Giuffré Editore

Qualificazione urbanistica dei terreni e trattamento tributario del loro trasferimento (con particolare riguardo alla perequazione urbanistica)*

Angelo Piscitello

Notaio in Cefalù


Premessa

L'argomento affrontato non riguarda propriamente una "novità fiscale" del 2019 in quanto non è strettamente collegato a una recente innovazione legislativa, ma può essere utile per le scelte che potranno coinvolgere i notai in ordine alla rinnovata possibilità di avvalersi della ciclica rideterminazione dei valori dei terreni ai fini del pagamento delle imposte sulle plusvalenze[1]

Molte norme fiscali fanno discendere rilevanti effetti tributari dalla qualificazione di un terreno come suscettibile (o non suscettibile) di utilizzazione edificatoria, applicando in base a tale qualificazione un particolare e differenziato regime a prescindere dalle (ovvie) differenze di valore derivanti dalla maggiore appetibilità economica di un suolo edificabile.

Non si rinviene però nella normativa tributaria una definizione di "suscettibile di utilizzazione edificatoria"; questa va quindi ricavata dal sistema: da quello tributario ma anche e soprattutto da quello delle norme urbanistiche, che, attraverso gli strumenti pianificatori, stabiliscono che cosa, come e talvolta quando costruire su un fondo, imponendo a volte vincoli che possono comportare l’assoluta inedificabilità.


Esame della legislazione tributaria

Nella legislazione tributaria sono previsti trattamenti differenziati dei terreni sulla base della loro qualificazione come "suscettibili" o "non suscettibili" di utilizzazione edificatoria ovvero della loro qualificazione come terreni "agricoli".

In materia di imposte dirette un terreno edificabile viene assoggettato a tassazione in modo diverso sia ai fini delle imposte sulla proprietà (tributi locali: d.lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 5) sia, in caso di trasferimento, per l’assoggettamento a Irpef della plusvalenza eventualmente realizzata (art.67 T.U.I.R. – d.P.R. n. 917 del 1986).

In particolare secondo quest'ultimo articolo sono "redditi diversi" tassabili a fini IRPEF:

a) le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni o l'esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici;

b) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni […] nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigen­ti al momento della cessione.

In materia di imposte indirette il Legislatore ricollega effetti alla qualificazione dei terreni stabilendo regole diverse per alcune categorie di essi; in particolare:

• ai fini Iva, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera c) del d.P.R. n. 633 del 1972, non sono considerate cessioni di beni (e quindi sono fuori dal campo Iva) le cessioni che hanno per oggetto «terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma delle vigenti disposizioni»; la qualità di essere «suscettibile di utilizzazione edificatoria» rileva quindi in negativo: la cessione di tutti i terreni da parte di un soggetto Iva è soggetta a Iva, a meno che essi siano «non suscettibili di utilizzazione edificatoria»; la norma precisa che «non costituisce utilizzazione edificatoria la costruzione delle opere indicate nell’art. 9, lettera a), della legge 28 gennaio 1977, n. 10» (e cioè delle «opere da realizzare nelle zone agricole ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153»);

• per l’imposta di registro nell’art. 1 della Tariffa parte I allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 viene stabilita un’aliquota (15%) maggiore di quella ordinaria (9%) per il trasferimento di terreni “agricoli e relative pertinenze” se gli acquirenti non sono imprenditori agricoli a titolo principale; la regola è quindi l’aliquota del 9%, mentre l’aliquota del 15% viene riservata ai terreni che hanno in positivo una destinazione agricola.

• sempre in tema di imposta di registro l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986 esclude dalla valutazione automatica degli immobili basata su coefficienti catastali i terreni per i quali gli strumenti urba­nistici prevedono la destinazione edificatoria; oggi però la valutazione auto­matica non è più applicabile alle cessioni a titolo oneroso di terreni[2]; la norma resta quindi applicabile solo alle fattispecie diverse dalle cessioni, quali le divisioni. Norma di analogo contenuto è vigente in tema di successioni e donazioni: l’art. 34, comma 5, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.

Come detto, tali norme presuppongono ma non definiscono le qualificazioni urbanistiche. Per stabilire se un terreno è “suscettibile di utilizzazione edificatoria” rinviano alle “vigenti disposizioni" (Iva) o agli strumenti urbanistici (T.U.I.R., T.U.R. per la impossibilità di valutazione automatica).

