Giuffré Editore

Ordinamento e amministrazione degli enti del Terzo settore

Veronica Montani

Ricercatrice di Diritto privato, Università Cattolica del Sacro Cuore


Il diritto dell’Economia sociale e il diritto del Terzo settore: le regole dell’impresa sociale.

La riforma del Terzo settore[[1]] si compone di due testi normativi (il d.lgs. n. 117 del 2017, c.d. Codice del Terzo settore e il d.lgs. n. 112 del 2017 in tema di impresa sociale[[2]]), da leggersi congiuntamente non solo da un punto di vista strettamente giuridico-normativo ma anche in termini di impostazione concettuale, ricomprendendo il Terzo settore al suo interno l’impresa sociale[[3]], che costituisce il modello più spiccatamente imprenditoriale del non profit.

In questo senso, dunque, i concetti di Terzo settore e di Diritto dell’economia sociale tendono ad avvicinarsi e in parte a sovrapporsi, senza esaurirsi l’uno nell’altro.

Di Diritto dell’Economia Sociale ne discorre ampiamente la dottrina[[4]], soprattutto di afflato europeo, e significative sono le esperienze normative[[5]] spagnola, portoghese, francese, rumena e greca, che hanno, negli ultimi anni, disciplinato il fenomeno socio-economico. Sebbene i connotati dell’Economia Sociale non siano univoci nelle diverse esperienze e la sua definizione sia controversa, è stato osservato come essa si caratterizzi, sostanzialmente, per l’agire di i) enti privati che ii) svolgono un’attività economica iii) per il perseguimento di particolari finalità (mutualistiche o di interesse generale ma, in ogni caso, non lucrative) e iv) dotati di una particolare struttura organizzativa-finanziaria (primato della persona sul capitale, democraticità, partecipazione, destinazione a riserva indivisibile di una significativa quota di utili …). L’attenzione è, dunque, rivolta alla natura soggettiva più che oggettiva dell’ente[[6]].

L’economia sociale, includendo enti imprenditoriali, da un lato, costituisce una categoria più circoscritta rispetto a quella del Terzo settore, che ricomprende, oltre a enti a vocazione produttiva, anche enti a pura vocazione erogativa; dall’altro, è concetto più ampio di quello dell’impresa sociale italiana, includendo anche gli enti associativi e fondazionali che svolgono attività economica ma che non assumono, per scelta o per obbligo, la qualifica di impresa sociale e, al contempo, escludendo, tendenzialmente[[7]], le società di persone o di capitali[[8]].

La riforma del Terzo settore valorizza proprio l’economia civile attraverso l’attuazione del principio di sussidiarietà circolare ex artt. 117 e 118 Cost., in una logica di collaborazione pubblico/privato[[9]] in favore dell’agire civile[[10]]: il Codice del Terzo settore, di fatto, riconosce il modello economico tripolare (Stato, mercato, Terzo settore) e le realtà economiche produttive di “altri” valori, in funzione di una biodiversità economica non più legata alla massimizzazione del profitto.

Divengono, dunque, essenziali per gli enti del Terzo settore le regole di proprietà e di controllo, rapportate alle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e alle attività di interesse generale, tanto in riferimento alla categoria generale di ETS quanto a quella dell’impresa sociale.

Quest’ultima, come noto, può assumere le forme di enti del libro I ovvero di libro V del codice civile ed è, dunque, alle regole codicistiche di ordinamento e amministrazione previste per ciascun tipo normativo che deve farsi riferimento[[11]], integrate dalle trasversali previsioni contenute nel d.lgs. n. 112 del 2017, in quanto espressione di principi peculiari che permettono di distinguere l’impresa sociale (e l’economia sociale) dalle forme imprenditoriali pure del libro V, anche nelle ipotesi di società benefit e di start up innovative a vocazione sociale.

Sebbene, infatti, il modello dello shareholder value[[12]] abbia trovato un temperamento anche in favore della tutela di interessi altri, secondo le logiche dello stakeholder value[[13]], solo nell’impresa sociale si ravvisano precise regole obbligatorie, poste a presidio dei valori socio-economici sottesi.

Nelle forme societarie che assumono la qualifica di società benefit[[14]] è previsto, a fianco dello scopo lucrativo, il perseguimento di una o più finalità di beneficio comune attraverso un operato «responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni attività culturali e sociali, enti, associazioni altri portatori di interesse»[[15]]. Tuttavia, nessuna norma impone forme di coinvolgimento di dipendenti e utenti e non sussistono regole di enforcement contrattuale o risarcitorie in favore degli stakeholders, né regole di governance, né di cogestione, né tanto meno di voice, avendo la legge previsto esclusivamente l’obbligo di pubblicare una relazione sul beneficio comune perseguito e un limitato e debole public enforcement per il solo caso di pubblicità ingannevole legato all’etichetta, evidentemente pubblicitaria, di “società benefit”[[16]].

All’opposto, il legislatore dell’impresa sociale (e del Codice del Terzo settore) ha prescritto regole a presidio del perseguimento del bene comune e dell’innalzamento dei livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, esprimendo un favor per la partecipazione, l'inclusione e il pieno sviluppo della persona ed i valori della solidarietà e del pluralismo[[17]]. Così, coerentemente, il d.lgs. n. 112 del 2017 prevede limiti di partecipazione al capitale e vincoli sulla natura dei soggetti che possono partecipare allo stesso o detenere il controllo dell’ente, evitando la prevalenza assoluta del capitale sui soci e forme di controllo unipersonali. Non possono, infatti, assumere la qualifica di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati[[18]]. Del pari, le società costituite da un unico socio persona fisica, gli enti con scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche non possono esercitare attività di direzione e coordinamento o detenere, in qualsiasi forma, il controllo di un'impresa sociale (ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile)[[19]]. 

Inoltre, con specifico riferimento alle regole di gestione, il decreto legislativo dell’impresa sociale individua tre importanti modalità di attuazione della “compartecipazione e cogestione”. 

Sotto un primo profilo, l’ente deve adottare adeguate forme di coinvolgimento di lavoratori, utenti e altri soggetti direttamente interessati all’attività svolta dall’ente, prevedendo un meccanismo di consultazione o di partecipazione mediante il quale detti soggetti siano posti in grado di esercitare un'influenza sulle decisioni dell'impresa sociale (in particolare sulle questioni che incidono sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni prodotti o dei servizi erogati), di cui deve essere data espressa menzione nel bilancio sociale (art. 11, commi primo, secondo e terzo). 

