Nuova finanza e concordato preventivo*
1. La paura della nuova finanza
Quello tra la nuova finanza e il concordato è un rapporto difficile. Non solo per la naturale ritrosia dei finanziatori a rischiare concedendo all’impresa in difficoltà nuove risorse, nel timore che questa non riesca nell’intento di risanamento e non sia in grado di restituirle. Tanto più quando – com’è non pregevole costume – l’imprenditore accede troppo tardi alle procedure di crisi, quando magari è già incorso in eventi che vincolano i finanziatori istituzionali a ridurlo a una delle categorie deteriori di prenditori con le connesse conseguenze in termini di trattamento.
Ma anche – e ciò potrebbe sembrare paradossale – per il legislatore e per chi poi, in concreto, è chiamato a far girare la macchina, cioè gli organi della procedura, commissari giudiziali e tribunale [[1]]. La finanza nuova non può affluire all’impresa se non sotto vincoli e condizioni stringenti, non imposte ad alcun altro tipo di controparte contrattuale. E per affluire dev’essere preventivamente autorizzata, anche se fosse indispensabile e urgentissimo ricorrervi. E l’autorizzazione non può avvenire se non c’è qualcuno (a seconda dei casi, l’attestatore, il commissario e comunque in definitiva il giudice) che verifichi e confermi che l’afflusso della nuova finanza è richiesto dal «miglior interesse dei creditori» [[2]].
Ma come? La finanza è il sangue dell’impresa, senza di essa non s’irradia il processo produttivo in tutte le sue articolazioni, il cervello non è in grado di rapportarsi con lo spazio-tempo delle azioni da compiere e perde la lucidità indispensabile per affrontare fasi critiche di ordine straordinario, il corpo avvizzisce, gli organi funzionano male e producono tumori, il cuore non ossigenato rischia di fermarsi nel momento in cui gli è richiesto il massimo sforzo[[3]]. L’impresa è, chi più chi meno, esangue quando si presenta al concordato, altrimenti ricorrerebbe ad altre soluzioni. E la trasfusione richiede condizioni complesse da dimostrare ed accertare? Perché mai l’interesse dei creditori potrebbe sconsigliare l’afflusso delle risorse?
È così, però, nella disciplina vigente, pur nuova. E solo per la finanza nuova, non per altre azioni “nuove” che riguardino il processo produttivo. Se l’imprenditore contrae maggior debito verso fornitori, non è richiesto un vaglio autorizzativo preventivo e neppure la dimostrazione che ciò avvenga nel miglior interesse dei creditori. Lo si presume. Per la finanza no. Perché?
Se si continua a far funzionare la macchina organizzativa a pieno regime, con la ordinaria produzione del debito di funzionamento, non si richiede nulla. Ciò fa parte della “ordinaria amministrazione”. I debiti vengono contratti legittimamente e hanno rango preferenziale nei confronti dei creditori anteriori al concorso. La finanza, che di per sé sarebbe la più ordinaria e indispensabile delle componenti del ciclo d’impresa, no.
La finanza è temuta dal legislatore. A differenza dei fornitori strategici, ai quali l’imprenditore può essere autorizzato a pagare il pregresso per non perderli nella continuità aziendale, i fornitori di finanza non lo possono (non mi consta che qualcuno abbia mai tentato con successo di accreditare davanti a un tribunale la tesi che alla banca finanziatrice andasse estinta per l’intero l’esposizione pregressa per non perderne l’assistenza nella fase di continuità concordataria). Sono venditori anch’essi, e di una materia prima non meno indispensabile: il danaro, senza il quale i fattori produttivi rimarrebbero fermi. Eppure per loro l’ordinamento è implacabile. Perché?
È curioso. In realtà la nuova finanza non dispiace affatto, in sé, al legislatore e agli organi del concordato. Quella “esterna”, però, quella che si aggiunge, in favore della quale si consente al finanziatore e al finanziato (di norma concordi al riguardo) perfino di modificare il trattamento paritario dei creditori concorsuali. La base giuridica di ciò sta nel fatto che, trattandosi di finanza “esterna”, i creditori non vanterebbero in relazione ad essa il diritto ad esser trattati paritariamente, diritto che essi hanno con riferimento alla massa attiva disponibile dell’impresa in crisi e non rispetto a risorse aggiuntive che, in favore di alcune categorie soltanto, qualcuno fosse disposto a concedere[[4]]. Vedremo ben presto, però, che le cose non stanno proprio così.
Ma la finanza “esterna” è un apporto a fondo perduto, un apporto di netto, non viene còlta nel suo rappresentare, non diversamente da ogni altro apporto finanziario, risorse destinate a consumarsi nel processo di formazione del reddito onde concorrere al risultato della continuità.
Non è quindi in sé che la finanza non piaccia, non piace quando si teme possa modificare l’aspettativa dei creditori concorsuali[[5]].
Una traccia curiosa di questo atteggiamento timoroso è scappata dalla penna del legislatore. Al comma 2 dell’art. 99, dove si prevede che il tribunale possa autorizzare l’imprenditore a contrarre finanziamenti, si dice espressamente che per aspirare a ottenere l’autorizzazione l’imprenditore deve non solo dimostrare le ragioni di urgenza e come utilizzerà le risorse richieste ma anche di non averle potute reperire altrimenti. Da dove, se il suo problema è di non averne, perciò siamo qui, a chiedere di essere ammessi al concordato?
Dall’esterno, appunto (magari dagli azionisti, o da un nuovo investitore). Quella finanza non olet, anzi profuma. Quella l’imprenditore la potrebbe prendere da solo, senza chiedere nulla a nessuno, senza dover dimostrare cosa ne farà e se l’interesse dei creditori sia avvantaggiato o non dalla sua acquisizione. Anche se la usa per farci trading su titoli sperando di ottenere un risultato della componente finanziaria da apportare al processo, anziché investirlo direttamente nel processo, rischiando di bruciare tutto giocando in borsa? Anche se serve per alimentare strumenti derivati dalla formula penalizzante prolungando la scommessa già oggi persa attraverso un market value negativo esposto a possibili peggioramenti? Anche se la riversa tutta per aumentare il capitale nella controllata d’oltreoceano che tiene in vita come zattera di salvataggio se le cose qui andranno male?
Eppure anche quella finanza è sangue che affluisce all’impresa, si mescola con le altre risorse, diventa cellule, linfa, umori, scorie ma anche bellezza, crescita, arricchimento. Se usata bene, può generare un miglioramento per i creditori. Se usata male, non c’è una relazione di invarianza necessaria rispetto alla situazione che si sarebbe verificata se essa non fosse affluita. Grazie ad essa l’impresa si è mossa dalla posizione in cui era, e non è detto che sia pervenuta a una posizione più vantaggiosa. E se usata male, meglio sarebbe stato non averla avuta a disposizione che averne alimentato processi distorsivi o diseconomici. Eppure di quella finanza, in quanto esterna, nessuno si preoccupa. Perché?
2. Universalità della garanzia patrimoniale e logica del funzionamento d’impresa
Il cuore del problema viene da pregiudizi antichi e, in definitiva, nel fatto che la crisi d’impresa non riesce, neppure nelle recenti riforme, ad uscire dal cono d’ombra del diritto civile e dalla mostruosa capacità condizionante che ancor oggi riveste sulla definizione dell’esposizione d’impresa la regola dell’universalità della garanzia patrimoniale dei creditori sancita dall’art. 2740, c.c. secondo cui il debitore risponde con tutti i suoi beni nei confronti dei creditori[[6]].
In forza di quella logica, di tipo recuperatorio-espropriativo quindi per definizione liquidatoria, i creditori hanno diritto ad aggredire i beni del debitore, e i beni sono cose visibili e tangibili, valutabili addirittura proprio in quanto visibili e tangibili. Difetta alla logica della garanzia patrimoniale civilistica la concezione che il bene, in quanto oggetto da liquidare, sia una cosa diversa rispetto allo stesso bene, in quanto oggetto da sfruttare in un processo produttivo per consumarne il valore nella produzione di un risultato volto a incrementare valore dell’intero coacervo dei beni a servizio dei creditori o, più semplicemente, che assicuri il pagamento dei creditori senza dover liquidare un bel niente[[7]].
Un bene presente e immediatamente vendibile potrà forse valer poco, ma quel che vale lo vale effettivamente, secondo quella logica. Usarlo e consumarlo per aver di più? Il diritto civile è estremamente prudente[[8]].
