Giuffré Editore

Prognosi di sopravvivenza della causa del contratto nel codice civile


Chiara Tenella Sillani

Ordinario di Diritto civile, Università di Milano


È da lungo tempo usuale nella letteratura giuridica riguardare il concetto di “causa” evidenziandone lo stato di crisi latente e di malessere. Da qui trae spunto il titolo della relazione, dove il termine “prognosi”, mutuato dal linguaggio clinico, sta intenzionalmente a significare «previsione su decorso ed esito di un quadro morboso» (così recita l’Enciclopedia Treccani). A tale “previsione” saranno dedicate le mie considerazioni: la necessità di contenerle entro precisi limiti temporali, insieme alla complessità e vastità del tema, confido giustifichino i termini sommari della trattazione. Del resto, alcuni dei relatori che mi hanno preceduto hanno già affrontato questioni connesse al tema affidatomi. 

Nel panorama europeo, i progetti di armonizzazione della disciplina generale del contratto (i Principi Unidroit; i Principles of European Contract Law; le Code europeen des contrats del progetto Gandolfi; lo stesso Draft Common Frame of Reference) hanno segnato in materia una tappa cruciale nella riflessione dei giuristi continentali, anche per la esclusione del requisito della causa dal tessuto normativo predisposto e la conseguente affermazione del valore vincolante del nudo patto. Le ragioni di tale opzione – tra cui spicca l’inconciliabilità di causa e consideration – sono note e chiaramente esposte nell’illustrazione delle scelte operate. Altrettanto noti sono i commenti degli studiosi, inclusi quelli nostrani, divisi tra coloro che ne hanno celebrato la necessaria fine e quanti ne hanno invece ribadito l’utilità. 

Ad accentuare le ombre che continuano ad addensarsi sul futuro della “causa” è intervenuta la recente riforma francese del Code Civil, ripetutamente evocata nelle precedenti relazioni e oggetto principale del raffinato e colto intervento di Michele Graziadei. 

L’intento della riforma di modernizzare il diritto dei contratti, per rendere il sistema più chiaro, semplice e prevedibile, aspirando a restituire al codice francese il ruolo di modello preminente ed autorevole nel panorama internazionale, ha infatti condotto all’abbandono della causa, prima inclusa nei panni di «une cause licite dans l’obligation»[[1]], tra gli elementi di validità del contratto che ora figurano elencati nell’art. 1128 (in cui non compare più nemmeno l’oggetto)[[2]]. In aerea francofona, questa soluzione era stata peraltro già adottata nel 1991 dal Codice civile del Quebec. 

È stato altresì abrogato il contenuto normativo dell’art. 1131, in cui si negava efficacia all’obbligazione mancante di causa, o con causa falsa o illecita[[3]]. È evidente, in tali significative modifiche, sia la presa d’atto di una più moderna teoria giuridica del contratto, sia l’influenza dei progetti europei sopra segnalati, nonché delle Convenzioni internazionali (in particolare, la Convenzione di Vienna del 1980), anche se nell’avant-projet Catala – diversamente dall’avant-projet Terré – il requisito causale risultava ancora preservato, sia pure rivisitato in un’ottica protettiva delle parti. 

In realtà, come avverte, tra gli altri, Denis Mazeaud in un saggio comparso nella Rivista di Diritto civile nel 2016, se dalla «… lettura dei testi [si] rileva che la parola ‘causa’ non appare più, ciò tuttavia non permette di concludere che questa sia puramente e semplicemente scomparsa nel nostro droit positif, e ciò nella misura in cui alcune delle sue funzioni, quelle tradizionali ovvero alcune più moderne, sono conservate o consacrate»[[4]]. 

A scorrere gli articoli riformati emerge, in effetti, che, a fronte della meticolosa cancellazione di ogni menzione, il ruolo svolto da tale istituto, in prospettiva di volta in volta soggettiva o oggettiva, viene in parte preservato, sia pure affidato ad altre formule e a diversi concetti, dal carattere neutro o altrettanto complesso oppure didascalicamente esplicitato. Se l’art. 1128 sopprime la causa come requisito di validità del contratto (ritenendo sufficienti la volontà delle parti, la capacità e un contenuto certo e lecito), l’art. 1162 legittima un controllo in ordine alla non contrarietà all’ordine pubblico dello “scopo” del contratto, come sostanzialmente già avvenuto in Olanda con la riforma del 1992[[5]], a prescindere dalla conoscenza o meno di questo da parte di tutti i contraenti (art. 1162)[[6]]; il termine usato è “but”, già evocato, del resto da Henry Capitant nel 1927, per distinguere la causa dai motivi[[7]]. Detto controllo si prospetta possa intervenire anche ricorrendo alla nozione – peraltro ugualmente enigmatica – di “contenuto” del contratto: in tal senso, sancire la nullità di un contratto perché il suo contenuto è contrario all’ordine pubblico non è diverso dal pronunciare la nullità di un contratto viziato da una causa in contrasto con l’ordine pubblico[[8]]. 