Obbligatorio è, altresì, il rispetto del diritto di voice dei lavoratori e degli utenti, a cui è riconosciuta la partecipazione, anche tramite rappresentanti, all'assemblea degli associati o dei soci (art. 11, comma quarto, lett. a).

Infine, ma solo al superamento di due dei limiti indicati nel primo comma dell'articolo 2435-bis del codice civile ridotti della metà, è previsto il diritto per lavoratori e utenti di nominare almeno un componente sia dell'organo di amministrazione che dell'organo di controllo (art. 11, comma quarto, lett. b)[[20]].

La normativa dell’impresa sociale è volta quindi, complessivamente, alla valorizzazione delle logiche dell’economia sociale, nel tentativo di evitare un appiattimento della stessa sulle regole dell’economia capitalistica[[21]].


Ordinamento e amministrazione degli ETS: un inquadramento

Posta qualche breve premessa sul rapporto tra Terzo settore e impresa sociale e qualche cenno alle regole di gestione di quest’ultima, l’analisi avrà ora ad oggetto le regole previste nel d.lgs. n. 117 del 2017 (Codice del Terzo settore).

Come tutta l’impostazione della normativa in esame[[22]], anche le regole in materia di ordinamento e amministrazione si articolano secondo un principio di specialità e di gradualità dimensionale.

In relazione alla prima direttiva, il codice individua una serie di regole minime comuni a tutti gli ETS a cui si affiancano, anche in deroga, regole di governance gradatamente più specifiche riservate a ciascuna tipologia di ETS speciale (odv, aps, enti filantropici, società di mutuo soccorso e reti associative)[[23]]. Lo sforzo della reductio ad unitatem della nozione di ente del Terzo settore è, dunque, strumentale a fornire un quadro minimo e comune a tutti gli enti in tema di ordinamento e amministrazione (artt. 23-31), per poi declinare ulteriori disposizioni riservate agli enti del terzo settore c.d. tipici e caratterizzati da una maggiore specialità[[24]].

La seconda linea direttiva seguita dal legislatore è il dato dimensionale, prevedendo l’obbligatorietà di una serie di norme esclusivamente in conseguenza del superamento, da parte dell’ente, di alcuni parametri e graduando così le regole di organizzazione e amministrazione interne secondo il dato dimensionale della base associativa, il dato economico-patrimoniale dell’ente e il numero di dipendenti occupati dallo stesso[[25]]. La preoccupazione del legislatore, forse non sempre declinata opportunamente, era probabilmente quelle di differenziare gli enti dediti alle attività erogative da quelli che svolgono attività produttive anche in modo stabile e prevalente.

È, dunque, alla luce di questo rapporto tra specialità e dati dimensionali che si devono interpretare le norme di cui agli articoli da 23 a 31 a cui sono dedicate le riflessioni di questo intervento.

Non può certo non cogliersi una complessiva e significativa influenza delle norme previste per gli enti societari, tanto che parte della dottrina[[26]] ha, per l’appunto, discorso di “societarizzazione” degli enti del Terzo settore.

Ictu oculi, numerosi sono i richiami espliciti alle disposizioni previste dal libro V del codice civile, da un lato, e la trasposizione di norme di chiara ispirazione societaria, dall’altro. Inoltre, pur a fronte di innovazioni normative importanti estranee al diritto degli enti del libro I (come per esempio in tema di patrimoni separati[[27]]), molte delle soluzioni prospettate consistono in recepimenti del diritto vivente, che, nella trasposizione e formulazione del Codice, pongono tuttavia il giurista innanzi a nuovi dubbi e esigenze interpretative[[28]].

Complessivamente, riprendendo il concetto di graduazione per dato dimensionale, il Codice del Terzo settore delinea un’associazione necessariamente strutturata in un organo assembleare e un organo di amministrazione, a cui si devono affiancare, solo in caso di superamento per due esercizi consecutivi di due delle tre soglie previste (attivo dello stato patrimoniale, componenti positive e dipendenti in media occupati durante l’esercizio), anche un organo di controllo e un revisore legale dei conti.

La fondazione è, invece, caratterizzata dall’obbligatorietà dell’organo di amministrazione e dell’organo di controllo (artt. 26 e 30), nonché del revisore dei conti solo al superamento, per due esercizi consecutivi, di due delle soglie indicate dal legislatore (art. 31). Colpisce, tuttavia, come i nove articoli dedicati alle regole di ordinamento e amministrazione siano essenzialmente rivolti agli enti di natura associativa, prevendendo solo talvolta e in chiusura di norma un richiamo alle fondazioni[[29]]. A queste, non è, infatti, riservata una previsione composita e strutturata[[30]]: il legislatore non ha previsto uno o più articoli espressamente dedicati alle fondazioni, prevedendo, per converso, solo un comma all’interno di alcuni dei nove articoli succitati da cui si evince la struttura interna sopra indicata (art. 26, ultimo comma primo periodo, art. 30 e art. 31). Una individuazione non sistematica della disciplina che diviene emblematica allorquando il Codice, nel riconoscere e legittimare il fenomeno delle fondazioni di partecipazione[[31]], richiama le norme previste, nei commi precedenti, per le associazioni, indicandone l’applicabilità solo se non derogate dallo statuto e in quanto compatibili (art. 23 ultimo comma, 24 ultimo comma, 25 ultimo comma, 26, ultimo comma ultimo periodo).

Ben più complessa e articolata appare, invece, la disciplina introdotta con riferimento alle associazioni per le quali è previsto, come anticipato, l’obbligo di un organo assembleare e di amministrazione nonché, solo al superamento di due delle soglie previste rispettivamente dagli artt. 30 e 31, di un organo di controllo e di revisori legali dei conti.

Se certamente il Codice tende a limitare l’autonomia privata e, per certi versi, a sfumare i tratti differenziali tra associazione riconosciuta e non[[32]], è pur vero che la scelta del legislatore muove all’interno di in un trend che già caratterizzava la legislazione speciale, connotata dal requisito della democraticità, di volta in volta, declinato in molte delle disposizioni oggi trasfuse nel Codice del Terzo settore. È stato osservato come «lo Stato può pretendere un’organizzazione interna funzionale alla realizzazione delle tutele sociali promesse dagli enti privati»[[33]] che perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che si impegnano a svolgere attività di interesse generale, a fronte della riconosciuta possibilità per tali enti di (i) avvalersi di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell'economia sociale, (ii) di esercitare attività in regime di convenzione o di accreditamento con enti pubblici e (iii) di avvalersi dei regimi fiscali di favore.

