Le professioni legali alla prova dell’evoluzione del mercato in Inghilterra
Ordinario di Diritto privato comparato, Università di Torino
Le relazioni precedenti sono state illuminanti e hanno scandagliato il tema in termini di avvicinamento a prospettive anche completamente diverse da quella italiana. Ci si muoverà dunque su questo terreno avendo riguardo anche agli aspetti sociologici ed economici, che sono sicuramente molto rilevanti nel trattare il tema della regolazione delle professioni legali oltre Manica.
Si partirà dai dati che tutti conosciamo, ossia i fondamenti illustrati nei corsi di sistemi giuridici comparati che vengono impartiti nelle facoltà e nei dipartimenti per introdurre gli studenti ai principali sistemi giuridici del mondo. È noto che in Inghilterra non c’è un Notariato equiparabile a quello latino. Anzi, fino a qualche anno fa si diceva che non ci fosse neppure il Notariato, senza aggettivi. Oggi, tuttavia, si fa riferimento alla figura dei notaries che, secondo un recente censimento, sono più di 400, evidentemente un numero piuttosto ridotto. Essi sono nominati dall’arcivescovo di Canterbury e sono regolati dal Master of arches il quale svolge funzioni giudiziarie nella diocesi. È risaputo che questi operatori redigono essenzialmente atti destinati all’estero e normalmente hanno quindi una duplice qualifica professionale. La prima è per più il titolo di solicitor. Per distinguersi nell'ambito di tale professione, è dunque possibile acquisire una qualifica ulteriore, che presuppone il superamento di alcuni esami specifici. È evidente che si sta parlando di una categoria professionale che rappresenta una nicchia nel quadro delle professioni legali.
In realtà, il grosso della professione legale si divide tra barristers e solicitors. I barristers sono considerati la crema della professione giuridica inglese, apparendo regolarmente davanti alle Alte Corti di Londra. L’altro ramo della professione è, invece, più numeroso, essendo costituito da poco più di diecimila firms, prevalentemente impegnate in un lavoro stragiudiziale, a cominciare dal conveyancing, vale a dire dai trasferimenti immobiliari, che in Inghilterra fanno capo a un pubblico registro elettronico di elevata qualità, in grado di garantire la bontà dei titoli immobiliari. Sono normalmente i solicitors a redigere gli atti societari, e così pure i testamenti, e quindi a volgere molte delle funzioni che in Italia competono ai notai. Beninteso si tratta di professionisti che non rivestono la qualifica di pubblico ufficiale.
I solicitors, oltre a svolgere funzioni di consulenza e di redazione di atti, hanno ormai guadagnato il right of audience presso le alte Corti di Londra, vale a dire di patrocinare in giudizio preso le giurisdizioni superiori. Il quadro delineato finora, infatti, con una netta distinzione tra le funzioni svolte dai barristers e quelle di competenza dei solicitors ha tenuto fino alle riforme attuate nel secolo scorso dai governi conservatori, sotto la guida della lady di ferro, Margareth Thatcher. La Thatcher era barrister, avendo alle proprie spalle una laurea in chimica – com'è noto in Inghilterra non è richiesta la laurea in giurisprudenza per accedere alla professione forense –. Pertanto la scelta di rompere il monopolio del patrocinio, di cui beneficiava l'élite professionale dei barrister, fu presa da un capo di governo che era ben consapevole del carattere rivoluzionario del passo che si andava a compiere (sembra comunque che la Thatcher non sia stata amatissima dalla medesima categoria professionale).