È assente, nel principio di garanzia patrimoniale universale sancito dall’art. 2740 del codice civile, il concetto di investimento e tanto meno, riguardato dal lato del bene d’impresa, dell’investimento in attesa di realizzo. Come spiegare, con la logica civilistica, che il valore delle rimanenze è il costo sostenuto per l’acquisto e non quanto qualcuno sarebbe disposto a pagarle comprandole in blocco? Che la perdita d’esercizio è un valore attivo dal punto di vista patrimoniale? Quante volte abbiamo visto curatori premurosi contestare al fallito di non aver arrestato le macchine e di aver pregiudicato il valore delle immobilizzazioni, azzeratesi al momento dell’insolvenza, per poi scoprire che si trattava degli effetti dell’ammortamento contabile? Come dar torto, del resto, a un curatore così grezzo, se legislatori e giurisprudenza predicano la differenza dei netti contabili come criterio di determinazione del danno da prosecuzione dell’attività?
La ragione del – per dirla con le parole che aprono la Germania di Tacito – «reciproco timore e rispetto» (lì a segnare il confine tra i Germani e i popoli limitrofi, qui) tra nuova finanza e concordato sta tutta qui: che i legislatori, e dietro di loro gli interpreti, e non solo giudici non avvezzi a processi d’impresa ma anche dottrina che trasuda della sua formazione civilistica, tendono a considerare la nuova finanza nel solo suo lato per così dire “numerario”, come cassa che entra e debito che si forma, guardando alla manifestazione, appunto, numeraria del lato passivo del patrimonio concorsuale, quale operazione produttiva di un debito ulteriore rispetto a quelli già esistenti. Lettura limitata e parziale, che trae con sé il corollario che, in quanto operazione che modifica il lato passivo, aggravandolo, dev’essere riguardata con estrema prudenza.
Ma, perché, l’operazione non ha anche una sua componente attiva, quella dell’ingresso di risorse nel processo produttivo, di cui si assume come un valore la continuità? Il concordato sembra divenuto ormai la procedura concorsuale della continuità, rivestendo quello liquidatorio un ruolo residuale[[9]], e non si considera il fatto che, oltre alla nascita di un debito, l’operazione finanziaria è anche l’ingresso di nuova cassa a beneficio del processo?
Non aggrava forse ugualmente il passivo l’accensione di un debito per l’acquisto delle materie prime? Il mantenere in piedi la struttura e dover pagare gli stipendi? Sfruttare proprietà industriale altrui riconoscendo royalties? Completare un’opera in corso? Ma non ha tutto questo, non diversamente dalla finanza, un versante attivo?
La partita della finanza ha forse cessato di essere doppia?
Quella verso la nuova finanza è dunque una paura irrazionale. E il compito del terapeuta è andare al fondo dell’irrazionalità del timore e portarla alla luce, per aiutare a capire se il timore sia tout court ingiustificato o se vi siano reali ragioni, a dispetto di quelle irrazionali, che giustifichino comunque le cautele imposta dalla norma.
3. I finanziamenti interinali e il loro servizio al piano nella disciplina previgente
Per capirlo, partiamo dalla disciplina dei finanziamenti interinali contenuta nell’art. 99, CCII, commi da 1 a 4.
La norma si inserisce nel solco della vecchia disciplina fallimentare ma colloca l’istituto in una cornice molto diversa rispetto al passato.
L’art. 182-quinquies, l. fall. già prevedeva al comma 1 che l’imprenditore che avesse presentato una domanda di concordato anche “in bianco” ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall. (farò d’ora in avanti riferimento al concordato ma, come noto, mutatis mutandis la disciplina è parallela anche per gli accordi di ristrutturazione) potesse essere autorizzato dal tribunale a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’art. 111, l. fall. a condizione che un attestatore esterno avesse verificato «il complessivo fabbisogno finanziario sino all’omologazione» e attestato che i finanziamenti fossero «funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori»[[10]]. L’imprenditore non era tenuto a indicare la concreta destinazione dei finanziamenti né a paventare pericoli in caso di mancato afflusso della finanza richiesta. Bastava fosse utile ai creditori. L’autorizzazione poteva essere anche “preventiva” per tipologia ed entità e non necessariamente riferita a uno specifico finanziamento già disponibile (ivi, comma 2)[[11]].
L’attestatore doveva quindi collocarsi per così dire al punto di arrivo del processo che, tramite i finanziamenti, l’imprenditore aspirava a compiere, quello in cui si sarebbe dovuta misurare la soddisfazione dei creditori[[12]]. E siccome la “migliore soddisfazione” dei creditori vuol dire migliorarne il riparto, in assenza di altra specificazione sembrava che all’attestatore fosse affidato il compito di attestare le sole situazioni in cui gli fosse concretamente possibile prevedere che il futuro riparto ai creditori potesse essere meglio salvaguardato dall’apporto di finanza nelle more della procedura concordataria rispetto a quanto avrebbe potuto ragionevolmente accadere in assenza di essa. Va da sé che, in questo giudizio, l’attestatore non poteva che avere riferimento al fatto che i finanziamenti sarebbero stati impiegati nell’attività d’impresa. La formulazione della disposizione lasciava quindi ampio spazio alla valutazione dell’impatto della nuova finanza sul processo produttivo e sul possibile miglioramento della soddisfazione dei creditori che avrebbe potuto derivarne.
Apparentemente lo spazio per l’autorizzazione di finanziamenti interinali era dunque particolarmente ampio, tanto almeno quanto lo è lo spettro del possibile miglioramento che l’afflusso di nuova finanza può realizzare nelle aspettative dei creditori, tramite un più efficiente e virtuoso processo produttivo.
In realtà in quel contesto aveva vita breve l’illusione che la norma avesse introdotto una logica di agevolazione del finanziamento dell’impresa in ristrutturazione presidiato dal tribunale, un po’ come avviene per gli atti di straordinaria amministrazione. Il finanziamento interinale poteva essere concesso infatti solo sulla base di una verifica, da parte dell’attestatore, del fabbisogno finanziario complessivo dell’impresa fino all’omologazione. Il finanziamento restava, in altri termini, interinale nel senso di temporaneo, volto a fronteggiare eventuali fabbisogni nel periodo antecedente a quello in cui, approvato il concordato, sarebbe entrato a regime il piano concordatario[[13]]. Era al piano invece che competeva, propriamente, descrivere le assunzioni industriali, organizzative e le relative manifestazioni economico-patrimoniali e finanziarie e, pertanto, suffragare le basi per il ricorso al finanziamento quale fonte di copertura del fabbisogno concretamente declinato lungo la durata del concordato.
Da questo punto di vista l’istituto si presentava come uno strumento funzionale alla predisposizione del piano, in certa misura anche anticipatorio dell’impostazione a tendere, destinato tuttavia a “sciogliersi” nella più ampia e compiuta programmazione concordataria, di cui costituiva a tutto concedere un’anteprima con il limitato scopo di assicurare il traghettamento dell’impresa fino all’approvazione della proposta.
In questo senso è stato correttamente rilevato[[14]] che l’istituto ha finito per soppiantare nella pratica il ricorso alla finanza-ponte, per la quale era bensì prevista la possibilità di conseguire la prededuzione ma che, avvenendo essa prima dell’accesso alla procedura e quindi in assenza di autorizzazione, era soggetta al rischio che, alla resa dei conti, il tribunale non riconoscesse il beneficio omettendo di prevederlo espressamente nel provvedimento di ammissione[[15]] e comunque al rischio che l’impresa non venisse ammessa[[16]].
Tra costruzione, negoziazione e formalizzazione del finanziamento e piano di risanamento vi era già nella vecchia impostazione, insomma, una relazione inscindibile tale che al finanziatore non conveniva apprestare la nuova finanza se non in un contesto procedurale che ne consentisse la previa autorizzazione e l’imprenditore veniva costretto a fornire all’attestatore e al tribunale elementi valutativi in ordine alla funzionalità del finanziamento rispetto a un progetto, pur eventualmente ancora di massima, che avrebbe comunque dovuto poi divenire parte integrante e coordinarsi con la programmazione generale di soluzione della crisi.
