Partecipazioni in società di persone: usufrutto, pegno, sequestro e pignoramento
Criticità dei vincoli sulle partecipazioni in società di persone
Sebbene dottrina e giurisprudenza abbiano da tempo affrontato e risolto in maniera pacifica la questione se le quote di società di persone possano formare oggetto di diritti reali minori, quali il pegno e l’usufrutto, la diversa questione della pignorabilità di tali partecipazioni, anch’essa probabilmente pacifica a livello teorico, continua a formare oggetto di controversie, come emerge dalla costante giurisprudenza che continua a pronunciarsi sul punto.
D’altro canto, se ad oggi si può ritenere ammissibile la costituzione di usufrutto e pegno di quote di società di persone, qualche perplessità potrebbe nascere con riferimento ad alcuni profili negoziali specifici, quali ad esempio la possibilità di rinunciare all’usufrutto sulle partecipazioni sociali o la costituzione di usufrutto successivo sulla partecipazione sociale.
Si tenterà, quindi, di ricostruire, da un punto di vista operativo, le problematiche connesse alla costituzione di usufrutto, pegno, sequestro e al pignoramento delle quote di società personali.
Ammissibilità di diritti reali minori su quota di società di persone
Il legislatore non prevede espressamente la possibilità di costituire i diritti di usufrutto e pegno sulle quote di partecipazione in società personali; ciò impone di verificare, in via preliminare, se dette quote possano essere considerate beni idonei a formare oggetto di usufrutto ex art. 978 c.c. o di pegno ex art. 2784 c.c.
La dottrina anteriore al codice del 1942 aveva escluso l’ammissibilità dell’usufrutto e del pegno di quota di società di persone, proprio perché questa non rientrerebbe nella categoria dei beni mobili e universalità di mobili, né in quella dei crediti e altri diritti aventi ad oggetto beni mobili; pertanto, la quota non farebbe parte di quei beni e diritti sui quali possono esser costituiti l’usufrutto e il pegno[[1]].
Successivamente, tale orientamento si è modificato e la dottrina ha generalmente ritenuto possibile la costituzione tanto di usufrutto quanto di pegno di quota di società di persone, proponendo, però, diverse ricostruzioni teoriche.
Alcuni autori sostengono che la quota di partecipazione sia un bene sui generis, e, pertanto, ritengono ammissibile che essa possa formare oggetto di pegno o di usufrutto[[2]].
Altri autori, invece, configurano la quota quale espressione del diritto di partecipare al contratto di società. In questo caso, poiché la cessione di quota è cessione del contratto, l’usufrutto o il pegno di quota consisterebbero nel trasferimento al terzo usufruttuario o creditore pignoratizio di determinati diritti derivanti dal contratto sociale in favore del socio, primo fra tutti il diritto agli utili[[3]].
La giurisprudenza ha manifestato posizioni contrastanti sulla natura giuridica della quota e sulla sua idoneità a formare oggetto di diritti. In base ad un primo orientamento, la quota non costituisce un bene a sé stante, idoneo a formare oggetto di diritti; essa, pertanto, non sarebbe suscettibile di possesso, proprietà o altri diritti reali[[4]]. Secondo l’orientamento più recente, invece, la quota di società di persone può formare oggetto di diritti ai sensi dell’art. 810 c.c., e rientrerebbe nella categoria residuale dei beni mobili immateriali di cui all’art. 812, terzo comma, c.c.[[5]].
Si può, in definitiva, osservare che, così come la quota sociale è alienabile, allo stesso modo essa può formare oggetto di atti di disposizione “minori”, quali la costituzione di diritti reali minori, in quanto la partecipazione in società di persone è considerata res mobile[[6]].
La Cassazione ha ribadito che «le quote sociali, sia delle società di capitali che delle società di persone, costituiscono posizioni contrattuali obiettivate, suscettibili, come tali, di essere negoziate in quanto dotate di un autonomo valore di scambio che consente di qualificarle come beni giuridici»[[7]].
L’usufrutto
La dottrina è orientata da diverso tempo per la ammissibilità della costituzione di usufrutto su quote di società di persone, compresa anche quella dell’accomandatario[[8]].
Perché l'usufrutto sia validamente costituito e, conseguentemente, produca i propri effetti nei confronti degli altri soci e della società, occorre, infatti, che esso sia accettato dagli stessi; in tal caso, il consenso è regolato dalle disposizioni dell'art. 2252 c.c. (unanimità dei consensi, salvo che sia diversamente convenuto) per i casi di società semplice, in nome collettivo e dei soci accomandatari, e dell'art. 2322, secondo comma, c.c. (maggioranza dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale sociale) per le quote dei soci accomandanti.
La dottrina[[9]] ritiene che la forma da adottarsi per la costituzione dell'usufrutto sia la stessa richiesta per il trasferimento della quota, sostenendosi come tale vicenda integri una modificazione del contratto sociale, soggetta peraltro ad iscrizione nel Registro delle imprese, non essendo presente altro mezzo dal quale farla risultare[[10]].
Ciò non sta, tuttavia, a significare che tale modificazione implichi un ingresso del soggetto cui è attribuito il diritto di usufrutto nel contratto di società: la modifica, infatti, riguarda non la posizione di socio, bensì la spettanza di alcuni diritti e prerogative (normalmente) del socio.
Occorre considerare che la giurisprudenza ha più volte ribadito che l’usufruttuario, pur essendo titolare di diritti sociali patrimoniali e amministrativi, non è socio[[11]], «non solo perché non è voluto come tale dagli altri soci, ma anche perché alla somma dei suoi poteri manca proprio quello più incisivo, relativo alle decisioni sulle modificazioni del contratto sociale (e alle operazioni amministrative precluse all’institore); inoltre (valutando la posizione sotto il profilo della responsabilità) anche quando tale responsabilità possa ritenersi illimitata, essa sarebbe diversa da quella del socio»[[12]].
