Giuffré Editore

Procure da e per l’estero: recenti sviluppi giurisprudenziali

Giovanni Aricò, Notaio in Reggio Emilia

Eleonora Bazzo, Notaio in Torino


Le competenze dell’autorità consolare e del notaio straniero

Le procure consolari sono quegli atti rogati dagli “Uffici esteri” che, limitando il campo di indagine all’ordinamenti italiano, comprendono le “Rappresentanze diplomatiche”, distinte in “Ambasciate” e “Legazioni”, e gli “Uffici consolari” di I e II categoria.

A partire dal 28 maggio 2011, ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 del d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71, gli uffici consolari italiani possono esercitare funzioni notarili esclusivamente nei confronti di cittadini italiani che si trovano all'estero.

Gli uffici consolari hanno una competenza notarile generale, non limitata a particolari categorie di negozi giuridici. Nella pratica, tuttavia, la maggior parte degli interventi richiesti ai consoli concerne la predisposizione di procure speciali e generali, oltre alla redazione di testamenti. Il console può delegare a personale non appartenente alla carriera diplomatica, alla dirigenza amministrativa o alla terza area funzionale le funzioni notarili per le autenticazioni e le procure generali e speciali, come previsto dall’art. 4 del d.lgs. n. 71 del 2011. 

Il funzionario consolare onorario può esercitare le funzioni notarili solamente se tale facoltà viene espressamente richiamata dal relativo decreto di nomina del Ministro degli affari esteri.

Tutti gli atti compiuti dai consoli nell’esercizio delle funzioni notarili richiedono l’applicazione diretta della legge notarile e, per questo motivo, non hanno natura di “atti provenienti dall’estero”.

Devono, quindi, essere rispettate tutte le formalità previste dall’art. 51 l. not., che richiede, tra le altre, la menzione della certezza dell’identità personale delle parti e della lettura dell’atto e l’apposizione delle sottoscrizioni marginali. Unica deroga alla legge notarile è rappresentata dalla possibilità che i testimoni utilizzati non siano residenti in Italia, come espressamente disposto dal comma 3 del citato art. 28, del d.lgs. n. 71 del 2011.

Una limitazione delle funzioni notarili esercitate dagli uffici consolari è stata introdotta dal decreto del Ministero degli affari esteri del 31 ottobre 2011. In forza di tale normativa, al capo degli uffici consolari italiani di Austria, Belgio, Francia, Germania e Lettonia sono state sottratte dal 1° gennaio 2012 – almeno nella normalità dei casi – le funzioni notarili. Questa scelta è stata giustificata dal fatto che «i Notariati presenti in tali paesi hanno aderito all’Unione Internazionale del Notariato (Uinl) e hanno proceduto alla dichiarazione di cui all’art. 6 della Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987 sull’esenzione dalla legalizzazione di atti negli Stati membri della CEE o stipulato in merito Convenzioni bilaterali con l’Italia». I capi di tali uffici consolari possono continuare, in ogni caso, a ricevere, a richiesta di cittadini italiani, testamenti pubblici, segreti ovvero internazionali e possono altresì ricevere atti che rivestono carattere di necessità ed urgenza, quando il ritardo possa recare pregiudizio al cittadino italiano. Tale deroga è giustificata dalle difficoltà che potrebbe incontrare un nostro connazionale nel rivolgersi ad un notaio in loco, nel caso in cui non conosca la lingua del luogo. A tal proposito, si ritiene che la verifica dell'esistenza del requisito di necessità e urgenza sia rimessa all’insindacabile valutazione dell’ufficio consolare e non debba esserne fatta menzione nel corpo dell’atto.

I cittadini italiani all'estero possono rivolgersi non solamente presso un ufficio consolare italiano, ma anche presso un professionista che svolga funzioni notarili nel paese in cui si trovano. Al contrario, chi non è cittadino italiano ed ha necessità di produrre un documento nel nostro ordinamento potrà avvalersi solamente di quest’ultima soluzione.

Nel ricevere un atto notarile proveniente dall’estero, occorre porre attenzione alla differenza tra documenti redatti da civil law notaries e da common law notaries e, tra questi ultimi, da quelli provenienti dai public notaries. 

In linea generale, ai fini della valutazione dell’equivalenza di un documento redatto all’estero rispetto ad un atto notarile italiano, è necessario accertare che il notaio straniero sia tenuto a svolgere, secondo la propria legge nazionale, una funzione analoga a quella del notaio italiano in relazione all’atto di cui si tratta e lo rediga nel rispetto delle norme previste dal proprio ordinamento (auctor regit actum). La certificazione effettuata dal notaio straniero deve essere sostanzialmente equivalente, seppure non identica, a quella apposta dal notaio italiano in un omologo atto. 

La grande distinzione tra i sistemi di common law e quelli di civil law si riflette sia nella figura dei notai prevista nei rispettivi ordinamenti, sia nelle relative funzioni svolte. In merito, si è affermato che i common law notaries e i civil law notaries hanno in comune solo il nome. È significativo in tal senso un documento della Fatf (Financial Action Task Force) del 2008, specificamente dedicato alle professioni legali, nel quale è stato messo in evidenza che solamente i civil law notaries, a differenza dei common law notaries, hanno facoltà di conferire ai documenti da loro redatti forza esecutiva e valore di prova privilegiata in sede processuale, facoltà, invece, sconosciuta nel mondo anglosassone, che non conosce la forma dell’atto pubblico dei sistemi latini.

I paesi di civil law delineano chiaramente la professione notarile e attribuiscono al notaio funzioni similari a quelle disciplinate dalla nostra legge notarile e riconoscono agli atti dagli stessi redatti, di regola, la forma corrispondente a quella del nostro atto pubblico. Non si presenta così, generalmente, alcuna problematica nell’utilizzo di documenti redatti da civil law notaries, ferma restando, comunque, la necessità di rispettare le eventuali formalità connesse alla traduzione e alla legalizzazione o all’Apostille, nonché, ovviamente, la legge applicabile all’atto o al negozio di cui si tratta.