Queste riforme hanno come caposaldo il Courts and Legal Services Act del 1990, che a sua volta ha alla base un modello cui in Italia probabilmente non si penserebbe subito, nel considerare la sfida della riforma della professione. Circa dieci anni prima dell'approvazione di questa legge, la Borsa di Londra era stata fatta oggetto di una riforma storica, battezzata all'epoca come il “Big Bang” della Borsa londinese. Quest’ultima, infatti, aveva operatori con ruoli precisi e ben distinti. In particolare, operavano sul mercato i brokers e jobbers, rispettivamente coloro che raccoglievano gli ordini e coloro che li eseguivano. A un certo punto, tutto questo viene cancellato, nel nome dell’apertura delle contrattazioni alla concorrenza, attraverso l’integrazione delle professioni. Il quadro d’insieme, regolato da norme tradizionali consolidate e assestate nel tempo, cambiò rapidamente sull'onda di un approccio completamente diverso alla regolamentazione delle professioni, che insisteva sulla necessità di aprirle alla concorrenza.
Lo stesso schema fu quindi replicato in sede di riforma della professione giuridica. In altre parole, si attuò una svolta fondamentale che avvenne con la pubblicazione da parte del Governo del White Paper del 1989 – che suscitò il furore della professione forense e giudiziaria –. La proposta contenuta in questo documento manteneva nomi diversi per le diverse professioni, prevedendo che solo alcuni soggetti fossero abilitati a svolgere alcune funzioni, ma in realtà consentiva a molti soggetti lo svolgimento di diverse funzioni che in precedenza erano monopolio riservato ad alcuni.
In particolare, come ho anticipato, la riforma consentiva il right of audience, fino ad allora prerogativa essenziale del barrister – considerati l’élite della professione, vale a dire circa tremila persone – anche ai solicitors e addirittura ai soggetti che non avevano le qualificazioni dei solicitors, ossia i legal executive. Stesso ordine di provvedimenti ha riguardato i conveyancer, con i c.d. licenced conveyancer, figure professionali che si occupano di trasferimenti immobiliari. Dunque, siamo di fronte uno scenario completamente nuovo, in cui si inseriscono, tra l’altro, le pratiche multidisciplinari che fino ad allora non erano permesse, ossia gli studi professionali in cui lavorano insieme solicitors e barristers, integrati anche da altri professionisti.
Si è allargata, inoltre, la possibilità di operare sul mercato inglese a professionisti stranieri, anche grazie al fatto che gli altri Paesi di lingua inglese avevano accesso alla piazza di Londra attraverso il riconoscimento delle loro qualifiche professionali.
Infine, la riforma ha introdotto il patto di quota lite, novità assoluta per l’Inghilterra, e per molti aspetti assolutamente dirompente. Occorre tenere presente, infatti, che il patto di quota lite è stato introdotto per tagliare pesantemente i costi dei servizi legali nella convinzione che l'Inghilterra orami si fosse arresa ad una "compensation culture”, la quale avrebbe alimentato la tentazioni – come si dice – di andare all’incasso, anche a fronte di perdite minime o inesistenti, a incidenti di nessun conto, che dovrebbero essere invece sopportati dal pubblico come parte delle prove della vita, In realtà, l'allarme suscitato al riguardo sembra essere stato esagerato, essendo stato lanciato più sulla scorta di una aneddotica gustosa, che sulla scorta di analisi condotte in base ai dati disponibili).
Certamente le scelte così operate maturano anche per via di influenze d’oltre Atlantico. Infatti, nello stesso torno di anni la American bar association aveva a sua volta suggerito di introdurre licenze limitate ai paralegals, per questioni di routine come ad esempio certi closing immobiliari e la stesura di testamenti che non presentassero particolari difficoltà. Tutto sommato, però, l’approccio inglese non è davvero riconducibile a quello d’oltre Atlantico, perché negli Stati Uniti le professioni sono ancora sostanzialmente in regime di autoregolazione, mentre in Inghilterra si ritiene ci si trovi in un regime che non è più tale in quanto si è cercato, da un lato, di favorire la concorrenza e, dall’altro (e questo è stato uno dei leitmotiv della riforma, che però non ha dato esisti pienamente soddisfacenti al riguardo) di promuovere la tutela dei consumatori dei servizi legali.
