Giuffré Editore

Le nuove responsabilità del notaio alla luce della direttiva n. 2018/822

Michele Marzano

Avvocato in Roma


Premessa 

Rispetto al tema dell’odierno Convegno, potrebbe apparire per certi versi “eccentrica” l’analisi di una direttiva europea concepita per il contrasto dei fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva[[1]]. Fenomeni ai quali i notai possono ritenersi in larga parte estranei, trattandosi di pratiche accomunate da una regia unitaria e una visione “panoramica” delle ramificazioni fiscali dell’operazione che male si addicono alla ordinaria attività notarile.

Non appena ci si addentra nel reticolato normativo, ci si rende conto tuttavia che l’enfasi su questo tema non è priva di ragione. Infatti, la direttiva n. 2018/822/UE, prendendo le mosse dalle più recenti esperienze internazionali e in particolare dal c.d. Progetto BEPS[[2]], introduce obblighi di trasparenza per «tutti gli attori che sono di solito coinvolti nell’elaborazione, commercializzazione, organizzazione e gestione dell’attuazione» di schemi di pianificazione fiscale potenzialmente aggressiva, «nonché a coloro che forniscono assistenza o consulenza»[[3]]. Non lasciando quindi immuni quelle figure professionali, come i notai, che, sebben prive di una visione complessiva della pianificazione fiscale, sono in genere coinvolte nell’esecuzione di una o più fasi di essa.

Nella presente relazione, ci si soffermerà in particolare sui profili oggettivi e soggettivi di applicazione della direttiva: e cioè sulle operazioni delle quali è resa obbligatoria la disclosure, per valutare se, tra quelle considerate, ve ne siano di potenzialmente rilevanti nello svolgimento dell’attività notarile; e, aspetto ancora più significativo, sui “soggetti” cui detto obbligo è rivolto, per verificare se ed in quali termini i notai potranno confluire dentro questa cerchia. 


Le finalità della direttiva

Nel quadro delle tutele rivolte al buon funzionamento del mercato interno[[4][5]], la direttiva n. 2018/822 prevede l’obbligo, per consulenti e contribuenti, di comunicare all’autorità fiscale di appartenenza gli schemi di pianificazione fiscale cui prendono parte, prevedendo sanzioni – che spetterà ad ogni Stato membro determinare – per i soggetti che non vi ottemperano[[6]].

Questa previsione è mossa da due obiettivi di fondo[[7]]. 

Per un primo verso – in linea con le indicazioni dell’Azione 12 del Progetto BEPS[[8]] – aumentare la pressione sugli intermediari affinché si astengano dall’elaborare, commercializzare e attuare meccanismi di pianificazione fiscale aggressiva, nonché introdurre analoghi disincentivi per i contribuenti che prendono parte alla relativa esecuzione[[9]]. 

Obiettivo perseguito obbligando intermediari e contribuenti a comunicare le «informazioni pertinenti» in una «fase precoce, ossia prima che tali meccanismi siano effettivamente attuati»[[10]]. 

In questa cornice, l’obbligo di comunicazione scaturisce dalla mera presenza di elementi sintomatici di condotte abusive, i cc.dd. hallmarks, che prescindono dalla verifica di quei fattori – il carattere indebito del vantaggio fiscale, l’essenzialità di tale vantaggio nell’economia dell’operazione, la sussistenza di eventuali ragioni economiche alternative – sottesi alle clausole antielusive presenti nel diritto europeo e nazionale[[11]].    

A questa prima prerogativa se ne affianca una ulteriore e per certi versi incomprimibile nella prima, e cioè «migliorare la trasparenza e l’accesso al diritto all’informazione in una fase precoce, poiché in tal modo si dovrebbe consentire alle autorità di aumentare la velocità e l’accuratezza della valutazione del rischio e di prendere decisioni tempestive e informate su come proteggere i propri gettiti fiscali»[[12]]. 

Si vuole in sostanza dotare le amministrazioni fiscali degli Stati membri di un catalogo di informazioni idoneo non solo ad attivare i congegni antielusivi già esistenti, ma a produrne altresì di nuovi se i primi si rivelano inadeguati[[13]], anticipando la reazione dell’ordinamento verso pratiche fiscali il cui reale disvalore sembra risiedere non tanto nell’esistenza di un vantaggio fiscale, quanto nel carattere opaco o inusuale delle modalità con cui questo viene conseguito. 

Entrambe le evocate finalità sono declinate nella dimensione del buon funzionamento del mercato interno: di qui, per un verso, l’applicazione della direttiva ai soli «meccanismi transfrontalieri», vale a dire alle operazioni che coinvolgono più giurisdizioni fiscali almeno una delle quali facente parte dell’Unione europea[[14]] e, per un ulteriore verso, la finalizzazione dell’obbligo di disclosure allo scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali degli Stati membri (le disposizioni introdotte dalla direttiva n. 2018/822 innestandosi nel corpo della preesistente direttiva n. 2011/16/UE sulla «collaborazione amministrativa in materia fiscale»)[[15]].


La sfera di applicazione “oggettiva”

Veniamo quindi agli elementi che più interessano, prendendo le mosse dall’evocato profilo “oggettivo”.

Il legislatore europeo ha individuato i meccanismi di pianificazione di cui è obbligatoria la disclosure «attraverso la compilazione di un elenco delle peculiarità e degli elementi delle operazioni che presentano una forte indicazione di elusione e abuso fiscale, piuttosto che» definendo «il concetto di pianificazione fiscale aggressiva»[[16]]. 

Il perimetro applicativo della direttiva dipende dunque dalla combinazione di due fattori: la presenza di un “meccanismo transfrontaliero” e l’esistenza di uno o più “elementi distintivi” di un rischio di elusione fiscale (contenuti nell’Allegato alla direttiva n. 2018/822)[[17]]. 

1. Per “meccanismo transfrontaliero” si intende, ai sensi dell’art. 3, punto 18, della direttiva n. 2011/16/UE[[18]], un meccanismo che interessa più Stati membri o uno Stato membro e un Paese terzo, «laddove almeno una delle condizioni seguenti sia soddisfatta: a) non tutti i partecipanti al meccanismo sono residenti ai fini fiscali nella stessa giurisdizione; b) uno o più partecipanti al meccanismo sono simultaneamente residenti a fini fiscali in più di una giurisdizione; c) uno o più partecipanti al meccanismo svolgono un’attività d’impresa in un’altra giurisdizione tramite una stabile organizzazione situata in tale giurisdizione e il meccanismo fa parte dell’attività d’impresa o costituisce l’intera attività d’impresa della suddetta stabile organizzazione; d) uno o più partecipanti al meccanismo svolge un’attività in un’altra giurisdizione senza essere residente a fini fiscali né costituire una stabile organizzazione situata in tale giurisdizione; e) tale meccanismo ha un possibile impatto sullo scambio automatico di informazioni o sull’identificazione del titolare effettivo».

La definizione si regge su un concetto indeterminato[[19]], quello di “meccanismo”, che oltre a non essere espresso nella direttiva n. 2011/16/UE né in quella antiabuso (n. 2016/1164/UE), non trova una chiara corrispondenza neppure nelle versioni inglese (“arrangement”, accordo), francese (“dispositif”, dispositivo) e tedesca (“Gestaltungen”, disegno) della direttiva[[20]]. 

Se tuttavia si considera che la direttiva n. 822/2018 mira a prevenire fenomeni di pianificazione idonei, sia pure solo potenzialmente e “per elementi segnaletici”, a sconfinare in ipotesi di abuso fiscale, è immediato accostare i “meccanismi” alle cc.dd. “costruzioni” cui fa riferimento la norma generale antiabuso contenuta all’art. 6 della direttiva n. 2016/1164[[21]]: conclusione questa confortata dalla formulazione inglese della direttiva n. 822/2018, la quale rimanda al concetto di “arrangements” utilizzato all’art. 6 della corrispondente traduzione della direttiva n. 2016/1164.

Di “meccanismo” può dunque certamente parlarsi – per l’affinità con le “costruzioni” della norma generale antiabuso – in presenza di operazioni giuridicamente distinte, ma convergenti verso un risultato economico e fiscale unitario; e ciò – si deve ritenere – anche quando il collegamento tra i singoli atti o negozi non sia reso palese dal contenuto di essi[[22]]. 