È da segnalare che nella prima giurisdizione di common law, l’Inghilterra, si distingue un piccolo gruppo, di circa una trentina di professionisti, che ha il titolo di scrivener notary. Gli scrivener notaries esercitano nella City di Londra e nei suoi dintorni e costituiscono una branca distinta della professione notarile inglese, non cumulata a quella di avvocato. Questi professionisti si caratterizzano per il possesso di specifici requisiti di istruzione relativi allo studio di materie giuridiche di base, con l'aggiunta di diritto romano o diritto civile e diritto internazionale privato. 

Il titolo di scrivener notary viene attribuito dalla Worshipful Company of Scriveners, che verifica il possesso delle qualifiche necessarie per esercitare la relativa professione. Questo esame comprende pratica notarile avanzata, una legge straniera relativa alla pratica notarile e due lingue straniere. È inoltre richiesto di intraprendere un periodo di tirocinio, generalmente della durata di due anni, di cui una parte viene normalmente trascorsa all'estero nell'ufficio di un notaio o avvocato di diritto civile. 

La specializzazione del loro lavoro ha permesso agli scrivener notaries di distinguersi dagli altri notai inglesi e di trovare un riconoscimento anche nei paesi di diritto civile con la loro adesione nel 1998 all'Unione Internazionale del Notariato (Uinl), come unico membro appartenente a un sistema di common law.

Nella pratica, gli scrivener notaries sostengono, nei limiti del loro ordinamento giuridico, i principi della pratica notarile, tipici delle giurisdizioni di diritto civile, alle quali è principalmente rivolta la loro attività. L’obiettivo degli scrivener notaries è di identificare, comprendere e applicare i principi e le regole dei sistemi giuridici d'oltremare per garantire che i documenti da loro emessi e autenticati siano ritenuti validi ed efficaci in altre giurisdizioni. Per questo motivo, sono gli stessi scrivener notaries a limitare il loro potere ad elaborare documenti in forma notarile per l’estero all’emissione di procure (powers of attorney), con esclusione di qualsiasi atto con contenuto negoziale. 

La figura degli scrivener notaries riveste, quindi, fondamentale importanza per preparare e autenticare procure che creano o incidono su diritti, doveri e obblighi principalmente al di fuori del Regno Unito. Grazie al loro specifico processo di formazione, gli scrivener notaries sono in grado di curare anche la traduzione e il procedimento di legalizzazione o di Apostille, in modo che tali documenti possano essere utilizzati direttamente nelle giurisdizioni estere a cui sono rivolti.

Simili figure possono essere anche trovate in alcune giurisdizioni degli Stati Uniti e del Canada, il cui diritto privato è basato sul civil law, come Louisiana, Puerto Rico e Québec. In tali sistemi, coloro che esercitano la professione notarile hanno prerogative simili agli scrivener notaries della City di Londra e devono seguire un percorso specifico di studi per conseguire il relativo titolo.

Infine, in alcuni Stati di common law del continente americanocome Alabama, Florida e British Columbia, si segnala la coesistenza di notai sia di common law, sia di civil law e solamente questi ultimi hanno facoltà di autenticare e di prestare assistenza nella conclusione di contratti di diritto privato, con competenze notarili similari a quelle riconosciute negli ordinamenti di civil law. 

Negli ordinamenti di common law, invece, non vi sono disposizioni legislative che attribuiscono la forza di prova privilegiata e l’efficacia esecutiva dei documenti notarili inglesi che, quindi, non possono essere definiti atti pubblici. Innanzitutto, è da mettere in evidenza che la grande maggioranza dei public notaries inglesi riveste anche la funzione di solicitor.

Le competenze dei public notaries consistono principalmente nel ricevimento di dichiarazioni giurate e attestazioni e nell’accertamento della provenienza delle sottoscrizioni, senza, normalmente, prestare consulenza giuridica, con l’importante precisazione che ciò è addirittura vietato dalla quasi totalità delle leggi vigenti negli Stati Uniti, proprio per evitare che venga confuso (soprattutto dalle persone di cultura latina) l’intervento di un public notary locale (persona alla quale viene di regola attribuito l’incarico di autenticare sottoscrizioni su diversi documenti dopo un corso di formazione di alcune ore soltanto) con quello di un civil law notary

Per questi motivi, si ritiene pragmaticamente che i documenti portanti le sottoscrizioni autenticate da detti public notaries siano idonei a garantire solamente la riferibilità delle firme in capo ai sottoscrittori e la loro identità. La prassi ritiene, come principio di massima, che solo atti quali le scritture con sottoscrizione autenticata da un public notary possano avere nel nostro ordinamento un valore equivalente alle nostre, sempre che soddisfino i requisiti minimi di sicurezza giuridica richiesti per la loro circolazione in Italia, anche in considerazione della esigenza di non creare un totale blocco nelle relazioni giuridiche con gli ordinamenti di common law, visto il sempre più frequente uso che di questi documenti viene fatto.

Qualsiasi documento diverso dalla procura (così, ad esempio, atti di trasferimento di immobili, donazioni, verbali societari etc.) pone ragionevoli dubbi circa la sua diretta utilizzabilità in Italia previo semplice deposito ai sensi dell’art. 106, comma 1, n. 4, l. not., talché sarà spesso auspicabile che le parti che ne vogliano far uso siano invitate a stipulare il relativo atto presso un notaio italiano.


Il deposito e l’eventuale integrazione di una procura estera 

Come detto, le procure consolari richiedono l’applicazione diretta della legge notarile e, quindi, non hanno natura di “atti provenienti dall’estero”.

In linea teorica, le autorità consolari devono curare tutte le formalità successive e connesse agli atti da loro redatti o ricevuti e aventi ad oggetto beni siti in Italia, in quanto esercitano l’attività di pubblici ufficiali come se operassero nel territorio dello Stato. Gli atti ricevuti o autenticati tramite gli uffici consolari sono equiparati agli atti ricevuti in Italia e assoggettati alle norme di diritto interno.