Del resto, l’attestatore era chiamato in campo in un momento in cui, in ipotesi, avrebbe addirittura potuto ancora mancare il piano concordatario, potendo i finanziamenti essere richiesti anche prima del suo deposito. E neppure si richiedeva che l’attestatore “dei finanziamenti” fosse lo stesso attestatore “del piano”. L’esperto, non conoscendo il piano né se l’avrebbe attestato lui stesso, veniva per questo a maggior ragione indotto a interpretare il vincolo della miglior soddisfazione dei creditori in modo alquanto meccanicistico, con netta prevalenza, nella sua analisi, dell’approccio “numerario”, traducentesi nella verifica dei flussi di cassa attesi in relazione alle scadenze dei rimborsi[[17]]. Poco spazio per il rischio, poco spazio quindi per le esigenze della continuità valutate nel loro complesso.
Interpreti virtuosi hanno tentato di spingere più in là l’angusto confine letterale della norma[[18]] ma il limite veniva dallo stesso meccanismo, il quale, di regola, è stato applicato con estrema prudenza dai tribunali fallimentari[[19]]. In gioco c’era, infatti, il già richiamato problema che il finanziamento autorizzato non avrebbe soltanto incrementato l’esposizione debitoria ma avrebbe collocato il nuovo finanziatore in posizione preferenziale rispetto ai creditori pregressi, con scarico integrale del rischio dell’utilizzo del finanziamento, quindi, su questi ultimi[[20]].
Il comma 3 dell’art. 182-quinquies, l. fall. era dedicato alle richieste di autorizzazione formulate in via d’urgenza dall’imprenditore ricorrente a prenotazione di concordato ex art. 161, comma 6, l. fall., in funzione di «urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale» fino al momento del deposito del piano e della proposta[[21]]. In tal caso l’imprenditore avrebbe dovuto indicare (comma 3) la «destinazione dei finanziamenti», dichiarare di non essere «in grado di reperire altrimenti tali finanziamenti» e dichiarare che «in assenza di tali finanziamenti, deriverebbe un pregiudizio imminente ed irreparabile all’azienda» [[22]].
In questo contesto, i finanziamenti interinali acquisivano una manifesta funzione cautelare, nel limitato spazio compreso tra la domanda prenotativa e la proposta definitiva. Il vincolo della protezione dal pregiudizio specificava rigorosamente la loro funzione, che non era concepita nel senso del generico supporto al processo di continuità aziendale ma solo ad evitare che, a causa della mancata linfa finanziaria, lo stesso potesse imminentemente e irreparabilmente risultarne pregiudicato.
4. Le novità dell’art. 99 CCII
L’art. 99 CCII assomiglia molto alla vecchia norma, ma solo se lo si guarda da lontano. Approssimandosi alla disposizione, se ne vedono tutte le differenze.
Intanto, la nuova finanza interinale prededucibile può richiedersi anche se la continuità gestionale è prevista in funzione della liquidazione del ramo, di sue componenti o di singoli cespiti produttivi. Ieri la generica formulazione del titolo dell’art. 182-quinquies, l. fall. («Disposizioni in tema di finanziamento e continuità aziendale nel concordato preventivo ecc.») sollevava il dubbio se il finanziamento interinale, in essa disciplinato, riguardasse la sola ipotesi di concordato in continuità o se la disciplina del finanziamento (una delle due materie richiamate dal titolo della norma) riguardasse ogni possibile tipo di concordato, anche quello liquidatorio e, nel primo caso, se potesse essere richiesto un finanziamento volto ad agevolare la liquidazione della parte del processo non destinata alla continuazione o di singoli cespiti [[23]].
Oggi la norma non fa riferimento al “tipo di concordato” (e può quindi applicarsi anche al concordato liquidatorio) ma al fatto che dal momento attuale a quello conclusivo del processo, anche se liquidatorio, sia richiesta almeno in certa misura una continuità aziendale da finanziare. Il vincolo alla continuità è dunque oggi sempre indispensabile, anche se la continuità fosse destinata a cessare e fosse essa stessa funzionale alla liquidazione. È escluso invece testualmente che possa beneficiare di finanza interinale un concordato meramente liquidatorio, con immediato «arresto delle macchine» [[24]].
In secondo luogo, quello che era stato regolato come il procedimento per i finanziamenti interinali d’urgenza richiesti tra la domanda di prenotazione e il deposito del piano e della proposta ai creditori diventa il “procedimento unitario” per l’autorizzazione dei finanziamenti interinali in generale, dunque anche quelli relativi alla fase compresa tra il deposito del piano e l’omologazione e quelli non giustificati da un pericolo imminente di pregiudizio irreparabile. Con l’unica differenza che, nei casi di urgenza (anch’essi non più limitati alla fase tra prenotazione e deposito della proposta) può esser omessa la fase di attestazione da parte dell’esperto, con vincolo per il tribunale di effettuare da solo le valutazioni circa la ricorrenza dei presupposti per l’autorizzazione e, tra questi, circa la migliore soddisfazione dei creditori [[25]].
Questo implica che, a differenza di quanto era previsto in passato, anche nel ricorso ordinario (cioè non urgente) l’imprenditore deve (comma 2 dell’art. 99, CCII) indicare la destinazione dei finanziamenti e dichiarare di non essere in grado di reperirli altrimenti, ma soprattutto deve indicare «le ragioni per cui l’assenza di tali finanziamenti determinerebbe grave pregiudizio per l’attività aziendale o per il prosieguo della procedura».
Diviene quindi generale il carattere cautelare, insito invece nella vecchia previsione solo per i casi giustificati dal timore di pregiudizio, con la variante che, sul piano generale, l’autorizzazione del finanziamento può essere assentita previa attestazione e solo in caso di grave pregiudizio per l’attività aziendale o per il prosieguo della procedura, mentre il pericolo imminente di danno irreversibile («all’attività aziendale», non, come in passato, «all’azienda») rimane solo quale presupposto per la concessione di autorizzazione in via d’urgenza anche in difetto di attestazione (comma 2, ultima parte) [[26]].
5. Dall’utilità per il risanamento alla prevenzione del danno
La nuova disciplina fa quindi un rilevante passo indietro rispetto alla precedente, limitando in modo significativo la possibilità per l’imprenditore di ricorrere alla finanza interinale in pendenza di concordato, al di fuori della cornice del piano approvato e omologato (quando basta la previsione nel piano a rendere il finanziamento prededucibile senza necessità di autorizzazione).
La vecchia norma instaurava bensì anch’essa un rapporto tra finanziamento urgente e omologazione. Essa era infatti intesa a sopperire a un fabbisogno corrente fino alla omologazione, cioè fino al momento in cui la pianificazione concordataria avrebbe trovato compiuta declinazione e, in seno a questa, sarebbero state indicate le fonti di copertura attivabili in esecuzione del concordato in regime di prededuzione senza necessità di specifica autorizzazione, assorbita nel contesto dell’ammissione, prima, del voto, poi, e infine dell’omologazione della proposta concordataria. E tuttavia consentiva il ricorso al finanziamento quando ciò rispondesse anche a mere esigenze di miglioramento delle chances di riparto dei creditori.
La nuova norma conferma espressamente quanto ieri si ricavava da una lettura sistematica della norma, che cioè i finanziamenti interinali debbano essere «funzionali all’esercizio dell’attività aziendale fino all’omologa», e entro questo perimetro salta a pie’ pari il problema del rapporto fra finanziamento interinale e piano. Essa guarda esclusivamente alle esigenze finanziarie del processo in corso al momento in cui la richiesta di autorizzazione viene formulata, e però non nel senso di favorire l’afflusso di finanza coerente con le esigenze del processo gestionale ma solo di prevenire eventuali pregiudizi all’attività o alla procedura in caso di carenza di liquidità.
E ciò vale addirittura anche nel caso in cui il piano concordatario e la proposta ai creditori abbiano avuto compiuta formulazione. Anche in questo caso, perfino se il finanziamento di cui si chiede l’autorizzazione ante-omologa fosse coerente al piano o perfino espressamente previsto in esso, il tribunale non potrebbe autorizzarne la stipula se ciò non rispondesse a precise ragioni cautelari di neutralizzazione del pregiudizio «grave» che altrimenti ne risentirebbe l’attività o il processo concordatario.