Al concetto in esame paiono invece aliene quelle situazioni – alle quali pure in astratto si addicono alcuni degli elementi distintivi elencati dalla direttiva, che più avanti si vedranno[[23]] – in cui il vantaggio fiscale si manifesta come effetto non di una “costruzione” bensì della mera adesione del contribuente a regimi opzionali di favore; vicende nelle quali il contribuente esprime una scelta concessagli dallo stesso ordinamento e quindi tendenzialmente inespressive di un abuso sia pure in via solo potenziale[[24]].

Mette conto osservare come il “meccanismo transfrontaliero” necessiti sempre un coinvolgimento di più giurisdizioni (almeno una delle quali appartenente all’Unione europea); ciò, anche nelle vicende indicate dalla lettera e) dell’art. 3, punto 18), della direttiva n. 2011/16 (quelle cioè in cui il «meccanismo ha un possibile impatto sullo scambio automatico di informazioni o sull’identificazione del titolare effettivo»), le quali all’apparenza ne prescindono. Invero, anche in queste situazioni occorre accertare se l’impatto sullo scambio automatico di informazioni o sull’identificazione del titolare effettivo sia ottenuto mediante strumenti che interessano almeno due Stati membri, o uno Stato membro e un Paese terzo[[25]]. 

Di converso, affinché si configuri un “meccanismo transfrontaliero” non occorre la partecipazione di più soggetti giuridici distinti, potendosi esso sostanziare anche in scambi che avvengono tra due o più parti di una medesima impresa (come nei rapporti tra casa madre e stabile organizzazione, caratterizzati da una fictio iuris funzionale alla corretta ripartizione degli imponibili tra le giurisdizioni fiscali in cui l’impresa opera)[[26]]. 

2. Perché un “meccanismo transfrontaliero” soggiaccia all’obbligo di notifica previsto dalla direttiva è necessario, come accennato, che esso coesista con uno o più degli elementi distintivi indicati nell’Allegato alla medesima (i cc.dd. hallmarks). 

Il legislatore europeo ha adottato, al riguardo, un approccio “misto”, contemplandone di generici, legati alle modalità con cui il meccanismo viene offerto o presentato al cliente, e di specifici, correlati alla fisionomia e ai riflessi fiscali della struttura considerata in sé. 

Gli elementi distintivi “generici” si riferiscono, in specie, alla presenza di clausole di riservatezza negli accordi tra professionisti e clienti, alla commisurazione del compenso professionale al risparmio fiscale conseguito o, ancora, alla standardizzazione del meccanismo offerto o presentato al cliente[[27]].

Gli elementi distintivi “specifici” comprendono per altro verso ipotesi eterogenee: (a) ve ne sono alcuni (quelli indicati al Paragrafo B della seconda parte dell’Allegato alla direttiva) inerenti all’idoneità del meccanismo transfrontaliero a: (i) disgiungere le perdite fiscali dall’attività cui fanno riferimento, (ii) convertire il reddito in capitale o in altri flussi esenti da imposta (o soggetti a un’imposizione inferiore) e (iii) generare flussi “circolari”[[28]]; (b) altri, legati all’utilizzo di strumenti ibridi che generano salti d’imposta[[29]]; (c) altri ancora, legati all’esistenza di strutture opache che ostacolano lo scambio automatico di informazioni o l’identificazione del titolare effettivo[[30]]; (d) altri, infine, legati alla pianificazione dei prezzi infragruppo, specie nei casi in cui vengano in rilievo beni intangibili e altri beni o servizi difficili da valorizzare secondo il criterio di libera concorrenza[31].

Si tratta, per la maggior parte degli evocati hallmarks, di (elementi comuni a) operazioni che sfruttano asimmetrie impositive tra due o più ordinamenti; fenomeni invero tollerati dalla stessa giurisprudenza europea[[32]], e ora invece caricati di un “disvalore” intrinseco, che prescinde dalla natura indebita del beneficio fiscale cui sono protesi. 

Alcuni dei citati elementi distintivi possono tuttavia essere presi in considerazione solo se soddisfano il c.d. «criterio del vantaggio principale»[[33]]. 

Quest’ultimo si configura quando «è possibile stabilire che il principale vantaggio o uno dei principali vantaggi che una persona, tenuto conto di tutti i fatti e le circostanze pertinenti, si può ragionevolmente attendere da un meccanismo è l’ottenimento di un vantaggio fiscale»[[34]]. 

Il legislatore europeo ha qui mutuato la terminologia della clausola generale antiabuso di cui all’art. 6 della direttiva n. 2016/1164/UE, anch’essa imperniata sul carattere “principale” del vantaggio tributario conseguito o ragionevolmente atteso dall’operazione. 

Affinché il criterio del vantaggio principale risulti dunque soddisfatto, non è necessario che il beneficio tributario assuma carattere determinante nell’economia dell’operazione, così come non rileva la verifica se il vantaggio fiscale così prodotto sia coerente con la ratio delle norme o dei principi coinvolti[[35]], né, infine, se l’operazione nel suo complesso sia dotata di sostanza economica.

È certo d’altro canto che il criterio in esame non sia integrato qualora il meccanismo transfrontaliero non procuri alcun beneficio fiscale. 

E ciò – si ritiene – deve valere anche nelle ipotesi in cui il vantaggio fiscale, pur presente, si manifesti esclusivamente in un Paese terzo, poiché in questi casi non paiono “sollecitate” le finalità sottese alla direttiva[[36]] né concretizzarsi rischi di malfunzionamento del mercato interno[[37]]. 

Allo stesso modo, possono ritenersi estranee al suddetto criterio quelle situazioni in cui il vantaggio fiscale si genera in ambiti impositivi diversi da quello dei tributi reddituali: soluzione questa che si impone, per i tributi armonizzati, in forza della stessa delimitazione di cui all’art. 2 della direttiva n. 2011/16 (al cui interno la direttiva n. 822 si innesta)[[38]]; e che può farsi discendere, per le altre categorie di tributi – in teoria “attratte” alla direttiva sullo scambio di informazioni[[39]] – dalla ratio ultima della direttiva n. 2018/822, da ricercarsi essenzialmente nella volontà di contrastare erosioni e arbitraggi sull’imponibile reddituale che possono generare distorsioni nel mercato interno[[40]]. 

Ai fini che qui interessano, rimangono pertanto immuni alla direttiva tutte quelle attività di consulenza richieste ai notai nell’ausilio al compimento di atti tra privati[[41]], i cui vantaggi fiscali si proiettano esclusivamente sul piano dell’imposta di registro (si pensi ad esempio alla cessione delle partecipazioni societarie in luogo della cessione aziendale)[[42]], dell’imposta sulle successioni e donazioni o di altre imposte indirette.


I soggetti. In particolare, l’intermediario 

Il secondo profilo applicativo della direttiva qui di interesse riguarda i “soggetti” chiamati agli obblighi di disclosure. Profilo ancora più significativo ai nostri fini, perché consente di verificare – una volta vagliata l’esistenza di un “meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica” nei termini appena indicati – se l’obbligo di notificare tale meccanismo all’autorità fiscale possa incombere sui notai.

1. La direttiva addossa l’obbligo di comunicazione in esame in via prioritaria al c.d. “intermediario” e, in via sussidiaria – laddove un intermediario non esista o, pur essendovi, non possa ritenersi gravato da detto obbligo – al c.d. “contribuente pertinente”[[43]]. Per entrambi, l’obbligo di comunicazione presuppone l’esistenza di un criterio di collegamento territoriale (dell’intermediario o del contribuente di volta in volta presi in considerazione) con uno o più Stati membri dell’Unione Europea[[44]]. 

Preme al riguardo osservare come, nel delineare le due figure in esame, il legislatore europeo si sia disinteressato delle peculiari caratteristiche soggettive secondo la normativa interna, focalizzandosi di converso su elementi di tipo relazionale: le due definizioni di “intermediario” e “contribuente pertinente” sono, infatti, ricavate in funzione del tipo di apporto fornito (nel caso dell’intermediario) e di beneficio tratto (nel caso del contribuente) dalla messa a disposizione del meccanismo transfrontaliero.

2. Rinviando a studi più organici per l’analisi della definizione di “contribuente pertinente”[[45]], è qui la categoria degli intermediari a destare maggiore interesse. 