Il Codice del Terzo settore, così, richiede, nel rispetto dei principi di democrazia, eguaglianza, pari opportunità, partecipazione degli associati e dei lavoratori nonché dei principi di efficacia, di efficienza, di trasparenza, di correttezza e di economicità della gestione degli enti[[34]], l’adozione di strutture organizzative minime, secondo il modello dualistico assemblea/organo di amministrazione, volte al rispetto della democraticità interna che si declina nella partecipazione, nell’uguaglianza del voto e nell’elettività delle cariche, a cui presidio sono poste le norme in tema di responsabilità dei soggetti incaricati e quelle relative alle denunce al tribunale o all’organo di controllo, ove previsto.


L’organo assembleare degli ETS

Tra i tipi societari, in particolare, il legislatore adotta come modello ispiratore quello della società cooperativa allorquando declina le regole di governace e (prevalentemente) quello della società di capitali con riferimento ai profili di conflitto di interessi, responsabilità dei soggetti che rivestono cariche sociali e strumenti di denuncia[[35]].

Gli articoli 23 e 24, dedicati all’ammissione degli associati, al carattere aperto dell’ente e all’assemblea, sono un chiaro riferimento alla disciplina di cui agli articoli 2528, 2538 e 2539 c.c., a cui si aggiunge lo specifico richiamo, in materia in assemblee separate, all’art. 2540 c.c.; ed ancora l’articolo 26, dedicato all’organo amministrativo, ricalca la disciplina di cui all’art. 2542 c.c.

La scelta del modello cooperativo non stupisce se si pensa alla storica distinzione tra interessi di serie e di gruppo caratterizzanti rispettivamente i fenomeni associativi e le società di capitali[[36]].

Mentre nelle società per azioni, incentrate sul meccanismo del contratto associativo chiuso e sul perseguimento di uno scopo di lucro in senso soggettivo, il voto avviene attraverso il meccanismo del pro quota e non già del pro-capo, diversamente, il fenomeno associativo si caratterizza per l’essenzialità dell’elemento personale e per il suo carattere aperto. Come noto, nell’associazione possono aderire nuove parti senza limite alcuno, prescindendo dall’uscita di altri associati o dalla riduzione partecipativa di alcuni di essi (come, invece, avviene nelle società di capitali) e indipendentemente da una preventiva deliberazione assembleare in favore dell’allargamento dei propri membri (come avviene nelle società di persone) e senza che ciò comporti una modifica dell’atto costitutivo. 

Se, dunque, il numero chiuso dei membri appare elemento caratterizzante il contratto societario (sia nell’ipotesi della società di capitali in cui la trasmissibilità della qualifica di socio sconta il limite del numero di azioni emesse; sia in relazione alle società di persone in cui alla qualità di socio, in tali casi, è riconnessa una valutazione essenziale legata all’intuitus personae per cui una modifica della compagine sociale richiede una modifica del contratto associativo stesso), ne consegue che l’unico modello societario cui il legislatore poteva volgere lo sguardo per tutelare il perseguimento di un interesse di categoria non poteva che essere quello delle società cooperative ex art. 2521 c.c., connotate da un carattere aperto e da un fine mutualistico che le ha da sempre poste assai vicino alle associazioni[[37]]. 

Il principio di democraticità all’interno della vita associativa[[38]] si traduce, quindi, nel modello dualistico assemblea/organo di amministrazione, nel carattere aperto dell’ente, nella necessità del metodo collegiale (favorito dall’ammissibilità delle deleghe di voto e dall’utilizzo di mezzi di telecomunicazione), nel diritto di voto per testa, insopprimibile, e nell’altrettanto inderogabile competenza assembleare di nomina e revoca della maggioranza delle cariche amministrative e dell’approvazione del bilancio[[39]].

L’art. 24, dedicato all’assemblea, afferma il diritto di voto di ciascun associato, introducendo un termine minimo di adesione di tre mesi, che deve considerarsi derogabile ma non in pejus[[40]]. Il legislatore ha così introdotto un discrimine temporale tra l’assunzione della qualifica di associato – a cui è però riconosciuto sin da subito il diritto di esaminare i libri sociali – e l’esercizio del relativo diritto di voto così da evitare ammissioni strumentali a votazioni assembleari valutate di particolare importanza effettuate all’ultimo momento.

Il voto è unico e capitario per le persone fisiche, proprio perché il contributo da queste versato è a fondo perduto e non determina, quindi, né un diritto alla distribuzione degli utili, né alla restituzione della quota in caso di recesso o espulsione dell’associato né in caso di scioglimento dell’ente. Come già ricordato, la norma in questione ricalca, con qualche necessario adattamento, il modello dell’art. 2538 c.c. relativo alle società cooperative e, introduce, dunque, innovativamente, la possibilità di attribuire un peso differente (fino ad un massimo di cinque voti, in proporzione al numero dei loro associati o aderenti) al voto di quegli associati che siano ETS[[41]], così da garantire una maggiore democraticità.

Una differenziazione, dunque, tra persone fisiche e persone giuridiche (incluse le associazioni non riconosciute) all’espressa condizione che queste ultime siano non solo associate di un ETS ma anche esse stesse ETS. Ne dovrebbe derivare, secondo un’interpretazione letterale della norma, l’esclusione della facoltà del voto ponderato per quegli associati persone giuridiche prive dalla qualifica di ETS, a prescindere che siano enti senza scopo di lucro del codice civile ovvero enti societari. La ratio di tale differenziazione è evidentemente riconnessa alla volontà di mantenere il peso decisorio in capo ai soggetti che più significativamente sono mossi dalle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, evitando dunque che, per esempio, enti societari possano assumere un peso maggiore rispetto a quello delle persone fisiche, condizionando scelte dell’ETS di cui l’ente societario potrebbe beneficiare più o meno indirettamente. Purtuttavia, detta considerazione vacilla allorquando si considera la previsione secondo cui non possono assumere la qualifica di ETS[[42]] non solo le amministrazioni pubbliche, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali, di rappresentanza di categorie economiche e le associazioni di datori di lavoro, ma anche gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti. Mancando, nell’elenco, ogni riferimento a enti del libro I ovvero del libro V del codice civile, ben potrebbe ammettersi che sia proprio uno di tali enti ad esercitare direzione, coordinamento o controllo su un ETS.