Dalla visione utilitaristica della nuova finanza, che trovava un pur timido affaccio nella concezione dell’ultimo periodo di vita della legge fallimentare, il legislatore del Codice fa quindi una rilevante marcia indietro verso i territori più sicuri del rifiuto della finanza interinale non giustificata da esigenze di prevenzione dei danni derivanti dall’asfissia finanziaria. E ciò, nonostante l’apparente apertura contenuta nella formulazione del comma 1 dell’art. 99, nella parte in cui si prevede che l’imprenditore, anche nella fase prenotativa di concordato, può richiedere di essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibili in qualsiasi forma, compresa l’emissione di garanzie, «funzionali all’esercizio dell’attività aziendale sino all’omologa del concordato … ovvero all’apertura o allo svolgimento di tali procedure».
6. La “finanza-ponte” e il curioso risultato dell’applicazione ad essa delle regole sulla finanza interinale
Da quanto sopra può trarsi qualche considerazione ulteriore relativamente alla seconda “famiglia” di fattispecie di finanza a servizio del concordato, disciplinata ieri dall’art. 182-quater, comma 2, l. fall. e oggi dal comma 5 dell’art. 99, CCII, quella della cosiddetta “finanza-ponte”, cioè i finanziamenti effettuati in favore dell’imprenditore «in funzione della presentazione della domanda» concordataria [[27]].
Fino all’entrata in vigore delle nuove disposizioni il problema di quei finanziamenti era uno solo: ottenere il riconoscimento della prededuzione in caso di mancato esito della procedura di concordato [[28]]. E, a tal fine, si richiedeva solo che il finanziamento venisse previsto nel piano e che il tribunale ne dichiarasse espressamente[[29]] la natura prededucibile nel provvedimento di ammissione[[30]].
Non era, ovviamente, prevista autorizzazione (i finanziamenti si postulava fossero stati concessi in funzione, dunque prima, della domanda, quando non si era instaurato il regime concorsuale con l’entrata in carica dei relativi organi). Non a caso la disciplina della prededuzione era contenuta in una disposizione, l’art. 182-quater, l. fall., dedicata a tutti i finanziamenti per sé prededucibili, inclusi quelli avvenuti in esecuzione del concordato, la cui antergazione promanava per così dire dalla loro adozione in quanto funzionali alla procedura concordataria[[31]].
Oggi le cose non stanno più così.
Il finanziamento-ponte viene incluso nella disciplina dei finanziamenti preventivi all’omologazione all’interno della norma che copre anche quelli interinali, l’art. 99, mentre i finanziamenti prededucibili “in esecuzione” del concordato sono disciplinati dall’art. 101, CCII.
Soprattutto, assimilatili per così dire per la natura preventiva a quelli interinali, il comma 5 dell’art. 99 estende ai finanziamenti-ponte, con un richiamo quanto mai ambiguo, le disposizioni dal comma 1 al comma 4 della stessa norma dedicati agli interinali, con una serie di conseguenze interpretative inevitabilmente goffe e, soprattutto, molto deprimenti nei riguardi della propensione a sostenere l’impresa con strumenti del genere (vedremo più avanti, la probabile ma non dichiarata ragione per questa – conscia o inconscia non si sa – deflazione della fattispecie nonostante la sua formale conservazione).
Sembra infatti che il finanziamento offerto all’impresa in funzione della domanda, benché antecedente all’apertura del concorso, debba rispondere anch’esso ai vincoli propri della finanza interinale di cui ai commi da 1 a 4, nel senso, quanto meno:
– che esso non è consentito per i concordati meramente liquidatori. Che senso ha ciò? Se il finanziamento agevola la liquidazione dei cespiti di cui si varranno poi i creditori, dunque a loro migliore soddisfazione, perché negargli la prededuzione? Si tratta di un finanziamento volto a cogliere tutto lo spettro offerto dalla legge per definire la crisi con soddisfazione per i creditori nella miglior misura possibile, posto in essere prima ancora di procedere alla redazione del piano. Perché privarsene [[32]]?
– che è consentito solo se il debitore non sia in grado di reperire altrimenti le relative risorse. L’effetto della previsione è davvero bizzarro, in quanto probabilmente le risorse per presentare la domanda l’imprenditore le ha ma non conviene che le disinneschi dal processo produttivo, con la conseguenza che, per definizione, il finanziamento serve perché l’imprenditore non trova altra possibilità di copertura del fabbisogno: cosa c’è da dimostrare, in concreto?
– che occorre dichiarare la destinazione del finanziamento. A chi va dimostrata? come? quando? al momento della concessione? successivamente, nel piano? Siamo fuori da un procedimento, va scritto forse nelle premesse del contratto [[33]]? Va verificato da qualcuno? Probabilmente vuol dirsi soltanto che il piano concordatario, che deve includere il finanziamento nelle sue espresse previsioni, ha il compito di contestualizzarne la destinazione;
– che l’assenza del finanziamento pregiudicherebbe in modo grave lo svolgimento della procedura. Ma la procedura non è ancora iniziata, non ha, per così dire, un “diritto a svolgersi senza pregiudizi”, perché non c’è. Il finanziamento serve appunto perché essa si apra. Si tratta allora forse di un ossimoro, in quanto senza finanziamento la procedura non si aprirebbe e per definizione il suo svolgimento sarebbe pregiudicato? o si richiede la dimostrazione di altro? Anche qui: dove? a chi? in quale atto? quando, al momento della concessione (con una prognosi, evidentemente, sul possibile, non sull’esistente) o successivamente, nel piano?
– che debba esservi la relazione di un esperto attestatore della sussistenza dei presupposti e della migliore soddisfazione dei creditori. Un esperto nominato prima della procedura? Cosa potrebbe mai attestare, se della procedura ancora non c’è neppure la domanda? Come misura il miglior interesse dei creditori [[34]]?
L’inconveniente massimo di tutto ciò, oltre alle ragioni di perplessità circa il contenuto delle prescrizioni, è che lo stesso non viene verificato ex ante tramite un provvedimento autorizzativo bensì ex post, a crisi divenuta insanabile, quando si dovrà convincere il giudice del concorso liquidatorio che al finanziamento spetta il rango massimo e non quello proprio delle caratteristiche oggettive del credito. Sarà quel giudice, a naufragio del tentativo di risanamento consumato, a valutare se il finanziamento dovesse essere funzionale a un’attività in prosecuzione e non anche alla mera liquidazione, se il debitore potesse reperire aliunde le relative risorse, se la destinazione dichiarata fosse meritevole o non, se vi fosse un pericolo di pregiudizio, e così via.
Non è difficile prevedere, allora, che l’ammissione al passivo della liquidazione giudiziale in prededuzione sia più aleatorio di un terno al lotto e che, dinanzi a un simile rischio, ben pochi (compresi gli azionisti) si sentano invogliati a rischiare risorse prima dell’apertura della procedura piuttosto che condizionatamente all’autorizzazione, a procedura aperta.
7. Gli apporti dei soci
Le osservazioni svolte richiedono una specificazione con riferimento alla nuova finanza apportata dai soci (art. 102, CCII).
Anche in questo caso la norma assomiglia più o meno a quella precedente (art. 182-quater, comma 3, l. fall.) ma se ne differenzia profondamente.
La vecchia previsione derogava al vincolo di postergazione del finanziamento sancito (espressamente per le s.r.l. ma esteso interpretativamente a tutte le società di capitali chiuse) [[35]] dall’art. 2467, c.c., nel caso in cui il finanziamento fosse stato concesso in presenza di uno squilibrio tra indebitamento outstanding e mezzi propri in un contesto in cui sarebbe risultato più appropriato un apporto di capitale, e dall’art. 2497-quinquies, c.c., nel caso di finanziamenti concessi dal soggetto esercente direzione e coordinamento.
Onde agevolare l’afflusso di risorse fresche da parte dei soci si prevedeva che il finanziamento godesse della prededuzione nel limite dell’80% [[36]], e però non in ogni caso ma solo nei casi previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 182-quater, l. fall., vale a dire nel caso di finanziamento soci previsto dal piano concordatario concesso in esecuzione del concordato (post-omologa, dunque) e nel caso di finanziamento funzionale alla presentazione della domanda (finanziamento-ponte) [[37]].