A sua volta, l’art. 1169 afferma che un contratto a titolo oneroso è nullo, qualora, al momento della sua conclusione, la controprestazione convenuta sia «illusoire ou dérisoire»; il che corrisponde alla regola operativa sviluppata dalla giurisprudenza francese – e nostrana – della nullità per mancanza di causa[[9]]. Ancora, rileva l’art. 1170 a termini del quale la clausola che priva della sua sostanza l’obbligazione essenziale del debitore è da ritenersi non scritta; regola che nuovamente consacra un indirizzo giurisprudenziale fondato sulla causa[[10]]. 

Dunque il Code, come scrive Mario Barcellona, «rinuncia alla causa, ma non rinuncia affatto a quel controllo che il giudizio causale implementava »[[11]]. 

Allora? “Molto rumore per nulla”, per ripetere il titolo di un commento critico alla riforma francese?[[12]]. Non proprio. 

Il tramonto della causa, sia pure a volerlo ridurre a mera omissione del lemma in un testo legislativo, non è infatti predicato a livello solo progettuale o comunque di soft law, con ricadute meramente ipotetiche sulla disciplina generale del contratto, ma rappresenta l’esito di una precisa opzione che coinvolge non un codice qualunque ma un monumento storico quale il Code Napoléon, che, in materia, aveva raccolto l’eredità di Domat, Pothier, Pufendorf, Grozio, trasferendola poi in molti sistemi di civil law. Una scelta legislativa di per sé dirompente a livello simbolico, strategico, politico[[13]]. 

La formale cancellazione di tale requisito di validità, d’altra parte, conduce la dottrina a interrogarsi sugli esiti pratici della riforma, rilevando molti che l’affidare a nozioni ugualmente generiche (come quella di “scopo” o “contenuto”) il controllo sulla liceità del contratto, non risolve (o addirittura amplifica) i problemi interpretativi sollevati dalla nozione di causa, oltretutto senza quel substrato di riflessioni (e applicazioni) sedimentate intorno a quella. Ci si chiede altresì come rendere compatibile la sostanziale ammissione del nudo patto rispetto a un sistema ancora dominato dal principio consensualistico[[14]]; quale natura riconoscere al rimedio esperibile in ipotesi di corrispettivo meramente simbolico, a fronte della protezione di interessi che appaiono ristretti alle sole parti del contratto (probabilmente una nullitè relative); ancora, quale sia l’ambito di applicazione della “caducité” (su cui la brillante e intelligente relazione di Stefano Pagliantini), concetto elaborato dalla giurisprudenza con riguardo alla causa e che oggi, recepito negli artt. 1186 e 1187 novellati, viene riferito al difetto sopravvenuto di un elemento essenziale del contratto o di un contratto collegato. 

Ovviamente, nelle future stagioni saranno elaborate risposte ai numerosi quesiti e ai dubbi sistematici sollevati, le quali soprattutto suggeriranno quale aggettivo qualificativo aggiungere alla scelta operata dal legislatore francese, declinandolo nell’alto oppure nel basso del suo pentagramma. 

Si tratta ora di chiederci se tale corrente riformista, il cui approdo più significativo ha investito il Code civil, possa in qualche modo riguardare anche il nostro ordinamento, dove, alla stregua dell’art. 1325 n. 2 c.c., la causa è un requisito del contratto (e non dell’obbligazione come era nel Code Civil), da valutare in relazione ai parametri delle norme imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume (art. 1343 c.c.). 

Allo stato, è evidente – la precisazione appare di certo superflua – che la domanda non riguarda eventuali proposte di rinnovamento legislativo analoghe a quelle d’oltralpe, sulla scorta della stretta comunanza di molteplici atteggiamenti culturali; il nostro codice, del resto, ha quasi centoquarant’anni meno del modello francese, ha risentito l’influenza, soprattutto nella tecnica legislativa, di quello tedesco, e offre già regole soltanto ora inserite nel Code civil. Il rischio potrebbe consistere infatti nel predisporre, al fine di adeguarsi precipitosamente al moderno diritto dei contratti, un apparato normativo non ben coordinato e privo di coerenza sistematica (è questa, del resto, la critica che Guido Alpa muove alla novella francese[[15]]). Se proprio di immediate riforme si volesse parlare, ben altri – e molto più urgenti – dovrebbero essere gli interventi del legislatore per adeguare il nostro ordinamento alla mutata realtà socio-economica: si pensi, per accennare a temi anche di interesse notarile, alla necessità di rivedere il divieto dei patti successori o di regolare gli accordi prematrimoniali in vista della crisi coniugale sulla scia di una sempre più significativa contrattualizzazione dei rapporti familiari di natura patrimoniale (si pensi, da ultimo, ai contratti di convivenza) ed in sintonia con le riforme già realizzate in Francia e in Germania[[16]]. 