Essa riflette la distinzione – presente nell’Azione 12 del Progetto BEPS – tra promoters e service providers.  

Per intermediario si intende, più precisamente, «qualunque persona che elabori, commercializzi, organizzi o metta a disposizione a fini di attuazione o gestisca l’attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica» (promoters), ed altresì «qualunque persona che, in considerazione dei fatti e delle circostanze pertinenti e sulla base delle informazioni disponibili e delle pertinenti competenze e comprensione necessarie per fornire tali servizi, sia a conoscenza, o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza, del fatto che si è impegnata a fornire, direttamente o attraverso altre persone, aiuto, assistenza o consulenza riguardo all’elaborazione, commercializzazione, organizzazione, messa a disposizione a fini di attuazione o gestione dell’attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica»[[46]] (service providers).

La seconda tipologia di intermediari appena indicata («qualunque persona che, in considerazione dei fatti e delle circostanze pertinenti …») è quella che più si presta ad intersecare l’attività notarile nelle sue varie articolazioni. 

Ed invero, l’apporto dei notai, estrinsecandosi nell’attribuzione di pubblica fede agli atti dell’autonomia privata[[47]] (compito ordinariamente preceduto da un’indagine circa la volontà delle parti)[[48]], tende per sua natura a combaciare con l’«aiuto, assistenza o consulenza» ai quali fa riferimento la direttiva.

Tale attività di assistenza, tuttavia, non è di per sé sufficiente. Occorre infatti anche la presenza di un elemento soggettivo, vale a dire la “conoscenza” o “conoscibilità” del fatto che il contributo prestato – pur essendo circoscritto ad una singola fase dell’operazione – sia rivolto alla realizzazione di un «meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica». In questa logica, la direttiva permette all’intermediario di dimostrare la propria estraneità alla pianificazione[[49]].

In termini speculari, non è sufficiente che l’intermediario sia venuto a qualsiasi titolo in possesso di informazioni inerenti ad un meccanismo transfrontaliero, ma è necessario che, direttamente o indirettamente, vi abbia fornito il proprio apporto[[50]].

3. L’intermediario dovrà notificare le informazioni all’autorità fiscale dello Stato membro della sua residenza, o presso cui dispone di una stabile organizzazione tramite cui sono forniti i servizi con riguardo al meccanismo, o in cui l’intermediario è costituito o dal cui diritto è disciplinato oppure, ancora, registrato presso un’associazione professionale, essendone dispensato se può provare che le informazioni sono state rese (anche eventualmente da un altro intermediario) in un altro Stato membro[[51]].

4. Di analogo regime di esonero possono usufruire gli intermediari che adducano il segreto professionale in base alle norme del proprio ordinamento nazionale o facciano valere la circostanza che le informazioni sono state comunicate da un altro intermediario[[52]].

Muta, tuttavia, nei due casi, l’oggetto della “prova” cui sono chiamati: nel primo (ovvero quando si avvalgono del segreto professionale) devono provare di averne dato notizia ad un altro intermediario o al contribuente; nel secondo caso, l’intermediario deve dimostrare che le informazioni sono effettivamente trasmesse all’autorità fiscale da parte di un diverso intermediario. 


Lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva

Da quanto si è finora osservato, emergono a occhio nudo i riflessi che la direttiva potrà avere sull’attività notarile. A questi profili, tuttavia, è opportuno dedicarsi non prima di aver dato un rapido sguardo a come le disposizioni della direttiva si accingono a essere recepite dal legislatore italiano, in base allo schema di decreto legislativo sottoposto a consultazione pubblica dal Ministero dell’economia e delle finanze nel luglio 2018[[53]]. 

L’aspetto che merita maggiore attenzione riguarda proprio il perimetro soggettivo delle nuove norme, con particolare riguardo alla figura dell’intermediario e alle cause di esonero da questi spendibili.

1. Intermediario è definito dallo schema di decreto il «soggetto, inclusi quelli indicati all’articolo 1, comma 1, lettera n) del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 28 dicembre 2015 e all’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, che: 1) mette a disposizione ai fini dell’attuazione un meccanismo transfrontaliero da comunicare o ne gestisce l’attuazione; 2) direttamente o attraverso altri soggetti, svolge un’attività di assistenza o consulenza ai fini dell’attuazione del meccanismo transfrontaliero da comunicare, qualora, avuto riguardo alle informazioni disponibili e alle competenze necessarie per svolgere tale attività, sappia o abbia un motivo ragionevole per concludere che il meccanismo sia rilevante ai sensi dell’articolo 5».

Al di là dell’aggiunta di un riferimento esplicito (ancorché non esaustivo) agli intermediari finanziari obbligati allo scambio automatico obbligatorio delle informazioni sui «conti correnti»[[54]] e ai soggetti tenuti al rispetto della disciplina antiriciclaggio[[55]] (categoria, come noto, che espressamente include i notai), la definizione recepita dallo schema di decreto pare invero condivisibilmente più circoscritta di quella della direttiva[[56]]. 

Per quanto puntualmente attiene alla figura dei cc.dd. service providers, la definizione si regge sui due elementi materiale e soggettivo di cui si è detto; a differenza della direttiva, tuttavia, lo schema di decreto rende esplicito che l’apporto dell’intermediario deve essere finalizzato alla «attuazione di un meccanismo» (e non alla semplice elaborazione, commercializzazione e organizzazione), limitando così la sfera dei fornitori di servizi a coloro che rivestono un ruolo nella sola fase esecutiva. 

Dovrebbero così potersene ritenere esclusi, tra gli altri, quei professionisti che svolgono una valutazione preliminare al concepimento del meccanismo, ad esempio fornendo un parere pro veritate (quale potrebbe essere quello richiesto ai notai nell’ambito dell’attività collaterale a quella istituzionale) circa gli effetti giuridici e fiscali di un’operazione potenziale ma non ancora compiutamente sviluppata[[57]].

2. Per quanto attiene alle cause di esonero previste dallo schema di decreto a favore degli intermediari, ha destato immediate perplessità l’assenza di un richiamo espresso al segreto professionale contenuto invece nella direttiva[[58]]. 

Infatti, lo schema di decreto esime l’intermediario dalla comunicazione «limitatamente ai casi in cui esamina la posizione giuridica del proprio cliente o espleti compiti di difesa o di rappresentanza del cliente in un procedimento innanzi ad un’autorità giudiziaria» oppure «qualora dalle informazioni trasmesse possa emergere una sua responsabilità penale» [[59]]. 

Tuttavia, se – come è ragionevole – quest’ultimo inciso si riferisce non solo alle ipotesi in cui la responsabilità penale dell’intermediario deriva dal contenuto delle informazioni rese[[60]], ma anche ai casi in cui tale responsabilità discende dal fatto in sé di averle rese note, è verosimile che gli intermediari potranno avvalersi dell’esimente del segreto professionale – appunto – adducendone il rilievo penale (rectius, il rilievo penale della sua rivelazione)[[61]].


L’impatto sull’attività notarile

È immediato riscontrare punti di contatto tra le disposizioni della direttiva (e nel decreto legislativo che si avvia a recepirla) e la normale attività dei notai. 

Non è infrequente, infatti, che la routine notarile intersechi vicende dell’autonomia privata che si inseriscono in un quadro di pianificazione fiscale internazionale. Si pensi, ad esempio, alla costituzione di società italiane possedute da soggetti esteri; fattispecie alla quale sarebbe sufficiente aggregare uno degli evocati elementi distintivi (“hallmarks”) per ravvisare un «meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica» ai sensi della direttiva.

Invero, a fronte di apporti circoscritti anche a fasi episodiche di una più articolata catena negoziale concepita per fini fiscali, il semplice fatto che il notaio abbia (o possa ragionevolmente avere) conoscenza di un «meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica» – quand’anche da altri architettato – lo pone nelle condizioni di dover adempiere all’obbligo di comunicazione previsto dalla direttiva; potendovisi sottrarre solo se è in grado dimostrare che le informazioni rilevanti sono state già condivise con l’autorità fiscale finanziaria (da altri soggetti) oppure avvalendosi del segreto professionale.

In questo quadro, assume rilievo centrale il corretto adempimento dell’onere di diligenza da parte del notaio; adempimento la cui valenza ha due importanti riflessi, uno “pubblicistico” e uno “privatistico”.