È discusso, invece, se all’usufruttuario competano, oltre ai diritti a contenuto strettamente patrimoniale, anche diritti incidenti sull’amministrazione della società, e se lo stesso assuma responsabilità personale illimitata per le obbligazioni sociali.
Una parte della dottrina si è espressa in senso positivo, in quanto riconosce all'usufruttuario il diritto di gestione della società, fondando tale soluzione sia sulla norma che attribuisce all'usufruttuario il potere di godimento della cosa (artt. 981 e 1004 c.c.), sia sulla disciplina dell'usufrutto di azienda, che affida ed impone la gestione dell'azienda all'usufruttuario (art. 2561 c.c.), sia, infine, sulla disciplina dell'usufrutto di azioni (art. 2352 c.c.), applicata per analogia[[13]].
Occorre, tuttavia, tenere presente che la costituzione dell’usufrutto è consentita, purché la stessa sia compatibile con la disciplina specifica delle società di persone[[14]].
A tal fine si è autorevolmente rilevata la presenza di un conflitto tra la figura generale dell'usufrutto, che indubbiamente comprende "poteri di amministrazione" del bene, ed esigenze specifiche del diritto delle società.
Considerato, infatti, che la qualità di socio rimane in capo al nudo proprietario, qualora si riconoscesse all’usufruttuario il potere di amministrare, si creerebbe una scissione tra soggetto illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali (il socio nudo proprietario) e amministratore (terzo usufruttuario).
Ciò ha portato ad escludere la pedissequa applicazione delle regole dell’usufrutto all’ipotesi in cui esso gravi sulla partecipazione del socio amministratore di società di persone, poiché altrimenti si realizzerebbe un effetto che va addirittura oltre la presenza di estranei amministratori della società, il che è incompatibile con il tipo delle società di persone[[15]].
Considerato ammissibile l’usufrutto su quota di società di persone, appare quindi preferibile ritenere che, laddove esso abbia ad oggetto la partecipazione di un socio amministratore, quale quella ad esempio dell’accomandatario, l’usufruttuario non abbia il potere di gestione della società che, invece, rimane in capo al nudo proprietario socio amministratore o accomandatario[[16]].
A questo punto ci si può chiedere se l’usufruttuario della partecipazione sociale possa rinunciare al diritto di usufrutto.
La chiave per risolvere il quesito è rappresentata dal fatto che socio è il nudo proprietario, cui spettano i connessi poteri di amministrazione, la potestà di modificare i patti sociali nonché il diritto di recesso il cui esercizio costituisce disposizione e non godimento della qualità di socio.
Ciò posto, un rilievo fondamentale, ai fini della questione che interessa, assume proprio la natura della partecipazione e della qualità di socio nella società di persone, in cui vi è la compresenza dell’elemento contrattuale e di quello patrimoniale, rispetto, invece, alla posizione dell’usufruttuario.
Se, infatti, il diritto di partecipazione fosse configurabile alla stregua di un diritto con rilievo esclusivamente patrimoniale, esso dovrebbe considerarsi rinunciabile, ma di rinuncia alla quota non è possibile parlare, tanto che l’unica forma di “disimpegno” ammessa è quella – tipicamente contrattuale – del recesso[[17]].
All’opposto, l’usufruttuario, che non è socio, non è parte di tale contratto, ancorché per la costituzione del diritto sia necessario il consenso dei soci: la modifica, infatti, riguarda non la posizione di socio, bensì la spettanza di alcuni diritti e prerogative (normalmente) del socio.
Sotto tale profilo, va comunque sottolineata la natura patrimoniale del diritto di usufrutto, per la rinuncia al quale è da escludersi qualsiasi rilievo del consenso dei soci.
Se, infatti, nella fase costitutiva dell’usufrutto il consenso di tutti i soci è richiesto al fine di consentire l’attribuzione di taluni diritti a soggetti estranei alla compagine sociale, la medesima esigenza non può evidentemente porsi rispetto alle vicende estintive dell’usufrutto, tra cui figura la rinuncia, per effetto delle quali i predetti diritti ritornano in capo al nudo proprietario già socio[[18]].
Un’altra domanda che ci si è posti è se sia possibile costituire l’usufrutto successivo sulla quota sociale, e a tal fine occorre stabilire se la disciplina delle società di persone sia compatibile con l’art. 796, c.c., il quale dispone che «è permesso al donante di riservare l’usufrutto dei beni donati a proprio vantaggio, e dopo di lui a vantaggio di un’altra persona o anche di più persone, ma non successivamente».
Tale norma disciplina un’ipotesi di successione di due diritti di usufrutto sul medesimo bene che si realizza per effetto di un unico atto di disposizione, consistente in una donazione con riserva dell’usufrutto in favore del donante e, dopo di lui, di un terzo.
Ai fini della compatibilità di tale fattispecie con la disciplina delle società semplici occorre, dunque, esaminare due profili: quello del trasferimento di diritti sulla quota sociale e quello relativo alla sorte di tali diritti in caso di morte dei soggetti coinvolti nell’operazione negoziale.
Quanto al primo profilo, come in precedenza rilevato, la costituzione dell’usufrutto è una modifica del contratto sociale per la quale occorre il consenso di tutti i soci salvo diversa previsione.
Tali conclusioni, formulate in riferimento alla costituzione di un usufrutto “semplice”, necessariamente valgono anche per l’eventuale costituzione di un usufrutto successivo, la quale dovrà, pertanto, essere effettuata con il consenso di tutti gli altri soci.
In merito, invece, ai profili successori riguardanti la sorte della quota sociale gravata da usufrutto successivo, occorre fare una distinzione tra la morte di colui che ha riservato l’usufrutto per sé e, dopo la sua morte, in favore di un terzo, e la morte del nudo proprietario della quota.