Nel 2007 viene varata una seconda riforma legata al Court Legal Services Act, la quale ha introdotto in Inghilterra le cosiddette “Alternative business structures”. Sono le società con presenza di soci di capitale. Anche questa è una novità che ha suscitato diverse reazioni. C’è chi ha parlato in proposito di “Tesco law” (Tesco è una delle maggiori catene di supermercati inglesi, per una fascia di mercato medio bassa) ed in effetti, Tesco aprì subito la propria società con i propri operatori, qualcuno anche dislocato nei supermercati, per rendere più chiaro il messaggio. Tuttavia l'ingesso di soci di capitali nelle Alternative business structures non sembra aver prodotto i disastri che inizialmente si temevano, soprattutto in punto di indipendenza della professione legale.
Dal punto di vista economico, il quadro che abbiamo di fronte si riassume in alcune cifre. In Inghilterra nel 2015 sono stati spesi 32 miliardi di sterline nei servizi legali. L’aumento rispetto al 2007 – che viene considerato un anno significativo per via dell’emanazione della seconda riforma – è stato del 34% in termini di export di servizi legali in più sulla piazza inglese (il tema è oggi dolente per gli amici inglesi ...). È chiaro Brexit potrebbe influire su queste cifre, ma i numeri rendono bene la dimensione dell’argomento di cui stiamo parlando.
Le attività riservate a barristers e solicitors sono: il right of audience che è il diritto di rappresentare il cliente in giudizio, ovvero il diritto di condurre la lite, vale a dire il diritto di compiere certi atti processuali; le attività che cadono sotto la nozione di reserved instrument activities, cioè la redazione di documenti necessari per compiere trasferimenti immobiliari, tutto il resto non è attività riservata; le attività designate come probate activities, vale a dire alcune formalità riguardanti i testamenti, la cui certificazione è considerata attività riservata; le notarial activities – ma questo è il classico caso di false friend, non si tratta in realtà delle nostre attività notarili – e infine, la somministrazione dei giuramenti.
La riserva di attività opera a favore di persone fisiche ed enti, che sono soggetti alla supervisione di un Regolatore approvato, o da soggetti esentati dall'osservanza di tale requisito (quest’ultima categoria comprende davvero solo delle eccezioni sulle quali è inutile soffermarsi). Se si esaminano i soggetti autorizzati, cioè quelli che in qualche misura possono essere collegati alla nostra nozione di professione legale, si trovano in testa alla lista i solicitors regolati dalla Solicitors regulation authority; i barristers regolati dal Bar standards board, e quindi i legal executive regolati dal CILEx; i licenced conveyancers che si occupano di trasferimenti immobiliari; si incontrano quindi due figure professionali, conosciute anche in Italia e che si occupano dei brevetti; i costs lawyers, ossia i soggetti qualificati che hanno competenza ad occuparsi solo delle parcelle e dei costi legali (si tratta di una figura specializzata che si occupa solo di questo e che può apparire in giudizio in relazione alla documentazione dei costi legali); i famosi notaries e, infine, i chartered accountants, che sotto il profilo legale sono contabili e hanno accesso a un’unica attività riservata, ossia la somministrazione di giuramenti, in particolare per la certificazione dei bilanci.
La maggior parte delle funzioni cui si è fatto cenno, oggi è accessibile alla maggioranza di questi soggetti. Da qui, una certa crisi di identità. Ad esempio, ci si è chiesto se i solicitors che per avventura fossero esclusi dall’ordine a cui appartengono, possano cambiare qualificazione professionale e diventare legal executive e, di conseguenza essere soggetti a diversa regolazione. In conclusione, si è assistito ad una forte destrutturazione delle professioni tradizionali.
Al di sopra di tutte queste figure ci sono ben nove enti regolatori, ciascuno con il proprio sito web e, a loro volta essi hanno in testa un “super regolatore” che è il Legal services board, l’organismo che sovraintende alla regolazione dei regolatori.