***

Il d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248 (cosiddetto “Visco – Bersani”) è poi intervenuto per risolvere alcune questioni che si erano poste nella prassi applicativa e che avevano portato a interpretazioni contrastanti della giurisprudenza, tanto da rendere necessaria la richiesta di una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Le questioni riguardavano essenzialmente il momento in cui un terreno poteva essere considerato "suscettibile di utilizzazione edificatoria" a fini fiscali, dato che l’approvazione di uno strumento urbanistico non è istantanea, ma avviene attraverso un procedimento che consta di più fasi, delle quali quelle principali sono l’adozione da parte del Comune e la successiva approvazione da parte della Regione; è poi possibile che l’edificazione sia subordinata alla preventiva approvazione di uno strumento attuativo (piano particolareg­giato, piano di lottizzazione, piano di edilizia economica e popolare, piani at­tuativi previsti dalle normative regionali con varie denominazioni).

Dal punto di vista urbanistico, quindi, un terreno può dirsi realmente edificabile solo dopo che lo strumento urbanistico generale è divenuto efficace e, se necessario, anche dopo che sia divenuto efficace lo strumento urbanistico attuativo; solo in quel momento, infatti, si potrà ottenere il permesso di costruire o comunque munirsi di un valido titolo abilitativo edilizio.

Dal punto di vista economico, però, anche la mera adozione dello strumento urbanistico crea aspettative sulla edificabilità del suolo che ne fanno crescere il valore; di conseguenza l’Amministrazione finanziaria aveva spesso sostenuto un criterio sostanzialistico per la qualificazione di un terreno come edificabile a fini fiscali prescindendo dalla effettiva edificabilità legale e tale tesi era stata fatta propria da una parte della giurisprudenza; i contribuenti, invece, sostenevano di non poter essere costretti alla più gravosa imposizio­ne prevista per le aree edificabili in mancanza di una concreta e attuale possibilità di edificare e anche tale tesi aveva trovato accoglimento nella giurisprudenza.

La risoluzione del contrasto giurisprudenziale, come detto, era stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ma, mentre si attendeva la pronuncia, è intervenuto il Legislatore con il sopra precisato decreto “Visco-Bersani” che, all’art. 36 comma 2, ha stabilito che: 

«Ai fini dell'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo».

Tale decreto ha quindi stabilito espressamente due principi fondamentali:

a) un terreno può essere già considerato suscettibile di utilizzazione edificatoria a fini fiscali quando ancora lo strumento urbanistico non è efficace, mancando l’approvazione da parte della Regione, purché sia già avvenuta l’adozione da parte del Comune;

b) un terreno può essere già considerato suscettibile di utilizzazione edificatoria a fini fiscali quando ancora non è stato approvato lo strumento urbanistico attuativo (piano particolareggiato, piano di lottizzazione o strumenti equivalenti) ancorché, in mancanza, non sia ancora possibile in concreto l’edificazione.

La norma si può considerare una norma generale dell’ordinamento tributario in quanto essa fa espresso riferimento all’Iva, all’imposta di registro, alle imposte sui redditi e ai tributi locali e quindi a tutti i tributi di maggiore rilevanza in seno ai quali assume rilevanza la nozione di terreno edificabile.

Subito dopo l’emanazione del decreto “Visco – Bersani” è comunque intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite[3], la quale, dopo aver criticato l’intervento “pro fisco” del Legislatore mentre la pronuncia era imminente, ha affermato che  «ai fini tributari sono edificabili tutti quei terreni che tali sono qualificati da uno strumento urbanistico, indipendentemente dalla sussistenza dell’approvazione regionale dello strumento stesso e di strumenti attuativi che rendano possibile in concreto il rilascio della concessione edilizia» in quanto è di comune esperienza che la circostanza che la vocazione edificatoria di un suolo sia stata formalizzata in uno strumento urbanistico, ancorché non operativo, è sufficiente a far lievitare il suo valore venale secondo le leggi di mercato; ha precisato però che «l’aspettativa di edificabilità di un suolo non comporta, ai fini della valutazione fiscale, l’equiparazione sic et simpliciter alla edificabilità; comporta soltanto l’assoggettamento ad un regime di valutazione differente da quello specifico dei terreni agricoli», valutazione che quindi non può essere identica per un terreno già concretamente edificabile e per uno che invece attende il compimento dell’iter previsto dalla legge per poter procedere all’edificazione[4].