Non vi era alcuna previsione speciale, invece, che consentiva di applicare ai finanziamenti soci concessi dopo la presentazione della domanda e fino all’omologa (cd. interinali) la deroga alla postergazione valevole in via generale in applicazione delle norme civilistiche e tanto meno quella della prededuzione (almeno fino all’80% del loro ammontare). Certamente i finanziamenti soci interinali avrebbero potuto essere autorizzati in applicazione dell’art. 182-quinquies, l. fall. ma ben scarso sarebbe stato l’interesse a proporli da parte dei soci che avrebbero avuto la certezza di non recuperarli, esattamente come un apporto di capitale [[38]].
La disposizione sembrava esprimere la stessa logica di quella dell’art. 2467, c.c. La crisi dava per così dire certezza circa il fatto che l’impresa presentava uno squilibrio tra debito e mezzi propri e che un innesto di nuova finanza sarebbe stato più appropriato nelle forme dell’apporto di equity. Il finanziamento interinale si vedeva coerentemente assoggettato alla stessa regola di postergazione rispetto agli altri creditori. Con la conseguenza, però, che nessuno sarebbe stato disposto a metterlo.
La riforma sembra aver voluto sanare questa aporia ma, forse, ha lasciato le cose a metà aprendo un dubbio interpretativo particolarmente grave.
L’att. 102, comma 1, CCII, in espressa deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies, c.c., attribuisce in effetti in via generale natura prededucibile ai «finanziamenti apportati dai soci in qualsiasi forma, inclusa l’emissione di garanzie» (dunque anche a quelli interinali), precisando però espressamente trattarsi del «beneficio della prededuzione previsto agli articoli 99 e 101».
Non è chiaro, allora, se il rinvio riguardi la mera equiparazione dei finanziamenti interinali effettuati dai soci (nei limiti dell’80%) al rango di quelli previsti nell’art. 99, CCII o se implichi che il beneficio della prededuzione (in passato incondizionato) debba oggi rispondere alle stesse condizioni e, forse, essere assoggettato allo stesso procedimento autorizzativo previsto per la finanza interinale resa da soggetti “esterni”.
Vale, al riguardo, quanto ampiamente illustrato in apertura. L’apporto di finanza a servizio del processo produttivo implica una modificazione dei fondamenti e delle prospettive gestionali. Il danaro diventa azione societaria, si trasforma in una dinamica di formazione del reddito.
Se avviene a fondo perduto – nonostante ciò – l’ordinamento vede l’apporto con favore. Se dev’essere restituito, per considerarlo accettabile e virtuoso ne esige il controllo. Non avrebbe senso allora, nel contesto normativo dato, postulare una differenza di trattamento tra finanza “terza”, soggetta alle condizioni sostanziali e ai vincoli procedimentali sopra descritti per poter accedere non solo al beneficio della prededuzione ma per poter essere addirittura realizzabile, e finanza “corporate”, che possa godere della preferenzialità per il solo fatto di affluire liberamente senza riguardo alle conseguenze del suo innesto, dell’impiego che se ne farebbe, del rapporto con il processo pianificato.
8. Ragioni della diffidenza verso la nuova finanza nel CCII
È tempo di tirare le fila di questo lungo discorso e cercare di rispondere alla domanda posta in apertura, se abbia un senso, e quale, la maggiore severità con cui l’ordinamento riguarda l’accensione di finanziamenti anteriori all’approvazione della proposta concordataria rispetto ad altri atti d’impresa che, non diversamente da essi, possono alterare, e perfino squilibrare, l’esposizione dell’impresa già in stato di crisi.
L’analisi della disciplina dimostra che l’ansia del legislatore è di disincentivare per quanto possibile il ricorso al concordato come strumento per gestire in maggiore sicurezza l’impresa al riparo dai creditori, ricorrendo anche a nuova finanza, prima che l’imprenditore si sia impegnato formalmente a un progetto di risanamento verificabile e attestato dall’esperto indipendente e di aver assunto l’obbligo della proposta concordataria.
Ogni intervento anteriore a questa fase è riguardato sfavorevolmente, anche più che nel passato, ed è vincolato all’esigenza, che l’imprenditore ha l’onere di dimostrare, di prevenire danni all’attività o alla procedura. L’accesso a finanza preventiva all’omologazione del concordato, cioè al momento in cui entra in vigore il piano e i finanziamenti in esso previsti possono essere liberamente accesi con beneficio di prededuzione, può avvenire solo a condizione che passino un vaglio dei presupposti di prevenzione del pregiudizio e una verifica di “migliore soddisfazione” dei creditori, non bastando neppur, a giustificarne il rischio, che il finanziamento non arrechi pregiudizio dei creditori e sia per loro equivalente [[39]].
Finanza nuova da immettere nel processo produttivo e pianificazione sembrano quindi reciprocamente vincolate. Salvo casi eccezionali, la prima non si ammette, e comunque non gode della prededuzione e quindi è sfavorita, senza la seconda.
La ragione di ciò non consiste in una specifica attitudine della finanza nuova ad aggravare il passivo (ché contemporaneamente incrementa l’attivo e rende possibile l’azione imprenditoriale) né in una particolare relazione tra finanza e processo di formazione del reddito che ne faccia qualcosa di diverso da ogni altra risorsa e valore d’impresa, come tutte impiegata nell’obiettivo di generare incrementi patrimoniali del compendio a disposizione dei creditori o di consentire di estinguerne i crediti mediante i flussi di cassa generati dalla proseguita gestione.
La ragione consiste piuttosto nella diffidenza riposta nel fatto che la finanza nuova sia messa nelle mani dello stesso imprenditore presentatosi alla procedura senza le risorse necessarie a fronteggiare l’esposizione debitoria e dunque chiedendo ai creditori un sacrificio. Non è l’attività a giustificare la severità del legislatore (severità tale, anzi, da poterla addirittura pregiudicare) ma il soggetto dell’attività. La finanza è, per sua natura, incontrollabile una volta messa nelle mani del debitore. Lo si può obbligare a dichiarare le esigenze e gli obiettivi ma in procedure che non lo spossessano dell’impresa non si può evitare che la finanza acquisita sia utilizzata in modo inefficiente o perfino distorto in pregiudizio dei creditori.
È questa la paura di cui si parlava. Paura che si è definita irrazionale, se riferita alla finanza, non invece se riferita all’imprenditore, che della finanza si è presentato privo ai creditori cui impone corrispondenti perdite. La necessaria corrispondenza fra pianificazione e finanza rivela quindi la ragione ultima di questa diffidenza: che fin quando non si obbliga, l’imprenditore gestisce da solo in modo incontrollabile la stessa progettazione e la concreta attuazione della fase di ristrutturazione [[40]]. E la finanza, si sa, è un potente acceleratore dei processi, non solo di quelli virtuosi ma anche di quelli cattivi.
9. La spinta verso l’intervento precoce e il favore per la nuova finanza nella composizione negoziata della crisi
Non è un caso che, mentre ricacciava indietro la finanza interinale da strumento a servizio del generico fabbisogno del processo nella fase ante-omologa a strumento cautelare volto alla prevenzione del danno, il legislatore della riforma abbia concepito una fase procedimentale del tutto nuova, la composizione negoziata della crisi, caratterizzata dalla compartecipazione leale e informata del debitore e dei creditori, nella quale ha previsto la possibilità (art. 22, comma 1, CCII) che il tribunale autorizzi l’imprenditore (fermo il vincolo della «migliore soddisfazione dei creditori») a contrarre finanziamenti prededucibili dopo averne semplicemente verificato la «funzionalità rispetto alla continuità aziendale», e ciò in assenza di organi vigilanti, di attestatori, di piani [[41]] (basta un semplice “progetto di piano”, da discutere poi e mettere a punto mediante il confronto con i creditori sotto la guida dell’esperto) senza neppure perdere l’amministrazione ordinaria e straordinaria della sua azienda [[42]].
Il luogo naturale della finanza a supporto dell’uscita dalle fasi critiche, nella concezione del legislatore, non è dunque il concordato, in cui l’imprenditore fa il piano da solo, a sua misura, resta in sella, non è vincolato a farsi affiancare da esperti, sceglie unilateralmente il sacrificio da proporre ai creditori per uscire indenne dalla crisi, non ha vincoli a sentir nessuno e a confrontarsi, mentre il giudice interviene ex post in una continua scommessa circa le assunzioni, gli auspici, le previsioni che gli vengono proposte dallo stesso soggetto presentatosi a mani vuote.