Dal punto di vista fiscale, tutti gli atti consolari sono soggetti, oltre che alla tassa indicata nella Tariffa consolare, che viene pagata in sede di stipula presso il Consolato, anche a tutte le imposte e tasse dovute ai sensi della normativa italiana che, di prassi, non sempre vengono corrisposte tramite il Consolato. Le autorità consolari sono tenute a trasmettere direttamente alle competenti autorità nazionali, salvo diverse istruzioni del Ministero degli affari esteri, gli atti notarili o le copie dei medesimi e qualunque altro atto o documento la cui trasmissione è richiesta dal codice civile, dalle leggi notarili e da altre normative vigenti, come previsto dall'art. 76 del d.lgs. n. 71 del 2011.

Tuttavia, tale soluzione si rivela non facilmente attuabile nella prassi, poiché l’adempimento degli obblighi di registrazione e pubblicitari da parte degli uffici consolari può rivelarsi difficoltoso in presenza di modalità operative, telematiche e in continuo aggiornamento. 

In tali ipotesi, soltanto l’obbligo della registrazione degli atti può essere adempiuto direttamente dalle parti contraenti, che possono farne richiesta ad una qualsiasi Agenzia delle entrate, pagando la relativa imposta. 

In alternativa, gli atti consolari non soggetti ad adempimenti pubblicitari ulteriori rispetto alla registrazione, come le procure generali, possono essere direttamente allegati ad un atto italiano in copia conforme. L'allegazione permette l'adempimento dell'obbligo di registrazione anche dell'atto allegato, tramite l'istituto dell'enunciazione, e ha lo stesso valore del preventivo deposito ai sensi dell'art. 106 l. not. 

Si ritiene, infatti, che anche la mera allegazione ad un atto pubblico o ad una scrittura privata conservata dal notaio permetta di assicurare quelle esigenze di conservazione e di custodia alle quali tende il deposito previsto in caso d’uso.

Ai fini della pubblicità nei pubblici registri, invece, il deposito ai sensi dell’art. 106, comma 1, n. 4, l. not. costituisce la modalità preferibile e consigliabile per il notaio per effettuare i necessari adempimenti pubblicitari di un atto redatto all’estero da autorità consolari o diplomatiche italiane, nonostante tale atto si possa definire “nazionale” o “italiano”. 

Questo modus operandi, pur non trovando riscontro in alcuna previsione normativa, è riconosciuto dallo stesso Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nel cui sito viene espressamente affermato che «il notaio può essere a volte il mandatario del cliente rispetto alla pubblicità e alla esecuzione di formalità relative agli atti da lui ricevuti» e che «nessuna attività di tale natura può, invece, essere svolta dal capo della Rappresentanza consolare».

Nel caso, invece, di atto redatto da un notaio straniero, il suo utilizzo nel nostro ordinamento richiede un preventivo riconoscimento dello stesso come atto pubblico o scrittura privata autenticata, sulla base del principio del mutuo riconoscimento (o anche principio di equivalenza). L’atto estero deve, quindi, presentare tutti quegli elementi necessari al fine di poter essere qualificato come atto pubblico o scrittura privata autenticata secondo le previsioni del legislatore sia straniero, sia, con determinati limiti, nazionale. Affinché un documento proveniente dall’estero possa considerarsi quale atto pubblico o scrittura privata autenticata, quindi, non è necessario che lo stesso possieda i medesimi requisiti formali imposti dall’ordinamento italiano per la stessa tipologia di atto, essendo sufficiente che lo stesso sia considerato tale nell’ordinamento di origine. 

L’istituto del deposito degli atti esteri, ai sensi dell’art. 106, comma 1, n. 4, l. not., consente sia di assicurare la conservazione di un documento straniero, sia di eseguire un controllo di legalità, per evitare l’ingresso di atti vietati nel nostro ordinamento. 

Si ritiene, peraltro, che un atto estero possa essere utilizzato in Italia, pur senza essere previamente allegato ad un verbale di deposito ai sensi dell’art. 106, comma 1, n. 4, l. not., qualora lo stesso sia allegato ad altro atto notarile, pubblico o privato autenticato, conservato dal notaio.

Il deposito si differenzia dall’allegazione in quanto il documento depositato è consegnato al notaio dalle parti al principale fine di essere conservato a raccolta, mentre il documento allegato è finalizzato a costituire uno strumento di comprensione o di integrazione dell’atto notarile principale. Tuttavia, i due istituti svolgono la stessa funzione ai fini dell’obbligo di conservazione e del controllo di legalità e possono, quindi, essere considerati equivalenti.

L’ipotesi più frequente si verifica con le procure redatte all’estero, per le quali, per i motivi sopra indicati, non si ritiene necessario procedere a un preventivo deposito con separato verbale, ma si reputa sufficiente la mera e diretta allegazione all’atto.

Qualora l'atto estero sia privo di alcuni elementi ritenuti necessari per il nostro ordinamento, il notaio deve verificare se sia possibile rimediare alle carenze in sede di deposito.

In particolare, se l'atto è regolato dalla legge straniera, bisogna interrogarsi se sia possibile integrarlo in sede di deposito, con eventuali menzioni o documenti mancanti richiesti dal nostro ordinamento ovvero da quello di origine. Se, invece, l'atto è regolato dalla legge italiana, soccorrono gli eventuali rimedi previsti dalla stessa.

Il controllo di legalità in sede di deposito riguarda un atto già formato secondo una volontà delle parti, che di regola non può più essere oggetto di indagine, né di preventivo adeguamento all’ordinamento giuridico da parte del notaio. Tuttavia, tramite l’istituto del deposito è consentito al notaio di effettuare alcune integrazioni necessarie affinché l’atto straniero possa produrre effetti in Italia. In generale, questo tipo di integrazioni è effettuato sulla base delle dichiarazioni e della documentazione fornita da almeno una delle parti originarie dell’atto (o dei loro procuratori), la quale deve coincidere, nella maggior parte dei casi, con il soggetto che richiede il deposito.