Ciò che invece può essere tratto dalle rinvigorite discussioni in ordine al tramonto, alla morte, o alla risurrezione della causa[[17]], come indotte dagli sviluppi normativi in atto in Europa, è un’ulteriore riflessione sul suo attuale ruolo per giustificarne la presenza o, forse meglio, la “sopravvivenza” nel codice civile. 

Un richiamo alla storia dell’esperienza giuridica europea potrebbe certamente giovare a ricondurre in una prospettiva meno astratta ed evanescente il discorso sulla causa, in cui è stata racchiusa la distinzione tra promesse vincolanti e non vincolanti, rappresentandola come vestimentum dell’agire dei privati ovvero come razionale giustificazione sia dell’assunzione di obblighi sia, soprattutto, dei trasferimenti di ricchezza connessi alla volontà individuale. Non è, tuttavia, questa la sede per tratteggiare tale percorso, neppure in via sommaria; in materia sono, del resto, disponibili studi approfonditi e raffinati, come quelli svolti da Andrea D’Angelo che presiede oggi questo incontro[[18]]. 

Vorrei soltanto ricordare che la “crisi” o comunque una sua trasformazione significativa, è da noi iniziata già con il codice del 1942, dove la visione unitaria del contratto è venuta a sostituire quella atomistica delle promesse accolta nel codice del 1865 sulla falsariga del Code Napoléon (del quale, significativamente, l’art. 1119 riproponeva il termine “causa dell’obbligazione”). Ciò ha infatti portato una parte degli interpreti a considerare la causa, divenuta requisito del contratto, elemento non più autonomo, bensì assorbito nella nozione di contenuto[[19]]; altra parte – ed è stata la maggioranza – a riguardarla quale sintesi degli effetti del negozio, considerati non “oggetto voluto”, ma “funzione” dello stesso (o, meglio, come funzione tipica dell’atto appartenente a quel tipo)[[20]]. Il che, incentrando l’attenzione sul contratto e non più sulla promessa, ha condotto la nozione a intraprendere una strada diversa e più complessa, divenuta nel tempo sempre meno limpida. 

A un decennio dall’entrata in vigore del nuovo codice civile, merita un ricordo, anche per l’impostazione storico-comparativa adottata, il celeberrimo studio di Gino Gorla[[21]], il quale, sotto l’etichetta del modello di civil law, ha registrato la contiguità fra gli atteggiamenti francesi e quelli italiani, riconoscendo in entrambi la tendenza a richiedere, per la rilevanza giuridica di un contratto, una “causa sufficiente”, ossia una ragione adeguata all’impegno; rispetto al modello francese si trovano peraltro regole concrete – l’astrazione processuale, il numero chiuso delle promesse unilaterali, l’accessorietà della fideiussione – in funzione di tutela dell’interesse del promittente. Per l’illustre autore, nei contratti di scambio ovvero in quelli che implicano una controprestazione, la causa onerosa, intesa come “interesse alla promessa”, è idonea a sostenere l’impegno preso (senza richiedere un rapporto di adeguatezza tra le prestazioni, salvo colpire ipotesi estreme di squilibrio); per le promesse di dare a titolo gratuito è richiesta invece la forma solenne dell’atto pubblico o la traditio (per accertare la volontà di obbligarsi). In definitiva, per Gorla i requisiti della causa e della forma hanno solo la funzione di accertare la ponderatezza della manifestazione di volontà. Queste riflessioni sono state poi sviluppate da Rodolfo Sacco[[22]], il quale ha cercato di contrastare la sempre più estesa nebulosità del formante dottrinale, attraverso un approccio realistico, rifacendosi al concetto di causa in concreto e registrando le molteplici regole in cui si articola il principio causalistico. Analizzando le soluzioni privilegiate, Sacco identifica il concetto di causa nella promessa interessata, precisando che laddove i sacrifici siano reciproci la causa cessa di essere un problema; fuori dei contratti interessati e di quelli con funzione di garanzia o pagamento, l’atto formale (come nella donazione) o la traditio (come nel comodato) suppliscono il difetto di causa. 

