Giuffré Editore

Per una rilettura degli artt. 631 e 632 c.c.: l’affidamento fiduciario di un programma

Maurizio Lupoi

Emerito di Sistemi giuridici comparati, Università di Genova

Presidente Associazione Il Trust in Italia


Il testatore conforma il futuro

Esiste un rapporto umano fra chi guarda al tempo nel quale non sarà più e colui o coloro che prenderanno il suo posto nei rapporti patrimoniali che fino a quel momento a lui avranno fatto capo: un rapporto e dunque un legame che consente a una persona di immaginarsi non più qui, ma tuttavia ancora vivente per il tramite di chi le sia succeduto nel rapporto con i beni. Questo legame è connaturato al testamento e anzi ne costituisce il fondamento culturale e sociale perché, come scrive Giustiniano nelle Istituzioni, “Testamentum ex eo appellatur, quod testatio mentis est”[[1]]; il testamento è in primo luogo la prova di una volontà che non si esaurisce nell’unico attimo nel quale si manifesterà la vocazione ereditaria. La “chiamata”, se riusciamo a figurarci il defunto che si rivolge ai propri successori, echeggia con accenti diversi e con diverse sfumature, e a ciascun chiamato comunica aspettative, sentimenti, attese, riconoscimenti, rammarichi, speranze al di là dal mero dato patrimoniale: questi accenti e queste sfumature sono talvolta manifeste e chiunque può leggerle nella scheda testamentaria, altre volte sono appena cennate e altre volte ancora rimangono prive di alcun riscontro testuale, ma sono allora rimesse alla percezione del chiamato, se non anche alla sua complicità; in tutti i casi mirano o a un nuovo dialogo o alla prosecuzione di un dialogo che aveva avuto inizio in vita e che si vuole prosegua dopo la morte mediante la condotta del successore rispetto ai beni lasciatigli. Nella finzione legale della chiamata, l’accettazione dell’erede è la risposta a una interrogazione del defunto: una interrogazione che delinea il futuro - dei beni e del chiamato al tempo stesso - in virtù di una capacità conformativa del rapporto che è esclusiva del chiamante e che quindi consente soltanto l’accettazione o il rifiuto; di qui, fra l’altro, il divieto di rinunzia condizionata o a termine o parziale sancito dall’art. 520 c.c.


L’affidamento intuito

Un brano di Pothier ci mostra una configurazione estrema di questo fenomeno: è quando egli riferisce di un marito il quale «lègue lesdits biens à un ami de sa femme avec lequel il n’a aucune convention de les rendre à sa femme, et à qui il ne donne de son vivant aucune connoissance de ce legs, dans la confiance qu’il a que ce légataire devinera facilement l’intention qu’il a eue en faisant ce legs» [[2]]; l’avvocato generale Lamoignon erige questo caso a caso generale, affermando che non è solo tramite un patto che si può realizzare una fiducia segreta[[3]]; in effetti, come il brano di Pothier mostra, esiste anche l’affidamento (“confiance”) inespresso, ma dall’erede intuito. 

In diritto francese, tanto in regime di diritto comune quanto nella giurisprudenza successiva al codice civile, si ritiene che, mancando alcuna intesa fra le parti e alcun documento giuridicamente vincolante per l’erede, la disposizione testamentaria con finalità fiduciaria né dichiarata né comunicata all’erede sia valida e che l’esecuzione della fiducia sia rimessa alla coscienza dell’erede: la giurisprudenza francese mostra che non si tratta di casi isolati[[4]] ed è allora di grande interesse, non soltanto per i cultori della comparazione giuridica, apprendere che la tecnica dell’affidamento "intuito" fu portata a livelli di perfezione in Inghilterra nel contesto dei trust destinati al sostegno della religione cattolica romana. 

Le leggi contro la Chiesa di Roma e in genere contro i cattolici romani ebbero inizio nel 1532[[5]]; esse, rimaste in vigore per tre secoli[[6]], consideravano ogni destinazione di beni in favore di scopi connessi alla religione cattolica quale "superstitious uses", contrari al bene pubblico e pericolosi per la stabilità del regno[[7]]; i cattolici tentarono di evadere queste leggi per mezzo di testamenti con i quali lasciavano i proprî beni a sacerdoti o vescovi o altre persone di sicura fede[[8]] senza la minima indicazione dello scopo e ovviamente senza che vi fossero precedenti patti o intese di alcun genere, ma nella certezza che gli eredi avrebbero capito che destinatario effettivo era la Chiesa cattolica romana nella sua articolazione territoriale locale. Così pare che regolarmente avvenisse[[9]]. 

Se i cattolici inglesi di quei secoli non avessero avuto problemi a giurare il falso non sarebbe stato necessario l’affidamento “intuito” e vi sarebbe stato un ordinario lascito testamentario preceduto da un accordo riservato circa la reale destinazione dei beni relitti; l’erede, interrogato dal giudice su istanza dei familiari del testatore (magari protestanti), avrebbe giurato, falsamente!, che i beni erano per lui e la questione sarebbe stata risolta.


Il decadimento e poi la proibizione della fiducia nel Continente europeo

Nel brano di Pothier abbiamo incontrato il termine “confiance”: il testatore “confida” che l’erede capirà. Il termine “confiance” delimita in effetti tre campi semantici: l’affidamento dei propri beni all’erede, l’affidamento nell’erede – che egli faccia quel che il defunto da lui si attende – e poi, in comune con l’italiano “confidenza”, la riservatezza, finanche il segreto, del rapporto con l’erede. 

Confiance” corrisponde al termine latino “confidentia”, per mezzo del quale il diritto comune in Europa designa il triplice campo semantico che abbiamo appena riscontrato; esso è ben più vasto del campo che il termine “fiducia” occupava nel diritto romano ed è su questo fondamento linguistico che, a fianco del tradizionale fedecommesso, emerge il “fideicommissum confidentiale”, l’antecedente storico della fattispecie oggi regolata da noi nell’art. 627 c.c.: la fiducia non manifesta.