Il luogo della finanza dei processi di crisi è quello, nuovo e tutto da sperimentare, da innescare prima che la crisi finanziaria raggiunga le dimensioni e i caratteri che la rendono ingestibile senza imporre perdite ai creditori, nel quale la progettazione dell’uscita è voluta trasparente e almeno in certa misura compartecipata.
È presto per dirlo. Ma se la composizione negoziata, dopo qualche diffidenza iniziale, verrà correttamente intesa come uno strumento capace di guidare l’imprenditore al ricorso al finanziamento prededucibile in funzione delle esigenze fisiologiche del processo produttivo e non solo per prevenire i danni da asfissia, vedremo presto che i finanziamenti “in composizione negoziata” soppianteranno progressivamente quelli interinali in concordato, come questi avevano fatto rispetto alla finanza-ponte. E, se così sarà, vedremo anche che – opportunamente – la composizione negoziata, liberando l’afflusso di risorse prededucibili al processo, diventerà il luogo del risanamento molto più di quanto non lo sarà il concordato.
Solo il tempo dirà se questa previsione è corretta.
NOTE:
* Il lavoro è in corso di pubblicazione anche sulla rivista Giurisprudenza Commerciale.
[1] Per una panoramica storica dei rapporti tra nuova finanza e concordato, ricostruita dall’autore nei passaggi da una concezione restrittiva ad una agevolativa ed infine incentivante, S. FORTUNATO, Considerazioni sul finanziamento alle imprese in crisi, in Giur. comm., 2016, I, 587 ss.
[2] Prima ancora di considerare più in dettaglio il regime in vigore nell’ordinamento domestico, è utile notare l’impostazione di maggior favore verso la nuova finanza che ricorre nel sistema eurounitario. Mentre l’art. 17 Direttiva Insolvency detta regole a tutela dei soggetti finanziatori, tra cui figura il riconoscimento di un diritto al pagamento precedente rispetto ai creditori in concorso; gli artt. 8, par. 1, lett. g, n. 6, e 10, par. 2, lett. e, condizionano la nuova finanza semplicemente alla sua necessità per il risanamento e (solo la seconda disposizione) alla mancanza di effetti pregiudizievoli per i creditori.
[3] La costante necessità della nuova finanza nei processi di risanamento può reputarsi pacifica. Sottolinea L. STANGHELLINI, I finanziamenti al debitore e le crisi, in Fall., 2021, 1184, che «la nuova finanza è un ingrediente essenziale per il recupero dell’equilibrio economico, premessa per il recupero, in prospettiva, dell’equilibrio finanziario. Raramente, infatti, l’equilibrio finanziario può essere ripristinato solo grazie alla sospensione dei pagamenti e delle azioni esecutive». Una constatazione analoga era formulata già da M. FABIANI, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate, in Fall., 2010, 904: «un processo di ristrutturazione richiama quasi obbligatoriamente l’acquisizione di nuove risorse finanziarie». Nella stessa direzione, nel considerando n. 66 della direttiva Insolvency si legge che «il successo del piano di ristrutturazione spesso dipende dal fatto che l’assistenza finanziaria è erogata al debitore per sostenere, in primo luogo, l’operatività dell’impresa durante le trattative di ristrutturazione e, in secondo luogo, l’attuazione del piano di ristrutturazione dopo l’omologazione».
[4] Per la libera allocazione della finanza che sia messa a disposizione da terzi e non comporti l’incremento delle passività da soddisfare in prededuzione o tramite il concordato, Cass. civ., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9373, in Foro it., 2012, I, 2671, con nota di D. BIANCHI, L’utilizzo della nuova finanza e il necessario rispetto dell’ordine legale delle prelazioni; Trib. Reggio Emilia, 11 agosto 2014, in Fall., 2015, 698, con nota di G. BOZZA, I criteri per la distribuzione delle prededuzioni tra il ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori del debitore concordatario; App. Venezia, 12 maggio 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 15 dicembre 2016, in www.ilcaso.it; M. FABIANI, Fallimento e concordato preventivo. Il concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca della legge fallimentare, Bologna, 2014, 248; L. PANZANI, Classi di creditori nel concordato preventivo e crediti postergati dei soci di società di capitali, in Fall., 2009, 807- 808; M. ZAPPALÀ, Nuova finanza e cause di prelazione nei concordati preventivi, in Riv. dir. civ., 2014, 464. Per la soluzione opposta, A. BASSI, La “finanza esterna” nel concordato preventivo tra finanziamento del debitore e finanziamento della iniziativa, in Giur. comm., 2019, I, 194 - 195, il quale esprime perplessità verso la possibilità di una distribuzione libera a prescindere dall’ “assorbimento” degli apporti di terzi nel patrimonio del debitore, in modo da escludere anche il pagamento eseguito dal finanziatore direttamente ad uno o più creditori in concorso.
[5] Almeno fino alla abrogazione della legge fallimentare, la logica sembra essere quella anticipata da M. FABIANI, Fallimento e concordato preventivo. Il concordato preventivo, cit., 899, nel giustificare la cautela verso la nuova finanza con l’osservazione secondo cui «se è pur vero che chi rischia deve poter contare su un certo “ritorno”, non bisogna mai dimenticare che le crisi investono sempre una collettività variegata di soggetti, sì che il vantaggio immediato dei pochi deve ridondare sempre in vantaggio differito dei molti».
[6] Sul tema della responsabilità patrimoniale universale nel concordato preventivo, G. D’ATTORRE, Concordato preventivo e responsabilità patrimoniale del debitore, in Riv. dir. comm., 2014, I, 359 ss.; ID., Ricchezza del risanamento imprenditoriale e sua destinazione, in Fall., 2017, 1015 ss.; A. ROSSI, Le proposte “indecenti” di concordato preventivo, in Giur. comm., 2015, I, 331 ss.; D. VATTERMOLI, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, II, 331 ss.; M. FABIANI, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in www.ilcaso.it, 6 -7; S. DORSI, Il concordato preventivo parzialmente liquidatorio, in Giur. comm., 2021, I, 324 ss.
[7] La diversa logica che ispira il finanziamento ad una attività produttiva di ricchezza emerge dall’osservazione della prassi e poi di diversi segmenti della legislazione, da cui risulta la rilevanza a scopo di garanzia non tanto della consistenza “statica” del patrimonio attuale ma dei “flussi” conseguibili tramite l’esercizio dell’impresa; per considerazioni approfondite sul tema e la sua evoluzione storica, T. DI MARCELLO, Flussi di risorse e finanziamento dell’impresa, Milano, 2010, 45 ss.
[8] L’impostazione civilistica si rispecchia nella disciplina tradizionale del concordato preventivo, e in particolare nel rigoroso trattamento imposto al debitore che intenda soddisfare i creditori tramite soluzioni alternative alla realizzazione del valore “statico” del patrimonio: fino alla riforma del 2006 il concordato con cessione dei beni imponeva la liquidazione dell’intero attivo e prescindeva dal pagamento delle percentuali minime previste dalla legge, dal momento che pagamenti inferiori al minimo non giustificavano la risoluzione; il concordato con garanzia consentiva di evitare la liquidazione, ma proprio per questo presupponeva una garanzia di pagamento in favore dei creditori e la risoluzione qualora il soddisfacimento dei creditori fosse risultato inferiore alla soglia minima stabilita dall’art. 160, comma 2, n. 1, l. fall. Su questi profili, M. CASANOVA, Concordato preventivo ordinario con offerta ai creditori e liquidazione dei beni, in Riv. dir. comm., 1966, I, 91-92.
[9] Questa constatazione è condivisa da M. FABIANI, Di un ordinato ma timido disegno di legge delega sulla crisi d'impresa, in Fall., 2016, 265; S. D’ORSI, op. cit., 351 ss.
