[105]].
Ancora un diritto di prelazione nell’acquisto della partecipazione del socio recedente, alienante o escluso; di un diritto particolare di riscatto su quote. Anche in questa ipotesi si è espressa la Commissione società del Consiglio notarile di Milano con Massima n. 153/2016 che così scrive: «sono legittime le clausole statutarie che attribuiscono ai soci di Srl o ad alcuni di essi il diritto di riscattare in tutto o in parte le partecipazioni di altri soci, al ricorrere di determinati presupposti o durante determinati periodi di tempo, ferma restando l’applicabilità della regola della equa valorizzazione delle partecipazioni sociali prevista nei casi di recesso legale (art. 2473, comma terzo, c.c.). Tra i diritti patrimoniali c.d. speciali è da annoverarsi anche la clausola di prelazione a favore delle quote di categoria nella sottoscrizione delle quote rimaste inoptate».
È possibile inoltre, prevedere una postergazione nelle perdite che attribuisce al titolare della quota speciale il privilegio di partecipare alle perdite in via subordinata e, precisamente, solo dopo che le medesime abbiano inciso sulle altre partecipazioni[[106]]. Operativamente la postergazione si manifesta nell’ipotesi di riduzione del capitale sociale per perdite[[107]].
Analogamente a quanto previsto con riferimento alle partecipazioni privilegiate agli utili durante societate, anche le partecipazioni postergate possono essere configurate come partecipazioni postergate prioritarie o come partecipazioni postergate di preferenza[[108]]. È ammessa anche una clausola che differenzi nella imputazione delle perdite tra riserve disponibili e capitale sociale, per esempio, prevedendo che le perdite incidano in misura proporzionale fino alla erosione di tutte le riserve disponibili e poi in misura variamente prioritaria o preferenziale sulla cifra del capitale sociale a favore delle partecipazioni postergate; oppure, viceversa, prevedendo che le perdite incidano in misura variamente prioritaria o preferenziale a favore delle partecipazioni postergate fino alla erosione di tutte le riserve disponibili e poi in misura proporzionale sulla cifra del capitale sociale.
Il problema delle partecipazioni postergate nasce nell’ipotesi in cui, per effetto della riduzione del capitale per perdite, tutte le quote ordinarie siano annullate e, all’esito dell’operazione, residuino solo le quote postergate nelle perdite con diritto di voto limitato o escluso. Nelle SpA tale problematica è stata risolta dalla dottrina mediante applicazione analogica (statutaria) del comma quinto dell’art. 145 TUF, dettato per le azioni di risparmio. Ciò è richiesto anche nel nostro caso. È opportuno che lo statuto della Srl/PMI modificata individui espressamente dei correttivi al riguardo anche, se del caso, riproducendo (con eventuali variazioni) nello statuto della Srl, il disposto del 145 TUF, che prevede una tempistica stringente per ristabilire il rapporto di equilibrio tra quote ordinarie da attribuire in prelazione ai titolari di quote ordinarie, pena lo scioglimento della società.
Categorie di quote e limiti al diritto di informazione e controllo
In questa sede si affronterà anche il problema della possibile interferenza statutaria in materia di diritto di informazione e controllo del socio ex art. 2476, secondo comma c.c.
Secondo una prima tesi espressa in materia di applicazione/derogabilità dell’art. 2476, secondo comma, c.c., in tema di diritto di informazione e controllo del socio detto diritto di controllo nelle c.d. Srl “aperte” non sarebbe nemmeno esistente, come risulterebbe sia da “evidenti esigenze operative, non potendosi configurare l’utilizzo di poteri così penetranti da parte di una “folla di soci”, sia per via degli strumenti di disclosure a favore degli investitori previsti nel regolamento Consob relativo al crowdfunding, che sarebbe in grado di soddisfare le loro esigenze di informazione. Il problema si porrebbe allora per le sole società chiuse, nelle quali comunque lo statuto potrebbe prevedere l’esclusione di detto diritto «tenendo conto sia della posizione dei soci in sede di formazione dell’atto costitutivo, sia dello scarso interesse che potrebbero avere i soci finanziatori ad una costante attenzione alla gestione della società»[[109]].
All’opposto per altra dottrina non sarebbero sopprimibili le prerogative dei soci derivanti dal tipo sociale che non siano legate ad alcun criterio di proporzionalità con la partecipazione, quali il diritto di informazione o di ispezione[[110]].
Il Consiglio notarile di Firenze nella massima n. 38 ha previsto che la Srl start-up innovativa (ma sembra che il ragionamento possa rimanere valido per le SRL/PMI) «costituita in forma di Srl può statutariamente prevedere, ai sensi dell’art. 26, comma 2, D.l. n. 179 del 2012, l’emissione di categorie di quote per le quali è limitato o escluso il diritto di avere notizie dall’organo amministrativo sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare anche tramite professionisti di fiducia i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione (art. 2476, comma 2, c.c.). In ogni caso spetta ai soci titolari di dette partecipazioni il diritto di ispezionare il libro delle decisioni dei soci, in quanto documento espressione della volontà dei soci stessi»[[111]].
La massima raccoglie “il grido di allarme” sollevato all’unisono da tutti i commentatori delle Srl/PMI già innovative/start-up[[112]]. Più o meno tutti concordano nel ritenere necessario rimuovere/comprimere diritti come quelli portati dall’art. 2476 c.c. (controllo e ispezione spettante al singolo socio) perlomeno in riferimento alle categorie di quote speciali destinate ai finanziatori[[113]]. Si è scritto che nel caso di categorie di quote «non è chi non veda come il riconoscimento a ciascun socio di un così penetrante e pervasivo potere di controllo, quale è quello delineato dall’art. 2476 c.c., possa risultare inappropriato (e persino prodromico ad una sottoscrizione strumentale di quote), in una società nella quale i soci ideatori, fondatori e propulsori del progetto imprenditoriale si aprano all’ingresso di una amplia platea di soci-investitori per così dire anonimi, allo scopo di supportare finanziariamente il progetto stesso; o come parimenti inadatta, in un simile contesto, risulterebbe la conservazione, in capo a questi ultimi, del potere di avocazione delle competenze gestorie»[[114]].
