Operazioni finanziarie non soggette ad imposta sostitutiva e rilascio garanzie
Le operazioni finanziarie aventi come concedenti il credito operatori professionali (banche, società finanziarie, società di factoring, altri operatori, ora anche fondi di investimento):
– sono sempre in ambito Iva ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, come integrato dalla L. n. 28 del 1997, che definisce prestazioni di servizi «[...] le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro-soluto, di crediti [...]»;
– sono esenti dall'Iva (pur rimanendo "in ambito Iva") ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. n. 633 del 1972, che al punto 1) prevede «le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti [...] e le operazioni di finanziamento; l'assunzione di impegni di natura finanziaria, l'assunzione di fideiussioni e di altre garanzie [...]».
E quindi, secondo il principio di alternatività Iva/Registro (art. 40 del T.U.I.R.: «per gli atti relativi a [...] prestazioni di servizi soggetti all'imposta sul valore aggiunto, l'imposta [di registro] si applica in misura fissa. si considerano soggette all'imposta sul valore aggiunto anche [...] le prestazioni per le quali l'imposta non è dovuta [...]») soggette a imposta di registro in misura fissa.
Spesso peraltro i finanziamenti sono soggetti ad imposta sostitutiva (d.P.R. n. 601 del 1973), qualora sussistano i relativi presupposti e sia stata fatta la relativa opzione nel contratto di finanziamento (o nella delibera di emissione delle obbligazioni):
– il presupposto soggettivo consiste nel fatto che il finanziatore sia una banca oppure altro soggetto previsto dal d.P.R. n. 601;
– i presupposti oggettivi consistono nel nella tipologia e nella durata dell’operazione (con l’avvertenza che l’art. 20-bis del d.P.R. n. 601del 1973 estende l’applicazione delle agevolazioni alle operazioni di finanza strutturata come emissione di obbligazioni o titoli similari).
Se si ha riguardo al solo finanziamento, l’applicazione dell’imposta sostitutiva è sempre penalizzante, in quanto determina l’applicazione dell’imposta proporzionale dello 0,25% in luogo della imposta fissa di registro (essendo le operazioni finanziarie di soggetti finanziatori istituzionali, come dicevamo, in ambito Iva), che peraltro è dovuta solo in caso di registrazione del finanziamento.
Oggi quindi gli operatori, anche in presenza dei presupposti per l’applicabilità, valutano la “convenienza” di esercitare l’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva avendo riguardo agli elementi “accessori” del finanziamento, tra cui:
– le garanzie richieste;
– la prospettiva di una successiva cessione da parte del finanziatore originario, pro quota o in toto, del credito o del contratto (le cd operazioni di “sindacazione”).
Ovviamente l’opzione viene sempre fatta se l’operazione finanziaria contempla il rilascio di ipoteca a garanzia (sia che il concedente sia il soggetto finanziato sia che sia un soggetto diverso):
– non tanto per la (minima) convenienza rispetto all’imposta di registro dovuta sul finanziamento (che, essendo in ambito Iva, è sempre in misura fissa);
– quanto per “l’assorbimento” dell’imposta ipotecaria (del 2%).
Sulla questione dell’opzione apro una parentesi:
– la registrazione del contratto di finanziamento non è dovuta se non è atto notarile e se, come dovrebbe ritenersi, contiene solo disposizioni “in ambito Iva”, oppure se è concluso per scambio di corrispondenza;
– pare (ma non sono riuscita a trovare alcun supporto) che un ufficio fiscale romano abbia contestato un’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva contenuta in un atto di finanziamento non registrato, contestazione che a prima vista pare priva di fondamento.