Soltanto in caso di morte del nudo proprietario della quota trova applicazione la disciplina dell’art. 2284 c.c., che attribuisce agli eredi del socio (nudo proprietario) defunto il diritto alla liquidazione della quota, a meno che i soci superstiti non preferiscano sciogliere la società o continuarla con gli eredi stessi, e salvo contraria disposizione del contratto sociale.
Ciò in quanto, come abbiamo in precedenza osservato, soltanto il nudo proprietario è socio e non anche l’usufruttuario.
La presenza dell’usufrutto successivo non è incompatibile con le previsioni contenute nell’art. 2284 c.c., in quanto si verifica una situazione analoga a quella della morte del socio nudo proprietario di quota gravata da un usufrutto “semplice” e non successivo.
Gli eredi del socio defunto, quindi, acquistano ai sensi dell’art. 2284 c.c. il diritto alla liquidazione della quota di partecipazione che, però, risulta essere gravata dall’usufrutto in favore del disponente e, successivamente, in favore del terzo.
La presenza dell’usufrutto successivo non sembra essere d’ostacolo alla possibilità, per i soci superstiti, di scegliere se sciogliere la società o continuarla con gli eredi stessi, qualora vi acconsentano, in qualità di nudi proprietari della quota, né esclude la possibilità che il contratto sociale disciplini la sorte della quota di partecipazione attraverso eventuali clausole di continuazione della società, nei limiti e con le modalità in cui esse sono generalmente consentite.
Nel caso di continuazione della società con gli eredi, la quota continuerà ad essere gravata dall’usufrutto in favore del disponente e, dopo di lui, del titolare dell’usufrutto successivo.
Diversamente, in caso di liquidazione degli eredi, si pone in essere un atto di dismissione della partecipazione sociale al quale consegue un “trasferimento” del diritto di usufrutto su quanto ricevuto in sede di liquidazione soggetto alla regola contenuta nell’art. 1000 c.c. («Per la riscossione di somme che rappresentano un capitale gravato d'usufrutto, è necessario il concorso del titolare del credito e dell'usufruttuario. Il pagamento fatto a uno solo di essi non è opponibile all'altro, salve in ogni caso le norme relative alla cessione dei crediti. Il capitale riscosso dev'essere investito in modo fruttifero e su di esso si trasferisce l'usufrutto. Se le parti non sono d'accordo sul modo d'investimento, provvede l'autorità giudiziaria»).
Si tratta di una norma volta a disciplinare, in sostanza, l'usufrutto di crediti e comporta il mantenimento del diritto alla restituzione del capitale (la somma ricevuta a seguito della assegnazione in sede di liquidazione) in capo al nudo proprietario, mentre il diritto ai frutti resterà di spettanza dell'usufruttuario[[19]].
Peraltro, l’art. 1000 c.c. impone una cooperazione tra usufruttuario e nudo proprietario al fine della riscossione del capitale, evitando in tal modo possibili abusi di una parte a danno dell'altra.
Quanto, quindi, alla sorte del diritto di usufrutto, la norma prevede espressamente il “trasferimento” dell’usufrutto sul capitale riscosso e, quindi, una sorta di “conversione” dell'oggetto del diritto reale limitato sulle somme ricavate dalla liquidazione della partecipazione del socio defunto[[20]].
Per effetto di tale “conversione”, i rispettivi diritti sul capitale riscosso e investito a norma dell'art. 1000 c.c. saranno rapportati, nella durata, a quella dell’originario usufrutto sulle partecipazioni sociali e, quindi, nel caso di usufrutto successivo, tali diritti spetteranno agli usufruttuari conformemente a quanto stabilito nel contratto originario.
Nel diverso caso, invece, di morte del disponente, si estingue l’usufrutto in suo favore e si costituisce l’usufrutto in favore del terzo in virtù della riserva pattuita ai sensi dell’art. 796 c.c. L’art. 796 c.c., infatti, attribuisce al donante la facoltà di costituire due usufrutti: un primo in proprio favore, che è immediatamente efficace, ed un secondo, successivo all’estinzione del primo, a favore di un terzo sottoposto al termine iniziale della morte del donante ed alla condizione sospensiva della premorienza del donante rispetto al terzo[[21]].
La costituzione del secondo usufrutto avviene, quindi, automaticamente al momento della morte del disponente e, qualora abbia ad oggetto una partecipazione in società personale, non richiede una nuova manifestazione della volontà di tutti gli altri soci, in quanto il consenso di questi ultimi risulta prestato al momento della costituzione dell’usufrutto successivo[[22]].
In conclusione, la donazione della quota di partecipazione in società di persone con riserva di usufrutto successivo non contrasta né con il principio per cui le quote di società di persone possono formare oggetto di usufrutto, purché con il consenso di tutti i soci, né con quanto previsto dall’art. 2284 c.c., che disciplina la sorte della partecipazione sociale in caso di morte del socio.
Il pegno
Per stabilire, viceversa, se sia consentita la costituzione del pegno, occorre verificare se la stessa sia compatibile con la disciplina specifica delle società di persone[[23]].
Il pegno è un diritto reale di garanzia che attribuisce al suo titolare il potere di alienare il bene che ne forma oggetto (art. 2796 c.c.) e di soddisfarsi sul ricavato della vendita con preferenza rispetto ad altri creditori (art. 2787 c.c.), oppure di ottenere l’assegnazione del bene stesso in luogo del pagamento del credito garantito (art. 2798 c.c.)[[24]].
La disciplina del pegno prevede, inoltre, che se è data in pegno una cosa fruttifera, il creditore, salvo patto contrario, ha la facoltà di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale (art. 2791 c.c.).
La costituzione del pegno su quota di società di persone attribuisce, quindi, al creditore pignoratizio il diritto di far vendere la quota sociale o di ottenerne l’assegnazione per il caso di inadempimento dell’obbligazione garantita e, se non viene diversamente disposto, di far propri gli utili e la quota di liquidazione, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale.