Altra dottrina parla di «pervasivo diritto di informazione e di consultazione dei libri sociali attribuito dall’art. 2476, comma secondo, c.c., al socio di Srl, che certamente, entro un modello di Srl aperta qual è la Srl PMI già start-up innovativa, necessita di essere ricalibrato»[[115]]. La dottrina non ha mancato di sottolineare che «potrebbe facilmente verificarsi che un concorrente della società che ricorre all’equity-basede crowdfunding desideri accedere alle sue informazioni riservate (anche attraverso un prestanome) e decida pertanto di effettuare un minimo conferimento durante la campagna per poi potersi avvalere delle facoltà previste dall’art. 2476, secondo comma, c.c. e venire a conoscenza – a buon mercato – di quanto di suo interesse»[[116]].
Per le molteplici ragioni sovraesposte per molti sembra (se non proprio necessario) sicuramente opportuno escludere per i soci investitori/speculatori il diritto al controllo previsto dall’art. 2476, c.c. In analogia con quanto accade nel mondo anglosassone sembra legittima la previsione statutaria secondo cui se la società avrà un andamento negativo l’investitore potrà riattivare le modalità di controllo ispettivo facendo rivivere il diritto al controllo previsto dall’art. 2476, secondo comma, c.c.
Per una terza tesi dottrinale qualora si intenda intervenire anche sui diritti di controllo dei soci tradizionali, occorre considerare se vi sia un organo di controllo obbligatorio (o anche facoltativo, ma comunque dotato dei requisiti e dei poteri propri dell’organo di controllo delle società azionarie), con il corollario che: a) in assenza di un organo di controllo dotato dei requisiti sopra indicati, il limite di disponibilità del diritto in esame sembra doversi ravvisare nel nucleo di diritti di informazione e controllo che la legge attribuisce in ogni caso al socio accomandante della società in accomandita semplice, costituito dal diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto profitti e perdite, e di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società (art. 2320, ultimo comma, c.c.); b) in presenza di un organo di controllo, l’autonomia statutaria potrà intervenire più incisivamente nella configurazione tanto dei diritti delle categorie di quote, quanto delle posizioni individuali dei soci[[117]].
Per un ulteriore ricostruzione l’articolo 2476, secondo comma, dovrebbe essere più che totalmente eliminato “socializzato” subordinando al possesso, eventualmente congiunto, di una aliquota di capitale, parametrata alle percentuali in uso nelle SpA[[118]].
Il notariato milanese, recentemente pronunciatosi sul tema, ha raccolta le molteplici osservazioni della dottrina ed ha formulato una tesi “garantista” che pone alcune condizioni alla possibilità di escludere il diritto di informazione e controllo di un socio che, comunque, già per definizione dell’articolo 2476, secondo comma, c.c., non essendo anche amministratore denunciava un minor coinvolgimento nella vita della società.
Nella massima n. 176 il Notariato milanese scrive che «è legittima la clausola statutaria delle Srl PMi che preveda la limitazione o l’esclusione, per una o più categorie di quote, del diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i documenti relativi all’amministrazione, ai sensi dell’art. 2476, comma 2, c.c., per il periodo in cui sia in essere, per obbligo legale o per decisione dei soci, la funzione di controllo sulla gestione»[[119]].
Detta soluzione sembra condivisibile anche alla luce della nuova disciplina della crisi di impresa che introduce la presenza di una serie di strumenti di controllo che rendono il controllo sulla gestione strumento previsto dalla legge per un numero rilevante di Srl[[120]].
Conclusioni
La Srl PMI[[121]] si pone all’attenzione dell’operatore del diritto come strumento di straordinaria duttilità, potendo prevedere sia una quota dotata di diritti particolari ex art. 2468, terzo comma, c.c., con la quale il capofamiglia può conservare la facoltà di amministrare e mantenere altri vantaggi riguardanti la gestione della società, ma potendo, del pari assegnare attraverso le categorie di quote con diritti speciali prerogative riguardanti la distribuzione degli utili con le quali offrire una data remunerazione al familiare che svolge un ruolo nevralgico nella gestione dell’impresa, nel contempo assicurando ad alcuni familiari una rendita, sulla base di considerazioni di carattere personale.
Il legislatore finalmente attinge ai modelli di Srl europei. Ciò vale, ad esempio, per le vorzugsgeschàftsanteile tedesche, che permettono la circolazione con la quota di determinati diritti speciali[[122]], nonché per le società spagnole che ammettono in particolari ipotesi l’introduzione di participaciones priviegiadas, spingendosi in qualche occasione a consentire l’introduzione di quote a voto plurimo e dall’altro prevede le partecipaciones sin voto[[123]] e infine per la Srl olandese riformata nel 2012 che ha legittimato l’emissione di quote con voto limitato e senza voto[[124]].
La Srl PMI consente finalmente anche in Italia di introdurre categorie di quote includenti benefici speciali o all’opposto restrizioni. Siffatto meccanismo permette di distinguere il regime giuridico applicabile a singoli gruppi familiari, in quanto gli eredi ricevono una partecipazione sociale che include in sé vantaggi o limitazioni predeterminati.
Per questa via, inoltre, la distinzione della posizione dei soci è replicabile anche dopo l’ingresso dei discendenti, in quanto ciascun gruppo familiare risulta destinatario di partecipazioni che hanno specifiche caratteristiche, così da lasciare inalterati i rapporti di forza anche successivamente al mutamento della compagine sociale, che si verifica con l’inserimento delle nuove generazioni.
Questo strumento è destinato a diventare la strada più idonea per finalmente articolare l’impresa familiare nel modo più idoneo e completo.
[1] Sul tema a livello monografico: T. HUECK, Die familienverfassung – rechtliche konturen eines instruments der governance in familienunternehmen, Tubingen, 2017.
[2] M.W. RUTHERFORD– D.F. KURATKO – D.T. HOLT, Examining the link between familiness and performance: can the F-Pec untangle the family business theory jungle?, in Entrep. Theory pract., 2008, vol. 32, 1089-1109.
[3] Scrivono C.M. DAILY – M.J. DOLLINGER, An empirical examination of ownership structure in family and professionally management firms, in Family business review, 1992, 5, 117-136 che «there seems to be no possibility to reliably define family firms a priori»; sull’argomento per un tentativo di ricostruzione si veda S. ESPOSITO DE FALCO, Family business, ownership governance and management, Torino, 2016; T. STEIGER – C. DULLER – M.R.W. HIEBL, No consensus in sight: an analysis of ten years of family business definitions in empirical research studies, paper presented at the 3rd conference of German centers of family business research.