Queste considerazioni preliminari valgono per evidenziare come, nell’evoluzione del mercato finanziario, la complessa articolazione che oggi assumono le operazioni di finanziamento può comportare di trovarsi (più spesso di prima) a dover gestire fattispecie di finanziamenti che non sono soggetti ad imposta sostitutiva per mancanza di uno dei presupposti indicati, ad esempio perchè:
– non è stata fatta la relativa opzione nel contratto, a seguito di valutazioni di convenienza fiscale (magari non approfondite);
– il soggetto finanziatore, pur essendo professionale, non è fra quelli aventi le caratteristiche soggettive per esercitare l’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva: società finanziarie previste dall’art. 106 del TUB, tra cui quelle che esercitano il leasing e il factoring, SGR autorizzate alla «concessione di crediti o prestiti agli investitori per consentire loro di effettuare un'operazione relativa a strumenti finanziari», banche estere ecc.;
– la durata è inferiore (o pari secondo una certa interpretazione) a 18 mesi;
– il contratto di finanziamento è stato concluso all’estero, magari coinvolgendo solo soggetti esteri;
– il finanziamento, originariamente soggetto da imposta sostitutiva, circola più volte, anche tra soggetti professionali non inclusi fra quelli per i quali è possibile applicare fina dall’origine l’imposta sostitutiva.
Come si diceva, in tal caso il problema fiscale non è normalmente quello dell’applicazione dell’imposta di registro al finanziamento, sempre per sua natura in ambito Iva (anche se concesso da finanziatori non soggetti passivi Iva, ad esempio banche estere, in particolare extra UE) ma quello della disciplina fiscale delle garanzie concesse.
Esiste anche in effetti la problematica del riconoscimento di debito o dell’enunciazione del finanziamento, che non è oggetto di questa relazione ma che, come accennato, ritengo vada trattata avendo riguardo alla natura “Iva” dell’operazione finanziaria, e sul quale ci sono state di recente aperture significative dall’amministrazione finanziaria e della giurisprudenza.
Va quindi verificato il trattamento fiscale degli atti di concessione di garanzia e la relativa regolamentazione.
Nella disciplina Iva (d.P.R. n. 633 del 1973):
– non c’è una regolamentazione specifica delle garanzie rilasciate a garanzia di finanziamenti in ambito Iva;
– il rilascio/concessione di una garanzia non è qualificato prestazione di servizi (né per la verità escluso), salvo quanto previsto all’art. 10 (operazioni esenti) che considera prestazione di servizi «l’assunzione di fideiussioni e di altre garanzie», ovviamente solo qualora sia «verso corrispettivo» e quindi abbia le caratteristiche delle previste dall’art. 3;
– lo stesso art. 3 secondo comma n. 3) include nelle prestazioni di servizi le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro-soluto, di crediti.
Nella disciplina delle imposte ipotecarie e catastali (d.P.R. n. 347 del 1990):
- si considera come presupposto per l’applicazione dell’imposta ipotecaria proporzionale la formalità di iscrizione dell’ipoteca.
È da notare che l’ordinamento fiscale non prevede nessun’altra imposta o tassa proporzionale connessa alla pubblicità o formalità per l’opponibilità di altri tipi di garanzia, diversi dall’ipoteca su beni immobili, e quindi non è prevista l’applicazione di alcuna imposta o tassa proporzionale a:
– l’iscrizione al Registro delle imprese di pegno;
– la trascrizione di privilegio speciale presso la cancelleria del tribunale;
– la trascrizione di pegno su marchi e brevetti;
– la costituzione di ipoteca su navi, barche o aerei (o autoveicoli);
– l’annotazione a libro soci del pegno di azioni;
– la notifica della cessione del credito al debitore.