L’attributo della segretezza è frequente e questo tipo di fedecommesso è infatti spesso denominato “fideicommissum tacitum”, ma un altro è l’elemento discretivo rispetto al fedecommesso ordinario: la mancanza di vantaggi per l’erede (o il legatario).

Questo, infatti, caratterizza il fideicommissum confidentiale, un alto momento della storia del diritto europeo che esalta l’altruismo: a differenza dall’ordinario fedecommesso, il soggetto istituito non può trarre alcun vantaggio per sé stesso e tutto deve rimettere al sostituito, onde il suo rapporto con i beni è episodico ed è funzionale al vantaggio altrui, non al proprio. 

Il fedecommesso tradizionale fu spesso attaccato, fin dall’editto di Enrico II del 1535, che ne ridusse l’estensione cronologica a tre vite, per giungere due secoli dopo all’ordinanza sulle sostituzioni del cancelliere d’Aguesseau sotto re Luigi XV nel 1747, impositiva dell’obbligo di pubblicazione e registrazione, e per terminare con la proibizione di qualsiasi sostituzione nelle leggi rivoluzionarie del 1792 in piena retorica anti-feudale[[10]]. 

Di qui l’art. 896 del codice civile, in forza del quale, premesso nel primo comma che “Les substitutions sont prohibées”, nel secondo comma si precisa che sono nulle le disposizioni che obbligano il donatario o l’erede o il legatario a conservare il bene loro trasferito e a renderlo a un terzo; l’interdizione colpisce il negozio stesso, cosicché anche il trasferimento al primo istituito, per atto fra vivi o per testamento, è nullo. I nostri codici seguirono una diversa strada, colpendo soltanto la sostituzione[[11]]; che è quanto ora dispone il codice francese[[12]].

Appena promulgato il codice civile dei Francesi, Merlin osservò che l’art. 896 non si applicava né al fedecommesso da adempiere subito, detto anche fedecommesso “puro”[[13]], né a quelle che egli chiamò "simples fiducies"[[14]] e cioè fondamentalmente ai fedecommessi confidenziali, tutti contraddistinti dalla mancanza di vantaggi per il primo chiamato, il fiduciario.

Fondamentalmente, "purus" indica la mancanza di condizione[[15]]. Nella prassi, fin dalla limpida glossa a D. 36.1.48(46)[[16]], si considerò "purus" il fedecommesso – e in genere l’affidamento fiduciario – da adempiere a una certa data o, nella fiducia non manifesta, appena rimosse, ove ve ne fossero, le circostanze ostative che avevano consigliato al testatore di non disporre apertamente; cosicché un affidamento non puro diveniva "purificato" una volta che l’evento si fosse verificato[[17]]; "purus" significa anche che manca alcun potere discrezionale in capo al fiduciario; «pur et simple sans condition, ou à jour certain, pendant la vie de l'héritier»[18], dove si pone in risalto la distinzione rispetto ai fedecommessi ordinari, non fiduciari, che prevedono l’ulteriore devoluzione solo alla morte del primo istituito.

Queste distinzioni trovarono ascolto in Francia[[19]] e nella giurisprudenza italiana[[20]], ma questa fu posta a tacere della dottrina nel contesto di una dissennata campagna contro i fedecommessi e la fiducia in genere, sancendo nullità addirittura per mezzo delle primissime norme promulgate nei territori che via via si univano al regno sardo o al regno d’Italia; per esempio, il Regio Commissario generale per le province dell’Umbria, vigente ancora il codice albertino, emanò un decreto, il cui art. 1 disponeva: «Le disposizioni di ultima volontà per via di fiducia sono vietate»[[21]]; rango di legge formale ebbero le norme promulgate nel 1870 dopo l’annessione dello Stato pontificio, che imponevano di spiegare, ossia dichiarare, entro tre mesi le fiducie «confermate con la morte del testatore»[[22]]. 

Vittorio Scialoja volle desumere da queste e altre simili norme una generale proibizione di ogni fiducia[[23]], ma questa generale proibizione non sarebbe stato possibile riscontrare nel codice civile, come numerose pronunce giurisprudenziali avevano già notato[[24]].

L’ambiente era certo fortemente ostile, a dire poco, rispetto alle fiducie, ma era, con eguale certezza, ignorantissimo della materia. Nel 1892 C. F. Gabba contestò alla giurisprudenza una «vaghezza di concetti, quanta non si riscontra in nessun'altra parte del diritto» [[25]] e affermò che «la fiducia non è più altro nel diritto italiano se non una parola vuota di senso», facendogli eco Roberto De Ruggiero che la fiducia testamentaria è «un istituto ormai morto e sepolto, anzi addirittura illecito» [[26]]; Allara parlerà della radicale nullità della fiducia testamentaria[[27]] e alla vigilia del nuovo codice, ma quando il testo dell’art. 627 c.c. era già entrato in vigore, Salvatore Pugliatti giustificò la soluti retentio della fiducia spontaneamente eseguita con la condictio ob turpem causam[[28]].


Le disposizioni cattatorie e quelle rimesse all’arbitrio altrui

Sottostante questa radicale avversione era probabilmente anche la struttura del diritto comune che vede nell’erede incaricato di compiti fiduciari una seconda persona del testatore. La struttura è antica e compare nel Digesto, laddove Scaevola riferisce che Theopompus aveva istituito eredi per testamento le due figlie e il figlio in parti eguali, peraltro sancendo in un codicillo che Pollianus avrebbe dovuto curare che la dote della figlia minore, Crispina, fosse eguale a quella della sorella maggiore e in quel contesto precisando che Pollianus "conosce la mia mente" (il testo del codicillo è in greco, la Glossa lo rese con "sciens mentem meam")[[29]]. La Glossa rileva il fondamento giuridico della soluzione: il testatore ha attribuito a Pollianus un ruolo che nessun altro può svolgere in sua vece; la chiave di comprensione del codicillo è che Pollianus conosce la mente di Theopompus e quindi quanto egli dirà corrisponde a quanto Theopompus avrebbe detto se fosse stato ancora in vita[[30]]. La verità di Pollianus è la verità di Theopompus[[31]]. La base giuridica era stata vista nella prima metà del Duecento da Odofredo: spetta al testatore decidere a chi si dovrà credere[[32]]; lo chiarisce poi Bartolo, centrando il proprio commento sulla singolarità della sufficienza di una sola testimonianza e sulla necessità che sia giurata: la dichiarazione di Pollianus è riferibile al defunto più che al dichiarante medesimo[[33]]. Fra i due era certo un accordo, al quale Bartolo, attribuisce natura contrattuale (“sapit naturam contractus”), all’origine di quel rapporto fra defunto e successore menzionato nelle prime righe del presente contributo.