Al fine, poi, di favorire la massima partecipazione al metodo assembleare delle associazioni di Terzo settore, si riconosce espressamente: (i) la facoltà di ammettere deleghe di voto (similmente alla previsione dell’art. 2539 comma primo c.c.) in favore di un qualsiasi rappresentante (non sussistono limiti legali rispetto alle condizioni soggettive del rappresentante), con il solo limite quantitativo alle deleghe[[43]] volto a salvaguardare il carattere democratico dell’ente, evitando l’acquisto di una posizione egemone da parte di uno o più associati con l’incetta di deleghe stesse; (ii) l'intervento all'assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ovvero l'espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica[[44]] (similmente alla previsione dell’art. 2370 comma quarto c.c., che include anche il voto in via elettronica, non contemplato dall’art. 3538 ultimo comma c.c.), nonché, (iii) per gli enti con un numero di associati pari o superiore a cinquecento, la costituzione e lo svolgimento di assemblee separate rispetto a specifiche materie, a particolari categorie di associati o allo svolgimento dell'attività associativa in più ambiti territoriali (nuovamente, il richiamo è all’art. 2540 c.c.). Mentre la previsione delle deleghe di voto trova applicazione in tutti gli ETS in modo automatico, salvo che lo statuto non la escluda, per ricorrere agli strumenti di voto alternativi (e per costituire assemblee separate) è, invece, necessario che lo statuto li contempli espressamente.

Delle tre previsioni citate, l’ultima è quella di maggior innovatività. 

La divisione in assemblee separate[[45]], previste dall’atto costitutivo o dallo statuto, può essere basata sul territorio e dunque sulla residenza degli associati (ad es. a livello regionale o comunale o ancora dello stesso quartiere) per le ipotesi di associazioni a larga diffusione territoriale; sulla presenza di particolari categorie di associati e, ancora, sulla base delle materie. Come noto, le assemblee separate eleggono i delegati che parteciperanno all’assemblea generale, con la necessità, da un lato, che i delegati siano sempre anche associati (diversamente da quanto avviene nel meccanismo di voto per delega, ove non rileva tale qualifica soggettiva); dall’altro, di assicurare la rappresentanza proporzionale delle minoranze espresse nelle assemblee separate. Inoltre, l’oggetto di delibera nei due momenti collegiali deve coincidere: poiché la determinazione delle assemblee separate esprime un voto che confluisce nella delibera dell’assemblea generale, le deliberazioni delle assemblee separate non possono essere autonomamente impugnate e tra i legittimati all’impugnativa si individuano, oltre agli associati assenti, dissenzienti e astenuti dell’assemblea generale, anche gli associati assenti o dissenzienti delle assemblee separate solo ove si provi che, senza i voti espressi dai delegati delle assemblee separate irregolarmente tenute, sarebbe venuta meno la maggioranza richiesta per la validità della deliberazione.

Più in generale, tra i richiami che l’articolo 24 compie alle norme del libro V del codice civile si ravvisano la disposizione relativa alle deliberazioni assembleari assunte con voto determinante di un soggetto in conflitto di interesse con l’ente (art. 2373 c.c.) e la previsione sopra ricordata relativa alle assemblee separate (art. 2540 c.c.). Entrambi gli articoli rinviano, a loro volta, all’art. 2377 c.c. per i rispettivi e specifici regimi di impugnazione delle delibere sicché la disciplina dell’art. 2377 c.c., richiamato indirettamente ed in seconda battuta, può trovare applicazione solo ed esclusivamente in relazione alle due ipotesi testé richiamate (conflitto di interessi e assemblee separate). Nonostante le previsioni del nuovo Codice appaiano anche talvolta minuziose, in mancanza dell’individuazione di una regola ovvero di un generale richiamo all’art. 2377 c.c. non risulta ancor oggi definito in modo compiuto e certo il regime impugnatorio delle delibere dell’assemblea, residuando dubbi sull’applicazione del termine ordinario quinquennale previsto per le azioni di annullamento[[46]] ovvero del termine di novanta giorni per impugnare le delibere previsto per le società per azioni e, per espresso richiamo normativo, anche per le società cooperative. Parimenti irrisolto appare il profilo delle ipotesi legittimanti l’azione di annullabilità (ovvero di nullità)[[47]], secondo un meccanismo di favor per la conversione delle cause di nullità in annullabilità, proprio similmente alla previsione dell’art. 2377 c.c.

Infine, sempre con riferimento all’assemblea, l’art. 25 prevede un lungo elenco di materie di competenza della stessa che la rubrica dell’articolo qualifica come inderogabili. Inaspettatamente, tuttavia, l’articolo in questione, al suo secondo comma, ne ammette la derogabilità, rapportandola non già alla materia in quanto tale ma alla dimensione dell’ente: è previsto, infatti, che gli ETS con non meno di 500 associati possano disciplinare le competenze dell'assemblea anche differentemente, attribuendo in tutto o in parte dette materie ad altri organi. 

Mentre nello “Schema di decreto legislativo recante Codice del Terzo settore”[[48]], il testo prevedeva una combinazione tra dimensione dell’ente e materie (gli enti con associati non inferiori a 500 membri potevano derogare le competenze in tema di approvazione del bilancio e all’approvazione del regolamento dei lavori assembleari), la versione approvata ha ammesso una derogabilità in funzione del solo dato dimensionale, a condizione – come suggerito nel parere reso dalla XII Commissione Affari Sociali del 22 giugno 2017 – che le deroghe assembleari rispettino i principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali. Così, in ragione di detti principi e alla luce di osservazioni già formulate con specifico riguardo alle associazioni non riconosciute[[49]], dovrebbero ritenersi inderogabili le competenze assembleari in tema di nomina e revoca degli amministratori, di azione di responsabilità e di approvazione del bilancio (oltre alle competenze relative alle modifiche statutarie, all’estinzione dell’ente, alla devoluzione del fondo comune, in quanto costituiscono l’essenza del fenomeno); diversamente, le altre materie potranno essere statutariamente attribuite ad altri organi, anche creati ex novo dall’autonomia privata.

Sarebbe stata, allora, forse preferibile l’individuazione in un nucleo minimo di materie inderogabili, riservando invece le altre alla competenza assembleare solo se non derogate dallo statuto. Infatti, l’art. 25, da un lato, irrigidisce eccessivamente gli enti, i quali se composti da una base associativa inferiore ai 500 membri non possono derogare in alcun modo alle (molte) competenze assembleari indicate dal legislatore; dall’altro, la deroga prevista per gli enti di più ampie dimensioni pone un problema di compatibilità rispetto ai principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali che costituiscono il limite dell’autonomia privata.