[4] In tema recentemente: C. Mazzi, Family business and financial performance: current state of knowledge and future research challengers, in Journal of family business strategy, 2011, 2, 3, 166-181; T.M. ZELLWEGER – K.A. EDDLESTON – F.W. KELLERMANNS, Exploring the concept of familiness: introducing family firm identity, Journal of family business strategy, 2010, I, 1, 54-63.
[5] J.H. ASTRACHAN – M.C. SHANKER, Family business contribution to the U.S. economy: a closer look, in Family business review, 2003, 15, 211. Più recentemente sono ritornati sull’argomento, P. DI TOMA – S. MONTANARI, The definizional dilemma in family business research: outlines of an ongoing debate, in Int. J. Entrepreneurial Venturing, 2010, 2, Nos. ¾, 262-275.
[6] J.J. CHRISMAN – J.H. CHUA – P. SHARMA, Strategic management of the family business: past research and future challenges, in Family business Review, Boston (Kluwer), 1997, n. 10; J.J. CHRISMAN – J.H. CHUA – L. STEIER, An introduction to theories of family business, in Journal of business venturing, 2003, 18, 4, 441-448; J.J. CHRISMANN – J.H. CHUA – F. KELLERMANS, Priorities, resource stocks and performance in family and non-family firms, in Entrepreneurship theory and pratice, 2009, 33, 6, 739-760; B.J. DEBICKLI – C.F. MATHERNE – F.W. KELLERMANNS – J.J.CHRISMAN, Family business research in the new millenium: an overview of the who, the where, the what, and the why, in Family business review, 2009, 22, 2, 151-166.
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[13] W. HANDLER, Methodological issues and considerations in studying family business, in Family business review, 1989, 2, 3, 257-276 nonché ID., Succession in family business: a review of the research’, in Family business review, 1994, 7, 2, 133-157.
[14] M.H. STERN, Inside the family-held business, New York: Harcourt Brace Jovanovich, US Departement of Treasury Internal Revenue Service, Statistics of income. Washington, DC: US Government Printing Office.
[15] V. DREUX – R. DIRK, Financing family business: alternatives to selling out or going public, in Family business review, 1990.
[16] Sull’argomento vedi gli studi di S. SWARZ, The challenges of multidisciplinary consulting to family-owned business, in Family business review, 1989, 2, 4, 329-339; K. SMYRNIOS – G. TANEWSKI – C. ROMANO, Development of a measure of the characteristics of family business, in Family business review, 1998, 11, 49-60; T.G. HABBERSHON – M.L. WILLIAMS – I.C. MCMILLAN, A unified systems perspective of family firm performance, in Journal of business venturing, 2003, 18, 451-465.
[17] M. CIAMBOTTI, Governo strategico d’impresa, Torino, 2005; M. CIAMBOTTI, La pianificazione dei processi di transizione imprenditoriale nelle imprese familiari, in Studi Urbinati, 2000, 904; R. CAFFERATA, Ancora su proprietà e controllo: dalla continuità alla crisi del ruolo della famiglia dell’imprenditore nell’amministrazione dell’azienda minore, in Piccola impresa/small business, 1988, 3, 3; C. DEVECCHI, Problemi, criticità e prospettive dell’impresa di famiglia, Vita e pensiero, Milano, 2007, I, 14; C. DEVECCHI, Un alfabeto aziendale per governare la gestione e l’organizzazione delle imprese di famiglia, in DEVECCHI – FRAQUELLI (a cura di), Dinamiche di sviluppo e internazionalizzazione del family business, Atti del XXX Convegno annuale AIDEA, Bologna, 2008, 45; G. FRAQUELLI, Introduzione. Family business: una presenza rilevante di non facile definizione e misura, in DEVECCHI – FRAQUELLI (a cura di), Dinamiche di sviluppo e internazionalizzazione del family business, cit., 11; G. ALZONA – D. IACOBUCCI, Introduzione: le medie imprese tra controllo familiare e network globali, in L’industria, 2005, 2.
[18] Così: J. LAMBRECHT – W. NAUDTS – I. MANDL, Overview of family business relevant issues. Country fiche Belgium, in Austrian Institute for SME Reserch on behalf of the European Commissionn, 2008; D. MILLER– I. LE BRETON MILLER, Challenge versus advantage in family business, in Strategic organization, 2003, 1, 1, 127-134.
[19] E. CORI – M. BONTI, La longevità delle PMI famigliari: riflessioni teoriche ed evidenze empiriche, in Journal of management, 2011, n. 2; L. DEL BENE – N. LATTANZI – G. LIBERATORE, Aziende famigliari e longevità economica, Milano, 2012.
[20] M.L. BARNETT, Kinship as a factor affecting cantonese economic adaptation in the United States, Human organization, 1960, 19 1, 40-46; A. SINGH – K. LOVEARD, Brothers at the wheel: suhartos take lead the indonesian car program, Asiaweek.com, 1996, March, 17.
[21] Per una panoramica: M. CIAMBOTTI, I processi di transizione imprenditoriale nelle imprese familiari di minore dimensione, in Piccola impresa/small business, 1991, 1, 21; V. BERTELLA, La pianificazione del ricambio generazionale nell’impresa, Padova, 1995; F. FERRARI, Il passaggio generazionale delle PMI. La gestione della trasmissione dell’impresa tra rischi e opportunità, Milano, 2005; P. BASSILANA – F. NOBILI, Imprese di famiglia e passaggio generazionale, Milano, 2008; D. BOLDIZZONI, Imprese e famiglia: caratteristiche, problemi e prospettive del family business, in AA.VV., in BOLDIZZONI – SERIO (a cura di), Il fenomeno piccole imprese, Milano, 1996; D. MONTEMERLO, Il governo delle imprese familiari. Modelli e strumenti per gestire i rapporti tra proprietà e impresa, Milano, 2000; C.E. SCHILLACI – R. FARACI, The ownership and governance of firms in transition: the italian experience, Torino, 2002; S. Tomaselli, Longevità e sviluppo delle imprese familiari. Problemi, strategie e strutture di governo, Milano, 1996.