Nella disciplina dell’imposta di registro (d.P.R. n. 131 del 1986 - T.U.I.R.):
– l’art. 43, lettera f) determina la base imponibile: (i) come regola generale nella somma garantita o (ii) come eccezione, se la garanzia è prestata in denaro o titoli, dalla somma di denaro o dal valore dei titoli, se inferiore alla somma garantita;
– l’art. 6 della tariffa parte prima prevede la registrazione in termine fisso e l'applicazione dell’imposta proporzionale di registro (nella misura dello 0,50%) alle «garanzie reali e personali a favore di terzi, se non richieste dalla legge», così escludendo dalla tassazione proporzionale le garanzie rilasciate per debito proprio;
– l’art. 1 della tariffa parte seconda richiama l’art. 6 della tariffa parte prima e stabilisce quindi che siano soggetti a registrazione solo in caso d’uso gli atti di concessione di garanzie «formati mediante corrispondenza, ad eccezione di quelli per i quali dal codice civile è richiesta a pena di nullità la forma scritta»;
– l’art. 5 della tabella include fra gli atti per i quali non vi è obbligo di richiedere la registrazione quelli relativi a «garanzie richieste da leggi […] e atti relativi alla loro cancellazione, comprese le quietanze […]»;
– sono previsti nella tabella, e quindi fra gli atti per i quali non vi è obbligo di richiedere la registrazione, quelli relativi a: (i) art. 9: emissione obbligazioni, in quanto atti propri delle società diversi da quelli dell’art. 4 della tariffa parte prima (soggetti a registrazione in termine fisso, ma comunque tutti soggetti a imposta di Registro in misura fissa ai sensi norme UE, eccetto solo conferimenti immobili); (ii) art. 8: girata di titoli (azioni/obbligazioni) anche in garanzia.
Dal T.U.I.R. e dalle altre norme in materia si ricava la seguente disciplina degli atti di concessione di garanzia redatti in forma notarile:
– sono soggetti a registrazione in termine fisso, con la sola esclusione delle garanzie richieste dalla legge;
– non sono soggetti ad imposta proporzionale, ma solo ad imposta in misura fissa, gli atti di concessione di garanzia per debito proprio: tale essendo il significato “a contrario” dell’inciso contenuto nell’art. 6 della tariffa parte prima “garanzie […] a favore di terzi” (inteso come la garanzia rilasciata “a favore” del debitore garantito, essendo di per sé la garanzia sempre “a favore” del creditore);
– la base imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale è sempre costituita dal debito garantito, salva solo l’eccezione della garanzia costituita su somma di denaro o si titoli
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Fatta questa premessa, vi sono alcune fattispecie dove l’applicazione di questi principi è stata diversamente interpretata dal fisco nel tempo.
Concessione di pegno su partecipazioni societarie non rappresentate da azioni
È frequente, nelle operazioni finanziarie, che sia prevista la concessione di pegno su partecipazioni al capitale di società a responsabilità limitata (più raramente, di società di persone, salve operazioni di acquisizione fra privati).
L’atto di concessione di tale pegno è necessariamente notarile, ai fini dell’iscrizione del pegno stesso nel registro delle imprese (tralasciando la questione circa il fatto che nella disciplina societaria il pegno non è previsto fra gli atti su partecipazioni soggetti a deposito e pubblicità nel registro imprese, tant’è vero che alcuni tribunali rifiutavano la trascrizione dei pegni […]).
Se l’operazione finanziaria non è soggetta ad imposta sostitutiva, entra in gioco l’applicazione dell’imposta di registro, sia il concedente privato o società (soggetti passivo Iva).
Per valutare come e se applicare l’imposta di registro proporzionale, bisogna analizzare le relative caratteristiche.
La concessione di pegno può avvenire:
– da parte del soggetto finanziato: in tal caso l’imposta di registro è dovuta in misura fissa, perché si tratta di garanzia per debito proprio e quindi esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 6 della Tariffa Parte Prima allegata al T.U.I.R., secondo il pacifico significato dato all’inciso «a favore di terzi»;
– da parte di “terzi” (il caso più frequente è la concessione di pegno sulle partecipazioni della società finanziata da parte dei soci, che quindi concedono pegno a «a favore di terzi» cioè a favore della società finanziata): in tal caso l’imposta di registro è proporzionale nella misura dello 0,50%.
Questa impostazione è praticamente scontata anche per gli uffici fiscali.