Per un verso, se adopera le necessarie cautele (ad esempio, se adotta sistemi di monitoraggio interno per sottoporre a verifica “preventiva” le operazioni sottoposte al suo ministero, se raccoglie le necessarie informazioni presso i clienti, e via discorrendo), il notaio può scongiurare la propria responsabilità amministrativo/sanzionatoria a fronte di contestazioni da parte dell’autorità fiscale che dovesse eccepirne il coinvolgimento nell’attuazione di «meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica». La “incolpevole ignoranza” del notaio rispetto a tali “meccanismi” esclude infatti che possa qualificarsi come intermediario ai sensi della direttiva (qualifica la quale presuppone, appunto, la consapevolezza di prestare il proprio apporto ad un «meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica») e chiamato dunque a osservarne gli obblighi.

Vi sono poi i risvolti sul piano “privatistico”. Se, a fronte delle cautele adoperate, il notaio dovesse sincerarsi che la sua attività è in effetti parte dell’esecuzione di simili “meccanismi”, l’obbligo di diligenza, infatti, giocoforza investirebbe anche il rapporto col cliente e con le altre parti interessate al negozio giuridico sottoposto al suo ministero[[62]]; detto obbligo di diligenza imporrebbe in particolare al notaio non solo di rendere la prestazione che gli è stata richiesta, ma altresì di sensibilizzare le parti private circa tutte le conseguenze dell’operazione che intendono realizzare, ivi comprese, tra l’altro, le implicazioni attinenti alla “disclosure” dell’operazione previste dalla direttiva n. 2018/822[[63]]. 



[1] Per un commento generale alla direttiva n. 2018/822, si v. G. SELICATO, Le comunicazioni preventive secondo la direttiva 822/2018/EU: dalla “collaborazione incentivata” agli “obblighi di disclosure, in Rass. trib., 2019, 121. Sia inoltre consentito il rinvio a M. MARZANO, La direttiva n. 2018/822/UE e gli obblighi di comunicazione a carico di “intermediari” e contribuenti. Inquadramento generale, in URICCHIO – SELICATO (a cura di), Summer School in Selected Issues of EU Tax Law as EU Law, Bari-Roma, 2019, 45. 

[2] Si v., al riguardo, OECD, Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting, Parigi, OECD Publishing, 2013 (http://dx.doi.org/10.1787/9789264202719-en). Sull’argomento, si v., tra gli altri, Y. BRAUNER, BEPS: An Interim Evaluation, in World Tax Journal, 2014, 6, 10 ss.; P. BAKER, Is There a Cure for BEPS?, in British Tax Review, 2013, 58, 605; R.S. AVI-YONAH – H. XU, Evaluating BEPS, in Erasmus Law Review, 2017, 10, 3; R. S. AVI-YONAH – H. XU, Global Taxation after the Crisis: Why BEPS and MAATM are Inadequate Responses, and What Can Be Done About It, in University of Michigan Public Law Research Paper, 494, 2016; I. GRINBERG, Breaking Beps: The new international tax diplomacy, Georgetown University Law Center, 2015; G.S. COOPER – M. STEWART, The Road Home? Finalizing and Implementing the BEPS Agenda, in Bulletin of International Taxation, 2015, 69; A. CHRISTIANS – S. E. SHAY, Assessing BEPS: Origins, Standards, and Responses, General Report, in IFA Cahiers, 2017; Y. BRAUNER, Assessing BEPS: Origins, Standards, and Responses–The United States, Report for the 2017 Annual IFA Congress, Rio De Janeiro, Brazil, 2017; R.J. VANN, Policy Forum: The Policy Underpinnings of the BEPS Project-Preserving the International Corporate Income Tax?, in Canada Tax Journal, 2014, 62, 433; A.P. DOURADO, The Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) Initiative under Analysis, in INTERTAX, 2015, 43, 2 ss.; A. Christians, BEPS and the New International Tax Order, in Brigham Young University Law Review, 2017, 1604 ss.; A. ZALASINSKI, Conclusion of the BEPS Multilateral Instrument and Distribution of Competences between the EU and Its Member States Special Issue: The OECD Base Erosion and Profit Shifting Action Plan and European Union Law, in brit. tax rev., 2015, 60, 444. Nella letteratura italiana, per tutti, cfr. F. GALLO, Per le società la sfida di un fisco globale, in Dir. prat. trib., 2016, 1187.

[3] In questi termini, Ottavo Considerando della direttiva n. 2018/822.

[4] V., in particolare, Sesto e Decimo Considerando della direttiva.

[5] Sul valore del buon funzionamento del mercato interno convergono ormai anche esigenze di protezione degli imponibili nazionali dall’erosione. V., in particolare, Secondo Considerando della direttiva. Sul punto, cfr., tra gli altri, A.P. DOURADO, Aggressive Tax Planning in EU Law and in the light of BEPS: the EU Recommendation on Aggressive Tax Panning and BEPS Actions 2 and 6, in Intertax, 2015, 1, 42.

[6] Il Quindicesimo Considerando della direttiva n. 2018/822 prevede che «Al fine di migliorare le prospettive di efficacia della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero stabilire sanzioni contro la violazione delle norme nazionali che attuano la presente direttiva. Tali sanzioni dovrebbero essere effettive, proporzionate e dissuasive».

[7] Secondo l’approccio preferito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, i Considerando della direttiva e i suoi lavori preparatori sono gli strumenti interpretativi essenziali delle disposizioni in essa contenute, nell’equivocità della loro formulazione letterale. Sul punto, v., tra le più recenti, Corte di Giustizia, sentenza 15 dicembre 2016, causa C‑558/15, Vieira de Azevedo. Sull’interpretazione delle Direttive europee, cfr., tra gli altri, G. MELIS, Motivazione e argomentazione nelle sentenze interpretative della Corte di giustizia in materia tributaria: alcuni spunti di riflessione, in Rass. trib., 2005, 406; DI PIETRO – TASSANI (a cura di), I principi europei del diritto tributario, Padova, 2014, passim; G. D’ANGELO, Integrazione europea e interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2013, passim.

[8] La direttiva fa espresso riferimento nel Quarto Considerando all’Azione 12 del Progetto BEPS, con cui l’OCSE e il G20 hanno sollecitato l’adozione di regole di comunicazione obbligatoria (le cc.dd. “mandatory disclosure rules”) delle pratiche di pianificazione fiscale aggressiva a carico di contribuenti e professionisti, e alla Dichiarazione del G7 di Bari del 13 maggio 2017, sulla lotta ai reati fiscali e altri flussi finanziari illeciti, relativa ai «meccanismi elaborati per eludere l’obbligo di notifica nell’ambito del CRS (common reporting standard) o volti a fornire ai titolari effettivi la protezione di strutture non trasparenti».

[9] I contribuenti «saranno meno propensi a creare o utilizzare tali sistemi se sanno che dovranno essere notificati nell’ambito di un regime di comunicazione obbligatoria di informazioni». Così, Commissione europea, COM (2017) 335 Final, Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/Ue per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica, 10. Si cfr., inoltre, Comitato economico e sociale europeo, ECO/436, Parere sulla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/Ue per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica.

[10] Il Settimo Considerando della direttiva n. 2018/822 evidenzia come «la comunicazione di informazioni sui meccanismi transfrontalieri di pianificazione fiscale potenzialmente aggressiva avrebbe una migliore possibilità di raggiungere l’effetto deterrente previsto se le informazioni raggiungessero le autorità fiscali in una fase precoce, ossia prima che tali meccanismi siano effettivamente attuati».

[11] Sul tema, tra gli altri, A. CONTRINO, I confini dell’abuso, in DELLA VALLE – FICARI – MARINI (a cura di), Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016; F. GALLO, L’abuso del diritto nell’art. 6 della direttiva 2016/1164/UE e nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente: confronto fra le due nozioni, in Rass. trib., 2018, 271; G. FALSITTA, Unità e pluralità del concetto di abuso del diritto nell’ordinamento interno e nel sistema comunitario, in Riv. dir. trib., 2018, I, 334; P. RUSSO, Profili storici e sistematici in tema di elusione ed abuso del diritto in materia tributaria: spunti critici e ricostruttivi, in Dir. prat. trib., 1, 2016, I, 10; D. STEVANATO, La norma antielusiva è conforme alla direttiva ATAD?, in Corr. trib., 2019, 623; G. ZIZZO, La nozione di abuso nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, in DELLA VALLE – FICARI – MARINI (a cura di), Abuso del diritto ed elusione fiscale, cit., 7.