L’effetto di un simile atto consiste, pertanto, nel trasferimento a terzi di alcuni dei diritti derivanti dalla partecipazione sociale, quali il diritto agli utili e alla quota di liquidazione, e nell’attribuzione del potere di vendita coattiva della quota o di assegnazione della stessa.
Quanto al primo aspetto (trasferimento del diritto agli utili e alla quota di liquidazione), si può rilevare che si tratta di diritti patrimoniali la cui cessione sembra essere ammissibile anche senza il consenso degli altri soci. Essi, infatti, hanno contenuto economico e si configurano quali crediti del socio nei confronti della società, alla quale tale cessione potrebbe eventualmente essere resa opponibile mediante la notifica di cui all’art. 1264 c.c.[[25]].
Quanto, invece, al secondo aspetto (potere di vendita coattiva della quota o di assegnazione della stessa), appare opportuno esaminare alcuni profili problematici.
Innanzitutto, si deve tener conto di quanto previsto nell’art. 2270 c.c., il quale stabilisce che «Il creditore particolare del socio, finché dura la società, può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione. Se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, il creditore particolare del socio può inoltre chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore. La quota deve essere liquidata entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento della società».
Tale norma non sembra porsi in contrasto con i poteri del creditore particolare del socio che sia titolare del pegno sulla partecipazione. L’art. 2770 c.c., infatti, vieta la liquidazione anticipata della quota, salvo il caso in cui gli altri beni del socio debitore siano insufficienti a soddisfare i suoi debiti.
Il pegno, invece, attribuisce al creditore la facoltà di vendere coattivamente la quota o di chiederne l’assegnazione in suo favore in luogo dell’adempimento dell’obbligazione garantita se il socio debitore è inadempiente. In tal caso, non si verifica la liquidazione della quota, bensì un cambiamento della titolarità della stessa, che resta “in vita”, ma in capo a un altro soggetto.
Ne deriva, quindi, che i poteri attribuiti al creditore pignoratizio non sembrano essere incompatibili con il regime della responsabilità patrimoniale previsto per le società di persone.
La facoltà di vendere o di ottenere l’assegnazione della partecipazione potrebbe, invece, essere in contrasto con il regime della trasferibilità delle quote di società di persone. Il trasferimento delle quote di società personali è, infatti, una modifica dei patti sociali, che può avvenire solo con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente, tranne il caso della quota di accomandante, che è trasmissibile o per causa di morte o per atto tra vivi con il consenso della maggioranza e salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.
In ragione di tali considerazioni, poiché il pegno attribuisce la possibilità di trasferire a terzi la quota sociale, la costituzione di un simile diritto appare possibile, purché avvenga con le stesse modalità previste per il trasferimento della quota. Pertanto, per costituire il pegno su quota di società di persone occorre il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente nell’atto costitutivo per le modifiche dello stesso, e, nel caso di pegno su quota di accomandante, è sufficiente il consenso della maggioranza, sempre salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo[[26]]. Qualora, poi, i patti sociali prevedano che il trasferimento debba essere autorizzato dalla maggioranza dei soci, o solo da alcuni di essi, tali requisiti dovranno essere rispettati anche per l’atto costitutivo del pegno[[27]].
Tale conclusione appare, peraltro, confermata dalla disciplina specifica del pegno: se, infatti, si ritiene che la partecipazione sociale sia una situazione giuridica complessa, che comprende una pluralità di diritti, obblighi e facoltà, e che, quindi, il pegno di quota deve essere ricondotto alla figura del pegno di diritti diversi dai crediti[[28]], troverebbe applicazione l’art. 2806 c.c., secondo cui «il pegno di diritti diversi dai crediti si costituisce nella forma rispettivamente richiesta per il trasferimento dei diritti stessi, fermo il disposto del terzo comma dell’articolo 2787», il quale richiede comunque la forma scritta quando il credito garantito eccede la somma di Euro 2,58.
Per quanto riguarda la diversa questione delle regolamentazioni da inserire nell’atto costitutivo del pegno, si pone il problema della corretta ripartizione tra socio e creditore pignoratizio dell’esercizio dei diritti sociali. È possibile che vi sia un accordo tra tutte le parti (socio debitore, creditore pignoratizio e altri soci), con il quale vengano individuati con precisione i poteri spettanti al socio e al creditore pignoratizio.
Qualora, invece, la costituzione in pegno della quota sia stata stipulata solamente tra debitore e creditore, e gli altri soci si siano limitati ad esprimere il loro consenso, occorre determinare i poteri spettanti a ciascun soggetto sulla base di criteri generali.
In primo luogo, la dottrina più autorevole tende ad escludere l’applicabilità analogica delle disposizioni contenute nell’art. 2352 c.c., in tema di pegno e usufrutto di azioni, per le peculiarità che caratterizzano le società di persone.
In secondo luogo, occorre tener presente che i diritti amministrativi connessi alla titolarità della quota spettano al creditore pignoratizio nella misura in cui questi siano finalizzati alla conservazione del bene oggetto di pegno.
Alla luce di tali considerazioni, la dottrina ha elaborato la seguente ricostruzione:
1) spetta al creditore pignoratizio il diritto agli utili sociali, in applicazione del principio per il quale se è data in pegno una cosa fruttifera, il creditore, salvo patto contrario, ha la facoltà di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi, poi al capitale ex art. 2791 c.c.[[29]];
2) per quanto riguarda, invece, il diritto alla quota di liquidazione, sembra plausibile l'opinione che ne richiede l'esercizio congiunto da parte del proprietario e del creditore pignoratizio, eventualmente poi trasferendosi il diritto di pegno sulla somma così ricavata[[30]];
3) l'obbligo di conferimento, anche in sede di aumento del capitale, incombe sul socio, che deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza, in quanto esso non rientra nel potere di gestione della quota a scopo conservativo[[31]];
4) la questione più controversa riguarda il diritto di voto e, soprattutto, il potere di amministrare. Conformemente al principio secondo il quale i diritti amministrativi si trasmettono al creditore pignoratizio nella misura in cui questi siano finalizzati alla conservazione del bene oggetto di pegno, deve ritenersi che l’amministrazione societaria spetti al debitore-socio, mentre al creditore pignoratizio competono la facoltà di partecipare ad alcuni atti di amministrazione potenzialmente pregiudizievoli della propria garanzia, il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i documenti relativi all’amministrazione. Il diritto di ottenere il rendiconto, invece, compete disgiuntamente al creditore e al socio[[32]];
5) il recesso, poiché non rientra nel potere di conservazione della quota, compete al socio[[33]];
6) al creditore pignoratizio non si applica il divieto di concorrenza, né la disciplina del fallimento, in quanto non è socio[[34]].