L’organo amministrativo degli ETS

Il successivo articolo 26 del Codice prevede l’obbligatorietà dell’organo amministrativo e, sebbene non indichi espressamente la sua composizione numerica, non dovrebbe ravvisarsi ostacolo alcuno all’ammissibilità di una sua composizione monocratica (così come espressamente previsto in relazione all’organo di controllo): la nozione di organo non è incompatibile con quella dell’unipersonalità e l’intervento normativo in materia di cooperative[[50]] lascerebbe intendere la necessità di una norma che escluda espressamente la composizione singola e non, al contrario, di una norma che ne ammetta l’unipersonalità[[51]]. 

La disposizione ricalca, ancora una volta, la previsione dell’art. 2542 c.c. in materia di società cooperativa e segue due direttive in merito alla nomina. Da un lato, la norma indica quali requisiti devono possedere gli amministratori e, dall’altro, da chi devono essere eletti.

Sotto il primo profilo, emerge come la maggioranza degli amministratori debba necessariamente essere una persona fisica associata dell’ente ovvero indicata dagli enti associati, ponendo quindi alla base della regola il legame di associazione[[52]] in quanto considerato maggiormente confacente alla protezione degli interessi di categoria, similmente alla disciplina in materia di società cooperative e in contrapposizione alla disposizione in materia di società di capitali di cui all’art. 2380 bis, comma secondo c.c. Ne deriva, per converso, che solo la minoranza degli amministratori può essere soggetto non associato dell’ETS e, dunque, esterno alla compagine.

In ogni caso, a pena di ineleggibilità e decadenza, non possono essere nominati amministratori i soggetti interdetti, inabilitati, falliti, o condannati ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità di esercitare uffici direttivi; mentre gli statuti possono subordinare l'assunzione della carica di amministratore al possesso di specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di rappresentanza o reti associative del Terzo settore, a pena di ineleggibilità e decadenza (in virtù dell’ulteriore e specifico rimando alla disposizione dell’art. 2382 c.c. compiuto dal comma terzo dell’art. 26).

Sotto il secondo profilo (qual è il soggetto che nomina l’organo amministrativo), il Codice stabilisce che la nomina della maggioranza degli amministratori dell’ETS debba spettare all’ente stesso, ammettendo che, ove previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto, uno o più amministratori possano essere nominati anche da altri enti del Terzo settore, da enti senza scopo di lucro (privi evidentemente della qualifica di ETS), da enti religiosi civilmente riconosciuti (si pensi alle nomine episcopali) o da lavoratori o utenti dell'ente. 

La maggioranza degli amministratori, dunque, deve essere nominata dall'assemblea degli associati. In tal senso si esprime chiaramente l’art. 7 comma primo del d.lgs. n. 112 del 2017 e, in via interpretativa, anche il Codice del Terzo settore in quanto il comma quinto dell’art. 26, secondo cui la nomina della maggioranza degli amministratori è riservata all'assemblea «salvo quanto previsto dall'articolo 25, comma 2», riporta, ancora una volta, all’inderogabilità di detta competenza negli ETS con meno di 500 associati e altresì alla valutazione (negativa) della sua derogabilità negli enti di maggiori dimensioni associative per contrasto con i principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali, di cui si è detto. 

Agli amministratori è riconosciuto un potere esecutivo e decisionale generale così come generale è il potere di rappresentanza, mentre eventuali limitazioni sono opponibili ai terzi solo se iscritte nel Registro Unico Nazionale del Terzo settore[[53]] ovvero se si prova che i terzi ne erano a conoscenza (art. 27, comma settimo).

Stupisce in tal senso la scelta del Codice di seguire, da un lato, il modello delle società di capitali in relazione al potere di rappresentanza, stabilendone la generalità e la non opponibilità in funzione del limite dell’oggetto sociale e, dall’altro, la scelta di rendere sempre opponibili a terzi le limitazioni ai poteri degli amministratori risultanti dallo statuto o da una decisione degli organi competenti ove iscritte nel Registro unico nazionale del Terzo settore, in contrapposizione con l’impostazione delle società di capitali. Come noto, in queste ultime, le limitazioni al conferimento dei poteri gestori o rappresentativi non sono opponibili ai terzi anche se pubblicate nel Registro delle Imprese, tanto che l’opponibilità di tali limiti deriva non già dalla relativa iscrizione – di per sé irrilevante – quanto esclusivamente dall’atteggiamento del terzo che tratti con la società con dolo intenzionale, a danno di questa[[54]] (art. 2384 c.c.). 

Antiteticamente, nel Codice del Terzo settore l’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore delle limitazioni del potere di rappresentanza rende queste ultime opponibili ai terzi e, del pari, produce lo stesso effetto di opponibilità anche la mera conoscenza della limitazione di potere da parte dei terzi, secondo la disposizione dell’art. 19 del codice civile.

Ne deriva, evidentemente, un problema di valutazione delle regole applicabili per gli atti ultra vires.

Parte della dottrina[[55]] ha così argomentato come nelle ipotesi di mancanza, abuso e di eccesso dei poteri rappresentativi, che si traduce in atti eccedenti i limiti statutari, si dovrebbe ritenere questi ultimi non opponibili ai terzi; mentre secondo altra dottrina[[56]] sarebbe parimenti legittima, data la poca chiarezza dell’articolo, una lettura volta ad argomentare la tutelabilità dei soli terzi in buona fede ovvero la lettura secondo cui l’art. 26 non configurerebbe un mandato generale ma solo limitato all’oggetto sociale.


I controlli interni: organo di controllo e revisore legale dei conti

Sempre in tema di ordinamento e amministrazione, il Codice del Terzo settore prevede, infine, la necessità che gli ETS si dotino di altri due organi, secondo un principio di gradualità similare, ancora una volta, a quanto previsto nelle società cooperative ex art. 2543 c.c. (e nelle Srl ex art. 2477 c.c.).

In particolare, il sistema di controlli interni prevede un organo di controllo allorquando, per due esercizi consecutivi[[57]], l’associazione ETS supera due delle seguenti soglie: a) totale dell'attivo dello stato patrimoniale per Euro 110.000,00; b) ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate per Euro 220.000,00; c) dipendenti occupati in media durante l'esercizio di 5 unità. L’obbligo viene meno se per due esercizi consecutivi detti limiti non vengono superati (art. 30).