Va precisato che ciò vale sia quando un’area non edificabile lo diviene per l’adozione di un nuovo strumento urbanistico, ma anche nel caso contrario, quando viene adottato un nuovo strumento urbanistico più restrittivo nel quale un’area già edificabile viene destinata a un uso agricolo[5].

Il chiaro tenore della norma e della susseguente sentenza delle Sezioni Unite delle Suprema Corte non ha però impedito alla giurisprudenza di introdurre nuovi elementi di incertezza, individuando la categoria della cosiddetta “edificabilità di fatto” e ritenendola rilevante per la possibilità di rettifica ai fini delle imposte di registro – ipotecarie – catastali del valore di un terreno ai sensi dell’art. 52, comma 4 del d.P.R. n. 131 del 86; alcune recenti sentenze della Cassazione[6] hanno affermato che un terreno, «pur non essendo urbanisticamente qualificato, può nondimeno avere una vocazione edificatoria di fatto in quanto sia potenzialmente edificatorio anche al di fuori di una previsione programmatica. Una siffatta edificabilità non programmata, o fattuale o potenziale, si individua attraverso la constatazione dell'esistenza di taluni fatti indice, come la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio raggiunto dalle zone adiacenti, l'esistenza di servizi pubblici essenziali, la presenza di opere di urbanizzazione primaria, il collegamento con i centri urbani già organizzati, e l'esistenza di qualsiasi altro elemento obbiettivo di incidenza sulla destinazione urbanistica». Il filone interpretativo “sostanzialistico” viene quindi portato dalla Corte di Cassazione al di là di quanto era stato affermato prima dell’emanazione del decreto “Visco-Bersani”, prescindendo totalmente dalle previsioni degli strumenti urbanistici per dare rilevanza soltanto all’aspetto puramente fattuale ed economico. Si ritiene non condivisibile tale orientamento, perché contrario alla lettera e allo spirito della suddetta nor­ma interpretativa generale contenuta nel decreto “Visco-Bersani”, che richiede comunque la sussistenza di elementi di diritto e non di mero fatto (almeno la approvazione dello strumento di pianificazione generale), come d'altra parte affermato anche dalla sopra citata sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte[7].


Il significato della locuzione "suscettibile di utilizzazione edificatoria"

Il decreto “Visco-Bersani” stabilisce alcuni fondamentali principi interpretativi sul momento in cui un terreno può dirsi “suscettibile di utilizzazione edificatoria” ma nulla dice sul concetto vero e proprio di “utilizzazione edificatoria”, che va tratto dalla concreta disciplina del diritto di costruire che l’or­dinamento dà a un determinato terreno.

La normativa urbanistica però è oggi molto varia e complessa, diversa da Regione a Regione, e non sempre è semplice qualificare un terreno in presenza di una pluralità di norme di legge, strumenti urbanistici variamente denominati e vincoli che spesso si vanno a sovrapporre agli strumenti urbanistici in modo non organico.

La pratica quindi ogni giorno si interroga di fronte a diverse fattispecie, alcune delle quali hanno portato a pronunce giurisprudenziali o a documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria, più frequenti in materia di tributi locali e imposte dirette ma comunque interessanti per la materia delle imposte indirette.

La maggior parte dei documenti riguardano la pianificazione urbanistica "tradizionale" e cioè quella delineata della legge urbanistica n.1150 del 17 agosto 1942, seguita, negli anni '60, dalle modifiche apportate dalla legge n. 765 del 6 agosto 1967 (c.d. "legge ponte") e dal decreto interministeriale n. 1444 del 2 aprile 1968, che ha introdotto la cd "zonizzazione" e cioè la suddivisione del territorio in zone territoriali omogenee con diverse destinazioni d'uso fissando per tali zone i c.d. "standard urbanistici" con limiti massimi di densità edilizia e rapporti tra gli spazi per i nuovi insediamenti e gli spazi pubblici.