Ho voluto ricordare tali letture, chiare e consapevoli della storia e delle diverse esperienze giuridiche, per segnalare la distanza – e non solo per ragioni temporali – delle attuali concezioni di quanti discettano sul ruolo insostituibile della causa, a fronte dell’orientamento anticausalista che ne segnala la raggiunta inutilità, esibendo il sistema altri strumenti, meno vaghi ed incerti, per sostenere gli impegni presi e per operare il controllo sull’autonomia privata, alla luce delle norme imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume. La numerosità dei diversi ruoli alla stessa assegnati non giova certo alla chiarezza: strumento per individuare lo scopo pratico perseguito dai contraenti; canone di interpretazione e qualificazione del contratto; criterio di adeguamento del contratto in relazione alle circostanze sopravvenute; mezzo per valutare il merito dell’accordo – correggendone o integrandone il contenuto – ovvero per sindacare la meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti. Piuttosto che elencarli (e commentarli), vorrei condividere una generica impressione che mi pare caratterizzi l’atteggiamento di una parte degli studiosi. Viene costantemente ribadito che l’attuale impostazione ha definitivamente abbandonato quella connotazione ideologica della causa che, agli albori del nuovo codice del ’42, funzionalizzava l’autonomia privata al perseguimento di interessi coerenti con quelli generali; nondimeno, sottilmente riemerge, sia pure in altra veste, l’idea della “funzione”: del singolo e isolato contratto, non più riguardato alla luce dello schema astratto predisposto dal legislatore (è questa, più o meno, la configurazione della “causa concreta”), si prospetta infatti un controllo basato su principi, quale la congruità o proporzionalità degli scambi, che consentono di incidere sull’attività dei privati, magari nell’ottica di realizzare un “contratto giusto”. In tal senso, è esemplare la tesi che vede nella “causa” una clausola generale dell’ordinamento giuridico, dal ruolo simile a quello oggi sempre più assegnato alla “buona fede”, il cui contenuto è letto nel segno di finalità espresse da “valori”[[23]]. 

La giurisprudenza fa ampio uso della “causa”, rivestendola con le differenti formule elaborate nel tempo dalla dottrina: prima la bettiana “funzione economico-sociale” dell’atto di autonomia privata[[24]]; poi la “funzione economico-individuale”, coniata da Giovan Battista Ferri[[25]], oggi divenuta “causa concreta”, espressione fortunatissima, come ci ricorda Enzo Roppo[[26]]. Di là dalle massime stereotipate, la fonte giurisprudenziale, potendo accedere alla molteplicità e flessibilità di significati assegnati al termine “causa” nell’accumulo dei decenni e nel mutarsi delle premesse ideologiche, esibisce anch’essa, al pari della dottrina, applicazioni variegate, talora contraddittorie oppure esorbitanti se non errate (esemplare l’analisi critica offerta in tal senso da Enzo Roppo), che non di rado conducono, come auspicato o più spesso “registrato” dalla dottrina, a sindacare le pattuizioni negoziali alla luce di supposte esigenze di “giustizia” o per garantire la “congruità” degli scambi. Si tratta, in altre parole, di pronunce non sempre facilmente riconducibili a percorsi decisionali univoci, le quali, per ciò stesso, veicolano incertezze del diritto che finiscono per tradursi in costi, soprattutto per gli operatori economici. Della causa (o meglio, della “causa concreta”) anche la giurisprudenza offre una lettura di volta in volta oggettiva o soggettiva (così stemperando il riferimento al modello tipologico); la collega ad eventi sopravvenuti alla conclusione del contratto che ne rendono impossibile la realizzazione in concreto, con conseguente dichiarazione di nullità dello stesso[[27]]; su di essa direttamente o indirettamente fonda il giudizio di meritevolezza dell’art. 1322 c.c., declinato nell’ottica delle finalità socialmente non dannose o non contrastanti con l’utilità sociale, con conseguente declaratoria della nullità del contratto (esito già peraltro raggiungibile anche ricorrendo ai principi di ordine pubblico)[[28]]; ad essa si rifà per sindacare il preteso equilibrio tra le prestazioni (desumibile sulla base dei parametri costituzionali offerti, in particolare, dall’onnipresente art. 2), pur prescindendo dal diverso potere negoziale delle parti. 

Anche l’arbitro bancario, le cui più significative decisioni ormai compaiono nelle riviste giuridiche, non manca di offrire esempi in tal senso. Per un caso in cui il ricorrente chiedeva la restituzione della «commissione per dichiarazione di sussistenza debito/credito», utile anche ai fini della dichiarazione di successione, nella decisione n. 2570/15 il Collegio di Roma, richiamata la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte sulla causa concreta, afferma che «nel caso di specie, la verifica della causa contrattuale concreta è giustificata dalle particolari condizioni contrattuali e dalla evidente sproporzione tra l’importo richiesto ed il servizio reso (servizio che con l’informatizzazione dei sistemi bancari può essere reso in maniera rapida e del tutto automatizzata); ciò che induce a ritenere la nullità della clausola che prevede la commissione sub judice, risultando gravoso e incidente sull’equilibrio complessivo del contratto una commissione applicata secondo un criterio privo di giustificazione e tale da risultare in concreto palesemente abnorme». La pronuncia è esemplare, anche per la sua palese violazione delle norme del Codice del Consumo in tema di contratti dei consumatori (dove lo squilibrio preso in considerazione non riguarda mai il prezzo, se espresso, come nella specie, in modo chiaro e a priori conoscibile).

La ricchezza di significati attribuiti al termine causa incide, dunque, sul formante giurisprudenziale, accrescendo la discrezionalità delle decisioni, fino anche a prospettare un «governo giudiziario del contratto», come sostanzialmente affermato in una pronuncia della Cassazione[[29]]. 