Analogamente, se l’ente supera per due esercizi consecutivi due dei seguenti limiti: a) totale dell'attivo dello stato patrimoniale per Euro 1.100.000,00; b) ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate per Euro 2.200.000,00; c) dipendenti occupati in media durante l'esercizio di 12 unità, nasce l’obbligo di nominare un revisore legale dei conti o una società di revisione legale (art. 31)[[58]]. 

Il superamento delle soglie quantitative è dunque condizione per l’obbligo di nomina, da parte dell’assemblea[[59]], di detti organi. 

Diversamente, come precedentemente detto, l’organo di controllo interno risulta sempre obbligatorio, a prescindere da qualsivoglia dato dimensionale, nelle fondazioni ETS e, altresì, risultano obbligatori tanto l’organo di controllo quanto il revisore legale dei conti nelle ipotesi in cui l’ETS costituisca uno o più patrimoni destinati ex art. 2447-bis c.c. (art. 10). 

Passando in rassegna i compiti attribuiti dal legislatore all’organo di controllo nel Codice del Terzo settore emerge chiaramente come esso «è chiamato a svolgere una funzione di vigilanza di portata generale, che investe tutti gli aspetti della vita dell’ente, e che può richiedere di interfacciarsi con tutti gli altri organi e le rispettive funzioni»[[60]], assumendo quasi un ruolo di garante circa il corretto funzionamento dell’ente sia internamente, a favore degli associati, sia esternamente, nei confronti di finanziatori, beneficiari, destinatari delle attività dell’ente. E, infatti, ad esso sono assegnati i compiti “tradizionali” ma soprattutto emblematici compiti “innovativi”. 

Tra i primi rientrano la vigilanza (i) del rispetto dei principi di corretta amministrazione e dell’osservanza della legge e dello statuto; (ii) dell'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile e il concreto funzionamento dell’ente. Tra i compiti innovativi significativamente vengono individuati (iii) il monitoraggio dell'osservanza delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, che si estrinseca in relazione all’attività di interesse generale e secondaria (artt. 5 e 6), al rispetto delle previsioni per l’eventuale raccolta fondi (art. 7), così come al rispetto del non distribution constraint in forma diretta quanto indiretta (art. 8). Ulteriormente, l’organo di controllo deve provvedere (iv) all’attestazione che il bilancio sociale è stato redatto in conformità alle linee guida previste e, non da ultimo, a (v) vigilare sulle norme previste per la costituzione del patrimonio separato, ove previsto, a tutela delle regole di responsabilità patrimoniali così da prevenire comportamenti fraudolenti.

Proprio queste funzioni innovative sottolineano la centralità del nuovo trinomio operativo «controllo interno/trasparenza del funzionamento dell’ente/rapporti fiduciari» che si pone alla base dei legami interni (associati e amministratori) e soprattutto esterni (enti pubblici, finanziatori, beneficiari delle prestazioni). Le finalità, l’interesse generale, le attività degli ETS hanno di fatto indotto il legislatore a ridefinire le competenze degli organi di controllo e vigilanza secondo un’accezione di tutela dei rapporti fiduciari, anche in considerazione del percepimento di benefici, tra cui quelli fiscali, di risorse pubbliche (fondi, contributi e sovvenzioni), di finanziamenti anche privati e dell’attività di raccolte fondi. Il Codice disegna, così, un sistema che, a fianco delle attività di controllo più tipicamente interne, prevede una «proiezione esterna della attività e delle funzioni dell’organo di controllo», volta a garantire la fiducia dei soggetti, esterni per l’appunto, a cui l’ente del Terzo settore si rapporta «sia nel percorso che dall’esterno … fa affluire [le risorse patrimoniali] verso l’ente (finanziamento), sia nell’itinerario che dall’ente le conduce verso le finalità istituzionali perseguite (erogazioni)»[[61]].



[1] E. QUADRI, Il Terzo settore tra diritto speciale e diritto generale, in Nuova giur. civ. comm., 2018, II, 708; G. MARASÀ, Appunti sui requisiti di qualificazione degli enti del Terzo settore: attività, finalità, forme organizzative e pubblicità, in Nuove leggi civ., 2018, 675; M. CEOLIN, Il c.d. codice del Terzo settore: un’occasione mancata?, ivi, 2018, 1; A. MAZZULLO, Il nuovo codice del Terzo settore, Torino, 2017; GORGONI (a cura di), Il Codice del Terzo settore, Pisa, 2018; FICI (a cura di), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, Napoli, 2018; F DONATI – F. SANCHINI (a cura di), Il Codice del Terzo settore, Milano, 2019.

[2] Si tratta di due dei cinque testi normativi (d.lgs. n. 117 del 2017: Codice del Terzo settore; d.lgs. n. 112 del 2017: Revisione della disciplina in materia di Impresa Sociale; d.lgs. n. 111 del 2017: Disciplina dell'istituto del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche; d.lgs. n. 40 del 2017: Istituzione e disciplina del Servizio Civile universale; d.P.R. 28 luglio 2017: Approvazione dello Statuto Fondazione Italia Sociale) che hanno dato attuazione alla legge delega 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale).

[3] Chiara è la formulazione dell’art. 3 del Codice del Terzo settore: «Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore».

La definizione lascia emergere un importante cambio di approccio che, dalla centralità del profilo fiscale oggetto della normativa Onlus (d.lgs. n. 460 del 1997), riporta alla centralità del diritto civile, in ragione del quale sono poi definiti i regimi fiscal-tributari. Si segnala quindi il profilo di problematicità ai fini del riconoscimento della qualifica di ETS per i trust Onlus (di particolare importanza per la disciplina del c.d. Dopo di Noi): ad essi è infatti pacificamente riconosciuta la soggettività tributaria ma non anche la soggettività giuridica che appare, invece, essere richiesta dall’art. 3 ove, anche nell’inciso dedicato agli enti atipici, discorre di “altri enti di diritto privato”.

[4] Significativo il report redatto per il Comitato Economico e Sociale Europeo: J.L. MONZÓN CAMPOS – R. CHAVES ÁVILA, The Social Economy in the European Union, Brussels, 2012, a cui si rimanda altresì per gli ampi richiami bibliografici e il successivo studio, sempre per il Comitato, ID., Recent evolutions of the social economy in the European Union, Brussels, 2017.