Oggi però si è sempre più diffusa la pianificazione urbanistica "perequativa", che ha superato la rigida zonizzazione dei piani tradizionali attribuendo in modo diffuso i diritti edificatori anche a terreni sui quali in concreto non si potrà costruire, rendendo così ancora più complessa l’attribuzione a un suolo della qualifica di "suscettibile di utilizzazione edificatoria".   


La tesi radicale: è “suscettibile di utilizzazione edificatoria” qualunque terreno in cui è possibile costruire qualcosa; critica

Un recente orientamento della Corte di Cassazione[8] afferma che è tassabile a fini Irpef la plusvalenza realizzata cedendo un terreno in cui «lo strumento urbanistico vigente consenta, a qualunque titolo e per qualunque scopo, di edificare», senza che «a nulla rilevi cosa e a qual fine si costruisca, e che la prevista utilizzazione edificatoria sia meramente strumentale alla sua destinazione agricola, e, che, quindi, la possibilità di costruire sia soggetta a restrizioni»; ciò in quanto la norma in materia di Irpef[9] fa riferimento ai «terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione» e non contiene alcuna distinzione e/o specificazione.

Sembra quindi affermato in maniera netta che solo i terreni in cui non è possibile costruire alcunché sarebbero “non suscettibili di utilizzazione edificatoria” mentre tutti gli altri terreni (e cioè più del 99% dei terreni esistenti sul territorio italiano) sarebbero “suscettibili di utilizzazione edificatoria”. La tesi è stata espressamente affermata nel campo delle imposte dirette e con riferimento al tenore letterale della norma in materia; dato però che anche la normativa di altri tributi utilizza analoghe espressioni, tale orientamento potrebbe avere ripercussioni anche al di fuori del campo dell’Irpef[10].

È però possibile assoggettare a critica quanto affermato dalla Suprema Corte osservando che il concetto di “utilizzazione edificatoria”, in mancanza di una espressa definizione in campo tributario, va tratto dalla normativa urbanistica, che, come detto in premessa, conforma lo jus aedificandi dei proprietari in modo da pianificare un ordinato e orientato sviluppo del territorio e, solo in casi eccezionali, arriva a vietare totalmente la possibilità di edificare[11].

E in materia urbanistica è utile partire, se non altro per motivi storici, dal citato decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, che ha introdotto nel nostro ordinamento i cosiddetti “standard urbanistici” e cioè delle norme uniformi che stabiliscono, tra l’altro, dei limiti di densità edilizia per le zone territoriali omogenee previste dagli strumenti urbanistici, distinguendo il territorio in parti già edificate o in cui è prevista l’espansione del centro abitato con nuovi insediamenti residenziali (zone A, B e C), parti destinate a nuovi insediamenti industriali e assimilati (zone D), parti destinate ad attrezzature e impianti di interesse generale (zone F) e zone destinate a usi agricoli (zone E). In queste ultime è prescritta per la realizzazione di fabbricati la densità fondiaria di 0,03 mc/mq.

L’evoluzione della disciplina urbanistica ha reso oggi molto più variegata la tipologia delle zone previste dai vari strumenti urbanistici, ma ciò che ancor oggi accomuna tutti gli strumenti è che il territorio può in linea di massima essere diviso in: parti in cui l’edificazione è già avvenuta, nelle quali viene disciplinato l’esistente; parti in cui l’edificazione non è avvenuta (o è avvenuta in modo che si ritiene di dover modificare) nelle quali viene prevista, programmata e disciplinata la trasformazione; parti in cui l’edificazione non è avvenuta e si ritiene non debba avvenire; in sintesi: parti del territorio da trasformare programmando la trasformazione e parti da conservare.  

In queste ultime, a meno che non vi siano particolari vincoli a tutela di interessi sovraordinati rispetto a quelli privati (ambientali, paesaggistici, idrogeologici ecc.), lo jus aedificandi dei proprietari non viene però totalmente sacrificato, ma viene limitato prevedendo al massimo l’indice di densità edilizia di 0,03 mc/mq previsto dagli standard per le zone agricole. Ciò anche se la destinazione d’uso non è agricola o non è soltanto strettamente agricola in quanto, oltre all’uso agricolo, sono consentiti anche altri usi. I terreni ricadenti in queste zone non sono quindi destinati ad essere trasformati in altro attraverso la realizzazione di costruzioni di varie tipologie e destinazioni, ma sono destinati a rimanere tali, anche se non totalmente immutati, in quanto viene riconosciuta ai proprietari una limitata possibilità di costruire per non espropriarli totalmente dello jus aedificandi, del quale possono essere privati solo in presenza di interessi superiori che possono giustificare la im­posizione di un vincolo di inedificabilità assoluta[12].