I solicitors occupano il 66% del mercato, i barristers il 6% e tutti gli altri professionisti si dividono il rimanente 28%. Se però si analizza la struttura della professione dei solicitors si scopre che c’è un’élite – le top 200 firms – che ha un peso economico preponderante, con forte concentrazione della ricchezza (per entrare in questa classifica, bisogna fatturare almeno 11 milioni di sterline). Il vertice della professione – il magic circle – rappresenta in termini di fatturato circa il 60% della quota di mercato di competenza di solicitors. Le top 200 firms si portano a casa quindi più di metà della torta che spetta ai solicitors.
Ci sono anche soggetti regolati da altri regolatori, in particolare le Authorised claims management companies, che esistono in Italia nell’ambito bancario e finanziario anche se vengono chiamate diversamente. Tra le attività non regolate c’è anche il c.d. Will writing o, più in generale, il Legal advice.
È vero che Inghilterra chiunque può scrivere un testamento ma, dato che si è di fronte ad un mercato, ogni nicchia professionale può dar luogo a servizi – cosa che in Italia a volte si comprende e a volte no –. In Inghilterra sono stati offerti servizi di vario genere relativi alla scrittura dei testamenti ed esiste persino una società che si occupa di questa attività: la Society of will writers, la quale è una no-profit organization, che però offre servizi a pagamento. Essa raggruppa un numero considerevole di soggetti. Nell'aneddotica, si registra qualche espulsione dall'associazione, perché qualche socio si è fatto pagare dal cliente più di un solicitor per redigere un testamento.
Il quadro composto dalle riforme segnala in proposito alcune criticità e il Legal services board ha così domandato un parere al proprio braccio indipendente – il Consumer panel – composto da nove autorevoli membri senza qualifica giuridica – si consideri che in Inghilterra il fatto che i giuristi regolino se stessi genera grande sospetto –. Il Consumer panel ha pubblicato il proprio rapporto sull'argomento nel 2011. Il Legal services board lanciò, dunque, due consultazioni sul punto, al termine delle quali venne avanzata la proposta di ritenere la scrittura dei testamenti un’attività riservata. Questa proposta, tuttavia, fu bocciata dal Lord chancellor, il quale, pur sostenendo che in effetti c’era un detrimento per il consumatore, affermava che non era dimostrato che la riserva di attività fosse la miglior alternativa o che fossero state esplorate tutte le altre opzioni, incluso: «lavorare con l’industria per migliorarne gli standard qualitativi ed educare meglio i consumatori circa i vari operatori con cui possono entrare in contatto».
Le Claims management companies sono più di mille società operanti in Inghilterra, e hanno 726 milioni di sterline di turnover annuale. Sono state regolate dal Compensation Act, perché, a un certo punto, ci si è resi conto la regolamentazione era necessaria. La loro riserva di attività riguarda: le domande formulate per personal injury ossia il danno alla persona; prodotti e servizi finanziari; questioni di lavoro; incidenti sul lavoro; benefici legati alla disabilità; compensations legate a reati e cattiva riparazione di edifici.
Le Claims management companies possono fare pubblicità o ricerca di potenziali interessati attraverso marketing diretto a scovare chi potrebbe agire in giudizio; fornire consulenza a persone che possano vantare una pretesa; riferire i dettagli di una persona, di una pretesa o di una ragione per agire in giudizio – e questo è il vero cuore dell’attività – come corrispettivo per altri procacciabili clienti; indagare su possibili ragioni che conducono a una pretesa e, infine, rappresentare il cliente.
Uno dei dubbi ricorrenti di questa situazione è se, in effetti, non si siano innescati i meccanismi classici del race to the bottom: un abbassamento degli standard qualitativi conseguenti all'abbattimento di monopoli, all'entrata di nuovi soggetti sul mercato, e alla difficoltà di regolare adeguatamente il mercato che ha preso corpo per effetto delle riforme. Qualche indizio in tal senso è emerso. In Inghilterra si sono verificati in anni recenti più di centomila casi di miss-selling, ovvero di vendite di titoli immobiliari di cui gli acquirenti non avevano esatta cognizione giuridica.