[22] Sul tema: P. SINGER, Il passaggio generazionale nell’impresa familiare tra continuità e cambiamento, Torino, 2005; A. SEZZI, Il sistema imprenditoriale italiano di fronte alla sfida del passaggio generazionale, in (a cura di) FERRARI, AA.VV., Il passaggio generazionale delle PMI. La gestione della trasmissione d’impresa tra rischi e opportunità, Milano, 2005, 17.
[23] F.M. CESARONI – A. SENTUTI, Nuove generazioni ed evoluzione dell’impresa famigliare: la sfida della successione imprenditoriale. Analisi di alcuni casi di successo, in Piccola impresa/small business, 2010, 2, 64.
[24] AA.VV., Il passaggio generazionale delle PMI. La gestione della trasmissione d’impresa tra rischi e opportunità, cit.
[25] J. DEGADT, Strategic entrepreneurship in family business experience from Belgium, in Fueglistaller, U. (Ed.) Volery T. (Ed.), & Weber W. (Ed.).
[26] G. VISCONTI, Il problema della successione o del cambio generazionale in una PMI familiare e lo strumento del patto di famiglia, in Diritto & diritti, 2017.
[27] Sul percorso per inserire il successore: A. SENTUTI, Il percorso di inserimento del successore nell’azienda di famiglia: una valutazione dei possibili scenari, in Rivista piccola impresa/Small business, 2008, 3; J. BARACH, Entry of the next generation: strategic challenge for family business, Journal of small business management, 1988, April; V. BERTELLA, La pianificazione del ricambio generazionale nelle imprese familiari, Padova, 1995; V. CHIESA – A. DE MASSIS– M.L. PASI, Gestire la successione nel family business: analisi di alcuni casi italiani, Piccola impresa/Small business, 2007, 1; G. PIANTONI, La successione familiare in azienda. Continuità dell’impresa e ricambio generazionale, Milano, 1990; A. VERGANI, Imprenditore nato, Il Sole 24 ore, Milano, 2003; J.L. WARD, Di padre in figlio: l’impresa di famiglia, Milano, 1990.
[28] Sul tema: E. POZA – S. JOHNSON – T. ALFRED, Changing the family business througt action research, in Family business review, 2004, 11, 4, 311-323; K. LACHAPELLE – L.B. BARNES, The trust catalyst in the family owned business, in Family business review, 1998, 11, 1, 1-17; T.G. HABBERSHON – J.H. ASTRACHAN, Perceptions are reality: how family meetings lead to collective action, in Family business review, 1997, 10, 1, 37-52.
[29] Sul problema dello sham trust e del trust autodichiarato (quest’ultimo è il trust dove il disponente nomina sé steso come trustee) si vedano M. PATRONE, Il trust sham e il diritto civile, in Contr. e impr., 2018, 2, 985 e A. MAURO, Il trust autodichiarato non è, in quanto tale, nullo, in Quotidiano del commercialista, www.eutekne.info, 4 giugno 2018.
[30] S. MARULLO DI CONDOJANNI, Trust e passaggio generazionale della ricchezza familiare, in Fam. pers. e succ., 2011, n. 7, 487; A. BUSANI, Trasmissione aziendale in scioltezza, in Il Sole 24 ore, Le guide del professionista, 3 aprile 2006, 26.
[31] F. MAIMERI, in ZANCHI (a cura di), Trust in ambito societario, Torino, 2009, 389.
[32] F. COLOGNATO, La mela avvelenata della donazione di quote sociali, in La rivista delle operazioni straordinarie, 2019, n. 1; M. VINCENTI, Criticità e consigli nella redazione dei contratti: la donazione di azienda, in Soc. e contr., bil. e rev., 2016, 6, 30.
[33] Parte della dottrina ha addirittura ipotizzato una sorta di “salvataggio” della donazione attraverso una sua postuma riqualificazione in patto di famiglia. Vedi A. BUSANI, Il contratto di riqualificazione della donazione di partecipazioni sociali in patto di famiglia, in Società, 2016, 535
[34] In tema di patto di famiglia: M. VINCENTI, Il patto di famiglia: natura ed elementi essenziali, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, n. 7-8, 40; M. VINCENTI, Il patto di famiglia: l’oggetto, i soggetti e lo scioglimento, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, G. RACUGNO, Legittimari e determinazione del valore dell’azienda nel patto di famiglia, in Riv. not., 2017, 1, 167; R. SICLARI, La riforma mancata del patto di famiglia: occasione persa o viatico per una più attenta riflessione, Riv. not., 2017, 1, 17; F. VOLPE, L’uso delle pattuizioni accessorie nel patto di famiglia, in Contr. e impr., 2014, 503; D. PIRILLI, Patto di famiglia interessi familiari, in Dir. fam. pers., 2013, 1534; G.M. RUSSO, La struttura del patto di famiglia, in Fam., pers. succ., 2012, 2, 903; P. MATERA, Il patto di famiglia. Uno studio di diritto interno e comparato, Torino, 2012, 17; A. VINCENTI, Il patto di famiglia compie cinque anni: spunti di riflessione sul nuovo tipo contrattuale, Dir. fam., 2011, 3, 1411; D. SCARPA, Riflessioni sulla compatibilità fra patto di famiglia e impresa familiare, in Fam., pers. succ., 2010, 9; P. MANES, Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare, in Contr. e impr., 2006, 545; L. BALESTRA, Il patto di famiglia a un anno dalla sua introduzione (parte prima), in Riv. dir civ. e proc. civ., 2007, 727, ID., Il patto di famiglia a un anno dalla sua introduzione (parte seconda), in Riv. dir. civ. e proc. civ., 2007, 1037; G. AMADIO, Patto di famiglia e funzione divisionale, in Riv. not., 2006, I, 871; G. PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. not., 2006, I, 427; M. IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili di revisione del divieto dei patti successori, in Riv. not., 1997, 1375; M. DI MAURO, I necessari partecipanti al patto di famiglia, in Fam. pers. e succ., 2006, 539; F. GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in Giust. civ., 2006, II, 218; M.C. ANDRINI, Il patto di famiglia: tipo contrattuale e forma negoziale, in Vita not., 2006, 37; C. CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato, 2006, 305; S. DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. not., 2006, I, 897; A.L. BONAFINI, Il patto di famiglia tra diritto commerciale; P. ZANELLI, La riserva pretermessa nei patti di famiglia, in Contr. impr., 2007, 895.