Si può quindi affermare che un terreno è “suscettibile di utilizzazione edificatoria” secondo gli strumenti urbanistici quando questi prevedono la sua utilizzazione attraverso la trasformazione e non attraverso lo sfruttamento delle potenzialità produttive che esso ha in quanto terreno; l’ “utilizzazione edificatoria” è dunque l’utilizzazione attraverso l’edificazione e cioè la trasformazione del terreno in qualcos’altro, in attuazione di quanto previsto da­gli strumenti urbanistici.

Di conseguenza quando lo strumento urbanistico prevede la destinazione agricola e quindi l’utilizzazione del terreno quale bene produttivo in sé, di modo che il proprietario possa trarne i frutti naturali, anche una limitata possibilità di costruire, strumentale allo sfruttamento del fondo, con un indice di edificabilità al massimo di 0,03 mc/mq, non può mai portare a considerare il terreno edificabile; il terreno è e resta agricolo, perché la edificazione non costituisce l’ “utilizzazione del fondo” ma solo uno strumento per la sua utilizzazione a fini agricoli[13].

In materia di Iva ciò è espressamente previsto dalla legge: l’art.2, comma 3, lettera c) del d.P.R. n. 633 del 1972, nell’ultimo periodo afferma che «Non costituisce utilizzazione edificatoria la costruzione delle opere indicate nell’art. 9, lettera a), della legge 28 gennaio 1977, n. 10» e cioè la realizzazione delle «opere da realizzare nelle zone agricole ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153»); di conseguenza le cessioni di terreni agricoli, in cui è consentita la edificazione di opere strumentali alla coltivazione, non rientrano mai in campo Iva[14]. 

Ma anche per i terreni diversi da quelli agricoli deve ritenersi che essi non siano suscettibili di “utilizzazione edificatoria” quando è ammesso costruirvi con un basso indice di edificabilità, di modo che la costruzione sia tale da non mutare la natura del terreno e da non rendere necessaria la preventiva predisposizione di urbanizzazioni.

Ciò è confermato dalla disciplina delle cosiddette “zone bianche” e cioè di quelle zone in cui non vi è una pianificazione urbanistica (perché manca in assoluto uno strumento urbanistico ovvero perché questo, per vari motivi, non disciplina una particolare zona); in questi casi l’edificazione è regolata dall’art. 9 del testo unico sull’edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) che stabilisce che, salvi più restrittivi limiti di legge, fuori dal perimetro dei centri abitati sono ammessi «gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro»; l’edificazio­ne non è quindi vietata ma è consentita con un parametro ridotto, pari a quello previsto dagli “standard urbanistici” per le zone agricole. 

I terreni ricadenti nelle “zone bianche” non possono certamente essere considerati «suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbani­stici» perché tali zone sono per definizione prive di una positiva destinazione urbanistica e quindi non è possibile fare riferimento a uno strumento urbanistico che ne stabilisce la destinazione all’“utilizzazione edificatoria”; né si può dire che tale “utilizzazione edificatoria” deriverebbe direttamente dal­la legge (e quindi deriverebbe, come vuole la norma Iva, dalle “vigenti di­sposizioni”), perché la legge non prevede una positiva “destinazione edifica­toria”, ma, per non comprimere eccessivamente il diritto di proprietà in as­senza di strumenti di pianificazione, si limita a prevedere solo interventi mi­nimi, di modesto impatto urbanistico e ambientale[15].

Dalla disciplina dei terreni agricoli e delle “zone bianche” si può trarre il principio che, per il legislatore urbanistico, la densità edilizia di 0,03 mc/mq sia una densità residuale, attribuita ai terreni quando non si vuole o non è possibile che essi siano sfruttati a scopi edificatori ma non si può tuttavia, in mancanza di interessi superiori da tutelare, impedire totalmente l’edificazione. 