Con particolare riferimento alle procure, vi è anche da chiedersi se l’atto di deposito richieda l’adempimento delle formalità previste dalla normativa antiriciclaggio. Di per sé, l’atto di deposito può essere considerato un atto “neutro”, poiché di regola non è fonte di trasferimento di denaro, beni o altre utilità e, quindi, non rientra nel concetto di operazione rilevante ai fini dell’antiriciclaggio. Si potrebbe sostenere, quindi, che sia l’atto ricevuto dal notaio estero a rappresentare un'operazione rilevante ai fini della disciplina dell’antiriciclaggio e ad essere assoggettato alla normativa antiriciclaggio del paese di provenienza. Rimane, comunque, fermo il dovere di segnalazione anche per il notaio depositante, nel caso ravvisi i presupposti di un'operazione, nel suo complesso, sospetta, con profili connessi al riciclaggio, al finanziamento del terrorismo e all’utilizzo di denaro proveniente da attività criminosa[[1]].


I controlli da effettuare per utilizzare una procura redatta all’estero nel nostro ordinamento

Non è certo compito facile per un civilista, spesso legato alla sistematicità dei sistemi normativi ed alla dogmatica giuridica, ricostruire il percorso da seguire per la disciplina di fattispecie che presentano elementi di estraneità al nostro ordinamento interno. L’esame è tanto più arduo, in tema di procure provenienti dall’estero, se si considera che in gran parte dei casi ci si imbatte in documenti ormai già perfezionati, riguardo ai quali occorre decidere in brevissimo tempo se presentino caratteristiche tali da poter essere posti a base del negozio principale allegandoli allo stesso o se invece siano da considerare dei veri “oggetti non identificati” da rispedire al mittente. 

La sensazione di disorientamento, in parte dovuta alla criticità delle norme di diritto internazionale privato ed ai criteri di collegamento suoi tipici ed in parte alla pretesa tutta notarile di ottenere un documento esattamente identico a quello prodotto da un pubblico ufficiale italiano, credo possa essere attenuata seguendo gli stessi itinerari logico-giuridici cui siamo abituati in materia di volontaria giurisdizione. E cioè facendo ricorso di volta in volta a regole generali di sistema e norme chiave (in tema di competenza per materia, territoriale, di forma degli atti, ecc.) che, sia pur discutibili, ne disvelino i misteri.

Brevi considerazioni di ordine generale ci consentono di raggiungere risultati di qualche utilità riguardo alle procure estere.

1. Di enorme significato è il rilievo secondo il quale il sistema tutto di d.i.p. e delle norme comunitarie orientano fortemente l’interprete verso l'equiparazione degli atti pubblici ed in generale degli atti autentici alle decisioni giudiziarie.

2. Non privo di conseguenze operative è al riguardo il procedimento analogico che estende l’intera disciplina disposta in materia per gli atti pubblici (art. 67 e 68 d.i.p.) alle scritture private autenticate con l’ausilio principale dell’art. 106, comma 1, n. 4, l. not. che prevede il previo deposito anche delle scritture private autenticate in Stati esteri. D’altro canto anche in seno alla Caei (Commissione affari europei e internazionali), ove si è discusso del tema dei requisiti minimi delle procure internazionali, pur invitando i notai interni ad utilizzare sempre l’atto pubblico, si è data per scontata la sostanziale parità di trattamento delle scritture autenticate rispetto all’atto pubblico, quanto alla circolazione. 

3. Altra porta risolutiva è rappresentata dal concetto di attuazione di cui all’art. 68 d.i.p., intendendosi in generale come utilizzazione dell’atto in Italia nei confronti di un’autorità amministrativa o giurisdizionale al fine di conseguire un provvedimento. Non perdendo al contempo di vista l’individuazione teleologica del tipo di attuazione che il negozio dovrà ricevere in Italia: iscrizione in pubblici registri (per i quali norme specifiche possono rinvenirsi alla base della disciplina degli art. 2657, comma 2, e 2837 c.c.); esecuzione in giudizio contenzioso; utilizzazione funzionale per altri negozi, come nel caso delle procure (non essendo peraltro la procura in sé, generalmente, un atto da iscriversi autonomamente nei registri). Né trascurabile è la distinzione tra il caso di esecuzione forzata e di attuazione degli atti.

Passaggio questo utile ai nostri fini perché il notaio chiamato a fare uso di un documento straniero non deve imporre coercitivamente alcuna decisione, ma consentire semplicemente che l’atto spieghi concretamente il regolamento negoziale fissato dalla parte o dalle parti e dunque solo in caso di mancata ottemperanza o contestazione potrà farsi al meccanismo dell’art. 67 d.i.p.

C’è dunque spazio per pensare che l’utilizzo di una procura proveniente dall’estero da parte di un notaio incaricato della stipula del negozio principale concretizzi un’altra fattispecie di “attuazione” e che l'ufficiale rogante si trovi nella condizione del soggetto cui spetta l’esecuzione del primo filtro “alla frontiera”, prima del riconoscimento automatico dell’atto nel nostro ordinamento non privo, come si dice, di passaggi obbligati.

La norma centrale attorno alla quale ruota questo sistema di controllo preventivo è contenuta nell’art. 106, comma 1, n. 4, l. not.[[2]] (da leggersi in combinato disposto con l’art. 68 reg. not.[[3]]) che prevede l’obbligo di deposito presso un notaio od un archivio notarile degli atti (atti pubblici e scritture private autenticate) provenienti dall’estero prima di farne uso nel territorio dello Stato. 

In tema di procure, sotto il profilo documentale, l’allegazione all’atto del notaio rogante costituisce equipollente del deposito richiesto dall’art. 106 l. not. (da ultimo Cass. n. 9257/2003).

La coincidenza della nozione di “attuazione” di cui al citato art. 68 d.i.p. con quella di “fare uso” prevista dalla norma notarile di cui sopra permette all’interprete di meglio chiarire il perimetro entro il quale tale controllo debba esercitarsi, in quanto rende ricostruibile la coerenza dell’intero sistema e permette di:

– chiarire che l’attività del notaio chiamato a fare uso di un documento straniero si differenzia da quella del giudice per la sola circostanza che egli non deve imporre coercitivamente alcuna decisione o risolvere contestazioni, ma consentire semplicemente che l’atto spieghi concretamente il regolamento negoziale fissato dalla parte o dalle parti;

– ribadire che, in caso di mancata ottemperanza o contestazione circa la sussistenza dei requisiti per l’ingresso dell’atto nel nostro ordinamento, è possibile ricorrere al procedimento di cui all’art. 67 d.i.p.