Questa impostazione apre la strada all’attribuzione all’erede o a un terzo di compiti integrativi della volontà manifestata dal defunto nel testamento, compiti tendenzialmente sconfinati fino alla determinazione della persona dell’erede (disposizioni dette “cattatorie”), ma allora inammissibili come stabilì per primo il codice modenese del 1771: «Sarà nulla affatto la disposizione di chi rimettesse all'arbitrio altrui la nomina dell'erede»[[34]]: un linguaggio rimasto sostanzialmente immutato nel vigente art. 631 c.c.: «È nulla ogni disposizione testamentaria con la quale si fa dipendere dall’arbitrio di un terzo l’indicazione dell’erede».

È questa la dinamica che colloca il ripugnante “arbitrio” nelle rubriche degli artt. 631 e 632 e che mira a restringere la vastità del numero di soggetti fra i quali il soggetto incaricato può scegliere sia in campo successorio che nel campo delle liberalità (mi riferisco al mandato a donare nell’art. 778 c.c.).

Proprio questa legislazione restrittiva, però, mostra la difficoltà di comprimere la fiducia, una volta divenuto evidente che non è possibile vietarla; infatti, l’art. 627 c.c. rinuncia all’attacco e arrocca la difesa sulle disposizioni fatte a favore di incapaci a ricevere, implicitamente legittimando tutte le altre e tutelando lo spontaneo adempimento della fiducia mediante il divieto di ripetizione: dal che è stato giustamente notato che devesi desumere una tendenza dell’ordinamento nel senso di offrire tutela all’intento fiduciario[[35]].


Il potere di scelta, rimesso al fiduciario

L’attribuzione a persona di fiducia del compito di scegliere fra più possibili legatari era una fra la fattispecie più frequenti del diritto comune europeo; tanto in Francia quanto in Italia sono spesso la moglie o un fratello del testatore incaricati di scegliere a quale fra figli rimettere la parte più consistente dell’eredità[[36]]. Le disposizioni degli artt. 631 e 632 c.c. sono quindi la perfetta prosecuzione delle fattispecie conosciute nel diritto comune: perché allora la giurisprudenza moderna mostra una desolante povertà di precedenti, sicura spia del mancato ricorso della prassi professionale a queste norme? E perché, al tempo stesso, fioriscono i trust che rimettono al trustee poteri di scelta paragonabili a quelli regolati dal codice civile?

La risposta è agevole: si è anchilosata la fiducia; non perché siano cambiati i dati sociali (altrimenti non si spiegherebbe il ricorso al trust), ma perché la dottrina e la prassi professionale, portatrici di quella avversione politico-dottrinale per la fiducia, della quale ho detto, hanno perduto da oltre un secolo la capacità di individuare gli spazi prima occupati dai valori della fiducia e, naturalmente, dalla sua disciplina positiva. Privato del suo spirito, l’intero corpo delle fattispecie fiduciarie è divenuto estraneo al nostro patrimonio giuridico. E invece l’affidatario di un affidante che non c’è più, posto in controluce alla nostra storia e riletto nel quadro del diritto vigente con il manifesto intendimento di porci all’altezza della common law, se non anche sopra di essa in termini di efficienza, è una figura alla quale vale la pena di dedicarsi.


L’ampiezza del potere di scelta – quando è eccessiva

Si insegna che la volontà di un terzo non può concorrere con quella del testatore allo scopo di rendere stabile o di convalidare l’istituzione di erede enunciata nel testamento stesso. L’eccezione che oggi fonda l’art. 631, comma 2, c.c., e che fondava il sostanzialmente identico art. 834, comma 2, c.c. 1865, richiede il concorso di due elementi: che vi sia una disposizione a titolo particolare priva di destinatario e che un terzo sia stato legittimato dal testatore a individuare il beneficiario della disposizione nell’ambito della cerchia che il testatore ha predeterminato[[37]].

Di qui applicazioni tendenzialmente vastissime e, in primo luogo, il rischio dell’eccessiva ampiezza del potere: soccorrono su questo punto tre precedenti giurisprudenziali.

«Qui, Lavinia cara ti ho spiegato i miei desideri, però ti lascio libera di cambiare qualche cosa se ti pare opportuno e nessuno si permetta di criticare l'opera tua».

La Cassazione ha giudicato nulla questa attribuzione di poteri, nascente dal testamento di una mamma di nove figli, che, avendo legato la nuda proprietà dei beni mobili ai figli e il relativo usufrutto alla cognata, aveva incaricato quest’ultima, quale esecutore testamentario, di vigilare che tutto andasse per il meglio[[38]]. Civilissima espressione di affidamento, giudicata invece fonte di disposizione rimessa all’arbitrio del terzo dalla Corte di Cassazione, la quale non assegnò il minimo peso all’espressione “se ti pare opportuno” e quindi dichiarò la disposizione nulla ex art. 631, comma 1, c.c.; mentre il “cambiare qualche cosa” era ovviamente limitato all’interno dei nove figli e allora non si capisce perché sarebbe stato legittimo, stando alla lettera dell’art. 631, comma 2, c.c., affidare a Lavinia di decidere a quali figli, in quanto legatari, dovessero andare i beni mobili della loro mamma, mentre non è stato legittimo che, avendo la mamma fatto le parti, Lavinia sia stata incaricata di apportare le modifiche che ritenga opportune. 

Ecco un altro esempio di potere eccessivo:  «Prego la mia sorella di leggere sola questo mio testamento e di non dargli alcun valore se non le piacerà e vorrà disporre altrimenti».