Perciò forse non stupisce che laddove le esigenze di certezza appaiano più forti, come per i contratti del commercio internazionale, i Principi Unidroit espungano la causa dagli elementi del contratto, in quanto percepita (lo ricorda Joachim Bonell nel suo libro esplicativo) come fonte di litigi vessatori ed inutili[[30]]. L’art. 3.2 dispone, infatti, che «Un contratto è concluso, modificato o sciolto con il semplice accordo delle parti, senza bisogno di altri requisiti»[[31]]; ciò anche significa che, nell’ottica del mercato, l’agire interessato, la ragione utilitaristica, alla base degli scambi, può dirsi ormai insita nel volere delle parti[[32]] (come se la promessa interessata fosse già di per sé vincolante, non per legge di natura come direbbe Grozio[[33]], ma secondo la lex mercatoria), purché il consenso sia espresso in modo consapevole e non condizionato (ma ciò aprirebbe un altro interessante capitolo del moderno diritto dei contratti) e finché le parti vogliano che duri. In tal senso, può anche spiegarsi, come suggerisce una dottrina straniera, la ragione per cui, a fronte di indirizzi giurisprudenziali non univoci dei giudici supremi, nel nuovo codice civile olandese del 1992 la nozione di causa non compaia tra gli elementi essenziali del contratto[[34]]. 

Verrebbe così da pensare che la riforma francese, la quale anche in tema di causa si dice ispirata – come già sopra evidenziato –, alle soluzioni offerte dalla giurisprudenza – altrettanto ricca e variegata quanto la nostra – D. Mazeaud afferma che essa ha inteso imprimere «nel marmo del Code civil una serie di regole create dalla Court de Cassation»[[35]] –, con l’eliminare tale requisito dagli elementi essenziali del contratto, con il cristallizzare alcune soluzioni basate sullo stesso, abbia inteso (o finisca per) disarmare i giudici di uno strumento dagli utilizzi incerti, offrendo al contempo regole specifiche e circoscritte (in una sorta di sottile – e forse anche inconsapevole – rivincita del legislatore sulla giurisprudenza fonte del diritto). Laddove i giudici riguardavano nella prospettiva della mancanza di causa il difetto di equivalenza – almeno tendenziale – del sinallagma, discettando – come i nostri – sull’entità del corrispettivo, oggi l’art. 1169 dispone, come già detto, la nullità del contratto a titolo oneroso, qualora, al momento della sua conclusione, la controprestazione convenuta sia “illusoire ou dérisoire”. Soluzione, a ben vedere, non distantissima dall’idea, sottesa alla nozione di “consideration”, che solo lo scambio o comunque la formale corrispettività sia il fondamento della vincolatività della promessa (in common law, come è noto, le parti non si possono vincolare senza scambiarsi alcunché), benché, nell’ottica tradizionale, anche un centesimo o un granello di pepe – si tratta della celebre “peppercorn theory” – può costituire “consideration”). Alla luce di tale disposizione, la teoria sulla congruità/proporzionalità delle prestazioni, apparirebbe priva di spazi operativi. 

In questa prospettiva, la questione della “causa” sembrerebbe pertanto incentrarsi non solo sui mezzi a disposizione, ma anche sull’uso degli stessi laddove suscettibili di significati variegati e, quindi, sui modelli concettuali/ideologici che guidano il controllo sulla serietà degli impegni e, in senso lato, sull’autonomia privata. È evidente che se la dottrina predica che la certezza del diritto non rappresenti più un valore, qualunque imprevedibile soluzione giudiziale finisce per essere rappresentata come arricchimento, dal basso, del variegato e pulsante mondo del diritto, con buona pace degli operatori economici tendenzialmente avvezzi ai soli rischi calcolabili (come ci ricorda Natalino Irti)[[36]]. 

Arrivati al capolinea del mio intervento, dovrei trarre, come d’uso, le conclusioni ovvero, nella specie, offrire una risposta in ordine alla prognosi di “sopravvivenza” della causa nel nostro codice civile. Sarò brevissima: non so dare una risposta. Posso soltanto formulare degli auspici. 