Posto il principio generale del controllo notarile ex art. 28 l. not. e quindi vaglio di legalità (atti proibiti dalla legge o nulli) e vaglio di liceità (atti contrari all’ordine pubblico e al buon costume), non sono affatto esauriti i problemi legati ai limiti entro cui circoscrivere l’attività preventiva. Occorre poi tener conto anche dell’articolo 54 del R.d. 10 settembre 1914, n. 1326 (“Regolamento per l’esecuzione della legge 16 febbraio 1913, n. 89”) che vieta al notaio di rogare contratti in cui intervengano persone che non siano assistite od autorizzate in quel modo che è dalla legge espressamente stabilito, affinché esse possano in nome proprio od in quello dei loro rappresentati giuridicamente obbligarsi.

Di certo: 

1. il notaio deve preliminarmente controllare che il documento estero possa essere qualificato come atto pubblico o scrittura privata autenticata secondo le norme del paese di origine, ma tenendo conto anche dei principi generali del nostro ordinamento (provenienza da un pubblico ufficiale che agisca dell’esercizio delle funzioni) e della compatibilità con l’ordine pubblico internazionale e con le norme di applicazione necessaria, intendendosi per queste ultime le norme di diritto italiano che devono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera. Si vedano, tra gli altri, gli art. 16 e 17 d.i.p. e gli art. 9 e 21 del regolamento (CE) 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I);

2. il notaio deve sottoporre l’atto al controllo di liceità (ordine pubblico);

3. il notaio deve sottoporre l’atto al controllo di legalità (contrarietà a norme imperative) ivi comprese la presenza di traduzioni, legalizzazioni od Apostille

È in verità particolarmente gravoso caricare il notaio di controlli attuabili solo attraverso il ricorso a parametri che travalicano il diritto interno e le norme di diritto internazionale privato (ad es. conoscenza della legge applicabile all’atto) anche per gli ostacoli, a volte insuperabili, che per tale via si incontrano.

Ma a ben vedere, anche il solo controllo circa la qualificazione dell’atto come “autentico” richiede una minimale conoscenza delle norme straniere di riferimento (funzione notarile, requisiti dell’atto pubblico e dell’autentica, necessità o meno di apposizione di sigilli, ecc.).

Così, ad esempio, in tema di forma delle procure, più volte negli studi del CNN si sostiene che al notaio, al pari del giudice, sia richiesta la conoscenza di quelle nozioni giuridiche di diritto straniero che gli consentano di riconoscere la presenza dei requisiti di forma degli atti esteri.

Si ritiene, tuttavia, che tale indagine sulla legge straniera non debba estendersi oltre i limiti dell'ordinaria diligenza professionale, secondo i ben noti principi della responsabilità del prestatore d’opera ex art. 2236 c.c.

Difficile è poi negare, visti i risultati cui si è pervenuti quanto alla equivalenza provvedimento giurisdizionale-atto, che l’art. 14 d.i.p. (secondo cui l’accertamento della legge straniera è compito del giudice il quale deve attivarsi con tutti gli strumenti che gli sono consentiti) sia riferibile a tutti i soggetti cui è demandata l’attuazione delle norme dell’ordinamento e dunque anche ai notai.

Tale fondamentale disposizione nel contempo rappresenta per il notaio fonte attributiva di dovere di indagine, ma costituisce anche norma di chiusura e limite alla conoscenza della norma straniera: allorché infatti non si riesca ad accertare la legge straniera, avvalendosi di tutti i mezzi di cui si dispone (anche attraverso risposte ministeriali, studi del CNN o attestazioni consolari), ed in mancanza di altri criteri di collegamento, dovrà farsi applicazione della legge italiana. 

Si possono rintracciare con maggiore facilità i parametri minimi di controllo legati anche alla conoscenza della legge straniera, e sostenere che il contenuto dell’esame notarile preventivo:

– non coincide con quello contenzioso del giudice;

– non deve essere di ostacolo al riconoscimento automatico degli atti esteri;

– deve ancorarsi a punti di approdo sicuri che vanno verificati caso per caso, non potendosi, in alcune ipotesi, prescindere dalla conoscenza della legge applicabile all’atto al vaglio, in quanto una volta richiamata da una norma di d.i.p., la norma straniera diventa disciplina nazionale applicabile;

– potrà esser svolto, ove il notaio non riesca a conoscere la legge straniera, utilizzando altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa ed in mancanza applicando la legge italiana.

Non ci sembra poi del tutto peregrina l’idea di pescare dal panorama giurisprudenziale consolidatosi (Cass. nn. 97/1956, 1936/1963, 2623/1959) in tema di provvedimenti dell’autorità giudiziaria e dunque applicabile, per la tesi che abbiamo sposato, agli atti autentici, il principio dell’ “apparenza titolata” tratto dall’art. 742 c.p.c, piegandolo a nostro uso una volta accettata la proporzione “provvedimento: atto = procura : negozio principale”. 

Il fondamento del principio viene rinvenuto nell’esigenza di tutelare il terzo (estraneo al procedimento) che in buona fede si è affidato all’esistenza di un provvedimento (o atto) idoneo astrattamente a produrre gli effetti cui è destinato ed assistito da una presunzione di legittimità, se emanato da un pubblico ufficio.

E la norma citata, nell’ottica giurisprudenziale, è ritenuta espressione di un principio generale del nostro ordinamento estensibile a tutti i provvedimenti revocati o viziati.

Quali sono i requisiti per l’applicazione dell’apparenza titolata è stato più volte sostenuto in dottrina e giurisprudenza:

– il terzo deve aver posto in essere un negozio valido (nel nostro caso negozio principale);

– il negozio principale deve essere stato perfezionato anteriormente all’accertamento dell’invalidità della procura straniera;

– il terzo deve essere in buona fede: la buona fede si presume anche perché deriva dall’apparenza di legittimità del provvedimento;

– il provvedimento non deve essere inesistente (potrebbe rientrare nel concetto di inesistenza la mancata sussistenza dei requisiti per qualificare l’atto come autentico o la mancanza della forma minima richiesta).