Come appare evidente dall’espressione “la mia sorella”, questo è, come il precedente, un testamento spontaneo e, come il precedente, rimette a persona nella quale la testatrice confida di modificare le disposizioni testamentarie; anche questa disposizione fu giudicata nulla[[39]], ma direi con ragione.

Esaminiamo una terza manifestazione di affidamento vasto, contenuta in una lettera: «A mia sorella Maria. Maria Teresa […] è da considerarsi come la mia stessa persona; a lei, brevi manu, spetta quanto mi appartiene; ad evitare la iniqua tassa di successione, provveda mia sorella nella migliore e più opportuna maniera[[40]]. Mia sorella è pregata, come mia ultima volontà ed ultima mia raccomandazione, di prestare, quasi sorella, ogni cura e assistenza a Maria Teresa». 

La Cassazione, confermando la sentenza della Corte d’appello di Venezia, vide in questa lettera una istituzione di erede in favore di Maria Teresa e contemporeamente un «incarico fiduciario» a Maria «volto a favorire maggiormente» l’erede «mediante l’elusione dell’imposta che l’avrebbe colpito». Fra i modi di adempimento dell’incarico fiduciario la Cassazione espressamente enunciò la possibilità che Maria non pubblicasse la lettera, succedesse al fratello defunto in via di successione legittima – e quindi gravata da una imposta inferiore a quella che avrebbe colpito Maria Teresa – e provvedesse poi a far pervenire i beni o il ricavato della loro vendita a Maria Teresa[[41]]. 

I tre documenti appena riferiti mostrano altrettanti approcci al tema dell’incarico fiduciario e valgono quanto meno a rendere palese che l’affidamento in materia successoria occupa spazi assai più ampi di quelli che la letteratura corrente ci propone.

L’ampiezza dei compiti che il testatore può commettere, riportata alla plurisecolare damnatio dell’arbitrio in materia successoria, richiede un breve ritorno al concetto di “arbitrio”.


L’arbitrio

“Arbitrio” è termine che non coinvolge alcun giudizio negativo o deprecatorio: esso indica semplicemente la capacità di autodeterminarsi e “mero arbitrio” designa solamente una decisione raggiunta senza limitazioni o condizionamenti esterni. Il sistema degli artt. 631 e 632 c.c. subì molti mutamenti testuali nei lavori preparatori, ma alla fine si ritenne di avere risolto il problema delle caratteristiche dell’arbitrio nella scelta del legatario rimanendo sostanzialmente al testo del codice del 1865 e valutando che la predeterminazione della cerchia delle persone (o enti) fra le quali scegliere costituisse sufficiente vincolo e carattere distintivo rispetto all’ “arbitrio” non qualificato dell’art. 631, comma 1; mentre la qualificazione in negativo dell’arbitrio dell’art. 632 comma 1 (non può essere “mero arbitrio”) sembrò sufficiente per collocare l’arbitrio in un terreno non connotabile dalla capricciosità. Così però non è.

La delimitazione della cerchia all’interno della quale scegliere ex art. 631, comma 2, costituisce un limite esterno all’attività volitiva dell’onerato o del terzo e quindi non ne tocca i caratteri; all’interno di quel limite l’arbitrio, infatti, è certamente “mero” e diversamente non potrebbe essere. Anche nella scelta dell’oggetto o della quantità opera un limite esterno, posto dal testamento (come nella frase “dai qualche ricordo di me ai nostri nipotini”) perché altrimenti la disposizione dovrebbe essere reputata nulla; e all’interno di quel limite, come nel precedente caso, l’onerato o il terzo si determinano come credono e quindi il loro arbitro è “mero”. 

Collocare allora l’onerato nel quadro dei rapporti di affidamento fornisce non solo la giustificazione, ma la disciplina stessa della sua attività.


La natura fiduciaria del potere e la teoria dell’affidamento fiduciario

Le fattispecie giurisprudenziali sopra esaminate, unite a quanto sappiamo della storia del nostro diritto, mostra che siamo in presenza di una figura fiduciaria, anzi di più figure fiduciarie che hanno in comune la caratteristica di qualificare un soggetto quale affidatario di poteri commessigli dal testatore e quindi quale destinatario di obbligazioni fiduciarie. 

Il “contratto di affidamento fiduciario” ha colto l’interesse del legislatore visto che, oltre al noto richiamo nella legge sul “Dopo di noi”[[42]], esso è stato elevato al rango di categoria giuridica generale, all’interno della quale trovano posto i trust[[43]]: non è poco per una nozione giuridica che sino a meno di dieci anni fa neanche esisteva quale espressione linguistica; l’espressione fu in effetti da me inventata oltre dieci anni fa insieme a “negozi di affidamento fiduciario” e ne trattai in numerosi lavori, fra i quali tre monografie: una del 2008, una del 2014 e una del 2018[[44]].

I caratteri del contratto di affidamento fiduciario, come da me proposto, non sono necessariamente intuitivi, anzi alcuni sono decisamente contro-intuitivi, come per esempio l’esclusione dell’azione di risoluzione contrattuale; altri richiedono approfondimenti perché si ispirano a esperienze giuridiche altrui, come per esempio la nozione di “obbligazione fiduciaria”; altri ancora impongono un mutamento dei criteri valutativi dell’efficienza, spostandoli dalla sede giudiziaria alla sede negoziale della preordinazione delle possibili fasi del rapporto.

Collocate in questo quadro, le fattispecie di cui agli artt. 631 e 632 trovano senza fatica le proprie regole nelle ordinarie regole degli affidamenti fiduciari; neanche occorre enunciare il divieto di operare in conflitto di interessi e viene naturale il ricorso alle tecniche consuete dell’affidamento fiduciario, principalmente alle tre seguenti:

– la sostituzione dell’affidatario fiduciario che non agisca entro il tempo stabilito;

– la previsione di altra persona qualora quella designata venga a mancare (e questo vale anche quando sia stato designato l’erede istituito, perché il testatore potrebbe non volere che la determinazione sia assunta dagli eredi dell’erede istituito);

– l’affiancamento di un garante con i compiti opportuni secondo le specifiche circostanze: dal concorrere, mediante pareri o consensi, nella determinazione resa dall’affidatario fino alla sostituzione dell’affidatario. 