[35] A. MAURO, Il patto di famiglia – Aspetti fiscali, in AA.VV., Protezione del patrimonio e passaggio generazionale, Torino, 2018, 67; A. FEDELE, Profilo fiscale del patto di famiglia, in Riv. dir. trib., 2014, 5, 526, S. CAPOLUPO, Effetti della incerta natura del patto di famiglia sul relativo regime fiscale, in Il fisco, 2016, 40, 3847; M. TORTELLI, L’azienda acquistata con patto di famiglia non genera una sopravvenienza attiva, in Il fisco, 2018, 4, 390; P. PURI, Prime riflessioni sul trattamento fiscale del patto di famiglia, Dir. e prat. trib., 2008, 3, 565; M. BEGHIN, I patti di famiglia tra profili strutturali e aspetti problematici, in Corr. trib., 2006, 45, 3543.
[36] S. MASSAROTTO, Patto di famiglia “azzoppato” dalla Cassazione, in www. Advisoronline.it/private-banker/fiscalità. Ripercorrono tutti i gradi di giudizio: A. CARBONI – G. CRISTOFORI, Patto di famiglia e imposta di donazione, in www.ecnews.it, edizione dell’8 marzo 2019.
[37] A. BUSANI, Il patto di famiglia inciampa sul fisco, in Telefisco, 2019.
[38] P. TALICE, Le quote di categoria di Srl-PMI come strumento idoneo a soddisfare interessi diversi dalla raccolta di capitali, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, 10, 18.
[39] M.C. LUPETTI, Il finanziamento dell’operazione: family buy out, in AA.VV., in Patti di famiglia per l’impresa, Quaderni della Fondazione italiana del Notariato, 2006,
[40] A. DELL’ATTI, Il passaggio generazionale nelle imprese familiari, Bari, 2007, 176.
[41] G. IACOBONE – D. MAIORANA, Il passaggio generazionale dell’impresa, in Contabilità, finanza e controllo, 2005, 5, 395; T.R. PIPER – W.A. WEINHOLD, How much debt is right for your company, in Harvard business review, Paperback, 40.
[42] P. TALICE, L’usufrutto su quote di partecipazione di Srl, in Soc. e contr., bil. e rev., 2017, n. 2, 6; F.A. MONCALVO, Le partecipazioni sociali, in BONILINI (a cura di), AA.VV., Usufrutto, uso, abitazione, Torino, 2010, 1, 326; D. POLETTI, Decadenza o metamorfosi dell’usufrutto. Spunti per una riflessione, in Società, 2016, 935; F. TASSINARI, L’usufrutto di partecipazioni sociali in funzione di asset protection, in Soc. e contr., bil. e rev., 2014, n. 12, 6.
[43] A. BUCCELLI, Usufrutto su quote societarie e diritto di voto, in Società, 2016, 957.
[44] D.l. n. 50 del 2017, (c.d. manovra correttiva) pubblicato in G.U. n. 95 in vigore dal 24 aprile 2017.
[45] D.l. n. 3 del 2015 del 24 gennaio 2015 (c.d. Investiment Compact) pubblicato in G.U. n. 19 in vigore dal 24 gennaio 2015, convertito con modifiche in legge n. 33 del 2015 del 24 marzo 2015 in G.U. n. 70 del 25 marzo 2015.
[46] L. DE ANGELIS, La Srl ora si comporta da SpA, in Italia oggi, 7, 15 maggio 2017.
[47] M.R. LENTI, Le Srl tradizionali hanno i minuti contati? Guida alle novità in materia di PMI, 21 marzo 2018, in www.federnotizie.it.
[48] D.l. n. 179 del 2012 del 18 ottobre 2012 convertito con modificazioni in legge n. 221 del 2012 del 17 dicembre 2012.
[49] C.A. BUSI, Applicabili nelle Srl molte norme delle SpA: le regole nei nuovi atti costitutivi, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, 1, 6.
[50] D.l. n. 3 del 2015 del 24 gennaio 2015 (c.d. Investiment Compact) pubblicato in G.U. n. 19 in vigore dal 24 gennaio 2015, convertito con modifiche in legge n. 33 del 2015 del 24 marzo 2015 in G.U. n. 70 del 25 marzo 2015.
[51] In tema A. BENAZZO, Start-up e PMI innovative, in Dig. civ., sez. comm., Aggiornamento, Torino, 2017, 484.
[52] G. CUCCHIARATO, L’equity crowdfunding dopo la legge di stabilità 2017, in dirittobancario.it, dicembre, 2016; M.L. PASSADOR, The need for suitability and appropriateness in crowdfunding regulation, in Revue internationale des services financiaries, 2016, 4.
[53] D.l. n. 50 del 2017, (c.d. manovra correttiva) pubblicato in G.U. n. 95 del 24 aprile 2017 s.o. n. 20, in vigore dal 24 aprile 2017.
[54] L. DE ANGELIS, La Srl ora si comporta da SpA, in Italia oggi, 15 maggio 2017.
[55] M. NOTARI, Srl-PMI, su capitale e definizioni restano incertezze, in Il Sole24 ore, 1 dicembre 2018, 18.
[56] Attualmente richiamata dall’art. 2 paragrafo 1 lettera f del Regolamento UE n. 1129/2017 del 14 giugno 2014 che parla di stato patrimoniale “non superiore a” e di fatturato “non superiore a”.
[57] D. BOGGIALI – A. PAOLINI – A. RUOTOLO, Le novità in tema di PMI in forma di Srl nella manovra-bis (art. 57, d.l. 24 aprile 2017, n. 50), in CNN notizie del 27 aprile 2017, 3.
[58] All’interno delle PMI si distinguono la piccola impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro, e la micro impresa, cioè l’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro; la media impresa si individua in via residuale ed è quella che si colloca al di sopra delle soglie della micro e della piccola impresa ma entro i 250 occupati, i 50 milioni di fatturato annuo e i 43 milioni di totale di bilancio annuo.