Ebbene, riferendo tali criteri all’atto proveniente dall’estero riguardo al cui procedimento formativo il notaio è terzo, non è difficile giungere alla conclusione che il principio dell’apparenza titolata possa valere anche per il notaio e dunque affermare che:

– un documento estero rilasciato da una autorità a ciò preposta dall’ordinamento di origine, che sia qualificabile come atto autentico e rivestito della forma minima sufficiente nel paese di origine, legalizzato od apostillato, sussistendo la buona fede soggettiva, deve presumersi legittimo. La stessa buona fede che deve negarsi nell’ipotesi in cui il notaio possa conoscere il vizio del documento usando la normale diligenza, dato che, in tal caso, il suo convincimento non è derivante da un errore scusabile.

Peraltro, i medesimi limiti vengono in dottrina resi applicabili anche ove al notaio sia richiesto di ricevere un atto in cui parte sia un ente ecclesiastico: si dice infatti che il pubblico ufficiale dovrà estendere il proprio esame ai canoni codiciali per controllare la regolarità dell’attività amministrativa esterna che ha condotto alla deliberazione ed attuazione dell’operazione. 

Rimane sempre da approfondire la compatibilità di questa tesi con le conseguenze sotto il profilo civilistico del negozio concluso dal falsus procurator, ipotesi patologica questa che costituisce però uno solo dei possibili vizi del negozio e nulla ha a che fare con l'utilizzo o meno del documento straniero nel nostro Stato.

Con particolare riferimento alle procure redatte all’estero, da allegare ad un atto notarile italiano, si è recentemente pronunciata la Suprema Corte con la sentenza 2 luglio 2019, n. 17713 che ha fornito una serie di principi in base ai quali il notaio, in presenza di una procura proveniente dall'estero, dovrebbe “verificare” che:

– sia un atto valido secondo i criteri di rinvio dettati dal diritto internazionale privato italiano (art. 60 d.i.p.) e dunque indagare, se occorre, anche la disciplina applicabile nel paese di origine;

– sia un atto proveniente da un'autorità competente di uno stato straniero;

– sia munita di legalizzazione o Apostille, salvo la presenza di convenzioni bilaterali che aboliscono la legalizzazione e l'Apostille

– non sia contraria ai parametri previsti dagli art. 28 l. not. e 54 reg. not. e che abbia in ogni caso, per il principio di congruità con l'atto al quale deve essere allegata, i requisiti minimi di sicurezza giuridica richiesti per la circolazione in Italia del negozio che consistono, per la scrittura privata autenticata, come poco più avanti analizzato, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore.

Emerge da subito come tale pronuncia sembri imporre al notaio italiano ulteriori accertamenti rispetto al controllo di legalità formale e sostanziale, richiedendo, ai fini della validità del documento, (i) una dichiarazione del pubblico ufficiale che lo stesso sia stato firmato in sua presenza e (ii) il preventivo accertamento dell'identità del sottoscrittore. Questa soluzione interpretativa, a differenza della consolidata giurisprudenza sul punto, si pone in linea con il differente orientamento interpretativo sulle procure alle liti, che per loro natura devono soddisfare requisiti processuali non richiesti e non necessari per altre forme di procura.

Nonostante la citata sentenza, relativa all’ipotesi di una procura in forma cartacea, richieda che la firma sia apposta in presenza del notaio autenticante, si ritengono validamente utilizzabili in Italia anche procure per le quali il notaio straniero, conformemente a quanto prescritto dalla legge del proprio paese di provenienza, ha accertato l’autenticità della sottoscrizione anche con modalità diverse da quelle prescritte dall’ordinamento italiano. Sono, pertanto, da ritenersi utilizzabili le procure non sottoscritte alla presenza del notaio, ma la cui sottoscrizione è stata riconosciuta come propria dal mandante e autenticata dal notaio, ove provenienti da paesi che ammettono tale modalità di riconoscimento della firma. Un significativo esempio è rappresentato dalle procure a distanza firmate digitalmente, che sono state previste in Belgio (ove è stata prevista la possibilità per il notaio di ricevere atti notarili “a distanza”, ossia da remoto, tramite una connessione audio-video, utilizzando mezzi digitali, limitatamente al periodo di emergenza sanitaria) e Francia durante il periodo di emergenza sanitaria per il Covid-19 e che sono recentemente diventate permanenti in Francia (ove è stato consentito il rogito notarile a distanza). Un altro caso ancora più peculiare è rappresentato dalla procura ammessa nel Canton Ticino, in cui il notaio può certificare l’autenticità di una sottoscrizione non apposta in sua presenza se conosce personalmente il sottoscrittore e si è accertato telefonicamente con lo stesso che la firma è stata da lui apposta al documento.

Lo stesso principio è valido anche per quanto attiene all’accertamento dell’identità del sottoscrittore da parte del notaio autenticante: non è necessario che l’attività di identificazione da parte del pubblico ufficiale straniero avvenga con modalità identiche a quelle prescritte dall’ordinamento italiano, purché il notaio straniero, conformemente a quanto prescritto dalla legge del proprio paese di provenienza, abbia effettivamente accertato l’identità del comparente. Si ritengono, pertanto, utilizzabili in Italia quelle procure prive della menzione, da parte del notaio, della certezza dell’identità della parte, purché il notaio, conformemente a quanto prescritto dalla legge del proprio ordinamento di provenienza, abbia effettivamente accertato l’identità del comparente: non vi è dubbio alcuno, in altri termini, che il notaio autenticante debba verificare l’identità del sottoscrittore, ma ciò non impone allo stesso di documentarlo, riportando la dichiarazione nella formula di autentica.

Giungendo più in concreto al tema delle procure, la norma centrale è costituita dall’art. 60 d.i.p. che distingue tra legge applicabile alla sostanza da quella applicabile alla forma: 

– il primo comma della norma in commento stabilisce quanto alla sostanza che «la rappresentanza volontaria è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede d’affari sempre che egli agisca a titolo professionale e che tale sede sia conosciuta o conoscibile dal terzo. In assenza di tali condizioni si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita in via principale i suoi poteri nel caso concreto».