[12] Così, Commissione europea, COM (2017) 335 Final, Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/Ue per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica, 10, dove di evidenzia anche che «Nello specifico, se le autorità fiscali ricevono le informazioni riguardo a meccanismi di pianificazione fiscale potenzialmente aggressiva prima che questi siano attuati, esse dovrebbero essere in grado di tracciare i meccanismi e rispondere ai rischi fiscali che questi pongono attuando misure appropriate per limitarli».

[13] In questo senso, anche Assonime, Risposta alla procedura di consultazione pubblica indetta dal MEF – Dipartimento delle finanze, in data 30 luglio 2018, riguardante lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2018/822/UE del Consiglio del 25 maggio 2018, relativa ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di comunicazione (DAC 6), secondo cui «le Amministrazioni interessate avranno, infatti, l’opportunità di esaminare gli schemi oggetto di reporting e di decidere prontamente se essi siano o meno accettabili, proponendo, se del caso, disposizioni legislative o regolamentari di contrasto o adottando documenti interpretativi che indirizzino gli uffici in sede di verifica e controllo».

[14] «In tali circostanze, dato l’impatto potenziale sul funzionamento del mercato interno, è possibile giustificare la necessità di applicare una serie di norme comuni, piuttosto che lasciare che la questione sia disciplinata a livello nazionale». In questi termini, Decimo Considerando della direttiva. In questa luce, dovrebbero ritenersi estranee agli obblighi comunicativi delineati dalla direttiva quelle operazioni che, pur in astratto qualificandosi come potenzialmente “aggressive” – per la presenza di uno o più dei citati hallmarks – manifestino i propri effetti di erosione dell’imponibile interamente al di fuori dei confini europei e quindi siano inidonee a innescare contromisure da parte degli Stati membri, sul piano tanto dell’attivazione di strumenti antielusivi vigenti quanto dell’attuazione di nuovi.

[15] Sul punto, tra i numerosi contributi, si cfr. PISTONE – WEBER (a cura di), The Implementation of Anti-BEPS Rules in the EU: A Comprehensive Study, Amsterdam, 2018, passim. Nella letteratura interna, si v., tra gli altri, P. MASTELLONE, La cooperazione fiscale internazionale nello scambio di informazioni, in CORDEIRO GUERRA (a cura di), Diritto tributario internazionale, Istituzioni, Padova, 2012, 213 ss., nonché, ID., Una nuova alba per i diritti fondamentali del contribuente europeo: alcuni spunti sistematici a margine della sentenza Berlioz della Corte di giustizia, in Dir. prat. trib. int., n. 2, 2017, 591 ss..; P. SELICATO, Scambio di informazioni, contraddittorio e Statuto del contribuente, in Rass. trib., 2012, 321.

[16]  Così, Nono Considerando della direttiva n. 2018/822. 

[17] Per «meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica» si intende infatti «qualunque meccanismo transfrontaliero che contenga almeno uno degli elementi distintivi di cui all’allegato IV» così, punto 19 dell’art. 3 della direttiva n. 2011/16/UE, come modificata dalla direttiva n. 2018/822).

[18] Come integrata dalla direttiva n. 2018/822.

[19] In questo, la formulazione della direttiva n. 822/20187 rispecchia l’indeterminatezza della clausola generale antiabuso alla quale è legata a filo doppio. Sul tema, cfr., tra gli altri, G. FRANSONI, Abuso del diritto: generalità della clausola e determinatezza del procedimento, in Rass. trib., 2017, 299.

[20] Il termine trova corrispondenza nella versione spagnola della direttiva, dove si riferisce del “meccanismo”.

[21] L’art. 6, contenente la “norma generale antiabuso”, è rivolto a contrastare la «costruzione o [una] serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità del diritto fiscale applicabile, non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti». Su questa definizione, v., tra gli altri, F. GALLO, L’abuso del diritto nell’art. 6 della direttiva 2016/1164/UE e nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente …, cit., 271; G. FALSITTA, Unità e pluralità del concetto di abuso del diritto nell’ordinamento interno e nel sistema comunitario, cit., 334.

[22] Sul tema, cfr., in particolare, G. ZIZZO, La nozione di abuso nell’art. 10-bis, dello Statuto dei diritti del contribuente, cit., 15.

[23] Si pensi, ad esempio, avviene per l’elemento distintivo consistente nella commisurazione del compenso del consulente rispetto all’entità del vantaggio fiscale (si v. Parte II dell’Allegato IV alla direttiva n. 2011/16/UE, Par. A, n. 3, lett. a).

[24] Si sta facendo riferimento ai casi di semplice scelta di un’opzione fiscale tra quelle messe a disposizione dall’ordinamento e non a ipotesi più complesse in cui più opzioni siano combinate reciprocamente al fine di ottenere vantaggi fiscali incoerenti con la finalità delle une e/o delle altre (nelle quali ipotesi potrebbe invero ravvisarsi un pericolo di abuso fiscale). Sul tema dell’aggiramento della ratio quale fondamento dell’abuso del diritto, cfr., tra gli altri, R. LUPI, L’elusione come strumentalizzazione delle regole fiscali, in Rass. trib., 1994, 226.  

[25] A titolo esemplificativo, non potrebbe rientrare nella definizione in esame, per assenza di carattere ultra-territoriale, uno strumento consistente nell’interposizione, nella titolarità di un conto corrente intestato ad un soggetto presso un intermediario residente nel medesimo ordinamento, di una catena di società tutte ugualmente ivi residenti.

[26] Sul tema, cfr. OECD, Report on the Attribution of Profits to Permanent Establishments, 22 luglio 2010; Additional Guidance on the Attribution of Profits to Permanent Establishments, marzo 2018. Sul tema dei rapporti tra casa madre e stabile organizzazione, cfr., tra gli altri, A.M. GAFFURI, La stabile organizzazione nelle imposte sul reddito, Torino, 2014, passim; E. DELLA VALLE, La nuova disciplina della stabile organizzazione “interna”, in Fisco, 2015, 3841; A. FANTOZZI, La stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 2013, I, 99 ss.; G. FRANSONI, La determinazione del reddito delle stabili organizzazioni, in Rass. trib., 2005, 73 ss.

[27] Si tratta degli elementi indicati al Par. A della Parte II dell’Allegato alla direttiva, che fanno riferimento a: «1. Un meccanismo in cui il contribuente pertinente o partecipante al meccanismo si impegna a rispettare una condizione di riservatezza che può comportare la non comunicazione ad altri intermediari o alle autorità fiscali delle modalità con cui il meccanismo potrebbe garantire un vantaggio fiscale. 2. Un meccanismo in cui l’intermediario è autorizzato a ricevere una commissione (o un interesse o una remunerazione per i costi finanziari e altre spese) per il meccanismo e tale commissione è fissata in riferimento all’entità del vantaggio fiscale derivante dal meccanismo, oppure al fatto che dal meccanismo sia effettivamente derivato un vantaggio fiscale (…). 3. Un meccanismo che ha una documentazione e/o una struttura sostanzialmente standardizzate ed è a disposizione di più contribuenti pertinenti senza bisogno di personalizzarne in modo sostanziale l’attuazione».

[28] «B.   Elementi distintivi specifici collegati al criterio del vantaggio principale

1. Un meccanismo in cui un partecipante al meccanismo stesso adotta misure artificiose consistenti nell'acquisire una società in perdita, interromperne l'attività principale e utilizzarne le perdite per ridurre il suo debito d'imposta, anche mediante il trasferimento di tali perdite verso un'altra giurisdizione o l'accelerazione dell'uso di tali perdite.

2. Un meccanismo che ha come effetto la conversione del reddito in capitale, doni o altre categorie di reddito tassate a un livello inferiore o esenti da imposta.

3. Un meccanismo comprendente operazioni circolari che si traducono in un “carosello” di fondi (“round-tripping”), in particolare tramite il coinvolgimento di entità interposte che non svolgono nessun'altra funzione commerciale primaria o di operazioni che si compensano o si annullano reciprocamente o che presentano altre caratteristiche simili».