La tecnica sub a) sostituisce il ricorso al giudice previsto dall’art. 631, comma 3, e colma la lacuna esistente nell’art. 632 per il caso che l’onerato o il terzo non determinino l’oggetto o la quantità del legato. 

La tecnica sub b) colma un’altra lacuna, sia dell’art. 631 che dell’art. 632, che costituisce un gravissimo limite operativo all’efficiente operare dal rapporto mirante alla integrazione della volontà testamentaria: il venire meno della persona onerata prima che essa abbia potuto svolgere la propria funzione. La previsione di persone alternative o successive corrisponde a quanto la legge dispone in via generale per l’esecutore testamentario.

Infine, la tecnica sub c) si presta a gestire situazioni particolarmente complesse, per il miglior governo delle quali è possibile introdurre meccanismi correttivi di vario genere rispetto alla struttura tipica e specificamente la previsione del garante, analogamente a quanto a suo tempo proposi nei modelli di contratto di affidamento fiduciario.

La combinazione di queste tre tecniche permette al professionista il quale progetti le regole di un affidamento fiduciario di prendersi cura dell’efficienza del rapporto in ogni sua fase, mentre invece l’abituale approccio civilista si arresta ben prima e lascia che gli eventi trovino il proprio sbocco nel ricorso al giudice. Così sono impostate tutte le normative che presuppongono una scelta e che dispongono per il caso che essa non sia compiuta, come per esempio, oltre ai casi che stiamo esaminando, per il legato di genere e per il legato alternativo.

Gli affidamenti fiduciari – per lo meno per chi voglia attuare l’impostazione da me proposta – richiedono le ben diverse soluzioni ora indicate, le quali si accompagnano alle caratteristiche contro-intuitive poco sopra delineate: viene così in essere una tipologia di rapporto giuridico competitiva rispetto ai trust anzi sotto alcuni profili superiore.


Atto o attività

Mantenendoci entro un perimetro di sicurezza, è certamente legittima la disposizione che rimetta all’erede di determinare (all’interno della cerchia prestabilita nel testamento stesso) i legatari di quei beni del testatore che non sono oggetto di disposizione testamentaria; in sostanza, il testatore crea due masse: una disciplinata compiutamente nel testamento e una che ne rimane fuori; questa seconda sarà assegnata dal terzo o dall’erede o dagli eredi istituiti[[45]]. Un esempio è in un testamento attualmente oggetto di controversia dinanzi al Tribunale di Genova: «Lego la mia collezione filatelica al soggetto o ai soggetti che saranno scelti dall’esecutore testamentario, appresso nominato, fra mio figlio, mia figlia, mia moglie ed il trust […], da me istituito in Genova il 20 maggio 2003 con atto […]. Rimetto all’esecutore testamentario di scegliere il legatario o i legatari fra i soggetti sopra indicati, lasciando all’esecutore ogni più ampia scelta in considerazione del fatto che io ho pienamente soddisfatto in vita, per mezzo di donazioni, le spettanze ereditarie dei miei figli ma comunque desidero, in quanto possibile, prevenire contestazioni giudiziarie relative alla mia successione. A questo fine l’esecutore potrà alienare, in tutto o in parte, la suddetta collezione tenendo conto dell’andamento del mercato e rivolgendosi per la valutazione e vendita a …, a … o comunque ad altro esperto che riterrà del settore». 

Notiamo che il dialogo fra il testatore e la persona da lui onerata di scegliere può essere complesso: la clausola appena letta non solo condiziona la scelta a numerosi parametri, ma onera l’esecutore di un possibile atto impegnativo: la vendita in tutto o in parte della collezione filatelica per la specifica finalità dal testatore indicatagli. Emerge così che il potere di scelta, così come nell’art. 632 il potere di determinare la quantità, può corrispondere a soltanto una parte del compito commesso dal testatore e forse neanche la più importante, perché quel che realmente il testatore si attende dal fiduciario è una attività: cambia allora tutto perché da un evento momentaneo (la scelta) passiamo a un periodo di tempo (l’attività).

Approfondiamo ancora: una attività da svolgere con quali mezzi? Una fra le differenze conseguenti dall’essere il legatario individuato dall’erede o invece da un terzo è che, nel primo caso, il testatore può prescrivere che l’erede tenga comportamenti funzionali, adoperando le risorse ereditarie. Si pensi a un legato di prestazioni periodiche il cui importo dipenda da una serie di circostanze, cosicché sia possibile che, giunto il momento di dare inizio alle prestazioni, la somma all’uopo destinata dal testatore si riveli insufficiente; l’erede può allora essere gravato di rendere liquidi uno o più fra i beni, nella proprietà dei quali è succeduto, in modo che le prestazioni al legatario che egli stesso avrà nel frattempo designato possano attingere alla liquidità così venuta in essere[[46]].

Salta all’occhio l’inefficienza di questa soluzione perché essa non tiene conto della funzione “tempo”. Il tempo qui assume maggiore rilevanza del solito perché si tratta non di legato che si adempie per mezzo di una singola operazione, ma di legato che richiede operazioni frazionate nel tempo: oltre alle ipotesi classiche del legato di rendita vitalizia e del legato di alimenti o di mantenimento, dobbiamo tenere presenti i legati fatti ai discendenti che il testatore genericamente desideri sostenere negli studi o nella vita, affidando all’erede di scegliere fra essi onde aiutare soltanto coloro i quali presentino certi caratteri: per esempio, i più meritevoli o i più bisognosi.

È evidente che in una configurazione di questo genere l’obbligo di svolgere un’attività e l’attribuzione del potere di scelta devono essere, per così dire, spersonalizzati rispetto alla persona dell’erede gravato, il quale potrebbe venire a mancare in corso d’opera; la spersonalizzazione ancora di più appare necessaria qualora gli eredi onerati siano più di uno o quando sia necessario enucleare le risorse finanziarie necessarie per l’adempimento delle prestazioni periodiche, tenendo conto di ogni elemento di variabilità, inclusa la possibile eccedenza delle risorse accantonate rispetto all’effettiva necessità. 