[10] Controversa e problematica era la “misurazione” del fabbisogno da considerare per l’autorizzazione di finanziamenti prima della formulazione del piano di concordato. Un primo orientamento risolveva la questione con la necessità di “anticipare” le informazioni relative al piano in corso di formazione utili a consentire il controllo dell’esperto e la verifica del tribunale: L. BALESTRA, I finanziamenti all’impresa in crisi nel c.d. Decreto sviluppo, in Fall., 2012, 1405-1406; F. BRIZZI, Le fattispecie dei crediti prededucibili da finanziamento nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2013, 826; L. PANZANI, I nuovi poteri autorizzatori del Tribunale e il sindacato di fattibilità nel concordato, in Soc., 2013, 571; P.F. CENSONI, Concordato preventivo e nuova finanza, in Fall., 2014, 384; M. FABIANI, Fallimento e concordato preventivo. Il concordato preventivo, cit., 299; R. SACCHI, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Giur. comm., 2014, I, 322; Trib. Treviso, 16 ottobre 2012, in www.ilfallimentarista.it. Con una impostazione di maggior rigore, che finiva però per abrogare almeno in parte l’art. 182-quinquies, comma 1, l. fall., un diverso orientamento escludeva l’autorizzazione al finanziamento fino al deposito del piano e della proposta: S. AMBROSINI, I finanziamenti bancari alle imprese in crisi dopo la riforma del 2012, in Dir. fall., 2012, I, 479; F. NIEDDU ARRICA, Finanziamento e sostenibilità dell’indebitamento dell’impresa in crisi, in Giur. comm., 2013, I, 833; I. NOCERA, L’attestazione del professionista e la veridicità dei dati aziendali, in Fall., 2013, 1466-1467. Un ultimo orientamento, successivo alle modifiche all’art. 182-quinquies l. fall. intervenute con la “miniriforma” del 2015, giudicava ammissibile l’autorizzazione anche a prescindere da indicazioni preliminari sul contenuto del piano e contra legem la prassi giudiziale di richiedere anticipazioni sul piano in corso di stesura: S. AMBROSINI, Il diritto dell’impresa in crisi, Pisa, 2022, 187-188.
[11] Ammettono l’autorizzazione successiva all’erogazione del finanziamento, con funzione di mera ratifica, F. BRIOLINI, Concordato preventivo e nuova finanza. Note sui «finanziamenti autorizzati» a norma dell’art. 182-quinquies, comma 1-3, l. fall., in Dir. fall., 2015, I, 8; Trib. Milano, 23 febbraio 2013, in Fall., 2013, 859. Contra, e quindi per la revoca dell’ammissione al concordato della società che abbia stipulato un contratto di finanziamento interinale senza aver previamente ricevuto l’autorizzazione giudiziale, Trib. Milano, 2 maggio 2013, in banca dati De Jure.
[12] Sul giudizio prospettico dell’attestatore e poi del tribunale, S. AMBROSINI, op. ult. cit., 186.
[13] Si giudicava peraltro ammissibile anche la considerazione di un arco di tempo inferiore, qualora il rimborso dei finanziamenti fosse previsto in un momento anteriore all’omologazione: Trib. Verona, 21 luglio 2014, in www.ilcaso.it.
[14] G.B. NARDECCHIA, I finanziamenti prededucibili di cui agli artt. 182-quater e 182-quinquies l. fall., in Fall., 2016, 1106-1107; R. BROGI, I finanziamenti all’impresa in crisi tra legge fallimentare, Codice della crisi e D.l. n. 118 del 2021, in Fall., 2021, 1290.
[15] Sugli strumenti processuali a tutela del finanziatore al quale sia negata la prededucibilità dal provvedimento di ammissione al concordato, secondo prospettive non sempre corrispondenti: L. STANGHELLINI, Finanziamenti-ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Fall., 2010, 1358-1359; M. FABIANI, Prededuzione «speciale» ex art. 182 quater l. fall. e regime di impugnazione, in Foro it., 2011, I, 2529 ss.; A. BARTALENA, Crediti accordati in funzione od in esecuzione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-quater l. fall.), in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, 3, Torino, 2014, 2966.
[16] In merito alla naturale ritrosia dei potenziali finanziatori verso simili rischi, e quindi verso l’erogazione di finanza-ponte all’impresa, P. VALENSISE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012, 307, che riconduce la disciplina dei finanziamenti interinali introdotta nel 2012 proprio alla necessità di superare le incertezze proprie di quelli anteriori al concordato; M. FABIANI, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate, cit., 905; F. BRIOLINI, op. cit., 4; R. BROGI, op. cit., 1290; P.F. CENSONI, op. cit., 379-380. Per una impostazione almeno in parte differente, e cioè diretta a sottolineare la ragionevolezza dei rischi assunti dal finanziatore, riconosciuta soprattutto in funzione del pagamento da parte dell’impresa risanata di crediti già esistenti, L. STANGHELLINI, op. cit., 1360.
[17] Per la logica quantitativa, e cioè la rilevanza di tasso e tempi di pagamento dei crediti in concorso: F. BRIZZI, Le fattispecie dei crediti prededucibili da finanziamento nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 822 ss.; A. ROSSI, Il miglior soddisfacimento dei creditori (quattro tesi), in Fall., 2017, 640; C. SCRIBANO – M.T. LIUZZO, I finanziamenti alle imprese in crisi, in S. AMBROSINI (a cura di), Crisi e insolvenza nel nuovo Codice. Commento tematico ai d.lgs. n. 14/2019 e 83/2022, Bologna, 2022, 838. Nella stessa direzione sembra collocarsi l’opinione di S. AMBROSINI, Il diritto dell’impresa in crisi, cit., 185, il quale esclude l’autorizzazione ad operazioni di finanziamento neutre in termini patrimoniali (“a somma zero”) ed esige sempre la previsione di un vantaggio per il ceto creditorio.
[18] Per la rilevanza non tanto del “maggior soddisfacimento dei crediti”, quanto del “miglior soddisfacimento dei creditori”, G.B. NARDECCHIA, op. cit., 1108-1109.
[19] Così, nell’aderire al criterio quantitativo appena ricordato, Trib. Terni, 16 gennaio 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Bergamo, 26 giugno 2014, in banca dati De Jure, dove si legge che «l’attestazione specifica del professionista deve inerire alla convenienza per la massa dei creditori del finanziamento e dell’eventuale concessione della garanzia del finanziamento stesso, laddove per convenienza va intesa una prospettiva di soddisfacimento secondo percentuali più favorevoli, rispetto a quelle che potrebbe essere assicurate senza il finanziamento garantito oggetto della domanda».
[20] Osserva A. BARTALENA, Crediti accordati in funzione od in esecuzione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-quater l. fall.), cit., 2948, che la prededuzione riconosciuta al finanziatore comporta una vicenda corrispondente in termini economici alla degradazione delle pretese dei creditori in concorso.
[21] Ipotesi tipiche idonee a giustificare l’autorizzazione della nuova finanza urgente sono indicate da S. AMBROSINI, Il diritto dell’impresa in crisi, cit., 190, nel pagamento di fornitori strategici, nell’acquisto di beni da impiegare nel processo produttivo, nella sottoscrizione di un contratto preliminare utile alla successiva acquisizione di beni immobili, nel pagamento di debiti ai fini dell’ottenimento del c.d. Durc.
[22] Nonostante l’urgente necessità della nuova finanza, il controllo esercitato dalla giurisprudenza aspirava comunque a criteri di notevole rigore, in linea con l’impostazione dichiarata da Trib. Terni, 16 gennaio 2013, (nt. 19), secondo cui «le ragioni di “tempestività” che asseritamente connotano l’erogazione di nuova finanza non potrebbero mai consentire una deroga alla serietà ed al rigore che devono accompagnare i controlli giudiziali previsti dalla legge, essendo semmai onere del debitore allestire tempistiche e scansioni organizzative idonee a consentirne tutti gli sviluppi necessari».
[23] Per l’applicazione anche al concordato liquidatorio, G.B. NARDECCHIA, op. cit., 1107; R. BROGI, op. cit., 1287-1288; S. AMBROSINI, Il diritto dell’impresa in crisi, cit., 188. In direzione opposta, e quindi per l’autorizzazione di finanziamenti interinali esclusivamente nel concordato con continuità aziendale, F. NIEDDU ARRICA, cit., 827.
[24] In questi termini sembra orientarsi anche R. BROGI, op. cit., 1289, che tuttavia poi richiama il criterio della prevalenza previsto dalla formulazione originaria dell’art. 84, comma 3, c.c., e sembra così riconoscere rilevanza non tanto al contenuto particolare del piano ma al suo inquadramento nella specie del concordato liquidatorio oppure con continuità.
[25] Con riferimento sia all’orizzonte temporale più esteso nella nuova disciplina sia alle semplificazioni procedurali e alla superfluità dell’attestazione, R. BROGI, op. cit., 1289.