La pubblicità
Per quanto riguarda, infine, il regime di pubblicità dell’atto di costituzione di usufrutto e pegno della quota sociale, trattandosi di modifica dei patti sociali, trova applicazione l’art. 2300 c.c., il quale stabilisce l’inopponibilità a terzi delle modifiche non iscritte nel registro delle imprese.
Ciò vale sia nel caso in cui la costituzione dell’usufrutto o del pegno richieda il consenso di tutti i soci, sia nel caso in cui i patti sociali ne consentano la libera costituzione, in quanto per effetto di tale atto alcuni dei diritti sociali vengono attribuiti a un terzo e, pertanto, appare opportuno dare pubblicità a tale modifica.
A ciò si aggiunge, per il pegno, la considerazione dell’interesse che possono avere gli altri creditori particolari del socio alla conoscenza di una causa di prelazione sulla quota del loro debitore, ai fini di cui all’art. 2307, terzo comma, c.c., nonché quella dell’interesse dei creditori sociali, i quali potrebbero fare affidamento sulla somma liquidata al socio, ai fini di cui all’art. 2312 c.c.
Sembra, quindi, opportuno applicare l’art. 2300 c.c., con conseguente iscrizione di tale atto nel registro delle imprese[[35]].
Tale norma stabilisce che «gli amministratori devono richiedere nel termine di trenta giorni all’ufficio del registro delle imprese l’iscrizione delle modificazioni dell’atto costitutivo e degli altri fatti relativi alla società, dei quali è obbligatoria l’iscrizione. Se la modificazione dell’atto costitutivo risulta da deliberazione dei soci, questa deve essere depositata in copia autentica. Le modificazioni dell’atto costitutivo, finché non sono iscritte, non sono opponibili ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza».
Da tale disposizione si evince come l’obbligo di iscrizione non riguardi soltanto le modificazioni contrattuali delle clausole dei patti sociali, ma anche gli «altri fatti relativi alla società» che incidono sugli elementi di cui all’art. 2295 c.c. (contenente l’elenco dei contenuti tipici dell’atto costitutivo), i quali possono consistere in provvedimenti giurisdizionali, come quelli in materia di esclusione, o in atti unilaterali, come appunto il recesso o le dimissioni dell’amministratore, o ancora in meri fatti, quali ad esempio la dichiarazione di fallimento, la liquidazione della quota su richiesta del creditore particolare del socio.
In tutti questi casi, trova applicazione l’art. 11, comma 4, del d.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, il quale dispone che «l’atto da iscrivere è depositato in originale, con sottoscrizione autenticata, se trattasi di scrittura privata non depositata presso un notaio. Negli altri casi è depositato in copia autentica. L’estratto è depositato in forma autentica ai sensi dell’art. 2718 del codice civile»[[36]].
Pertanto, in merito alla costituzione del pegno su quota, tanto nell’ipotesi in cui occorra il consenso di tutti i soci, quanto nell’ipotesi in cui i patti sociali ne consentano la libera costituzione, trattandosi di atto soggetto all’iscrizione nel registro delle imprese, occorre la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Sequestro e pignoramento
Dal complesso delle disposizioni in tema di società di persone si esclude che le quote di società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita semplice possano formare oggetto di espropriazione fino a quando non si verifichi lo scioglimento della società o del rapporto limitatamente al socio debitore[[37]].
Tale conclusione è desumibile dalla regola secondo cui la partecipazione sociale può essere trasferita solo con il consenso di tutti i soci, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.
L’affermazione è stata recentissimamente ribadita:
– dal Tribunale di Monza, con sentenza del 22 gennaio 2019, secondo cui le quote di partecipazione di una società di persone che per disposizione dell'atto costitutivo siano trasferibili con il (solo) consenso del cedente e del cessionario, salvo il diritto di prelazione in favore degli altri soci, possono essere sottoposte a sequestro conservativo ed essere espropriate a beneficio dei creditori particolari del socio anche prima dello scioglimento della società[[38]];
– e dal Tribunale di Roma, Ufficio del Giudice del Registro delle imprese, con provvedimento del 22 settembre 2016[[39]], che ha negato la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione del pignoramento di quote sociali di società di persone, stante il principio di tipicità degli atti da iscrivere nel registro delle imprese: infatti, a differenza di quanto previsto dalla disciplina sulla espropriazione delle quote di società a responsabilità limitata (art. 2471 c.c.), il codice civile e quello di procedura civile non prevedono tale possibilità.
Le ragioni sostanziali che portano a negare l’ammissibilità del pignoramento di quote di società di persone sono ben note: il pignoramento, infatti, si porrebbe in netto contrasto con il disposto dell’art. 2305, c.c., secondo cui «il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore».
L’espropriazione della quota, comportando l’inserimento nella compagine sociale di un nuovo soggetto prescindendo dalla volontà degli altri soci, introdurrebbe un elemento di “novità” incompatibile con i caratteri di tale tipo di società[[40]].