[29] «C.   Elementi distintivi specifici collegati alle operazioni transfrontaliere

1. Un meccanismo che prevede pagamenti transfrontalieri deducibili effettuati tra due o più imprese associate, dove si verifica almeno una delle condizioni seguenti:

a) il destinatario non è residente a fini fiscali in alcuna giurisdizione fiscale;

b) nonostante il destinatario sia residente a fini fiscali in una giurisdizione, quest'ultima:

i) non impone alcuna imposta sul reddito delle società o impone un'imposta sul reddito delle società il cui tasso è pari o prossimo a zero; oppure

ii) è inserita in un elenco di giurisdizioni di paesi terzi che sono state valutate collettivamente dagli Stati membri o nel quadro dell'OCSE come non cooperative;

c) il pagamento beneficia di un'esenzione totale dalle imposte nella giurisdizione in cui il destinatario è residente a fini fiscali;

d) il pagamento beneficia di un regime fiscale preferenziale nella giurisdizione in cui il destinatario è residente a fini fiscali.

2. Per lo stesso ammortamento sul patrimonio sono chieste detrazioni in più di una giurisdizione.

3. È chiesto lo sgravio dalla doppia tassazione rispetto allo stesso elemento di reddito o capitale in più di una giurisdizione.

4. Esiste un meccanismo che include trasferimenti di attivi e in cui vi è una differenza significativa nell'importo considerato dovuto come contropartita degli attivi nelle giurisdizioni interessate».

[30] «D.   Elementi distintivi specifici riguardanti lo scambio automatico di informazioni e la titolarità effettiva

1. Un meccanismo che può avere come effetto di compromettere l'obbligo di comunicazione imposto dalle leggi che attuano la normativa dell'Unione o eventuali accordi equivalenti sullo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari, compresi accordi con i paesi terzi, o che trae vantaggio dall'assenza di tale normativa o tali accordi. Detti meccanismi includono come minimo gli elementi seguenti:

a) l'uso di un conto, prodotto o investimento che non è un conto finanziario, o non appare come tale, ma ha caratteristiche sostanzialmente simili a quelle di un contro finanziario;

b) il trasferimento di conti o attività finanziari in giurisdizioni che non sono vincolate dallo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari con lo Stato di residenza del contribuente pertinente, o l'utilizzo di tali giurisdizioni;

c) la riclassificazione di redditi e capitali come prodotti o pagamenti che non sono soggetti allo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari;

d) il trasferimento o la conversione di un'istituzione finanziaria, o di un conto finanziario o delle relative attività in un'istituzione finanziaria o in un conto o in attività finanziari non soggetti a comunicazione nell'ambito dello scambio automatico di informazioni sui conti finanziari;

e) il ricorso a soggetti, meccanismi o strutture giuridici che eliminano o hanno lo scopo di eliminare la comunicazione di informazioni su uno o più titolari di conti o persone che esercitano il controllo sui conti nell'ambito dello scambio automatico di informazioni sui conti finanziari;

f) meccanismi che compromettono le procedure di adeguata verifica utilizzate dalle istituzioni finanziarie per ottemperare agli obblighi di comunicazione di informazioni sui conti finanziari o ne sfruttano le debolezze, compreso l'uso di giurisdizioni con regimi inadeguati o deboli di attuazione della legislazione antiriciclaggio o con requisiti di trasparenza deboli per quanto riguarda le persone giuridiche o i dispositivi giuridici.

2. Un meccanismo che comporta una catena di titolarità legale o effettiva non trasparente, con l'utilizzo di persone, dispositivi giuridici o strutture giuridiche:

a) che non svolgono un'attività economica sostanziale supportata da personale, attrezzatura, attività e locali adeguati; e

b) che sono costituiti, gestiti, residenti, controllati o stabiliti in una giurisdizione diversa dalla giurisdizione di residenza di uno o più dei titolari effettivi delle attività detenute da tali persone, dispositivi giuridici o strutture giuridiche; e

c) in cui i titolari effettivi di tali persone, dispositivi giuridici o strutture giuridiche, quali definiti dalla direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio, sono resi non identificabili».

[31] «E.   Elementi distintivi specifici relativi ai prezzi di trasferimento

1. Un meccanismo che comporta l'uso di norme “porto sicuro” (safe harbour) unilaterali.

2. Un meccanismo che comporta il trasferimento di beni immateriali di difficile valutazione. Si intende per «beni immateriali di difficile valutazione» (hard-to-value intangibles) quei beni immateriali o i diritti su beni immateriali, per i quali al momento del loro trasferimento tra imprese associate:

a) non esistono affidabili transazioni comparabili; e

b) al momento della definizione dell'accordo, le proiezioni dei flussi di cassa futuri o del reddito derivante dal bene immateriale trasferito o le assunzioni utilizzate nella sua valutazione sono altamente incerte, rendendo difficile prevedere il livello di successo finale del bene immateriale trasferito.

3. Un meccanismo che implica un trasferimento transfrontaliero infragruppo di funzioni e/o rischi e/o attività, se la previsione annuale degli utili del cedente o dei cedenti al lordo di interessi e imposte (EBIT), nel periodo di tre anni successivo al trasferimento, è inferiore al 50 % della previsione annuale degli EBIT del cedente o cedenti in questione in mancanza di trasferimento».

[32] La Corte di giustizia ha ritenuto che «la libertà di stabilimento non può essere intesa nel senso che uno Stato membro sia obbligato a determinare le proprie norme tributarie in funzione di quelle di un altro Stato membro» (in questo senso v. sentenza 28 febbraio 2008, causa C 293/06, Deutsche Shell). Nella sentenza Kerckhaert Morres (Corte di giustizia, sentenza 14 novembre 2006, causa C-513/04), la Corte di giustizia ha infatti evidenziato che «le conseguenze svantaggiose che l’applicazione di un sistema di imposizione dei redditi, quale il regime belga di cui alla causa principale, potrebbe comportare derivano dall’esercizio parallelo da parte di due Stati membri della loro competenza fiscale. Occorre al riguardo ricordare che le convenzioni che prevengono la doppia imposizione, come quelle previste all’art. 293 CE, servono ad eliminare o ad attenuare gli effetti negativi per il funzionamento del mercato interno che derivano dalla coesistenza di sistemi fiscali nazionali richiamata al punto precedente». In senso speculare, la Corte di giustizia ha tendenzialmente preservato altresì la doppia non imposizione derivante dal difetto di coordinamento tra le giurisdizioni fiscali dei Paesi UE. Cfr., tra le altre in proposito, Corte di giustizia, sentenza 26 ottobre 1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehrs AG, la quale ha affermato la sostanziale intangibilità delle scelte di localizzazione dei redditi (purché basate su esigenze economicamente apprezzabili ed effettive) in Paesi europei a “bassa fiscalità”: in specie, una «disparità di trattamento non potrebbe essere giustificata dal fatto che» il contribuente stabilito «in un altro Stato membro venga in tale Stato assoggettato ad una fiscalità poco elevata. Un'eventuale agevolazione fiscale risultante, in capo a prestatori di servizi, dalla fiscalità poco elevata alla quale vengano assoggettati nello Stato membro nel quale sono stabiliti non può consentire ad un altro Stato membro di giustificare un trattamento fiscale meno favorevole dei destinatari dei servizi stabiliti in quest'ultimo Stato» (così, punti 43 e 44 della sentenza). Sostanzialmente nello stesso solco si pone la notissima sentenza Cadbury Schweppes (Corte di Giustizia, sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/2004), la quale, nel valorizzare l’elemento “qualitativo” dell’elusione d’imposta – ossia le cd. «costruzioni di puro artificio» – ne ha sminuito l’elemento, per dir così, “quantitativo”: affinché la disciplina britannica sulle società controllate estere fosse ritenuta compatibile con i principi comunitari, non bastava, cioè, che essa mirasse al contrasto dei fenomeni migratori d’impresa mossi da prerogative di risparmio fiscale, ma occorreva che essa perseguisse «lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica» (punto 55 della sentenza). Sul punto, cfr. R. LUPI, Illegittimità delle regole CFC se rivolte a Paesi comunitari: punti fermi e sollecitazioni sulla sentenza Schweppes, in Dial. dir. trib., 2006, 1591; M. BEGHIN, La sentenza Cadbury Schweppes e il malleabile principio della libertà di stabilimento, in Rass. trib., 2007, 983; S. CIPOLLINA, Cfc legilslation e abuso della libertà di stabilimento: il caso Cadbury Scweppes, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2007, II, 14; F. VANISTENDAEL, Halifax and Cadbury Scweppes: One Single European Theory of Abuse in Tax law?, in EC Tax Review, 2006, n. 4. 