Come già adombrato in premessa, il panorama offerto dal moderno diritto dei contratti a livello europeo esibisce un orientamento differente da quello ancora prevalente nel nostro ordinamento in tema di causa: viene infatti affidato a criteri diversi da tale controversa nozione il compito di selezionare le promesse vincolanti, perché serie e meditate, da quelle inidonee a far conseguire l’assunzione di obblighi (esemplare, in tal senso, anche il diritto di pentirsi – di fonte comunitaria – riconosciuto ai consumatori in una serie di contratti che sfruttano, come quelli conclusi fuori dei locali commerciali, la poca ponderazione; oppure l’elenco delle clausole vessatorie contenute nei contratti dei consumatori, la cui nullità consente un equilibrio sostanziale a fronte di impegni imposti e non contrattati). D’altra parte, le esigenze di protezione del contraente non professionista vengono sempre più veicolate dal formalismo negoziale, il quale, come insegnano Gino Gorla e Rodolfo Sacco, supporta tradizionalmente l’assenza di causa o finisce per restringerne l’area di operatività[[37]]. Ancora, una – quantomeno presupposta – nozione unitaria di causa del contratto non sembra più corrispondere alle diverse propensioni di rischio delle differenti categorie di contraenti (come mostra l’esempio dei Principi Unidroit); mentre gli interessi dei soggetti meno attrezzati esigono chiari interventi legislativi più che variegate decisioni giudiziali, anche al fine di impedire, come direbbe Luigi Mengoni, .che «siano rimesse continuamente in discussione … soluzioni già collaudate dall’esperienza»[[38]]. Vi è poi l’ampia categoria dei contratti amministrati dalle autorità indipendenti, che evidentemente prescindono dalle discussioni in tema di causa. Occorre, d’altra parte, altresì riflettere sulla disciplina dei rimedi, laddove il modello della nullità codicistica, connesso alla mancanza o al difetto della causa, può risultare meno efficiente rispetto alla annullabilità o alla nullità relativa.

Se si è avvertiti di ciò, se si è consapevoli della frammentazione del diritto, ma, al contempo, della necessità di regole “calcolabili”, è inevitabile che ci si chieda «se sia davvero utile il persistente ricorso ad una formula così consolidata nella dogmatica e nella prassi, così ricca di tradizione storica e di potere evocativo, ma anche tormentata da esasperazioni ed equivoci concettuali e da promiscuità terminologiche» (sono parole di Andrea D’Angelo)[[39]]. Direi, ripetendo il giudizio di Gerardo Broggini, che «Per l’eccesso di senso, per la eterogeneità di significati, per la sovrapposizioni di funzioni ormai assunte da altri strumenti contrattuali, la nozione di causa è destinata a scomparire quale elemento normativo autonomo del contratto e dell’obbligazione in genere»[[40]]. Del resto, Rodolfo Sacco, immaginando che un giorno venisse pubblicato in Gazzetta Ufficiale «una legge di un unico articolo costante di un unico comma, volto ad abolire il requisito della causa del contratto …», conclude che «… nulla muterebbe nei contratti di scambio, nulla muterebbe nei contratti interessati, dove il principio causalistico riconferma la regola di autonomia negoziale e il rispetto della volontà delle parti. … Là dove l’esplicazione degli esiti ora profilati presentassero difficoltà o non bastasse allo scopo, soccorrerebbero le idee dell’errore di diritto, della falsa presupposizione, della dichiarazione non idonea a creare affidamento e perciò non vincolante»[[41]]. 

Oggi, peraltro, pur febbricitante, la causa “sopravvive” nel nostro codice civile e, probabilmente, resterà ancora negli anni a venire quale requisito essenziale del contratto. L’auspicio è che la giurisprudenza tutta e quella dottrina che ne celebra i fasti creativi siano maggiormente consapevoli dei rischi insiti nella incertezza che le impostazioni più sopra riassunte possono determinare; che cioè siano avveduti ed attenti interpreti del diritto contemporaneo. 

In tale ottica può dirsi prezioso il ruolo del notaio, chiamato a raccogliere la volontà delle parti, quale rigoroso e accorto interprete delle loro esigenze delle quali asseconda l’attuazione nel rispetto delle norme imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume. Anche per la sua funzione di prevenzione delle liti (ruolo icasticamente sintetizzato con l’immagine di “gatekeeper”[[42]]), è probabilmente il soggetto che ha più chiara la nozione di “causa”, laddove chiamato a redigere contratti tipici o atipici, in cui l’individuazione della ragione giustificatrice delle prestazioni o degli impegni si riflette anche sul regime fiscale che è tenuto ad applicare (tenendo altresì conto degli orientamenti dell’Agenzia delle entrate). Senza dimenticare l’apporto del notariato nel tradurre in nuove figure negoziali, esigenze, interessi, aspirazioni coerenti con il mutare della società, dei costumi, dei bisogni delle diverse categorie dei soggetti che ad esso ricorrono, nell’osservanza dei principi dell’ordinamento dei quali è “responsabile” (nel senso, di responsabilità anche disciplinare) custode. Un ruolo fondamentale ed insostituibile, nonostante una cultura, anche legislativa, sempre più ad esso avversa.



[1] Art. 1108 vecchio testo: «Quatre conditions sont essentielles pour la validité d’une convention: Le consentement de la partie qui s’oblige; Sa capacité de contracter; Une objet certain qui forme la matière de l’engagement; Une cause licite dans l’obligation»

[2] Art. 128l: «Sont nécessaires à la validité d’un contract: 1° Le consentement des parties; 2° Leur capacité de contracter; 3° Un contenu licite et certain».