Soluzione che appare, peraltro, coerente con la disciplina in tema di azioni esecutive del creditore particolare del socio, che nelle società semplici può, ai sensi dell’art. 2270 c.c., compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest'ultimo nella liquidazione e chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore soltanto se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti.
Secondo un orientamento costante, tanto in dottrina[[41]] che in giurisprudenza[[42]], la quota attuale di partecipazione del socio di società in nome collettivo, non essendo di regola liberamente trasferibile, non è suscettibile di espropriazione forzata, risultando dal sistema della legge la correlazione tra libera trasferibilità ed espropriabilità. Tra gli atti conservativi che il creditore particolare del socio può compiere sulla quota spettante a quest'ultimo nella liquidazione ai sensi dell'art. 2270, 1° comma, c.c., non rientra, quindi, il pignoramento, in quanto la finalità "espropriativa" tipica di tale atto esecutivo non può essere piegata a mere finalità «conservative» in vista della futura aggressione della quota che spetterà al socio in esito al compimento delle operazioni di liquidazione della società.
«Tale orientamento giurisprudenziale trova la propria ratio proprio nel fondamento su cui si basa la società di persone. Infatti, con la espropriazione della quota si realizzerebbe il trasferimento coattivo della posizione sociale e si perverrebbe ad una modificazione sociale posta in essere solo con un'iniziativa unilaterale di un terzo, in contrasto con quanto sancito dall'art. 2252 c.c. che subordina la modificabilità del contratto al consenso di tutti i soci. Non va inoltre dimenticato che in ossequio di quanto previsto dall'art. 2305 c.c. "il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore". Infatti, "poiché la società di persone è configurabile come una pluralità di soggetti i cui patrimoni sono, ciascuno per una parte, gravati da un vincolo derivante dalla loro parziale destinazione al conseguimento di uno scopo comune, i creditori particolari del socio, non possono vantare alcun diritto sul patrimonio sociale né possono sui relativi beni far valere il privilegio che presidia il loro credito, concorrendo con i creditori della società. Solo quando, esaurita la liquidazione della società sarà attribuita al socio la quota di liquidazione, i creditori particolari di costui potranno sulla stessa far valere i loro diritti»[[43]].
Si ritiene, invece, che, laddove le quote sociali siano trasferibili, possa ammettersi il sequestro conservativo delle stesse e, secondo alcuni, il successivo pignoramento, non ricorrendo la ragione che, nelle previsioni del legislatore, ne giustifica l'inespropriabilità e non correndosi il rischio di attribuire alla partecipazione sociale, in occasione della successiva espropriazione forzata, un valore maggiore di quello che aveva nel patrimonio del debitore esecutato[[44]].
In questo stesso senso si è espressa la Suprema Corte[[45]], che ha affermato l’espropriabilità della quota nell’ipotesi in cui lo statuto preveda la libera cedibilità della stessa: «l’espropriabilità delle quote delle società personali liberamente trasferibili è generalmente riconosciuta, sul rilievo che, in tal caso, viene a mancare la ragione che, nelle previsioni del legislatore, ne giustifica l’inespropriabilità, in deroga al principio sancito in via generale dall’art. 2740 c.c.»; aggiungendo che l’espropriabilità va affermata anche quando la libera circolazione della quota è limitata – dallo statuto – dall’attribuzione di un diritto di prelazione in favore degli altri soci. In tali casi le quote possono essere sottoposte a sequestro conservativo ed essere espropriate a beneficio dei creditori particolari del socio anche prima dello scioglimento della società.
Da ciò si evince che l’espropriabilità (e, quindi, anche, la possibilità di assoggettare la quota a pignoramento) presuppone che il contratto sociale statuisca – in positivo – la trasferibilità della partecipazione: in mancanza di detta statuizione la partecipazione non è espropriabile e, dunque, non è neppure suscettibile di pignoramento.
Invero, nello stesso senso si esprime anche Trib. Napoli, sez. distaccata Afragola, 11 febbraio 2011, che individua i rimedi a tutela del creditore particolare del socio nelle ipotesi in cui lo statuto non preveda la libera cedibilità della quota (con o senza riconoscimento del diritto di prelazione in capo agli altri soci) e, quindi, la quota non sia pignorabile (e, prima, sequestrabile): a) nelle società semplici, ove il patrimonio del socio sia insufficiente, nel diritto di chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore (art. 2270, comma 2° c.c.); b) nelle società in nome collettivo e nella società in accomandita semplice, invece, nell’opposizione alla proroga della società (art. 2307 c.c.). Ma la pronuncia ribadisce che «non pare, invece, possibile procedere al pignoramento della somma (futura ed incerta) spettante al socio di una Sas a seguito della (futura) liquidazione della sua quota».
Quindi, solo se v’è un’espressa previsione di trasferibilità ha senso discorrere di pignorabilità della partecipazione.
Nella più recente giurisprudenza, peraltro, si è affermato che l’astratta espropriabilità della partecipazione – e di conseguenza la sua astratta pignorabilità – trovano un ulteriore limite nella mancanza di una previsione legislativa che disciplini la relativa procedura di iscrizione o di deposito, il che, in considerazione del principio di tipicità degli atti da iscrivere nel registro, anche laddove vi si volesse procedere a soli fini di pubblicità notizia, porta ad escludere la sussistenza dei presupposti per disporre l’iscrizione nel Registro delle imprese del pignoramento[[46]].
[1] G. VENEZIAN, Dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione, II, Torino, 1913, 454; F. FERRARA, Usufrutto dei crediti nel diritto civile italiano, in Scritti giuridici, II, Milano, 1954, 230.
[2] A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali e di azioni, in Riv. dir. comm., 1947, I, 12; G. COTTINO, Diritto commerciale, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna, 1968, 4.
[3] F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, in Contr. impr., 1992, 1126; G. SANTINI, Le società a responsabilità limitata, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, cit., 10.
[4] Cass., 3 novembre 1989, n. 4063, in Giur. it., 1990, I, 937.