[59] M. MEOLI, Quasi tutte le Srl sono PMI, in Eutekne.info, venerdì 21 settembre 2018.
[60] M. MALTONI – A. RUOTOLO – D. BOGGIALI, La nuova disciplina delle (PMI) società a responsabilità limitata, Studio n. 101-2018/I, 5.
[61] R. REVIGLIONO, La circolazione delle quote nelle Srl PMI, Relazione al Convegno Focus sul diritto societario, Cereseto (AL) 19 ottobre 2018.
[62] D.l. n. 3 del 2015 del 24 gennaio 2015 (c.d. Investiment Compact) pubblicato in G.U. n. 19 in vigore dal 24 gennaio 2015, convertito con modifiche in legge n. 33 del 2015 del 24 marzo 2015 in G.U. n. 70 del 25 marzo 2015.
[63] M. CIAN, Srl PMI, Srl, SpA: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, in Riv. soc., 2018, 822 ss.
[64] Scrive M. NOTARI, Srl-PMI, su capitale e definizioni restano incertezze, in Il Sole24 ore, 1 dicembre 2018, 18, che «sono ancor più incerti sia i presupposti di applicazione di questo regime speciale (delle PMI) sia le conseguenze del loro venir meno».
[65] C.A. BUSI, Applicabili nelle Srl molte norme delle SpA: le regole nei nuovi atti costitutivi, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, n.1, 6; M. SPERANZIN, Piccole-medie imprese tra autonomia statutaria e ibridazione dei tipi (con particolare riferimento alle partecipazioni prive del diritto di voto), in Riv. soc., 2018, 340; P. TALICE, Le quote di categoria di Srl-PMI come strumento idoneo a soddisfare interessi diversi dalla raccolta di capitali, cit., 17.
[66] C. LIMATOLA, Passaggi generazionali e posizioni di governo nella Srl, Torino, 2017, 237.
[67] P. BENAZZO, Categorie di quote, diritti di voto e governance della nuovissima Srl: quale ruolo e quale spazio per la disciplina azionaria nella Srl PMI aperta?, in Riv. soc., 2018, 1461.
[68] P. BENAZZO, Categorie di quote, diritti di voto e governance della nuovissima Srl, cit., 1461.
[69] M. SPERANZIN, Piccole-medie imprese tra autonomia statutaria e ibridazione dei tipi (con particolare riferimento alle partecipazioni prive del diritto di voto), cit., 340; V. CARIELLO, Sistema dualistico e SpA cc.dd. chiuse a controllo familiare, in Riv. dir. civ., 2008, 551; L. BALESTRA, Autonomia negoziale nella Srl a compagine familiare: la personalizzazione della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 14; S. POLI – A. VANCINI, La scelta del tipo di società tra coniugi (e familiari) tra fisiologia e patologia della società e della famiglia, in Familia, 2005, I, 735. Sull’argomento delle società famigliari si veda anche A. CETRA, La partecipazione di società di capitali in società di persone nel passaggio generazionale dell’impresa, in AA.VV., La struttura finanziaria e i bilanci delle società di capitali. Studi in onore di Giovanni E. Colombo, Torino, 2011, 181.
[70] Parte della dottrina ritenevano anche prima del 2017 (Srl PMI) ammissibili quote senza diritto di voto. Così M. SPERANZIN, Partecipazioni senza diritto di voto nella Srl, in AA.VV., La struttura finanziaria e i bilanci delle società di capitali. Studi in onore di Giovanni E. Colombo, Torino, 2011, 211.
[71] P. TALICE, Le quote di categoria di Srl-PMI come strumento idoneo a soddisfare interessi diversi dalla raccolta di capitali, cit., 17.
[72] BUSI C.A., I quorum elevati a salvaguardia delle minoranze e i quorum necessari per la loro modificazione, in Soc. e contr., bil. e rev., 2017, 7/8, 6; BUSI C.A., Assemblea e decisioni dei soci nelle società per azioni e nelle società a responsabilità limitata, in PICOZZA – GABRIELLI (diretto da), Trattato di diritto dell’economia, Padova, 2008, vol. IV.
[73] C.A. BUSI, Tecniche di soluzione delle situazioni di stallo decisionale nelle compagini societarie, in Soc. e contr., bil. e rev., 2015, n. 9, 8.
[74] A. SOARDI, La società a responsabilità limitata a statuto speciale ex art. 2468 terzo comma c.c. nell’ottica del passaggio generazionale, Ordine dei Dottori commercialisti e egli esperti contabili di Brescia.
[75] Sul tema si veda ampiamente C.A. BUSI, La prelazione societaria, Milano, 2019.
[76] In materia: R.C. ANDERSON – E. OTTOLENGHI – D.M. REEB, The dual -class premium: a family affair, 2017, SSRN Scholary paper n. id. 3006669, Rochester, NY: Social science research network; M. BENNEDSEN – K.M. NIELSEN – F. PEREZ GONZALES – D. WOLFENZON, Inside the family firm: the role of families in succession decisions and performance, 2007, The Quarterly Journal of economics, 2007, 122, 2, 647-691.
[77] C. LIMATOLA, Passaggi generazionali e posizioni di governo nella Srl, Torino, 2017, 237.
[78] P. TALICE, Le quote di categoria di Srl-PMI come strumento idoneo a soddisfare interessi diversi dalla raccolta di capitali, cit., 17.
[79] P. TALICE, Le quote di categoria di Srl-PMI come strumento idoneo a soddisfare interessi diversi dalla raccolta di capitali, cit., 17.
[80] Sul tema si vedano: A. BUSANI, L’agevolazione per il passaggio generazionale dell’azienda, in Società, 2018, 1219; A. BUSANI, L’agevolazione per il passaggio generazionale delle azioni e delle quote di partecipazione al capitale sociale, in Società, 2018, 1353; V. MASTROIACOVO, La partecipazione indiretta di quote societarie integra il controllo utile per l’esenzione, in Corr. trib., 2010, 35, 2889; V. MASTROIACOVO, Non è soggetto a imposizione il passaggio generazionale dell’azienda, in Corr. trib., 2008, 4, 325; V. MASTROIACOVO, L’imposizione indiretta del passaggio generazionale dell’azienda tra regimi agevolati e criticità di sistema, in Rass. trib., 2012, 3, 615; G. ZIZZO, I trasferimenti di azienda e partecipazioni sociali per successione o donazione, in Corr. trib., 2007, 17, 1351; D. STEVANATO, I trasferimenti di aziende e partecipazioni nell’imposta di successione e donazione: aspetti critici delle nuove fattispecie di esenzione, in Dial. dir. trib., 2007, 502.