[3] Art. 1131: «L’obligation sans cause, ou sur une fausse cause, ou sur une cause illecite, ne peut avoir aucun effet» (lo stesso articolo riguarda oggi i vizi del consenso).

[4] D. MAZEAUD, Prime note sulla riforma del diritto dei contratti nell’ordinamento francese, in Riv. dir. civ., 2016, 2, 440. Nello stesso senso, G. CHANTEPIE-M. LATINA, La réforme du droit des obligations. Commentaire théorique et pratique dans l’ordre du Code Civil, 2° ed., Paris, 2018, 232 ss.; A. FUSARO, Gli effetti del contratto nella riforma del Code civil francese, in Riv. dir. priv., 2, 2017, 13, secondo cui a fronte della soppressione della causa, «si registra l’introduzione degli artt. 1169 e 1170, i quali avrebbero attitudine a vicariare alcune funzioni del concetto abbandonato». 

[5] Codice civile olandese del 1992, art. 3:40, al: «Un atto giuridico che per il suo contenuto o per il suo scopo è contrario al buon costume o all’ordine pubblico è nullo». Sull’evoluzione del diritto olandese, si segnala, H. ANKUM, La causa del contratto nello sviluppo del diritto olandese fino al nuovo codice civile del 1992, in L. VACCA (a cura di), Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, Torino, 1997, 397 ss.

[6] Art. 1162: «Le contrat ne peut déroger à l’ordre public ni par ses stipulations, ni par son but, que ce dernier ait été connu ou non par toutes les parties».

[7] H. CAPITANT, De la cause des obligations (Contracts, Engagement unilatéreaux, Legs), Paris, 1927, 18 ss.

[8] In tal senso, M. GRAZIADEI, Le contrat au tournant de la réforme: les choix du juriste français e le précédent italien, in Revue des contrats, 2015, 724; D. MAZEAUD, Prime note sulla riforma del diritto dei contratti nell’ordinamento francese, cit., 440-441 ss.; in senso critico, M. FABRE-MAGNAN, Critique de la notion de contenu du contract, in Revue des Contrats, 2015, 639 ss. Dà conto del dibattito, G. TERLIZZI, Le nozioni abbandonate: la rivoluzione delle parole nella riforma francese del diritto dei contratti, in Riv. dir. civ., 2017, 704.

[9] Del resto, nell’Avant-projet Catala, si prevedeva che «Les contracts aléatoires son depourvus de cause lorque, dès origine, l’absence d’alea rend illusoire ou derisoire pur l’un des contractans la contropartie convenu» (art. 1225-3). 

[10] Cfr., Cass. com., 22 ottobre 1996, n. 93-18632: Bull. civ. IV, n. 261, la quale, in nome della causa, ha considerato non scritte le clausole limitative del risarcimento che contraddicono l’obbligazione essenziale sottoscritta da parte del debitore professionista; e ciò al fine di proteggere il co-contraente professionale contro le clausole abusive. In proposito, cfr. E. NAVARRETTA, La causa e la rèforme du code civil francese, in Pers. e merc., 2018, 33.

[11] M. BARCELLONA, Un’altra complessità: l’orizzonte europeo e i problemi della causa, in juscivile, 2016, 5, 368. 

[12] F. BENATTI, Note sulla riforma del libro III del codice civile francese: molto rumore per nulla, in Banca, borsa e tit. cred., 2016, 627 ss.

[13] D.MAZEAUD, Une nouvelle rhapsodie doctrinale pour une réforme du droit des contrats, in Recueil Dalloz, 2009, 1364 ss. Cfr., sul punto, anche G. TERLIZZI, op. cit., 704.

[14] E. NAVARRETTA, La causa e la rèforme du code civil francese, cit., 32 ss. Sulla riforma, si vedano anche le considerazioni di M. FRANZONI, La causa e l’interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, in Pers. e merc., 2018, 54 ss.

[15] G. ALPA, Réflexions sur le projet français de réforme du droit des contrats, in Rev.int. de droit comparé, 2015, 878 ss.; per l’edizione italiana: Note sul progetto francese di riforma del diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 2015, 185 ss. 

[16] Cfr., in prospettiva comparatistica, A. FUSARO, I contratti di convivenza, in Pol. dir., 2017, 119 ss.; ID., Quale avvenire sui patti successori in Italia dopo il regolamento europeo delle successioni?, in Studi in onore di Giovanni Iudica, Milano, 2014, 637 ss.; ID., L’espansione dell’autonomia privata in ambito successorio nei recenti interventi legislativi italiani e francesi, Contr. impr. Europa, 2009, 427 ss.; si veda inoltre A. ZOPPINI, Le successioni in diritto comparato, Torino, 2002; nonché, di recente, G. SPELTA, I rapporti patrimoniali della famiglia in Francia. Verso un regime convenzionale europeo?, Pisa, 2018. 