[5] In Spagna ley 5/2011 de Economía Social; in Portogallo lei 30/2013 de Bases da Economia Social e o Código Cooperativo; in Francia loi 856/2014 relative à l'économie sociale et solidaire; in Romania legge 219/15 sull'economia sociale, in Grecia legge 4430/2016 sull'economia sociale e solidale.

[6] Per un ampio approfondimento del tema, si v. FICI (a cura di), Diritto dell’Economia Sociale, Napoli.

[7] Fa eccezione, per esempio, la legge francese. Tipicamente sono soggetti dell’economia civile le società cooperative, le mutue, le associazioni e le fondazioni.

[8] A. FICI, Introduzione, in ID. (a cura di), Diritto dell’Economia Sociale, cit., spec. 19-20.

[9] Si v. il recente S. ALCESTE, Le organizzazioni non profit e le forme di partnership con gli enti pubblici nella riforma del Terzo settore, Bononia University Press, 2018.

[10] I riferimenti sono a S. ZAMAGNI, Dal no profit all’economia civile, in AA.VV., Le Aziende no profit tra Stato e mercato, Bologna, 1996, 207; ID., Non profit come economia civile, Bologna, 1999; L. BRUNI – S. ZAMAGNI, L’economia civile, Bologna, 2015.

[11] Per gli enti fondazionali e associativi le norme di cui al libro I del codice civile devono essere altresì integrate da quelle previste dal Codice del Terzo settore, di cui si dirà a breve, che trovano applicazione anche nell’ipotesi che detti enti assumano la qualifica di impresa sociale.

Il rapporto tra fonti è chiarito dal comma quinto dell’art. 1 del d.lgs. n. 112 del 2017: alle imprese sociali si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice del Terzo settore e, in mancanza e per gli aspetti non disciplinati, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l'impresa sociale è costituita.

[12] A. BERLE, For Whom are Corporate Menagers Trustees?, in 45 Hav. Law Rev., 1932, 1145; M. FRIEDMAN, The Social Responsibility of Business is to increase its Profits, in New York Times Magazine, Settembre 1970; C. JENSEN – W.H. MECKLING, Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Costs and Ownership Structure, in 3 Journal of Financial Economics, 1976, 305.

[13] R. FREEMAN, Strategic Management: A Stakeholder Approach, Pitman, 1984.

[14] L. 28 dicembre 2015, n. 208, commi 376-384.

[15] Comma 376.

[16] Art. 19, d.lgs. n. 145 del 2007.

[17] Così l’art. 1 del d.lgs. n. 117 del 2017 che definisce finalità e oggetto e analogamente l’art. 1 della legge delega n. 106 del 2016.

[18] Così il comma secondo dell’art. 1 del d.lgs. n. 112 del 2017.

Le società costituite da un unico socio persona fisica, gli enti con scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche, inoltre, non possono assumere la carica sociale della presidenza dell’ente (comma secondo art. 7): è ammesso che possano ricoprire altre cariche sociali ma sempre con il limite del divieto di controllo sull’ente stesso.

[19] Comma terzo dell’art. 4 del d.lgs. n. 112 del 2017.

Del resto, con una logica assolutamente speculare, ha previsto che non possano assumere la qualifica di ETS gli enti sottoposti a direzione, coordinamento o controllo da pubbliche amministrazioni, formazioni e associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche e associazioni di datori di lavoro (art. 4, comma secondo, d.lgs. n. 117 del 2017).

[20] Negli altri ETS le previsioni non impongono un obbligo di nomina, lasciando che essa sia una facoltà rimessa alla disciplina statutaria.

[21] Si v., al riguardo, le osservazioni di A. FICI, Funzione e modelli di disciplina dell’impresa sociale in prospettiva comparata, in ID. (a cura di), Diritto dell’economia sociale, cit., 289 già ante riforma.

[22] A. FICI, Fonti della disciplina, nozione e governance degli enti del Terzo settore, in ID. (a cura di), La riforma del Terzo settore, cit., 83.

[23] Così, per esempio, l’art. 34, comma primo in base al quale nelle ODV tutti gli amministratori devono essere scelti tra le persone fisiche associate o indicate, tra i propri associati, dagli enti associati, nonché il comma secondo, in base al quale il i componenti degli organi sociali non possono ricevere compensi.

[24] Così, il titolo V “Di particolari categorie di enti del Terzo settore”.

Si v. F. GRECO, Categorie di enti del Terzo settore, in GORGONI (a cura di), Il codice del Terzo settore, cit., 269.

[25] In tal senso gli artt. 30 e 31 ma, altresì, nella direttiva della graduazione si pongono anche gli articoli 13 e 14, per esempio, in materia di scritture contabili e bilancio.

[26] G. MARASÀ, Enti del Libro I ed attività di impresa: problemi di disciplina, relazione tenuta a Roma il 22 giugno 2017 presso la Luiss, nel convegno di Studio organizzato dalla Fondazione Italiana del Notariato su “La riforma del c.d. Terzo settore”.

[27] Così l’art. 10 d.lgs. n. 117 del 2017.

[28] Si v. ampiamente, C. IBBA, Codice del Terzo settore e diritto societario, in Riv. soc., 2019, 1, 62; C. AMATO, Ordinamento e amministrazione, in GORGONI (a cura di), Il Codice del Terzo settore, cit., 25.

[29] D. POLETTI, Costituzione e forme organizzative, in GORGONI (a cura di), Il codice del Terzo settore, cit., 203.

[30] Ampiamente M. MALTONI, L’organizzazione delle fondazioni del Terzo settore, in questa rivista, 1, 2020.

[31] E. BELLEZZA – F. FLORIAN, Fondazioni di partecipazione, Piacenza, 2006; E. BELLEZZA, Fondazione di partecipazione e riscoperta della comunità e F. FLORIAN, La fondazione di partecipazione, le fondazioni tradizionali, le fondazioni di origine bancaria e le associazioni: elementi distintivi, entrambi in Le fondazioni di partecipazione. I Quaderni Fondazione Italiana Notariato, Gruppo 24Ore, 2007; G. COLTRARO, Le iniziative culturali dell’impresa e l’opportunità del controllo dell’investimento: dalla fondazione di partecipazione ai trusts, in Notariato, 2013, 545; A. FUSARO, La fondazione tra modello tradizionale e modello partecipativo quale strumento per la tutela delle categorie svantaggiate, in Vita not., 2011, 1089; M. MALTONI, La fondazione di partecipazione: natura giuridica e legittimità, in Fondazioni di Partecipazione. I Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, cit., 25; R. GIACINTI – D. CADONI, Le fondazioni di partecipazione: tipologie ed esemplificazioni, in Enti non profit, 2005, 177; M. GORGONI, Le fondazioni di partecipazione, in BRUSCUGLIA – ROSSI (a cura di), Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro, Milano, 2002, 523.