[81] In material, S.D. BOHRER, Protecting the rights of minority shareholders, in Private-owned companies, Insights, 2007, 4, 15-25.
[82] Sul tema: M.A. WORONOFF – J.A. ROSEN, Understanding anti-dilution provision in convertible securities, in Fordham Law Review, 2005, 129; S.A. KAPLAN, Piercing the corporate boilerplate: anti-dilution clause in convertible securities, in Univ. Chicago Law Review, 1965, n. 1, 3; D.L. RATNER, Dilution and anti-dilution: a replay to Professor Kaplan, in University of Chicago Law review, 1966, 494, S.I. GLOVER, Solving dilution problems, in Business Law, 1996, 1241; D.A. BROADWIN, An introduction to antidilution provisions (Part1), in The pratical lawyer, June, 2004, 27; S.A. SANZ, Anti-dilution clauses in venture capital deals under SpAnish law, in Analysis GA&P, February, 2013.
[83] Sugli argomenti esaminati anche se nell’ottica del socio investitore vedi L. SALVATORE – V. ALBINI, La disciplina delle start-up innovative, Trento (gruppo euroconference), 2017, 72.
[84] C.A. BUSI, Applicabili nelle Srl molte norme delle SpA: le regole nei nuovi atti costitutivi, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, 1, 6.
[85] In tema L.M. BERTINI, Le azioni a voto limitato, condizionato, contingentato e scaglionato, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, 5, 18.
[86] F. MASSA FELSANI, In tema di scaglionamento del voto e principio di uguaglianza, in Riv. dir. impr., 2011, 659; A. POMELLI, Rischio d'impresa e potere di voto nelle società per azioni: principio di proporzionalità e categorie azionarie, in Giur. comm., 2008, I, 510.
[87] Per una panoramica sulle tipologie di limitazioni al voto si veda V. RUBERTELLI, Start-up innovative e deroghe al diritto societario, Approfondimento giuridico del 9 dicembre 2014, in www.federnotizie.it, 14.
[88] F. FANTI, Brevi note in tema di voto scalare, sospensione del diritto di voto e riscatto di azioni, in Società, 2010, 221; E.M. TRIPPUTI, Questioni in tema si scaglionamento del diritto di voto, divieto di concorrenza del socio e sanzioni statutarie per la violazione di tale divieto, in Giur. comm., 2010, II, 313.
[89] L. CALVOSA, La partecipazione eccedente e i limiti al diritto di voto, Milano, 1999, 165.
[90]A. BLANDINI, Le azioni a voto limitato nella riforma, in Giur. comm., 2004, I, 483.
[91] C.A. BUSI, Applicabili nelle Srl molte norme delle SpA: le regole nei nuovi atti costitutivi, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, 1, 15.
[92] Sull’argomento: U. TOMBARI, Maggiorazione del dividendo e maggiorazione del voto: verso uno statuto normativo per l’investimento di medio-lungo termine, in Banca borsa tit. cred., 2016; V. CARRIELLO, Azioni a voto potenziato, voti plurimi senza azioni e tutela dei soci estranei al controllo, in Riv. soc., 2015, 164; M. LIBERTINI, Un dialogo su voto plurimo e diritto di recesso, in Riv. dir. comm., 2015, 1; G. DE GIOVANNI – M. CASAROSA, Azioni a voto plurimo e maggiorazione del voto: regime normativo e regolamentare e possibili applicazioni, in La gestione straordinaria delle imprese, 2015, n. 1, 23; F. TASSINARI, Le azioni a voto plurimo nelle società non quotate: convenienze nell’utilizzo e ipotesi di clausole, in Soc. e contr., bil. e rev., 2014, 10, 15.
[93] E. MARCHISIO, La maggiorazione del voto (art. 127-quinquies TUF): récompense al socio stabile o trucage del socio di controllo?, in Banca borsa tit. cred., 2015, I, 80.
[94] Recentemente sul tema anche se con riferimento alla SpA: M. MAROCCHI, Alla ricerca di nuove forme di privilegio per gli azionisti privilegiati, in Giur. comm., 2019, I, 521.
[95] In materia: P. SFAMEMI, Azioni di categoria e diritti patrimoniali, Milano, 2008, 109; in precedenza S. FONTANA, Le azioni privilegiate nella prassi statutaria, in Giur. comm., 1976, I, 516.
[96] C. CARUSO, Conformazione statutaria del privilegio reddituale e definizione legale del contenuto delle azioni (di risparmio), in Banca borsa tit. cred., 2003, II, 1244.
[97] N. ABRIANI, aggiornato da A. DELL’OSSO, Sub art. 2348, in ABRIANI (a cura di), Codice delle società, Torino, 2016, 670.
[98] M. NOTARI, Sub art. 145, in AA.VV., La disciplina delle società quotate, in MARCHETTI – BIANCHI (a cura di), Commentario, Milano, 1999, 1570.
[99] Si sono interessate a detta fattispecie: App. Milano, 28 settembre 2001 e Trib. Milano, 22 maggio 2000, in Banca borsa tit. cred., 2003, II, 1244.
[100] S. FONTANA, Le azioni privilegiate nella prassi statutaria, in Giur. comm., 1976, I, 522.
[101] C.F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, Milano, 2004, 153.
[102] Per L’ammissibilità: in giurisprudenza Trib. Trani, 19 settembre 2000, in Società, 2001, 481, con nota di D. FICO, Distribuzione degli utili in assenza di delibera assembleare; in dottrina: P. SFAMEMI, Sub art. 2350, in MARCHETTI – BIANCHI – GHEZZI – NOTARI (a cura di), Commentario alla riforma delle società, Volume Le azioni, Milano, 2008, 231.
[103] Così App. Milano, 28 settembre 2001 e Trib. Milano, 22 maggio 2000, in Banca borsa tit. cred., 2003, II, 1244.
[104] G. FERRI, Diritto agli utili e al dividendo, in Riv. dir. comm., 1963, I, 637.