L’appaltatore della successione: l’esecutore testamentario

La persona incaricata di integrare la disposizione testamentaria, oramai inquadrata quale affidatario fiduciario, può allora essere tale secondo due diverse connotazioni: o quale estensione temporale della volontà di chi non può più esprimersi o quale indipendente concorrente a un progetto che il testamento ha solo parzialmente realizzato. La prima connotazione lo avvicina all’esecutore testamentario, il quale deve «curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto», ma con la non trascurabile differenza che egli è, per definizione, posto dinanzi a disposizioni incomplete o quanto alla persona del legatario o quanto all’oggetto o alla quantità del legato. La seconda connotazione ne fa un attore indipendente sulla scena successoria, perfino così indipendente da essere in grado di perseguire le funzioni di un appaltatore della successione.

L’alternativa delle disposizioni modali – e quindi della configurazione di un erede o legatario fiduciario[[47]] – neanche si pone perché la morte dell’erede o del legatario fiduciario produce ovviamente un passaggio del modus in capo ai loro eredi: una conseguenza negativissima per la valutazione dell’efficienza della struttura. Essa, al contrario, deve essere “spersonalizzata”, come sopra indicato, e per questo fine certamente indicata la figura dell’esecutore testamentario, titolare di un ufficio di diritto privato voluto dal nostro ultimo codificatore anche per palesare, nel passaggio dal codice del 1865 al codice del 1942, la volontà di porre a disposizione dei consociati una figura che permetta una continuità applicativa della volontà del testatore che sarebbe fantasioso rimettere all’erede, per quanto strettamente onerato. È stato, in proposito, ben osservato che la nomina dell’esecutore testamentario «si rivela utile quando sia opaca la fiducia dei successori, ed opportuna nel caso in cui sia stato affidato, alla scheda, un complesso regolamento di interessi post mortem»[[48]].

Le esigenze palesate nelle pagine precedenti si fanno pressanti con riferimento a questa seconda connotazione e conducono a proporre che, in via di principio, le funzioni in parola siano affidate a un soggetto il quale riscontri tre caratteristiche: 

– sia privo di interessi sui beni rispetto ai quali egli è chiamato a esercitare poteri, 

– su tali beni possa agire direttamente

– sia agevolmente sostituibile

Il rispetto di questi tre requisiti esclude dal novero dei soggetti onerabili tanto l’erede quanto il terzo chiamato a integrare la disposizione testamentaria e conduce quindi a privilegiare l’esecutore testamentario che non sia né erede né legatario

Sebbene sia vero che le funzioni di cui agli art. 631 e 632 c.c. (come quelle di cui agli artt. 664, comma 2, e 665) guardino solitamente a attività da compiersi nell’imminenza dell’apertura della successione in guisa di completamento delle volizioni espresse dal testatore nella scheda, esse possono richiedere ulteriori condotte miranti a preordinare i mezzi necessari per l’adempimento del legato o, successivamente, verificatrici delle scelte allora compiute. Circa il primo aspetto, può trattarsi di operazioni di natura liquidatoria, preordinate a creare una liquidità che l’erede impiegherà poi in favore del legatario scelto ex art. 631 ovvero nella misura determinata ex art. 632: queste operazioni, che richiedono il diretto intervento su elementi del patrimonio successorio, pongono l’erede che ne sia stato gravato dal testatore in palese situazione di conflitto e quindi naturalmente indicano l’esecutore, dato che questi è il soggetto strutturalmente chiamato a svolgere questi compiti.

Egualmente quando si tratti di assicurare la prestazione del legato al soggetto scelto ex art. 631, comma 2; in via generale sembra corretto affermare che lasciare solo l’onorato di una prestazione periodica, per esempio alimentare o di mantenimento, significa non porre la minima cura all’efficienza della disposizione in suo favore[[49]] e l’esecutore testamentario si palesa ancora una volta come la figura strutturalmente più vicina alla ricerca dell’efficienza perché agire affinché siano «eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto» corrisponde precisamente alla funzione tipica che la legge attribuisce all’esecutore.


Conclusioni

Gli articoli 631 e 632 del codice civile sono, dunque, la porta di ingresso alle dinamiche di affidamento, quelle dinamiche che nell’Ottocento ripudiammo – certo ignorando che esse avevano trionfato in altri ordinamenti giuridici – e che oggi troviamo pulsare alle nostre porte in abiti stranieri. Come per il contratto di affidamento fiduciario e come a suo tempo fu per il trust, il terreno della battaglia è stato individuato: confidiamo che prenda posizione l’armata del diritto civile italiano e che essa riconquisti quanto al diritto civile italiano appartiene naturalmente: l’affidamento fiduciario, tanto fra vivi che nelle successioni a causa di morte.


[1] Inst. II.10.pr.

[2] R.J. POTHIER, Traité des donations, in Oeuvres de Pothier, nouvelle édition, Paris: Beaucé, 1819, t. IX, partie I, art. III, n. 99.

[3] Dalle conclusioni dell’avvocato generale Lamoignon, riferite da J.-B. FURGOLE, Traité des testamens, codiciles, donations à cause de mort, et autres dispositions de dernière volonté, nouvelle édition, t. II, Paris: Chez L. Cellot, 1779, p. 572: «le pacte n'est pas le seul moyen capable de caractériser le fidéicommis tacite, et qu'il suffit que la volonté présumée du Testateur connue par le Legataire se combine avec le dessein formé par le Legataire de l'exécuter».

[4] Nella prima giurisprudenza di merito dopo il codice civile francese v. Caen, 31 gennaio 1827, in S. 1828.2.34; Orléans, 23 agosto 1844, in D. 1844.2.430.