[32] Cfr. Cons. Stato, Parere, Adunanza Commissione speciale, 31 maggio 2017, n. 1405, in www.giustiziaamministrativa.it.

[33] Così C. AMATO, Enti del Terzo settore: ordinamento e amministrazione, cit., spec. 216.

[34] In questi termini l’art. 4, lett. d) l. 6 giugno 2016, n. 106, delega al Governo per la riforma del Terzo settore.

[35] Rispettivamente, articoli 27, 28 e 29 d.lgs. n. 117 del 2017.

[36] Il riferimento è a F. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati: artt. 36-42 c.c., in SCIALOJA – BRANCA (a cura di), Commentario al codice civile, Milano, 1976, passim.

[37] Ampiamente G. AMATO, Enti del Terzo settore, cit., passim. 

[38] Ampiamente, N. RICCIARDELLI, La democraticità degli enti del Terzo settore, in questa rivista, 2020, 1.

[39] G. PONZANELLI – V. MONTANI, Dal “groviglio di leggi speciali” al Codice del terzo settore, in FICI (a cura di), La riforma del Terzo settore, cit., 31.

[40] Circolare del Ministero e delle Politiche Sociali n. 20 del 27 dicembre 2018.

[41] Un’ulteriore eccezione rispetto al voto capitario è rappresentata dall’esclusione in capo agli amministratori, ove siano anche associati, del voto nelle ipotesi in cui l’assemblea deliberi sulla loro responsabilità. Sul punto si rinvia alle considerazioni più articolate svolte da C. AMATO, Enti del Terzo settore, cit., 242, 243.

[42] G. PONZANELLI, La nuova categoria degli enti del Terzo settore: alcune considerazioni introduttive, in GORGONI (a cura di), Il codice del Terzo settore, cit., 1.

[43] Ciascun associato può rappresentare sino ad un massimo di tre associati nelle associazioni con un numero di associati inferiore a cinquecento e di cinque associati in quelle con un numero di associati non inferiore a cinquecento. Per espresso richiamo dei commi 4 e 5 dell’art. 2372 c.c., la delega non può essere rilasciata con il nome del rappresentante in bianco ed è sempre revocabile nonostante ogni patto contrario ed il rappresentante può farsi sostituire solo da chi sia espressamente indicato nella delega. Inoltre, nelle ipotesi in cui la rappresentanza sia conferita ad una società, associazione, fondazione od altro ente collettivo o istituzione, questi possono delegare soltanto un proprio dipendente o collaboratore e non anche ai membri degli organi amministrativi o di controllo.

[44] Purché sia possibile verificare l'identità dell'associato che partecipa e vota.

[45] G.A.M. TRIMARCHI, Questioni in tema di assemblea nelle società cooperative, in Studi e materiali in tema di riforma delle società cooperative, Milano, 2005, 647; E. CUSA, Sub art. 2540, in BONFANTE – CORAPI – MARZIALE – RORDORF – SALAFIA (a cura di), Codice commentato delle nuove società, Milano, 2004, 1540; ID., La nuova disciplina delle assemblee separate, in Riv. dir. priv., 2004, 799; G. PRESTI (a cura di), Società cooperative. Artt. 2511-2548, Alba, 2007.

[46] Ex pluribus, M.V. DE GIORGI, Le persone giuridiche in generale, le associazioni e le fondazioni, in RESCIGNO (diretto da) Trattato di diritto privato, II, 1, Torino, 1999, 407.

[47] Ampiamente, C. AMATO, Enti del Terzo settore, cit., spec. 248-251.

[48] Schema di decreto legislativo recante Codice del Terzo settore, Atto n. 417.

[49] Sia consentito il richiamo a V. MONTANI, Sub art. 36 in PONZANELLI (a cura di), Le associazioni non riconosciute, in BUSNELLI (diretto da), Il codice civile. Commentario, Milano, 2017, 86.

[50] Art. 1, comma 936, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, “Legge di bilancio 2018”.

[51] Sul punto cfr. Circolare del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Riforma del Terzo settore: elementi professionali e criticità applicative, aprile 2019, spec. 28.

[52] In merito alla necessità che gli amministratori delle associazioni non riconosciute di cui al codice civile siano anche associati, si v. ampiamente F. GALGANO, Delle persone giuridiche: disposizioni generali, delle associazioni e delle fondazioni: artt. 11-35 c.c., in SCIALOJA – BRANCA (fondato da) e GALGANO (continuato da), Commentario al codice civile, Milano, 2006, 210.

[53] Inoltre, gli amministratori, entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina, devono chiederne l'iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore, indicando per ciascuno di essi il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza, nonché a quali di essi è attribuita la rappresentanza dell'ente, precisando se disgiuntamente o congiuntamente (art. 27, comma sesto).

[54] L. NAZZICONE, Sub art. 2384, in LO CASCIO (a cura di), La riforma del diritto societario, Società per azioni-amministrazione e controlli, Milano, 2003, 58.

[55] C. AMATO, Enti del Terzo settore, cit., spec. 255.

[56] C. IBBA, Codice del Terzo settore e diritto societario, relazione tenuta a Padova il 9 novembre 2018 presso l’Univeristà degli Studi di Padova, nel convegno dal titolo “Terzo settore, impresa e società” ed ora in Riv. soc., 2019, 1, 62.

[57] Con riferimento al rapporto tra durata della nomina, che, in assenza di diversa previsione, ai sensi dell’art. 2400 c.c. dura tre esercizi, e previsione del Codice del Terzo settore, si v. le riflessioni di A. NERVI, Controlli interni e responsabilità, in GORGONI (a cura di), Il codice del Terzo settore, cit., spec. 428, le quali trovano pari applicazione anche in relazione alla durata dell’incarico dei revisori legali.

[58] Il riferimento alla sua disciplina è assente nel dettato dell’art. 31 eppure la valenza del riferimento normativo di cui al d.lgs. n. 39 del 2010 deriva dal richiamo ad esso contenuto nell’art. 28.

[59] Sempre con la derogabilità dell’art. 25, comma secondo.

[60] A. NERVI, Controlli interni e responsabilità, cit., spec. 435.

[61] A. NERVI, op. cit., 442.