[17] Il riferimento è alle riflessioni di U. BRECCIA, Morte e resurrezione della causa: la tutela, in MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, 241; dello stesso, cfr. altresì, Causa e “consideration”, in Riv. dir. priv., 2007, 575 ss. Si veda altresì, A. DI MAJO, I principi dei contratti commerciali internazionali dell’Unidroit, in Contr. impr. Europa, 1996, 292. 

[18] A. D’ANGELO, Promessa e ragioni del vincolo. I. Profilo storico e comparatistico, Torino, 1992. 

[19] Per tale atteggiamento anticausalista, cfr., tra gli altri, G. GIORGI, Teoria delle obbligazioni, 7° ed., Firenze, III, 1907, n. 445.

[20] R. SACCO, La causa, in R. SACCO – G. DE NOVA, Il contratto, Torino, 2004, 321 ss.; R. SACCO-G. DE NOVA, Il contratto, IV ed., Torino, 2016, 781 ss. 

[21] G. GORLA, Il contratto: problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, Milano, vol. 2, 1955. 

[22] R. SACCO, La causa, cit., 321 ss. 

[23] R. ROLLI, Il rilancio della causa del contratto: la causa concreta, in Contr. e impr., 2007, 416 ss. 

[24] E. BETTI, Teoria del negozio giuridico, in Tratt. Vassalli, Torino, 1960, 170 ss. 

[25] G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966.

[26] V. ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 957 ss.

[27] E. GABRIELLI, Causa in concreto e patti parasociali, in Giur. it., 2014, 7, 1613.

[28] G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., 355: «i criteri dei quali l’ordinamento si avvale per la valutazione della meritevolezza dell’interesse sono quelli enunciati dall’art. 1343 c.c.: norme imperative, ordine pubblico, buon costume. Soltanto quando l’interesse perseguito con il contratto sia contrario a siffatti principi, l’interesse non è meritevole di tutela»; nello stesso senso, R. SACCO, voce Interesse meritevole di tutela, in Dig. civ. Agg. V, 2010, 783, secondo il quale la giurisprudenza avrebbe adoperato l’art. 1322 c.c. «come puro schermo, per colpire contratti visibilmente contrari ai buoni costumi o altrimenti viziati». V. altresì A. GUARNERI, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale del contratto, in Riv. dir. civ., 1994, I, 799, il quale propone una lettura abrogativa della norma di cui all’art. 1322, secondo comma, c.c. In tale ottica, può essere anche letta la recente pronuncia della Cassazione del 31 luglio 2017, n. 19013, in tema di contratti derivati. 

[29] Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855, in Contr. e impr., 2005, 501, con nota di M. BARALDI, Il governo giudiziario della discrezionalità contrattuale, che parla, appunto, di «governo della discrezionalità nell’esecuzione del contratto». 

[30] M.J. BONELL, An International Restatement of Contract Law. The UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts, New York, 1994, 73.

[31] L’esclusione del requisito causale non impedisce, peraltro, alle parti di reintrodurlo, come sembra consentire l’art. 3.19. 

[32] M. BARCELLONA, Un’altra complessità: l’orizzonte europeo e i problemi della causa, cit., 364 ss.

[33] U. GROZIO, The Jurisprudence of Holland, trad. di Lee, Oxford, 1926, L. III, cap. I, n. 109 e cap. II, n. 46. In proposito, cfr. A. D’ANGELO, Promessa e ragioni del vincolo, I, Profilo storico e comparatistico, cit., 133. 

[34] H. ANKUM, Le causa del contratto nello sviluppo del diritto olandese fino al nuovo codice civile del 1992, in Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, cit., 397 ss.

[35] D. MAZEAUD, Prime note sulla riforma del diritto dei contratti nell’ordinamento francese, cit., 434.

[36] N. IRTI, Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 2015, 11 ss. ID., Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, ivi, 2014, 987 ss.

[37] Cfr. A. GAMBARO, Sintesi inconclusiva in tema di causa e contratto, in Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, cit., 571.

[38] L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica  Saggi, Milano, 1996, 52 ss.

[39] A. D’ANGELO, Contratto e operazione economica, Torino, 1992, 189.

[40] G. BROGGINI, Causa e contratto, in Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, cit., 31. Evidenzia l’impossibilità di ridurre l’istituto «ad una soglia di intelligibilità e fruibilità accettabile, per le difficoltà di individuare un comune denominatore di significati, per le ambiguità degli usi promossi da dottrina e giurisprudenza», G. ALPA, L’uso giurisprudenziale della causa del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 1995, II, 1.

[41] R. SACCO, La causa, cit., 2004, 792 ss.

[42] Definizione coniata da R.H. KRAAKMAN, Gatekeepers: The Anatomy of a Third-Party Enforcement Strategy, in Journal of Law, Economics, & Organization, 2 (1986), 53 ss. In proposito, M.B. CAROSI, La strategia di “gatekeeping” fra controllo preventivo di legalità e certezza giuridico-economica: modelli a confronto, pubblicato in due parti in Vita not., 2011, 43 ss. e 707 ss.