Se questo è un principio generale, si può affermare che esso vale ad escludere dal novero dei “terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria” i terreni ri­cadenti in zone in cui gli strumenti urbanistici prevedono un indice di fabbri­cabilità pari o inferiore a 0,03 mc/mq; la stessa Corte di Cassazione[16] ha ritenuto non "suscettibile di utilizzazione edificatoria" un terreno destinato ad attrezzature sportive con un indice di edificabilità minimo e funzionale alla sola realizzazione di strutture collegate a tale destinazione[17].

Alla stessa conclusione si può giungere anche per i terreni ricadenti in una zona ove, con il minimo indice di edificabilità di cui sopra, sono ammesse costruzioni per uso abitativo non strettamente funzionale all’uso agricolo. Anche in questi casi si può dire infatti che il terreno non viene “utilizzato a fini edificatori”: il basso indice di fabbricabilità non fa perdere al terreno la sua natura; il terreno anche dopo la costruzione resta tale, non viene trasformato, conserva le sue valenze paesaggistiche e ambientali, non viene caricato dal punto di vista urbanistico, tant’è che non è prevista (anzi è vietata) la creazione di opere di urbanizzazione attraverso la predisposizione di strumenti urbanistici attuativi. Non si ha quindi “utilizzazione edificatoria” del terreno ma solo realizzazione di una costruzione che si inserisce nel terreno stesso occupandone una minima parte e lasciando immutato il resto[18].

Si può quindi concludere affermando che, facendo riferimento alla pianificazione urbanistica, possono essere considerati “suscettibili di utilizzazione edificatoria” quei terreni in cui è previsto un alto indice di fabbricabilità e una destinazione del terreno a divenire qualcos’altro, modificando l’assetto del territorio tanto da rendere necessaria la presenza di opere di urbanizzazione (già realizzate o da realizzare); quei terreni, insomma, la cui utilizzazione consiste nella edificazione e cioè nella trasformazione in edifici destinati a nuovi insediamenti abitativi o produttivi. Il terreno, dopo l’edificazione, non esisterà più come tale, nella sua essenza naturale, ma sarà divenuto un fabbricato.

Sono quindi “suscettibili di utilizzazione edificatoria” i terreni ricadenti in zona già urbanizzate in cui è possibile edificare con singoli permessi di costruire (o equivalenti) ; i terreni ricadenti in zone di espansione in cui è necessario predisporre attraverso appositi strumenti le urbanizzazioni necessarie per i nuovi insediamenti, al fine di governare la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio; non si possono invece considerare suscettibili di utilizzazione edificatoria quei terreni in cui l’edificazione è consentita in misura ridotta e tale da non realizzare una trasformazione del territorio per cui necessitano opere di urbanizzazione (presenti o da realizzare).

Quanto sopra è a mio avviso in coerenza con le ragioni sottese alle norme fiscali esaminate:

* nel campo delle imposte dirette il Legislatore, dato che l'incremento di valore del terreno è dovuto a una scelta amministrativa che crea benefici economici a un privato, sceglie di assoggettare a tassazione tale incremento in modo più pregnante rispetto ad altre fattispecie; la scelta amministrativa rilevante è quella di attribuire a un terreno una potenzialità edificatoria maggiore di quella "naturale", non quella (che potrebbe anche derivare da una "non scelta") di lasciare al terreno la sua capacità edificatoria di base secondo il sistema (0,03 mc/mq);

* l'Iva tassa il valore aggiunto creato da un imprenditore che trasforma le materie prima in qualcos'altro; è quindi coerente che non rientrino nel campo dell'Iva i terreni che non possono essere trasformati (quelli "non suscettibili di utilizzazione edificatoria") e quelli agricoli (che non vengono trasformati ma utilizzati secondo la loro natura);

* nell’imposta di registro la valutazione automatica su base catastale ha un senso solo se il terreno ha un valore correlato al suo sfruttamento agricolo, mentre non può servire quando il terreno è destinato ad essere trasformato e quindi ha un valore correlato alle modalità di tale trasformazione previste dagli strumenti urbanistici.


La qualificazione urbanistica nella "pianificazione "perequativa"

L'applicazione dei principi sopra enunciati è utile per risolvere vari casi che la pratica quotidiana pone al notaio.