In Inghilterra si possono acquistare, infatti, due tipi di titoli: i freehold, corrispondenti nella sostanza alla nostra proprietà, e i leashold, vale a dire un diritto di godimento a termine – normalmente di 99 anni, ma vi sono leasehold che hanno anche durate molto maggiori o minori – che si configura come una locazione opponibile a terzi, con elementi di realità. I leaseholds si pagano normalmente per il loro valore capitale all’inizio del rapporto. Tuttavia il tenant – colui che riveste la posizione di locatario – paga anche un ground rent costante di valore minimo (una/cinque sterline all’anno). Nelle frodi che sono state denunciate, l’atto prevedeva invece ground rent crescente che al quarto/quinto anno arrivava al valore inaccettabile di circa diecimila sterline. Si sostenuto che questo scandalo si è verificato perché il cordone della regolazione è stato allentato a tal punto da permettere a dei soggetti non idonei dal punto di vista etico-professionale di agire senza remore, non informando i clienti della vera natura dell'affare. Non mancano dunque il lati oscuri della pratica professionale.
Da un punto di vista generale, una delle ragioni per cui è stata introdotta questa riforma era, in parte, rendere più accessibile l’assistenza legale in Inghilterra. Tuttavia, secondo i dati del 2016, non si ritiene che l’esito dell'azione a suo tempo intrapresa sia ad oggi soddisfacente sotto questo punto di vista. Un’ora di assistenza legale giuridica costa circa il 47% della retribuzione media giornaliera di una persona. Un secondo dato importante è che il 54% delle persone affronta un problema legale senza assistenza, anche per quanto riguarda il processo. Ci sono numerosi casi di soggetti che vanno in giudizio non rappresentati da un professionista, anche perché la difesa tecnica non è un obbligo. Non solo si ha il diritto di andare a giudizio da soli, si può anche essere assistiti semplicemente da un amico. Questa è una di quelle eccezioni curiose a cui si accennava, quanto alla possibilità che soggetti marginali prestino assistenza di natura legale.
Si tenga presente che la concorrenza, in fondo, presuppone la capacità del consumatore di discernere. Ebbene, i dati ci dicono che solo 1/3 dei consumatori cerca notizie su prezzi e prestazioni in materia di servizi legali. È una percentuale ancora abbastanza bassa. Anche i siti che dovrebbero comparare i prezzi delle prestazioni non sono così efficienti.
Si scopre, dunque, che la reputazione rimane il fattore più importante nella scelta del consulente legale, anche se ha un diverso peso per alcune attività come ad esempio la scrittura dei testamenti.
L’uso di marker di qualità come tentativo di aiutare i consumatori a distinguere e a discernere non ha dato buoni risultati. Pochissime persone, infatti, li ritengono credibili. Tra l’altro, in Inghilterra, la fiducia pubblica dei professionisti legali oggi è al 45%; dato che può essere anche tradotto in questi termini: alla domanda “pensate che un avvocato/professionista legale possa tradirvi?”, circa la metà degli intervistati ha risposto positivamente. Notevole impatto ha anche il fatto che la fiducia nella protezione dei diritti del consumatore nella relazione con il professionista legale si attesta a una soglia ancora abbastanza bassa.
Gli studi legali locali medio-piccoli sono di gran lunga preferiti nella maggior parte delle aree dell'Inghilterra. Questa è stata una sorpresa perché ci si aspettava una dominanza di firms nazionali, ma in realtà queste non coprono più del 10% del fabbisogno. È vero che, molto probabilmente, sono marchi molto forti, ma secondo i dati del Legal services board, il cliente si rivolge ancora alla comunità locale per comprendere qual è la reputazione di un certo professionista. È la vecchia figura del professionista conosciuto e apprezzato nella comunità, che suscita in più d'uno un po’ di nostalgia, alla luce di quanto è venuto dopo.