[105] A. RUOTOLO – D. BOGGIALI, Assegnazione di partecipazioni non proporzionali in sede di aumento gratuito del capitale, Quesito impresa n. 155-2015; O. ONZA, Partecipazione al capitale e partecipazione al rapporto sociale (appunti sulla derogabilità convenzionale della proporzione tra conferimento e quote), in Riv. dir. civ., 2007, II, 718; I. SODI, L’assegnazione delle partecipazioni non proporzionale ai conferimenti nelle società di capitali, in Studi e materiali, 2009, 584. In generale sull’argomento: C.A. BUSI, Aumento del capitale nelle SpA e Srl, Milano, 2013, 176.
[106] Per il rapporto con il patto leonino si vedano: V. OCCORSIO, Clausola leonina, in CONFORTINI (a cura di), Clausole negoziali, Torino, 2017, 1147; R. SANTAGATA, Partecipazioni in Srl a scopo di finanziamento e divieto del patto leonino, in Banca borsa tit. cred., 2009, II, 746; C. TEDESCHI, Sul divieto del patto leonino, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 957; A.M. PERRINO, Patti parasociali di finanziamento partecipativo e divieto di patto leonino, in Società, 2012, 1158; G. PIAZZA, La causa mista credito-società, in Contr. impr., 1987, 803; E. BARCELLONA, Rischio e potere nel diritto societario riformato. Fra golden quota di Srl e strumenti finanziari di SpA, Torino, 2012, 111; A. CIAFFI, Finanziamento regionale e patto leonino, in Vita not., 1995, 856.
[107] A favore: Trib. Udine, 25 novembre 1981, in Giur. comm., 1982, II, 884; Trib. Udine, 10 aprile 1981, in Giur. comm., 1982, II, 884. In dottrina: M. LIBERTINI – A. MIRONE – M. SANFILIPPO, Sub art. 2348, c.c., in D’ALESSANDRO (a cura di), Commentario romano al nuovo diritto delle società, Padova, 2010, 248.
[108] N. ABRIANI, Sub art. 2348, in COTTINO – BONFANTE – CAGNASSO – MONTALENTI (diretto da), Il nuovo diritto societario, Commentario, Bologna, 2004, 272.
[109] O. CAGNASSO, Il socio di Srl privo del diritto di voto. Qualche riflessione in tema di proprietà e controllo nell’ambito della società PMI, paper presentato al IX Convegno annuale dell’associazione “Orizzonti del diritto commerciale”, Roma, 22-23 febbraio 2018, 25.
[110] P. TALICE, Le quote di categoria di Srl-PMI come strumento idoneo a soddisfare interessi diversi dalla raccolta di capitali, cit., 13.
[111] Massima n. 38/2014, in ACERBI (a cura di), Prontuario delle massime notarili in materia societaria, Roma, 2016, 419.
[112] M. CIAN, Le start-up innovative a responsabilità limitata: partecipazioni, altri rapporti partecipativi e nuovi confini del tipo, in Nuove leggi civ., 2014, 1185.
[113] In argomento: E. FREGONARA – M. CAVANNA, Il controllo dei soci, in IRRERA (diretto da), Diritto del governo delle imprese, Torino, 2016, 398, nota 97; E. FREGONARA, Orientarsi nella disciplina work in progress della start-up innovativa Srl, in Nuovo dir. soc., 2016, 8, 24.
[114] M. CIAN, Le start-up innovative a responsabilità limitata: partecipazioni, altri rapporti partecipativi e nuovi confini del tipo, cit., 1185; M. CIAN, Società start-up innovative e PMI innovative, in Giur. comm., 2015, I, 984 conferma che «potrebbe risultare interessante il contenimento dei diritti di controllo di cui all’art. 2476, secondo comma, c.c., …specie quando la società si aprisse realmente, attraverso l’emissione di categorie partecipative, al mercato degli investitori».
[115] M. COSSU, Nuovi modelli di Srl nella legislazione italiana recente, in Banca borsa tit. cred., 2015, 475.
[116] A. LAUDONIO, La folla e l’impresa: prime riflessioni sul crowfunding, in ODC, 2014, 29.
[117] N. ABRIANI, Struttura finanziaria, assetti proprietari e assetti organizzativi della società a responsabilità limitata PMI. Que reste-t-il della Srl, paper presentato al IX Convegno annuale dell’associazione “Orizzonti del diritto commerciale”, Roma, 23-24 febbraio 2018, 10.
[118] M. CIAN, Srl PMI, Srl, SpA: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, in Riv. soc., 2018, 853.
[119] Massima n. 175 – 27 novembre 2018 del Consiglio notarile di Milano, in BUSANI (a cura di), Massime notarili e orientamenti professionali. Categorie di quote nella Srl – PMI, in Società, 2019, 499.
[120] In argomento: N. ABRIANI – A. ROSSI, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 2019, 393; R. RORDORF, Prime osservazioni sul codice civile della crisi e dell’insolvenza, in Contratti, 2019, 129.
[121] In tema: C.A. BUSI, Le nuove Srl, in corso di preparazione per le edizioni Eutekne; C.A. BUSI, La nuova Srl PMI alla luce dei recenti orientamenti notarili, in Soc. e contr., bil. e rev., 2019, 7/8, 6; C.A. BUSI, Applicabili nelle Srl molte norme delle SpA: le regole nei nuovi atti costitutivi, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, 1, 6; C.A. BUSI, Le modifiche statutarie per la gestione del crowdfunding nelle Srl PMI, in Soc. e contr., bil. e rev., 2018, 2, 16.
[122] Famoso il caso della Robert Bosch GmbH, le cui quote risultano, per una percentuale pari al 91% del capitale sociale nominale, senza voto e detenute dalla fondazione di famiglia.
[123] A.B. CAMPUZANO, Artt. 98-103, in Comentario de la ley de sociedades de capital, directo da Rojo A. y Beltràn E., 2011, 845, che sottolinea l’utilizzo delle partecipazioni senza voto come tecnica di riserva della gestione della società a determinati soci.
[124] R.A. WOLF, De kapitaalverschaffer zonzer stmrecht in de BV, Maastricht, 2013; N. ZAMAN, Die niederlàndische flex-BV, in GmbHr, 2012, 1065.