[5] Cass., 30 gennaio 1997, n. 934, in Giur. comm., 1998, II, 23, con nota di BANNA.
[6] Ad esempio, la quota di partecipazione in società di persone può formare oggetto del diritto di usufrutto, in quanto essa ha la natura di bene mobile immateriale ai sensi dell’art. 812 c.c. e, pertanto, è suscettibile di essere oggetto tanto del diritto di proprietà, quanto di diritti reali minori (Trib. Trento, 17 gennaio 1997, in Giur. Comm., 1999, 188, con nota di PESCATORE; A. PAVONE LA ROSA, Usufrutto di quota sociale nelle società in nome collettivo, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Catania, II, 1948, 332; P. PISCITELLO, Società di persone a struttura aperta e circolazione delle quote, Padova, 1997, 22; A. RUGGERI CANNATA, Sull’ammissibilità dell’usufrutto di quota di società personali, nota a decr. Trib. Trento, 14 gennaio 1997 – decr. Trib. Trento, 6 settembre 1996, in Vita not., 1998, II, 855.
[7] Cass., 7 novembre 2002, n. 15605, in Vita not., 2003, 943.
[8] Sul punto, F. CORSINI, Note in tema di usufrutto su quota di società di persone, in Notariato, 1998, 353 ss.; M.A. MICHINELLI, Pegno usufrutto di quote di società in accomandita semplice alla luce delle recenti evoluzioni giurisprudenziali, in Giur. comm., 1998, 199 ss. E, soprattutto, C. ANGELICI, Usufrutto di quote nella società in accomandita semplice, in Studi e materiali, 1995, 274 ss.; Trib. Trento, 17 gennaio 1997, in Giur. comm., 1999, 188, con nota di PESCATORE; Trib. Biella, 23 ottobre 1999, in Dir. fall., 1999, II, 1251 e ss.; Trib. Milano, 16 luglio 2008, in Giur. it., 2009, 650; Trib. Verona, 10 ottobre 1996, in Soc., 1997, 913. Quest’ultima pronuncia, peraltro, aveva dichiarato inammissibile la costituzione, a favore di un accomandatario, dell’usufrutto sulla quota di un accomandante.
[9] V., per esempio, Le società personali, Padova, 1972, 671.
[10] A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali e di azioni, cit., 18.
[11] Trib. Biella, 23 ottobre 1999, cit.; Trib. Parma, 7 febbraio 1998, in Giur. mer., 1999, 530, con nota di G. FAUCEGLIA, Sull’usufruttuario di quote, amministratore di società personale.
[12] M. GHIDINI, Le società personali, Padova, 1972, 678; A. PAVONE LA ROSA, Usufrutto di quota sociale nelle società in nome collettivo, cit., 334; G. SANTINI, Le società a responsabilità limitata, cit., 135; F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, cit., 1139. Secondo G. FERRI, Società, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, cit., 384, lo status di socio potrebbe essere riconosciuto al nudo proprietario e all’usufruttuario soltanto in maniera congiunta, in quanto essi sono titolari di una posizione unitaria. In senso contrario si esprime, invece, A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali e di azioni, cit., 1947, 17.
[13] A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali e di azioni, cit., 1947, 23; A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, 114; P. PISCITELLO, Società di persone a struttura aperta e circolazione delle quote. Modelli legali ed autonomia statutaria, cit., 231; M. GHIDINI, Le società personali, cit., 676; F. CORSINI, Note in tema di usufrutto su quota di società di persone, cit., 353.
[14] A. RUGGERI CANNATA, Sull'ammissibilità dell'usufrutto di quota di società personali, cit., 855.
[15] In tal senso, C. ANGELICI, Usufrutto di quote nella società in accomandita semplice, cit., 278; F. CORSINI, Note in tema di usufrutto su quota di società di persone, cit., 373; P. PISCITELLO, Società di persone a struttura aperta e circolazione delle quote. Modelli legali ed autonomia statutaria, cit., 231; E. TIMPANO, Questioni in tema di usufrutto su quote di società di persone, in Riv. not., 2009, 1585 ss.
[16] D. BOGGIALI – A. RUOTOLO, Usufrutto su quote di società in accomandita semplice, Quesito di Impresa n. 235-2014/I, in CNN Notizie del 5 maggio 2014; A. RUOTOLO – D. BOGGIALI, Società in accomandita semplice, usufrutto di quota dell’accomandante e successione, Quesito di Impresa n. 116-2017/I, in CNN Notizie del 23 luglio 2018.
[17] G. SANTINI, Le società responsabilità limitata, cit., 25, per il quale si può rinunciare all’esercizio dei singoli diritti, si può rinunciare a crediti maturati, rimanendo socio, ma – come è risaputo – l’unico modo previsto dalla legge di perdere la qualità di socio è quello di recedere dalla società, ed il recesso è un modo di estinzione di rapporti contrattuali, non anche di diritti.
[18] A. RUOTOLO – D. BOGGIALI, Rinuncia all’usufrutto su quota di accomandante di Sas, Quesito n. 294-2017/I, in CNN Notizie del 8 luglio 2018.
[19] G. DE MARTINO, Sub art. 1000, in Commentario Scialoja-Branca, cit., 266 ss.
[20] C. ANGELICI, Le azioni, in Commentario Schlesinger, cit., 210 e 217. V. anche Quesito n. 36-2007/I. Azioni concesse in usufrutto e riduzione reale del capitale sociale di SpA ex art. 2445 cod. civ., mediante rimborso di parte del capitale sociale ai soci, est. A. PAOLINI, in CNN Notizie del 18 luglio 2007, relativa alla diversa ma analoga ipotesi di assegnazione di immobili in sede di riduzione reale del capitale sociale
[21] L. SGROI, Brevi note in tema di donazione dell’usufrutto da parte del nudo proprietario, in Vita not., 1991, 1170; C. TRINCHILLO, Riflessioni in merito all’art. 796, c.c. e dintorni, in Riv. not., 2003, 912.