[33] Si tratta, segnatamente, de “gli elementi distintivi generici della categoria A (vale a dire quelli caratterizzati dalla presenza di clausole riservatezza dell’intermediario, dalla parametrazione del suo compenso al vantaggio fiscale ottenuto dal contribuente, dalla standardizzazione dei contratti, ndr) e quelli specifici della categoria B (vale a dire quelli caratterizzati dall’uso improprio delle perdite, dalla conversione del reddito in capitale o in redditi tassati in misura inferiore o esenti, e dalla circolarità delle operazioni, ndr) e della categoria C, paragrafo 1, lettera b), punto 1) e lettere c) e d) (segnatamente, degli elementi distintivi che fanno riferimento alla totale o parziale detassazione, nello Stato di residenza del percipiente, di pagamenti oggetto di deduzione in capo all’impresa che li ha sostenuti, ndr)” (Allegato IV, Parte I, della direttiva n. 2011/16/UE, come formulato alla luce dell’Allegato alla direttiva n. 2018/822).

[34] In questi termini, Allegato IV, Parte I, della direttiva n. 2011/16/UE, come formulato alla luce dell’Allegato alla direttiva n. 2018/822.

[35] Come noto, il carattere indebito del vantaggio fiscale, e cioè la contrarietà di tale vantaggio rispetto alla finalità delle norme e/o principi fiscali coinvolti, è un elemento proprio della condotta abusiva/elusiva, sia nell’ottica dell’art. 6 della direttiva antiabuso, sia in quella dell’art. 10-bis della L. n. 212/2000. Su questo profilo, senza alcuna pretesa di completezza, si v., tra gli altri, F. GALLO, L’abuso del diritto nell’art. 6 della direttiva 2016/1164/UE e nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente …, cit., 271; G. FALSITTA, Unità e pluralità del concetto di abuso del diritto nell’ordinamento interno e nel sistema comunitario, cit., 334; G. ZIZZO, La nozione di abuso nell’art. 10-bis, dello Statuto dei diritti del contribuente, cit., 15; v. inoltre, A. FEDELE, Assetti negoziali e forme d’impresa tra opponibilità, simulazione e riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, I, 1114; S. LA ROSA, Elusione e antielusione fiscale nel sistema delle fonti del diritto, in Riv. dir. trib., 2010, I, 935; P. PURI, L’evoluzione dell’abuso del diritto nel sistema tributario italiano, in AA.VV., Dal Diritto Finanziario al Diritto Tributario – Studi in onore di Andrea Amatucci, V, Bogotà-Napoli, 2011, 403; M. BEGHIN, L’abuso e l’elusione fiscale tra regole “scritte”, giustizia tributaria e certezza del diritto, in Corr. trib., 2012, 1298; G. FRANSONI, Appunti su abuso di diritto e “valide ragioni economiche”, in Rass. trib., 2010, 932; A. CARINCI, Profili di rilevanza fiscale del contratto: spunti di riflessione, in FICARI MASTROIACOVO (a cura di), Corrispettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, Torino, 2014, 418. Si v., inoltre, Assonime, circolare n. 21 del 2016 (par. 2.3), dove si legge che «si dovrebbe accertare se le operazioni poste in essere dal contribuente per potersi avvalere di un determinato regime fiscale siano conformi o meno alla ratio di tale regime. In questo senso, più precisamente, si tratta di stabilire quali sono i risultati ammessi e quelli che non possono ritenersi tali rispetto alla ratio della norma in questione in modo da disconoscere solo questi ultimi». Approccio questo radicato nella stessa prassi dell’Amministrazione finanziaria, la quale ormai costantemente sottolinea che, «affinché un’operazione possa essere considerata abusiva l’Amministrazione finanziaria deve identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi: a) la realizzazione di un vantaggio fiscale "indebito", costituito da benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario» (risoluzione n. 97/E/2017). In termini analoghi si esprimeva d’altronde la stessa giurisprudenza anteriore alla positivizzazione della clausola generale antiabuso di cui all’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, evidenziando che «la opzione del soggetto passivo per la operazione negoziale che risulti fiscalmente meno gravosa non costituisce ex se condotta “contraria” allo scopo della disciplina normativa tributaria, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà di scelta» (Cass., sent. n. 405/2015). Dal canto suo, la Corte di Giustizia da sempre evidenzia che, «perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni» (in questi termini, tra le altre, Corte di giustizia, sentenza 22 dicembre 2010, causa C-277/09, RBS Deutschland Holding, punto 49; sentenza 27 ottobre 2011, causa C-504/10, Tanoarch, punto 52).

[36] In particolare, in queste situazioni, non pare esservi l’esigenza di assicurare agli Stati membri la possibilità di adottare un tempestivo contrasto agli strumenti di pianificazione fiscale, dal momento che in tali casi non occorre porre rimedio ad un fenomeno di erosione d’imponibile attuale o potenziale.

[37] In una prospettiva che sembra parzialmente difforme, v. ASSONIME, già citata Comunicazione n. 9/2018 (5), la quale evidenzia che «il vantaggio fiscale dovrebbe assumere rilievo, ai fini del main benefit test, per il solo fatto della sua esistenza; indipendentemente, cioè, da qualsiasi preliminare valutazione in ordine alla sua liceità; alla sua capacità di erodere basi imponibili domestiche o collettive; oppure di poter (o meno) essere ritenuto “indebito”, in quanto contrario alla ratio di disposizioni e principi di diritto vivente». 

[38] Cfr. art. 2, par. 2, della direttiva n. 2011/16/UE, il quale esclude che lo scambio di informazioni si applichi «all’imposta sul valore aggiunto e ai dazi doganali o alle accise contemplate da altre normative dell’Unione in materia di cooperazione amministrativa fra Stati membri». 

[39] Come noto, l’art. 2 della direttiva n. 2011/16/UE, prevede che «La presente direttiva si applica alle imposte di qualsiasi tipo riscosse da o per conto di uno Stato membro o delle ripartizioni territoriali o amministrative di uno Stato membro, comprese le autorità locali».

[40] In questo senso militano sia l’Azione 12 dei BEPS, dalla quale la direttiva n. 2018/822 prende dichiaratamente le mosse, sia i lavori preparatori della medesima direttiva. In specie, al punto 3.10 del Parere del Comitato economico e sociale europeo, ECO/436, si legge che «mediante i sistemi di pianificazione fiscale aggressiva, alcune imprese con attività transfrontaliera trasferiscono una parte considerevole dell’utile realizzato nel territorio di uno Stato membro in giurisdizioni con un basso livello di tassazione, riducendo quindi artificialmente le basi imponibili degli Stati membri e provocando gravi distorsioni del mercato interno».

[41] Sul dovere di consulenza fiscale del notaio, cfr. Cass., sent. n. 7857/2008, la quale evidenzia che «Il notaio, indipendentemente dal conferimento di uno specifico incarico, deve compiere tutte quelle attività necessarie per assicurare il raggiungimento dello scopo pratico perseguito dalle parti, anche sotto il profilo del godimento del regime fiscale più favorevole».

[42] La tematica della possibile riqualificazione della cessione partecipativa come cessione aziendale – per il minor gravame fiscale collegato alla prima rispetto alla seconda operazione – è stata, come noto, per diverso tempo al centro di un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale (cfr. Cass., ord. n. 24594/2915, favorevole a tale possibilità, e, tra i contrari, Studio n. 95170-2011/T del 1 marzo 2012, della Commissione Studi Tributari del Consiglio Nazionale del Notariato, nonché A. PISCHETOLA, Art. 20 del TUR: solo norma di interpretazione degli atti?, in Notariato, 2011,112), fino alla recente riscrittura dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 ad opera della L. 27 dicembre 2017, n. 205. Tale riformulazione della norma – nel senso che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» – ha carattere meramente interpretativo (art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145).