Quando il rappresentante esercita i suoi poteri in Italia, la legge applicabile alla sostanza dell’atto (la c.d. forma “intrinseca”) è dunque la legge italiana, a meno che il rappresentante agisca a titolo professionale e la propria sede d’affari sia conosciuta o conoscibile dal terzo. Il notaio, pertanto, se il rappresentante non agisce a titolo professionale, deve compiere una valutazione attinente alla sostanza della rappresentanza utilizzando le norme ed i principi propri del diritto italiano (ad esempio: al contenuto e all’estensione dei poteri del rappresentante, alla durata del potere rappresentativo, alla revoca ed all’estinzione della procura, alla capacità del rappresentato, alle conseguenze del conflitto d’interessi e del contratto concluso con se stesso, ed infine alle conseguenze del negozio concluso dal rappresentante senza poteri);

– il secondo comma stabilisce che «l’atto di conferimento di poteri è valido, quanto alla forma, se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere».

In ossequio ad un principio di favor validitatis, vengono forniti due criteri alternativi circa la validità della procura: uno che fa rinvio alla lex substantiae (e dunque al criterio di cui al primo comma dell’art. 60 d.i.p.) e l’altro che fa invece riferimento alla lex loci actus, ovvero alla legge dello Stato in cui la procura viene conferita (da intendersi quindi non come il luogo in cui viene notificata al rappresentante).

Di conseguenza, quanto alla c.d. forma “estrinseca” diventa essenziale che il notaio tenga conto dei requisiti di forma previsti dall’ordinamento straniero, tutte le volte in cui la forma dell’atto esibitogli non dovesse soddisfare eventuali requisiti più stringenti previsti dall’ordinamento italiano.

Alla domanda poi se si applichi o meno alla procura estera la disposizione dell’art. 1392 c.c. per effetto della quale la procura deve rivestire la medesima forma richiesta dalla legge per l’atto da stipulare, si può agevolmente rispondere che, una volta esperita l’indagine su quale sia l’ordinamento competente e sulla ineccepibilità della procura sulla base della legge straniera (che può o meno contenere una norma sulla simmetria analoga all'art. 1392 c.c.), il notaio non deve più preoccuparsi del rispetto del principio interno di simmetria e potrà pertanto utilizzare una procura per scrittura privata autenticata anche per ricevere un atto che richieda la forma pubblica (una procura a donare ricevuta dal notaio francese senza assistenza di testimoni, ovvero una procura a costituire società di capitali rilasciata per scrittura privata autenticata dal notaio del Lussemburgo, ecc.).

Trattando, inoltre, della natura del controllo notarile circa la forma della procura, tenendo conto dei ragionamenti sviluppati, si può ritenere che anche al notaio, al pari del giudice, sia richiesta, se non altro dal punto di vista della responsabilità professionale, la conoscenza di quelle nozioni giuridiche di diritto straniero che gli consentano di riconoscere la validità dei requisiti di forma degli atti provenienti da altri Paesi.

Nella direzione indicata è rivolto il lavoro sulle procure internazionali svolto per la Caei che si sostanzia in un unico questionario, estremamente sintetico, cui hanno dato risposta le delegazioni dei Notariati dei principali Paesi europei, diretto alla individuazione del “contenuto minimo sufficiente” richiesto perché una procura possa dirsi “notarile”, cioè dotata di alcuni connotati essenziali che le consentano sia di superare il vaglio di legalità secondo i principi dell’ordinamento di origine, sia di essere utilizzata validamente nel Paese di arrivo. 

Ed infine, quid iuris per le procure per scrittura privata non autenticata?

Alla luce delle considerazioni esposte, dovremmo concludere che, nonostante la valida applicazione della lex auctoris che preveda, nel caso di specie, la assoluta sufficienza della forma scritta, tale documento non sia dotato neppure della minima sicurezza giuridica (anche per la mancanza di legalizzazione) per consentire allo stesso di circolare nel nostro ordinamento e di essere posto alla base di altre contrattazioni che richiedono una forma più solenne o meglio il requisito dell’autenticità documentale per la loro pubblicità nei registri immobiliari o commerciali; e ciò anche sul piano della diligenza professionale media. Non si vede infatti di quali mezzi possa disporre il notaio per verificare l’autenticità di una simile procura; fermo rimanendo che il controllo dei Conservatori dei registri pubblici potrà essere svolto solo sul documento notarile presentato loro e non sugli allegati che ne costituiscono appendice.

Una conferma di questo principio di simmetria minima ai fini pubblicitari può essere rinvenuto nell’art 55 d.i.p. ove previsto che la pubblicità degli atti di costituzione, trasferimento ed estinzione dei diritti reali è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al momento dell’atto; altra conferma del principio si intravede nell’art. 9, punto 6, l. n. 975 del 1984 di ratifica della Convenzione di Roma del 10 giugno 1980, per il quale per i diritti reali è previsto il rispetto delle norme imperative di forma della legge del luogo in cui è posto l’immobile. Ragionando in termini diversi, si consentirebbe l’accesso ai registri pubblici di un documento la cui riconducibilità certa al soggetto titolare della posizione giuridica di cui si dispone non è certificata da alcuna pubblica autorità, con evidente ed ingiustificata disparità di trattamento per le medesime fattispecie disciplinate in toto dalla legge italiana. 

Vale la pena ricordare che la procura rilasciata all’estero e ricevuta da notaio straniero deve essere tradotta in italiano e legalizzata o munita di Apostille, salvo contrari accordi internazionali[[4]]. 

In sintesi, il notaio dovrà dunque, in presenza di una procura proveniente dall'estero, verificare: 

a) che sia un atto valido secondo i criteri di rinvio dettati dal diritto internazionale privato italiano (art. 60 d.i.p.) e dunque indagare, se occorre, anche la disciplina applicabile nel paese di origine;

b) che sia un atto proveniente da un’autorità competente di uno Stato straniero;

c) che sia munita di legalizzione od Apostille, salvo la presenza di convenzioni bilaterali che aboliscono la legalizzazione e l’Apostille;

d) che sia munita di traduzione, fatta anche dallo stesso notaio o da un interprete;

e) che non sia contraria ai parametri previsti dagli art. 28 l. not. e 54 reg. not. e che abbia in ogni caso, per il principio di congruità con l'atto al quale deve essere allegata, i requisiti minimi di sicurezza giuridica e di accertamento dell'identità del sottoscrittore richiesti per la circolazione in Italia del negozio principale; in mancanza sarà applicabile la procedura di cui all'art. 67 d.i.p.;

f) che sia un atto idoneo ad essere allegato, in luogo del deposito, all’atto notarile. 