[22] D. BOGGIALI, Usufrutto successivo su quote di partecipazione in società di persone, Quesito n. 91-2006/I, in CNN Notizie del 16 giugno 2006 e in Studi e materiali, 2006, 2026.
[23] A. RUOTOLO – D. BOGGIALI, Pegno su quota di società di persone, in Studi e materiali, 2009, 622 ss.
[24] G. GORLA, Del pegno. Delle ipoteche, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna-Roma 1968, 8, rileva che il legislatore non ha raccolto in un’unica norma gli effetti del pegno; esso, però, analogamente all’ipoteca, svolge una funzione principale di garanzia che consiste nel tutelare l’azione esecutiva del creditore contro il pericolo di eventuali atti di disposizione del bene e nell’attribuire prelazione nella distribuzione del ricavato della vendita forzata.
[25] M. GHIDINI, Le società personali, cit., 667.
[26] Sulle modalità di costituzione del pegno v., più ampiamente, il par. successivo.
[27] V. BUONOCORE – G. CASTELLANO – G. DI CHIO, Società di persone, Milano, 1978, 487; F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, cit., 1128; per l’ipotesi di costituzione dell’usufrutto, C. ANGELICI, Usufrutto di quote della società in accomandita semplice, cit., 274; F. CORSINI, Note in tema di usufrutto su quota di società di persone, cit., 353.
[28] M. GHIDINI, Le società personali, cit., 685. Sull’elenco dei poteri spettanti al creditore pignoratizio, v. infra par. “L’usufrutto”.
[29] C. ANGELICI, Usufrutto di quote della società in accomandita semplice, cit., 274; F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, cit., 1135.
[30] A. GRAZIANI, Diritto delle società, cit., 115; C. ANGELICI, Usufrutto di quote della società in accomandita semplice, cit., 274; F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, cit., 1135.
[31] M. GHIDINI, Le società personali, cit., 689.
[32] Ex art. 2261, c.c. In tal senso F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, cit., 1134. L’attribuzione al creditore pignoratizio del potere di amministrare pone, tuttavia, il problema di stabilire le conseguenze di tale potere sotto il profilo della responsabilità per i debiti sociali del creditore pignoratizio, in particolare nell’ipotesi di fallimento della società. Premesso che su tale questioni non esiste una soluzione univoca (sul punto, v. P. PISCITELLO, Circolazione delle quote e riforma delle società di persone, in Riv. soc., 2001, 788), resta ferma l’opportunità di riconoscere tali diritti al creditore pignoratizio, eventualmente individuando, nei patti sociali, i casi nei quali il voto e l’amministrazione spettino al socio debitore.
[33] M. GHIDINI, Le società personali, cit., 689.
[34] M. GHIDINI, Le società personali, cit., 690.
[35] BUONAIUTO, Pegno e usufrutto di quote di società in nome collettivo, in http://www.diritto.it/, rivista giuridica online. Nello stesso senso L. ZAMPAGLIONE, L’iscrizione nel Registro delle imprese del pegno su quote di società di persone, in Notariato, 2007, 184 ss. In senso contrario, però, è stato osservato che il pegno di quota comporti una modificazione del contratto sociale solo nel momento in cui si procede alla vendita conseguente all’esecuzione forzata. Prima di tale momento, l’unica modifica che si produce in capo alla società consiste nell’obbligo per l’amministratore di versare gli eventuali utili percepiti nelle mani del creditore pignoratizio e non del socio debitore. M.A. MICHINELLI, Pegno usufrutto di quote di società in accomandita semplice alla luce delle recenti evoluzioni giurisprudenziali, cit., 214; F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, cit., 1136, per il quale anzi se un soggetto volesse iscrivere una costituzione di pegno, tale richiesta dovrebbe essergli rifiutata, stante il principio del numero chiuso degli atti registrabili.
[36] A. FEDELE, Società in nome collettivo e in accomandita semplice: forme, esibizioni documentali e loro integrazione, in Riv. not., 1990, 1300.
[37] D. BOGGIALI – A. RUOTOLO, Pignorabilità di quote di Snc e divieto statutario di trasferimento, Quesito di Impresa n. 107-2015/I, in CNN Notizie del 6 maggio 2015; D. BOGGIALI – A. RUOTOLO, Sas, morte del socio, sequestro conservativo e transazione, Quesito di Impresa n. 577-2014/I, in CNN Notizie del 6 maggio 2015; A. RUOTOLO – D. BOGGIALI, Snc, esclusione del socio, pignoramento della partecipazione e trasformazione in Srl, Quesito di Impresa n. 111-2015/I, in CNN Notizie del 6 maggio 2015.
[38] In CNN Notizie del 2 febbraio 2019, con nota A. RUOTOLO – D. BOGGIALI, Quote di società personali e sequestro conservativo.
[39] In CNN Notizie del 9 maggio 2017, con nota D. BOGGIALI – A. RUOTOLO, Inammissibilità del pignoramento di quote di società di persone.
[40] V. già Corte D’Appello Milano, 23 marzo 1999 che ha escluso l’ammissibilità del sequestro conservativo durante societate di quote di società in accomandita semplice; successivamente, Cass., 7 novembre 2002, n. 15065.
[41] Per tutti, F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, cit., 1128 ss., spec. 1143 ss.
[42] Trib. Trani, 23 febbraio 2007; Trib. Ravenna, 12 aprile 1994 in Società, 1995, 207; Pret. Civitanova Marche, 6 marzo 1993.
[43] Così Trib. Trani, 23 febbraio 2007.
[44] BUCALO, Il pignoramento e il sequestro presso il terzo, Padova, 1986, 138.
[45] Cass., 7 novembre 2002, n. 15065.
[46] Trib. Roma, 22 settembre 2016, cit.