La questione che invece, fin di recente, non ha avuto soluzioni omogenee presso i diversi uffici fiscali è stata quella della determinazione della base imponibile, in caso di costituzione di pegno soggetto ad imposta di registro proporzionale:
– se sia applicabile il principio generale per cui la base imponibile è costituita dal debito garantito, a prescindere dal “bene” oggetto del pegno;
– se invece sia applicabile l’eccezione per cui la base imponibile è costituita dal minore fra valore della partecipazione e somma garantita, prevista letteralmente solo per la concessione in pegno di “titoli”, estendendo il concetto di “titoli” anche alle partecipazioni al capitale di società diverse dalle SpA, in particolare alle partecipazioni al capitale delle Srl, assimilabili o addirittura ricompresi nel concetto di “titoli” intesi come “diritti”;
– e se, qualora si ritenga applicabile l’eccezione prevista letteralmente per il pegno su titoli, cosa debba intendersi per “valore” della partecipazione, e quindi se si debba considerare: (i) il valore nominale; (ii) il valore determinato pro quota sulla base del patrimonio netto della società; (iii) il valore “di mercato” (questione peraltro rilevante anche in caso di pegno su veri e propri “titoli”, cioè sulle azioni della SpA).
Partendo dall’ultima problematica, che di fatto diventa residuale alla luce nel nuovo indirizzo dell’amministrazione finanziaria, ma che val la pena rapidamente analizzare (anche ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro agli atti di costituzione di pegno su azioni, ipotesi rara ma non da escludersi, viste le sempre più numerose società il cui statuto non prevede l’emissione di certificati rappresentativi delle azioni e magari prevede la forma notarile per la costituzione di diritti), l’art. 51 del T.U.I.R. stabilisce che ai fini della determinazione della base imponibile «si assume come valore dei beni o dei diritti […] quello dichiarato dalle parti nell’atto»:
Alla luce di tale principio, e data la non rettificabilità da parte dell’agenzia delle entrate del valore dichiarato in atto (per tali atti e beni), è stato spesso considerato base imponibile il valore nominale della partecipazione oggetto di pegno; sul punto si potrebbe obiettare che il valore nominale della partecipazione, corrispondente al valore nominale di una quota di capitale, raramente corrisponde alla quota di patrimonio netto o al prezzo a cui la partecipazione potrebbe (se avesse mercato) essere venduta, ma d’altro canto ci sarebbe anche da considerare:
– che spesso in determinate operazioni finanziarie, in cui è abituale la concessione di pegno sul capitale della società finanziata, l’indebitamento della stessa finanziata è tale da avvicinare molto tali valori,
– che il valore nominale è l’unico valore certo e certificabile (senza pretese di assimilazione, viene spontaneo pensare ai valori catastali rispetto ai prezzi di mercato), essendo spesso anche il pro quota di patrimonio netto lontano dai valori effettivi (sia in aumento che in diminuzione), così come si afferma anche nelle liquidazioni effettuate dall’Agenzia delle entrate, di cui vi parlerò fra poco.
Peraltro non conviene soffermarsi più di tanto su questa ultima questione, alla luce della relativamente recente presa di posizione degli uffici fiscali, che ritengono di non poter considerare le partecipazioni diverse dalle azioni alla stregua dei “titoli” previsti dall’art. 43 lettera f) T.U.I.R. e quindi considerano base imponibile il credito garantito.
Ciò è avvenuto in particolare In maniera esplicita da parte della Direzione Regionale delle Entrate del Lazio nella direttiva dell’11 maggio 2016, nella quale si afferma che:
– «l’interpretazione normativa della dizione “titoli” […] fa rientrare in essi esclusivamente i “titoli di credito”»;
– «non possono […] essere ricomprese nel novero dei titoli di credito anche le “quote” di partecipazione in società a responsabilità limitata»
– «per le garanzie costituite da pegni su quote di Srl la base imponibile è rappresentata dalla somma garantita».