[43] In specie, l’obbligo di comunicazione, generalmente gravante sull’intermediario, transita in capo al contribuente laddove l’intermediario sia assente (perché il meccanismo viene concepito ed eseguito per intero dal contribuente), o non possa essere gravato da detto obbligo comunicativo; il che avviene, normalmente, quando l’intermediario che guida l’operazione sia presente ma non possa essere gravato dall’obbligo di comunicazione in quanto privo di collegamento con gli Stati membri dell’Unione europea, oppure quando l’intermediario, pur presente, si avvalga di cause di esonero.

[44] In questo senso, art. 3, n. 21, ultimo periodo, della direttiva n. 2011/16/UE, così come modificata dalla direttiva n. 2018/822.

[45] Si v., in particolare, G. SELICATO, Le comunicazioni preventive secondo la direttiva 822/2018/EU: dalla “collaborazione incentivata” agli “obblighi di disclosure, cit., 9, 121; L. BOSCO – D. BLEVE, Dalla “collaborazione spontanea” alle nuove regole della “mandatory disclosure” in ambito europeo, in La gestione straordinaria delle imprese, 2018, 4; F. BARDINI, Dac 6: Il ruolo centrale degli intermediari nella lotta alla pianificazione fiscale aggressiva, in La gestione straordinaria delle imprese, 2019, 2.  Sia inoltre consentito il rinvio a M. MARZANO, La direttiva n. 2018/822/UE e gli obblighi di comunicazione a carico di “intermediari” e contribuenti. Inquadramento generale, cit., 45. 

[46] In questi termini, art. 3, n. 21, della direttiva n. 2011/16/UE, così come modificata dalla direttiva n. 2018/822.

[47] L’art. 1 della L. n. 89 del 1913 (Ordinamento Notarile), prevede come noto al comma 1 che «I notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti».

[48] Il comma 3 della L. n. 89 del 1913 prevede che «Spetta al notaro soltanto d'indagare la volontà delle parti e dirigere personalmente la compilazione integrale dell'atto». Sul punto, la più autorevole dottrina evidenzia che «nei fatti non le volontà, ma le dichiarazioni delle parti sono la fonte di cognizione del notaio. Del resto se le parti dovessero ordire una simulazione assoluta, il notaio, non dotato di uno psicoscopio, riceverebbe l’atto su dichiarazioni non sorrette da volontà alcuna» (così, M. MAZZOLA, Notaio e Notariato (voce), in Dig. civ., Torino, 2008, XII, 236). Sul contenuto della prestazione notarile si v., inoltre, Cass., sent. n. 5946/1999; sent. n. 5232/2000; sent. n. 14865/2013, secondo cui al notaio viene richiesta dal sistema una garanzia sulla rispondenza dell’atto al programma negoziale avuto di mira dalle parti.

[49] L’articolo 1, n. 21, della direttiva n. 2011/16/UE, come modificato dalla direttiva n. 2018/822, stabilisce che «qualunque persona ha il diritto di fornire elementi a prova del fatto che non fosse a conoscenza, e non si potesse ragionevolmente presumere che fosse a conoscenza, del proprio coinvolgimento in un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica. A tal fine, tale persona può fare riferimento a tutti i fatti e a tutte le circostanze pertinenti, come pure alle informazioni disponibili e alle sue pertinenti competenze e comprensione».

[50] Oltre alla terminologia utilizzata dal legislatore europeo nel definire l’intermediario, ricca di espressioni che ne evocano un coinvolgimento materiale nell’ideazione e/o implementazione dello schema («elabori, commercializzi, organizzi o metta a disposizione a fini di attuazione o gestisca» e «impegnata a fornire, direttamente o attraverso altre persone, aiuto, assistenza o consulenza»), depongono in tal senso le norme relative ai termini per l’adempimento; tali norme presuppongono, per un verso,  la “conoscenza”, il “possesso” o il “controllo” delle informazioni rilevanti e, per un ulteriore verso, la circostanza che il meccanismo transfrontaliero sia «messo a disposizione a fini di attuazione», «pronto per l’attuazione» o, infine, ne sia stata «compiuta la prima fase nell’attuazione» (dalla prima di esse decorrono i trenta giorni per provvedere alla notifica delle informazioni rilevanti). Cfr. Art. 8-bis, ter, par. 1, primo comma, della direttiva n. 2011/16/UE, come modificata dalla direttiva n. 2018/822. Con riferimento agli intermediari «di cui all’articolo 3, punto 21, secondo comma» della direttiva n. 2011/16/UE (vale a dire i cc.dd. service providers), il termine di trenta giorni decorre del resto dal momento in cui questi hanno fornito, direttamente o attraverso altre persone, aiuto, assistenza o consulenza; confermando, anche sotto questo profilo, la necessità – non solo che l’intermediario sia in possesso delle informazioni, ma anche – che abbia fornito un positivo contributo alla realizzazione del meccanismo.

[51] Cfr. art. 8-bis, ter, parr. 3 e 4, della direttiva n. 2011/16/UE, come modificata dalla direttiva n. 2018/822.

[52] Così, art. 8-bis, ter della direttiva n. 2011/16, come modificato dalla direttiva n. 2018/822.

[53] Nel corso dell’ultima revisione del presente contributo, è in via di approvazione il Decreto legislativo di recepimento della Direttiva, che potrà presentare modificazioni rispetto alla bozza attualmente edita.

[54] Cfr. art. 1, comma 1, lett. n), del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 28 dicembre 2015.

[55] Cfr. art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 231 del 2007.

[56] Al riguardo, in chiave critica, cfr. G. SELICATO, Le comunicazioni preventive secondo la direttiva 822/2018/EU: dalla “collaborazione incentivata” agli “obblighi di disclosure, cit., 124, il quale osserva che «gli estensori dello schema di Decreto legislativo paiono intenzionati a estendere l’onere anche ad autori di apporti indiretti, ovvero a chi fornisca o abbia fornito assistenza o consulenza per il tramite di altri soggetti, senza che tali rapporti vengano predeterminati in modo chiaro».  

[57] Al riguardo, cfr. Assonime, Consultazione n. 9/2018, cit., 15 ss.

[58] Cfr., tra gli altri, Assonime, Consultazione n. 9/2018, cit., 18, la quale esprime perplessità circa la mancata inclusione del segreto professionale tra le esimenti dell’obbligo di comunicazione; analoghe perplessità sono espresse da G. SELICATO, Le comunicazioni preventive secondo la direttiva 822/2018/EU: dalla “collaborazione incentivata” agli “obblighi di disclosure, cit., 125.

[59] Così, art. 3, commi 4 e 5, dello schema di decreto.

[60] Per questa lettura, cfr. Assonime, Consultazione n. 9/2018, cit., 15 ss.

[61] L’art. 622 c.p., come noto, stabilisce che «Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516. La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società. Il delitto è punibile a querela della persona offesa».

[62] Come noto, nel rispetto del principio di imparzialità e del dovere di equidistanza che deve ispirarne il ministero, il notaio deve rendere il proprio consiglio nei confronti di tutte le parti dell’atto, e non solo di quella che gli abbia conferito incarico professionale. Secondo la giurisprudenza di legittimità, in particolare, «ai fini della individuazione della responsabilità professionale del notaio nella stipulazione dell’atto pubblico di vendita, sempre che dal comportamento del professionista siano derivati danni, non ha alcun rilievo che l'incarico di redigere l'atto pubblico sia stato conferito, e remunerato, da una delle parti, sussistendo la   responsabilità professionale nei confronti di tutte le parti dell’atto rogato sulla base dell’art. 1411 c.c., per quella parte che non lo ha conferito (Cass. n. 14865 del 2013)» (così, da ultimo, Cass., sent. n. 26369/2014).

[63] Tra le altre, la Suprema Corte, nel valutare il corretto adempimento dell’obbligo di diligenza da parte del notaio, attribuisce particolare rilievo alle attività preparatorie e successive (Cass., sent. n. 13617/2012), alle conseguenze giuridiche della prestazione (Cass. sent. n. 11665/2015), alle problematiche e questioni tecniche che richiedono, per la loro soluzione, un grado di particolare preparazione professionale (Cass. sent. n. 7707/2007); assicurando, in tal modo, il corretto adempimento professionale, sulla base di informazioni complete, pertinenti, puntuali e corrette (Cass., sent. n. 12482/2017). Sul punto, cfr. M. PALAZZO, Note in tema di responsabilità civile del notaio, in Giur. it., 2017, 11, 2523 ss.