[26] Sulla funzione cautelare propria dei finanziamenti regolati dall’art. 99 sembrano convergere C. SCRIBANO – M.T. LIUZZO, op. cit., 842, che formulano un parallelo con i provvedimenti d’urgenza regolati dall’art. 700 c.p.c.
[27] In merito alle finalità proprie della finanza-ponte, L. STANGHELLINI, op. cit., 1354, osserva che «la funzionalità del finanziamento non si pone rispetto alla complessiva sistemazione della crisi, ma deve sussistere solo rispetto alla presentazione della domanda di concordato o di omologazione dell’accordo». Da premesse analoghe dipendeva la lettura restrittiva proposta nel vigore della legge fallimentare da La Croce, Le soluzioni “negoziate” alla crisi d’impresa. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. it., 2010, 2469, diretta ad escludere dal novero dei finanziamenti ponte quelli utili non alla formulazione di piano e proposta, ma alla gestione dell’impresa in crisi. Contro una simile impostazione, P. VALENSISE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, cit., 295-296.
[28] Dietro questo problema si ponevano due esigenze, segnalate entrambe da M. FABIANI, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate, cit., 899: quella di consentire agli atti compiuti prima del concordato ma orientati al risanamento di consolidarsi e restare fermi anche in seguito al possibile insuccesso della soluzione negoziale; quella di conservare cautela verso atti idonei ad incidere su interessi di soggetti ulteriori rispetto ai contraenti e pregiudicare l’interesse di terzi.
[29] La necessità di un riconoscimento esplicito della prededuzione consentiva i tre scenari indicati da Valensise, Sub art. 182 quater, in A. NIGRO – M. SANDULLI – G. SANTORO (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, 3, Torino, 2010, 2340: ammissione al concordato e dichiarazione della prededucibilità; diniego di ammissione e, per forza di cose, anche della prededucibilità; ammissione al concordato e diniego della prededucibilità, con l’imposizione al finanziatore del trattamento previsto per i creditori concorsuali dello stesso grado o compresi nella stessa classe.
[30] Una ulteriore necessità consisteva nell’istanza di riconoscimento della prededuzione da parte del debitore, non richiamata dall’art. 182 quater, comma 2, l. fall., ma reputata implicita in dottrina: M. FABIANI, Fallimento e concordato preventivo. Il concordato preventivo, cit. 473; C. SCRIBANO – M.T. LIUZZO, op. cit., 830; R. BROGI, op. cit., 1289.
[31] Sulla superfluità dell’attestazione da C. SCRIBANO – M.T. LIUZZO, op. cit., 830-831.
[32] Si può estendere alla finanza-ponte l’osservazione già svolta nel passato regime per quella interinale da S. AMBROSINI, Il diritto dell’impresa in crisi, cit., 188, diretta a sottolineare che la strumentalità del finanziamento al miglior soddisfacimento dei creditori prescinde dalla qualificazione del concordato come liquidatorio oppure con continuità.
[33] Per l’irrilevanza del contenuto del negozio per il riconoscimento della prededuzione v. però L. STANGHELLINI, op. cit., 1355.
[34] Sul contenuto dell’attestazione e i limiti alla verifica del tribunale correlati alla scarsità delle informazioni a disposizione, R. BROGI, op. cit., 1291.
[35] G. PORTALE, I “finanziamenti” dei soci nelle società di capitali, in Banca, borsa, tit. cred, 2003, I, 670 e 681; Maugeri, I finanziamenti «anomali» dell’azionista, in Riv. dir. soc., 2009, II, 566; M. RESCIGNO, Problemi aperti in tema di Srl: i finanziamenti dei soci, la responsabilità, in Soc., 2005, 15; N. ABRIANI, Finanziamenti «anomali» dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, in P. BENAZZO – M. CERA – S. PATRIARCA (diretto da), Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, Torino, 2011, 327; ID., Finanziamenti «anomali» e postergazione: sui presupposti di applicazione dell’art. 2467, in Fall., 2012, 1358-1359; M. FABIANI, Postergazione, circolazione del credito e diritto di voto, in Fall., 2012, 676-677; Cass. civ., sez. I, 7 luglio 2015, n. 14056, in www.ilcaso.it; Cass. civ., sez. I, 20 giugno 2018, n. 16291, in Foro it., 2018, I, 2750; Trib. Trani, 18 giugno 2021, in www.ilcaso.it. In direzione opposta, Bartalena, I finanziamenti dei soci nella s.r.l., in A.G.E., 2003, 398; M. CAMPOBASSO, La postergazione dei finanziamenti dei soci, in A. DOLMETTA – G. PRESTI (a cura di), S.r.l. Commentario, (a cura di), Milano, 2011, 239; D. VATTERMOLI, Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, 151 ss.; G. FERRI jr., Questioni attuali in tema di finanziamento dei soci e postergazione, in Riv. soc., 2022, 84 ss.; Trib. Bergamo, 15 ottobre 2014, in Fall., 2015, 110; Trib. Milano, 16 novembre 2017, in Soc., 2019, 173.
[36] Oggetto di numerose perplessità in dottrina, il limite dell’80% è spiegato da A. BARTALENA, Crediti accordati in funzione od in esecuzione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-quater l. fall.), cit., 2973, con la necessità di responsabilizzare i soci ed imporre loro un rischio almeno in parte maggiore rispetto agli altri creditori.
[37] Per l’analisi della ratio e una critica alla deroga alla disciplina societaria, F. BRIZZI, Le fattispecie dei crediti prededucibili da finanziamento nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 834 ss.
[38] Per l’applicazione esclusivamente degli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., quindi con postergazione dell’intero credito, L. BALESTRA, I finanziamenti all’impresa in crisi nel c.d. Decreto sviluppo, cit., 1404-1405; M. FABIANI, Fallimento e concordato preventivo. Il concordato preventivo, cit., 472, nota 19. Contra, per l’applicazione analogica dell’art. 182 quater, comma 3, l. fall. ai finanziamenti interinali, e dunque per l’ammissibilità di una autorizzazione suscettibile di rendere il credito di rimborso prededucibile per l’80%, F. BRIOLINI, op. cit., 14-15; Trib. Ravenna, 6 febbraio 2020, in www.dirittodellacrisi.it. Ricavava invece dal silenzio dell’art. 182 quinquies l. fall. sul trattamento dei soci l’equiparazione ad ogni altro finanziatore, con la possibilità perciò di beneficiare della prededuzione per l’intero credito “prodotto” dal finanziamento interinale, M. MIOLA, Profili del finanziamento dell’impresa in crisi tra finalità di risanamento e doveri gestori, in Riv. dir. civ., 2014, 1095.
[39] Con riguardo alla vecchia disciplina, S. FORTUNATO, op. cit., 595, sottolinea la difficoltà di distinguere nella pratica tra la strumentalità del finanziamento al «miglior soddisfacimento dei creditori» e la sua strumentalità ad evitare «un pregiudizio imminente ed irreparabile all’azienda».
[40] Già nel passato regime, A. BARTALENA, Crediti accordati in funzione od in esecuzione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-quater l. fall.), cit., 2962, giustificava con esigenze di controllo il diverso trattamento della distinzione tra la finanza-ponte, giudicata vincolata ad atti tipici di finanziamento, e di quella interinale, suscettibile invece di ricomprendere qualsiasi atto idoneo ad alimentare il fabbisogno finanziario dell’impresa.
[41] Una conferma del favore verso la nuova finanza nella composizione negoziata si ricava dalla giurisprudenza che, nonostante richieda la nomina e l’accettazione dell’esperto per la conferma di misure protettive e cautelari, precisa che invece i finanziamenti strumentali alla continuità e al miglior soddisfacimento dei creditori possono essere autorizzati anche prima dell’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto; in questi termini, Trib. Treviso, 22 dicembre 2021, in www.dirittodellacrisi.it.
[42] Il codice della crisi conserva l’impostazione delineata dall’art. 10, comma 1, lett. a), d.l. 24 agosto 2021, n. 118, per i finanziamenti nella composizione negoziata. Per l’analisi di questa disciplina, R. BROGI, op. cit., 1295; L. Bendetti, La disciplina della nuova finanza nella composizione negoziata, in M. IRRERA – S.A. CERRATO (diretto da), La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento, Bologna, 2022, 291 ss.; A. DENTAMARO, La nuova finanza nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa ex d.l. 118/2021, in www.dirittodellacrisi.it, 1 ss.