In maniera “implicita” gli Uffici delle Entrate della Lombardia, invertendo la prassi da tempo vigente, attraverso la liquidazione di imposta di registro su un atto di costituzione di pegno sotto condizione sospensiva, hanno applicato il medesimo principio a seguito della denuncia di verificata condizione
Gli argomenti portati a supporto della tesi della DRE del Lazio sembrano riferirsi alla presunta certificabilità e oggettività del valore del titolo di credito, che non potrebbe rinvenirsi nelle partecipazioni non rappresentate da titoli; argomento che non pare di grande pregio nel confronto fra azioni di SpA (in particolare non quotate) e partecipazioni di Srl, perché entrambe:
– hanno un valore nominale costituito dalla quota di capitale che rappresentano;
– rappresentano una quota di patrimonio;
– possono circolare;
– vengono costituite in pegno con la medesima funzione di garantire il debito tramite il patrimonio sociale.
All’atto pratico, il rischio insito nella presa di posizione della DRE del Lazio e la maggior onerosità fiscale connessa alla considerazione di una base imponibile più elevata (difficilmente la partecipazione oggetto di pegno ha un valore – sia che si consideri il valore nominale sia che si consideri quello ricavabile da patrimonio netto, di mercato o fair value – superiore al debito garantito) ha determinato una netta preferenza ad adottare il tipo sociale di SpA (per la verità forse anche più adatto a tante operazioni di finanza strutturata), e spesso a privilegiare la costituzione di pegno tramite la semplice girata in garanzia, espressamente ricompresa negli atti «per i quali non vi è obbligo di chiedere la registrazione».
Cessione di crediti in garanzia
L’altra questione che negli ultimi anni ci ha coinvolto in modo particolare, in relazione alla costituzione di garanzie nell’ambito di operazioni finanziarie non soggette ad imposta sostitutiva, è quella della tassazione applicabile, ai fini dell'imposta di registro, alla cessione in garanzia di crediti.
La problematica ha assunto una speciale rilevanza nel finanziamento di progetti di realizzazione di impianti fotovoltaici (o comunque di operazioni che prevedano la realizzazione di impianti volti allo sfruttamento di energie alternative).
Fino a che la normativa ha previsto dei forti incentivi alla realizzazione, le dette operazioni sono aumentate esponenzialmente e i soggetti istituzionalmente volti al finanziamento delle operazioni industriali si sono attrezzati e specializzati per offrire agli operatori i mezzi finanziari per realizzare i progetti.
Il finanziamento dei progetti può avvenire:
– tramite l'assunzione di un finanziamento bancario, normalmente a medio-lungo termine, assistito dalle usuali garanzie reali;
– tramite l'intervento di una società di leasing, che acquista il terreno o il lastrico solare su cui e prevista la realizzazione dell'impianto.
La società che richiede il finanziamento realizza l'impianto e produce poi tramite esso energia da immettere sul mercato; l'immissione avviene tramite il GSE (gestore servizi energetici), col quale viene conclusa una convenzione e verso il quale, mano a mano che l'energia viene prodotta ed immessa sul mercato, la società finanziata realizzatrice dell’impianto matura crediti.
Sia in caso di finanziamento bancario che in caso di leasing, l'ente finanziatore normalmente richiede al soggetto finanziato di cedere in garanzia tali crediti, potenziali, non ancora quantificati né quantificabili in quanto matureranno solo a seguito della concreta produzione di energia elettrica e nella misura derivante dalla quantità di energia immessa sul mercato, ma non futuri perché aventi titolo dalla convenzione col GSE già stipulata. Per la verità proprio l’esistenza di tali crediti rende l’operazione finanziaria sostenibile ed è fondamentale per la relativa concessione.
A livello di inquadramento civilistico, la cessione di credito è disciplinata dagli artt. 1260 e seguenti del codice civile. Viene normalmente considerato un contratto “a causa esterna”, che può quindi assumere cause diverse in funzione dello scopo per il quale è posta in essere: in pagamento, in garanzia, finanziaria ecc.