[5] Fra le varie leggi, l’importante Act of Supremacy del 1559 sanciva che ogni assenza dalla messa (riformata) fosse punita con l’ammenda di uno scellino. Gli storici concordano che queste leggi non ebbero mai integrale applicazione. Ebbero invece applicazione quelle che escludevano i cattolici da cariche e uffici pubblici; per esempio, la legge del 1605 (3 J 1 ch. 5), prescriveva che i "recusant" non potessero essere avvocati, neanche nella corti di civil law, medici ("physick"), farmacisti, ufficiali dell’esercito, comandanti di navi; vi erano limitazioni anche per coloro la cui moglie fosse "Popish Recusant", a meno che almeno una volta al mese attendessero la messa riformata insieme a tutti i figli di età maggiore di nove anni e tutta la servitù di casa.

[6] Roman Catholic Charities Act 1832.

[7] Si ricordi che l’ultimo tentativo insurrezionale di un pretendente cattolico ebbe luogo nel 1745.

[8] Ma con l’accortezza di non testare in favore del "parroco" o del "vescovo" impersonalmente, altrimenti avrebbe operato la presunzione che si trattasse di fiducia non manifesta per realizzare finalità vietate.

[9] Queste vicende sono state ben ricostruite da C. STEBBINGS, Roman Catholics, Honorary Trusts and the Statute of Mortmain, 18, in Legal History Review, 1997, 3, 1.

[10] Per una visione aggiornata del fenomeno v. E. HADDAD, Les substitutions fidéicommissaires dans la France d’Ancien Régime: droit et historiographie, in Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines, 124-2,(2012.

[11] L’art. 899 del codice civile del 1865 definisce la "sostituzione fedecommessaria" nel suo primo comma: «Qualunque disposizione colla quale l’erede o il legatario è gravato con qualsivoglia espressione di conservare e restituire ad una terza persona, è sostituzione fedecommessaria» e conclude, nel secondo comma: «Tale sostituzione è vietata». L’art. 900 chiarisce che «la nullità della sostituzione fedecommessaria non reca pregiudizio alla validità dell’instituzione d’erede o del legato, a cui è aggiunta».

[12] Dal 2007 il testo dell’art. 896 è nel senso che le sostituzioni producono effetti solo nei casi consentiti dalla legge e quindi non è più in discussione l’istituzione.

[13] Ph. MERLIN, Répertoire universel et raisonné de jurisprudence, 3.ème éd., Paris: Bertin et Daniel, 1807-1809, sv. Institution contractuelle, § V.

[14] Ph. MERLIN, op. cit., sv. Fiduciaire (Héritier) : «La loi du 14 novembre 1792, tout en abolissant les substitutions fidéicommissaires, n'a porté aucune atteinte aux simples fiducies; et aujourd'hui encore les fiducies peuvent avoir lieu, quoique l'art. 896 du Code Napoléon …».

[15] V. la definizione che ne dà Papiniano con riferimento ai legati in D. 35.1.79 pr.: «purum legatum est, quia non condicione, sed mora suspenditur». Cfr. Gai., 2.250: «et liberum est vel sub condicione vel pure relinquere fideicommissa, vel ex die certa». 

[16] Giavoleno in D. 36.1.48 (46): «Fuit fideicommissum relictum pure, & eius petitio in certum tempus dilata».

[17] Rota romana, 26 novembre 1618, Spoletana fideicommissi, coram Cavalerio, in Decisiones S.R.R. coram Iacobo Cavalerio, Venetiis: ex Typographia Francisci Baba, 1629, dec. 481: «filii testatoris praetendebant fideicommissum fuisse purificatum ad ipsorum favorem».

[18] G. de MAYNARD, Notables et singulières questions de droit écrit jugées au parlement de Toulouse, nouvelle éd., Toulouse: Chez François Henault et Jean-François Robert, 1751, t. I., l. V, ch. 85.

[19] Ne parlo ampiamente in I trust nel diritto civile, in Trattato di diritto civile diretto da R. SACCO, Torino, 2004, 183-187.

[20] Dimostro questa affermazione nel mio I trust nel diritto civile, cit., 189-195.

[21] Decreto 22 ottobre 1860, nel cui proemio si denuncia che le fiducie sono «fonte di abusi e di immoralità». Il testo si può leggere in R. DE RUGGIERO, L'illiceità della fiducia testamentaria, in Riv. dir. civ., 1913, 433, 446, nota 1.

[22] R. D. 27 novembre 1870 n. 3030, art. 23. «Scorsi i detti termini inutilmente, la fiducia rimarrà senza effetto e l'eredità sarà devoluta ai successori legittimi ed i legati agli eredi testamentari, se ve ne saranno, ed a norma di legge».

[23] V. SCIALOJA, Nota a App. Genova 10 maggio 1898, in Foro it., 1898, I, 1107.

[24] V. per esempio, Corte suprema di Milano, 31 maggio 1861, in Giur. it., 1861, I, 596: «Attesoché il patrio legislatore, trovandosi a fronte di due diversi sistemi, respinse tanto l'idea di proscrivere affatto le fiducie, quanto quella di mantenerle secondo le teoriche dell'antica giurisprudenza»; Cass., Torino, 3 dicembre 1867, in Giur. it., 1867, I, 1, 768: «il Codice albertino tenne una via di mezzo … Ben si scorge che nel sistema del codice del 1838 le fiducie non sieno state, né totalmente bandite, né totalmente ammesse»; Cass. Firenze, 1 maggio 1876, in Giur. it., 1876, I, 1044: «il legislatore italiano non riprova per loro medesime le fiducie»; Cass. Firenze, 3 agosto 1893, in Foro it., 1893, I, 1018: «Siamo d'accordo col ricorrente che le fiducie non furono né annullate né ammesse in modo assoluto dall'art. 809 c.c. albertino, trasferito integralmente nell'art. 829 c.c. italiano». Questa fase della storia della fiducia è ampiamente trattata da F. TREGGIARI nel precedente saggio di questo volume.

[25] «In materia di fiducia la giurisprudenza italiana versa finora in tanta vaghezza di concetti, quanta non si riscontra in nessun'altra parte del diritto»: C. F. GABBA, Nota a App. Firenze, 26 gennaio 1893, in Foro it., 1893, I, 796 (è la frase di apertura del saggio).