In presenza di tali controlli sarà in ogni caso, per quanto detto, applicabile al notaio il principio dell'apparenza titolata.


Le procure per l’estero

Nel caso in cui sia necessario predisporre una procura destinata a essere utilizzata in un ordinamento straniero, il notaio che la riceve dovrà rispettare tutti i formalismi previsti dall’ordinamento interno, alla pari di qualsiasi altra procura.

Benché non rientri tra i compiti del notaio che riceve l'atto da utilizzare all'estero l'adoperarsi per ottenere la legalizzazione o l'apposizione dell'Apostille, sarà comunque opportuno provvedere a fornire le dovute informazioni circa la necessità di tali formalità al fine di consentire all'atto stesso di circolare nel Paese di destinazione.

Resta fermo che, ove al notaio venga espressamente richiesto di eseguire anche le formalità successive presso le autorità competenti per il rilascio della legalizzazione e l'apposizione dell'Apostille, questi potrà valutare se accettare il relativo incarico. Ove espressamente incaricato, il notaio potrà curare le richieste formalità presso gli uffici competenti al fine di far ottenere alle parti anche la legalizzazione o l'apposizione dell'Apostille sul documento rogato o autenticato.

Una questione molto discussa riguarda il possibile utilizzo della lingua straniera nel testo della procura e della relativa autentica della procura destinata a essere utilizzata all’estero. 

Nel caso in cui una simile procura sia ricevuta dal notaio per atto pubblico, dovranno applicarsi le norme previste in merito dalla legge notarile che, secondo quanto dispongono gli art. 54 e 55 l. not., consentono la redazione anche in lingua straniera solo nel caso in cui una o tutte le parti dichiarino di non conoscere la lingua italiana.

Gli articoli 54 e 55 l. not. non si applicano, in linea di principio, alle scritture private autenticate. Le stesse esigenze che giustificano la disciplina dettata per l’atto pubblico non si presentano per le scritture private autenticate, in quanto l’atto pubblico è formato dal notaio, mentre la scrittura privata è formata dalle parti. Il testo della scrittura da autenticare è formalmente opera delle parti, anche quando il notaio sia stato incaricato della sua redazione, poiché tale incarico opera unicamente sul piano del contratto d’opera professionale.

Il notaio che autentica la sottoscrizione di una scrittura privata è comunque tenuto al controllo di legalità della stessa, disposto dal legislatore ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. a, l. n. 246 del 2005, che ha espressamente esteso l’art. 28, comma 1, n. 1, l. not. anche alle scritture private autenticate, e deve quindi poterne conoscere il contenuto.

Senza soffermarsi sulle differenti casistiche che il notaio si può trovare ad affrontare nel caso di una procura per l’estero, nel caso in cui la procura sia redatta per scrittura privata autenticata, si può ritenere in linea generale che il testo possa essere scritto in lingua straniera, se questa è conosciuta dalla parte e dal notaio, mentre la formula dell’autentica sarà necessariamente scritta in italiano.

Riscontrandosi, tuttavia, sempre più frequentemente, nella pratica, esigenze legate alla necessità di una rapida circolazione degli atti all’estero, che non sono soggetti a registrazione o a formalità pubblicitarie in Italia, qualora il notaio conosca la lingua straniera in cui è redatta la scrittura privata e ne abbia una piena padronanza, si ritiene possibile apporre, in calce o a margine della stessa formula di autentica in italiano, anche la traduzione in lingua straniera della stessa, effettuata dal notaio autenticante e debitamente sottoscritta dal medesimo.

Si ritiene opportuno far menzione della conoscenza della lingua straniera da parte del notaio onde far constare l’avvenuto controllo di legalità. È sempre possibile aggiungere nella formula di autentica altre menzioni eventualmente richieste dall’ordinamento straniero (capacità, menzione documenti ecc.) purché consentite dall’ordinamento italiano.

Si segnala il vademecum operativo per la cooperazione tra notai francesi e notai italiani in tema di procure da e per l’estero che fornisce indicazioni concrete che consentono ai notai di entrambi i Paesi di capire meglio la portata degli obblighi dei colleghi dell’altro Paese, e specifica la procedura da rispettare affinché la cooperazione sia fluida e ottimale a beneficio delle parti.


NOTE

[1] Per approfondimenti, si veda E. BAZZO – E. PUGLIELLI, Domande frequenti in tema di atti consolari e atti provenienti dall'estero, Studio n. 7-2021/A, 13 gennaio 2021.

[2] L'art. 106, comma 1, n. 4, l. not. dispone: «Nell'archivio notarile distrettuale sono depositati e conservati: 4) gli originali e le copie degli atti pubblici rogati e delle scritture private autenticate in Stato estero prima di farne uso nel territorio dello Stato italiano, sempre che non siano già depositati presso un notaio esercente in Italia».

[3] L'art. 68 reg. not. dispone che: «Il notaro può ricevere in deposito, in originale od in copia, atti rogati in paese estero, purché siano debitamente legalizzati, redigendo apposito verbale, che dev'essere annotato a repertorio.

Tali atti, ove siano redatti in lingua straniera, debbono essere accompagnati dalla traduzione in lingua italiana, fatta e firmata dal notaro, se questi conosce la lingua nella quale è stato rogato l'atto; o, in caso diverso, da un perito scelto dalle parti; a meno che non si tratti di atti che vengano depositati presso notari di Comuni, dove sia dalla legge ammesso l'uso della lingua in cui furono scritti».

[4] Si veda C.A. MARCOZ, Il deposito degli atti esteri, la legalizzazione e l’Apostille, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Gli atti provenienti dall’estero, 2007, 63.