La disciplina fiscale delle cessioni di credito, ai fini delle imposte indirette, è contenuta:
– nell’art. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, in forza del quale sono fuori dall'ambito Iva le "cessioni che hanno per oggetto [...] crediti in denaro";
– nell’art. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, in forza del quale sono in ambito Iva le operazioni finanziarie mediante negoziazione di crediti;
– nell’art. 6 della Tariffa Parte Prima del T.U.I.R., che include le cessioni fra gli atti soggetti a registrazione in termine fisso e prevede l'applicazione dell'aliquota dello 0,50% sul valore del credito ceduto;
– nell’art. 1 della tariffa Parte Seconda del T.U.I.R., che prevede la registrazione in caso d’uso qualora le cessioni siano concluse per scambio di corrispondenza.
La cessione dei crediti verso il GSE va conclusa per atto pubblico o scrittura privata autenticata, facendo il debitore ceduto “parte” (in quanto SpA posseduta dalla P.A.) della pubblica amministrazione (art 69 R.d. n. 2440 del 1923); l'atto è pertanto soggetto a registrazione in termine fisso, non essendo applicabile la previsione del sopracitato art. 1 della Tariffa Parte Seconda del TUIR che prevede, per le cessioni di credito concluse mediante scambio di corrispondenza, la diversa regola della registrazione "in caso d'uso".
Si è posto quindi il problema di determinare la relativa tassazione, anche in funzione dell'inserimento degli atti di cessione di crediti in garanzia nell'ambito di operazioni finanziarie che, come già detto, sono prestazioni di servizi ricomprese nell'ambito Iva.
L’amministrazione fiscale ha esplicitamente riconosciuto (con la R.M. 3 aprile 2012 n. 29/E) che la cessione del credito in garanzia conclusa nell’ambito di un finanziamento soggetto ad imposta sostitutiva è inerente all’operazione di finanziamento (anche se configura un contratto autonomo, dotato di una propria causa giuridica) e deve essere quindi ricondotta nell’ambito di applicazione del d.P.R. n. 601 del 1973 (il principio era stato prima ribadito dalla risposta a quesito CNN 115-2010 che includeva nelle agevolazioni del d.P.R. n. 601 le cessioni con vincolo di accessorietà all’operazione finanziaria).
Dopo la modifica della disciplina Iva da parte della L. n. 28 del 1997, sono stati emanati una serie di provvedimenti a supporto ed a commento delle norme ivi contenute:
– ancora prima le R.M. 240843/1985 e 31088/1988 già consideravano la cessione in garanzia inerente l’operazione finanziaria assimilabile ad un diritto di garanzia tipico quale il pegno;
– la Circolare ABI 37/1997, secondo la quale l’inclusione in ambito Iva delle cessioni di credito prevista dalla L. n. 28 del 1996 riguarda le cessioni di credito a favore di banche e società di factoring;
– la Circolare Assonime del 1997, secondo la quale qualsiasi cessione di credito verso un soggetto finanziatore avrebbe in sé natura di sconto e quindi sarebbe inclusa nelle operazioni finanziarie rientranti nell’ambito Iva;
– lo studio del CNN 622/1998, secondo il quale «laddove la cessione di credito posta in essere da un soggetto passivo Iva avvenga all’interno di un’operazione finanziaria […] la stessa dovrà intendersi rientrare nella più ampia accezione dell’art. 3 e quindi dovrà intendersi attratta nel campo Iva»;
– la R.M. del 24 maggio 2000 n. 71/E, secondo la quale le cessioni di credito, quando hanno lo scopo di procurare liquidità al cedente, hanno comunque natura finanziaria;
– la R.M. del 4 luglio 2008 n. 278/E, secondo la quale una cessione di crediti in garanzia dall’utilizzatore alla società di leasing nell’ambito dell’operazione di locazione finanziaria «ha una propria causa giuridica» e quindi non è riconducibile alla stessa ragione economico-sociale dell’operazione finanziaria né può rientrare fra le garanzie per debito proprio;