[26] R. DE RUGGIERO, L'illiceità della fiducia testamentaria, cit., 438; C. F. GABBA, Nota a App. Firenze, 26 gennaio 1893, cit.. De Ruggiero non aveva conosciuto il diritto comune e Gabba, nato nel 1835 ed educato a Pavia, poteva solo avere intravisto il diritto comune di altri territori della penisola: d’altronde la sua "uggia" per le esperienze del periodo storico precedente si era già manifestata in varie occasioni: v. P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, Un profilo storico: 1860-1950, Milano, 2000, cap. III.

[27] M. ALLARA, Il testamento, Padova, 1936, 264-265: «nullità radicale della fiducia testamentaria». V. anche P. COPPA ZUCCARI, La fiducia testamentaria nel diritto vigente, in Studi in onore di G. Chironi, I, Torino, 1915, 65.

[28] S. PUGLIATTI, Della istituzione d'erede e dei legati, in D'AMELIO (diretto da), Codice civile, Libro delle successioni, Commentario, Firenze, 1941, 510.

[29] D. 33.4.14.

[30] Il testo della Glossa è il seguente: «quia Theopompus voluit stari super hoc dicto Polliani, ut apparet ex dictis verbis quae dixit in codicillis. Vivianus». Uso l’edizione del Digestum Vetus. Lugduni: apud Hugonem à Porta, 1558.

[31] Glossa al vocabolo "quantitas" nel medesimo frammento: «hic voluit testator, quod potuit, sicut et si ipse iurasset».

[32] «Statur dicto unius si voluit testator»: ODOFREDO, In secundam partem Infortiati commentarii, Ludguni, 1550 (rist. anast., Bologna, 1968), ad D. 33.4.14. Per la dottrina del diritto comune v. F. TREGGIARI, ‘Minister ultimae voluntatis’. Esegesi e sistema nella formazione del testamen-to fiduciario. I. Le premesse romane e l’età del diritto comune, Napoli 2002, in particolare a 182-191 (dottrina contemporanea a Odofredo) e 260-264 (dottrina successiva). A questo argomento è dedicata la monografia di F. C. HARPPRECHT, Disputatio de suprema voluntate unico testi concredita, in Dissertationes academicae, II, Tubingae, 1737, disp. 57 (la disputatio ebbe luogo nel 1700).

[33] BARTOLO DA SASSOFERRATO, Secunda Bartoli super Infortiato, Venetiis, 1542, ad D. 33.4.14. 

[34] Tit. 31, l. 2, art. 22. Per le leggi civili napoletane del 1819 v. E. GIANTURCO, Delle fiducie nel diritto civile italiano (in appendice alla traduzione di Laurent, Napoli, 1884), in Opere giuridiche, I, Roma, 1947, 33-34.

[35] N. LIPARI, Il negozio fiduciario, Milano, 1964, 362.

[36] Riferimenti giurisprudenziali nel mio I trust nel diritto civile, cit., 118-123.

[37] La funzione della scelta nella composizione della fattispecie è oggetto dello studio di N. IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui. Profili generali, Milano, 1967, 55 ss.

[38] Cass., 15 marzo 1993, n. 3082, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 152 con nota di F.A. MAGNI.

[39] Trib. Siena, 30 aprile 1951, in Foro it., 1051, I, 1307, confermata da App. Firenze, 8 agosto 1953, in Foro it., 1953, I, 1757.

[40] Per la migliore intelligenza della questione occorre dire che, al momento della redazione del documento, Maria Teresa era la fidanzata del testatore e quindi la successione in suo favore sarebbe stata colpita dalla allora vigente elevata aliquota "fra estranei".

[41] Cass., 12 marzo 1980, n. 1672, in Giur. it., 1981, I, 1, 1336.

[42] L. 22 giugno 2016, n. 112.

[43] V. infatti, l’art. 1 del disegno di legge governativo recante “Delega al Governo per la revisione del codice civile” (19 marzo 2019, atti Senato, n. 1151): «p) disciplinare le modalità di costituzione e di funzionamento del trust e degli altri contratti di affidamento fiduciario, garantendo un’adeguata tutela dei beneficiari».

[44] M. LUPOI, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008 e (2a ed.) 2011; M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014; M. LUPOI con G. MARCOZ e G. CORASANITI, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, Milano, 2018. V. anche M. LUPOI, Le ragioni della proposta del contratto di affidamento fiduciario, in Contr. impr., 2017, 734.

Fra i commenti maggiormente approfonditi: M.C. ANDRINI, Le situazioni affidanti e la c.d. legge “Dopo di noi” (l. n. 112 del 2016), in Riv. dir. civ., 2018, 1020 ss. (la prima puntata di questo saggio, ivi, 623 ss., è dedicata ai trust e ai vincoli di destinazione); F. PIAIA, Il contratto di affidamento fiduciario: esigenze concrete e profili teorici, in Vita not., 2018, 597 ss. e 1113 ss.

[45] Questa fattispecie corrisponde a quella decisa da Cass. Regno, 2 giugno 1924, in Giur. it., 1924, 1044.

[46] Non è detto che il termine iniziale debba decorrere dalla morte del testatore (art. 670 c.c.).

[47] Qualunque “modus” comporta l’insorgere di una situazione affidante e colloca l’erede o il legatario (come anche il donatario) nella posizione di affidatario fiduciario; percepire o meno questa collocazione dipende dallo sviluppo del concetto di “affidamento” in ciascun ordinamento giuridico.

[48] G. BONILINI - G.F. BASINI, I legati, in PERLINGIERI (diretto da), Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, VIII, 6, 2003, 60 ss. (G. BONILINI).

[49] Simili considerazioni valgono quando si sia in presenza di un legato in favore dei poveri o di una collettività non personificata: cfr. G. BONILINI, La designazione dell’esecutore testamentario, in BONILINI (diretto da), AA. VV., Le disposizioni testamentarie, coordinato da V. Barba, Torino, 2012, 572.