– il quesito Assilea del 7 luglio 2009 prot. 181/2009 che prospetta l’inclusione della cessione del credito nell’ambito dell’operazione finanziaria di leasing soggetta ad Iva e quindi ad imposta di registro in misura fissa secondo il principio dell’alternatività;
– la risposta a quesito CNN 42-2009 che afferma che la cessione del credito viene attratta nell’orbita della prestazione finanziaria resa dal cessionario in funzione servente, perdendo il proprio carattere autonomo per assumere quello dell’operazione cui accede;
– la R.M. 17 ottobre 2012 n. 95/E, secondo la quale la cessione di crediti verso il GSE in garanzia delle obbligazioni derivanti dal contratto di leasing sconta imposta di registro sul valore dei crediti dichiarato in via presuntiva (ai sensi dell’art. 35 comma 1 del TUR), salvo conguaglio;
– la Circolare Assilea 9 novembre 2012 n. 33/2012, che evidenzia le criticità dell’interpretazione dell’agenzia delle entrate (in particolare sull’assenza di una base imponibile certa) e ribadisce la non debenza dell’imposta proporzionale anche in considerazione della causa di garanzia “per debito proprio” della cessione di credito;
– la nota DRE Lombardia 17 maggio 2012, che dà istruzione agli uffici di applicare l’imposta di registro proporzionale.
Ad esito di questo evidentemente sofferto lungo iter logico, come ben sappiamo l’amministrazione finanziaria si è decisamente consolidata sulla tesi più onerosa, ritenendo corretta l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale, a prescindere dall’inclusione della cessione nell’ambito dell’operazione finanziaria professionale e della causa di garanzia per debito proprio.
Anche in questo caso le conclusioni non convincono del tutto; le cessioni di credito realizzate nell’ambito di operazioni finanziarie, a garanzia delle obbligazioni assunte dal cedente nei confronti del finanziatore, assumono una funzione che si avvicina a quella del finanziamento a cui accedono e a cui sono funzionali, considerando che il credito ceduto va direttamente a soddisfare il creditore, e quindi dovrebbero essere incluse nella stessa disciplina fiscale, rientrando nell’ambito Iva (conclusione di cui vi è traccia esplicita nella disciplina Iva), come affermato dall’Agenzia delle entrate in relazione a qualle relative ad operazioni finanziarie 601.
Ma anche a volersi sostenere l’autonoma rilevanza della cessione di credito rispetto all’operazione finanziaria, non se ne può a quel punto ignorare la causa di garanzia rilasciata (normalmente) per debito proprio che, come in altri casi di negozio a “causa esterna”, dovrebbe prevalere ai fini dell’applicazione della relativa tassazione, come affermato dall’Agenzia delle entrate nelle RM 1985 e 1988.
Considerazioni finali
Fin qui quanto la prassi e gli uffici fiscali applicano.
Solo per future riflessioni, mi chiedo se:
- gli atti di costituzione di pegno su partecipazioni al capitale di società non azionarie si possano ricomprendere nell’art. 11 della tariffa parte prima del T.U.I.R., con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa, anche se il termine “negoziazione” ivi contenuto rende una simile interpretazione obiettivamente in salita,
- in generale la costituzione di garanzie per debiti altrui da parte di soggetti passivi Iva (ad esempio il pegno sulla partecipazione di Srl da parte dei soci a garanzia del debito della società, la cessione in garanzia del credito GSE “infragruppo”, cioè non da parte della società finanziata, ma di altra controllata o controllante), qualora si preveda un corrispettivo per il rilascio, possa considerarsi “prestazione di servizi” e quindi rientrare in ambito Iva, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa analogamente a quanto avviene per tutte le fidejussioni rilasciate da banche o assicurazioni a garanzia di debiti dei propri clienti