Tra questi sono particolarmente interessanti – anche perché poco affrontati – quelli posti dalla pianificazione cosiddetta "perequativa", che va sempre più diffondendosi sia dove le norme regionali la prevedono espressamente[19], sia dove i Comuni la inseriscono negli strumenti urbanistici anche in mancanza di una specifica legislazione regionale, in ciò supportati dalla giurisprudenza amministrativa che, nella maggior parte dei casi in cui si è pronunciata, ha affermato la legittimità delle scelte comunali[20].

Come è noto, con la perequazione si mira a rendere indifferenti per i cittadini le scelte urbanistiche, attribuendo un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà che possono concorrere alla trasformazione urbanistica di uno o più ambiti del territorio comunale prescindendo dall'effettiva localizzazione della capacità edificatoria sulle singole proprietà[21]; ciò avviene attribuendo a tutti i terreni interessati alla trasformazione una stessa quantità di diritti edificatori inferiore al limite minimo previsto secondo l'indice di edificabilità, per cui chi intende effettivamente costruire sul proprio terreno ove è ammessa l’edificazione deve necessariamente acquistare i diritti edificatori mancanti da altri e li può acquistare anche dai proprietari delle aree destinate a ospitare le necessarie infrastrutturazioni pubbliche, che, vendendo i loro diritti edificatori, conseguono un vantaggio economico che li ristora dallo svantaggio derivante dalla impossibilità di costruire sul loro terreno e dalla necessità di cederlo per la realizzazione delle urbanizzazioni.

Tale meccanismo può interessare l'intero territorio comunale, suddiviso in zone di trasformazione e zone di conservazione (c.d. perequazione a priori o generalizzata) o solo alcune porzioni (c.d. perequazione a posteriori o ristretta o per comparti).

È quindi favorita la concreta attuazione della programmazione, perché vengono limitate le resistenze degli interessi privati a una ordinata programmazione e perché si elimina l'impasse finanziario sul quale si erano bloccate le espropriazioni per pubblica utilità dopo che si è affermato il principio della necessità di corrispondere ai proprietari espropriati un’indennità pari al valore venale del bene[22].

L'edificazione concreta avviene solo dopo che, attraverso una concertazione tra pubblico e privato, sono stati approvati i piani attuativi nei quali vengono delineati in concreto gli interventi di trasformazione urbanistica da attuare e sono state acquisite dal comune le aree necessarie per le necessarie opere di urbanizzazione.

In mancanza di una normativa statale in materia di perequazione, essendo la materia urbanistica di competenza regionale, si è venuto a creare un quadro molto variegato con Regioni che hanno legiferato in materia[23] ma in modo non uniforme e Regioni che non hanno legiferato ma nelle quali, come detto, è stata possibile ed è stata considerata legittima dalla giurisprudenza l’approvazione di strumenti urbanistici contenenti meccanismi perequativi.

L’unica norma statale in materia è intervenuta soltanto per disciplinare gli aspetti relativi alla pubblicità immobiliare delle vicende dei diritti edificatori, che sono collegate all’urbanistica perequativa: è il n. 2-bis dell’art. 2643 del codice civile, introdotto dal d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni in legge 12 luglio 2011, n. 106, che prevede la trascrizione dei «contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale». 

Manca quindi a livello statale qualsiasi normativa sistematica di riferimento e, data la disomogeneità delle varie normative regionali, non è semplice elaborare degli istituti unitari che possano guidare l’interprete. 

Nella materia tributaria, che, come si è visto, deve fare riferimento alla materia urbanistica, sono quindi tante le domande che la pratica pone; vediamone alcune. 

1) In presenza di un piano "perequativo-generalizzato" già approvato ma prima dell'approvazione di un piano attuativo, quali aree si possono considerare "suscettibili di utilizzazione edificatoria"?

Poiché nei piani perequativi generalizzati si distingue di solito il territorio in due macroaree: una di trasformazione, nella quale ai proprietari vengono attribuiti i diritti edificatori in modo uniforme, e una di conservazione (zone agricole, zone con particolari vincoli), nelle quali l’edificazione è al massimo consentita con il limitato indice delle zone agricole, si può dire che tutti i terreni compresi nella macroarea di trasformazio­ne sono "suscettibili di utilizzazione edificatoria" e ciò in quanto, anche se poi in concreto essi non saranno edificati perché saranno ceduti al Comune per la realizzazione delle urbanizzazioni, tutti i terreni nel loro insieme concorreranno alla trasformazione del territorio e su tutti i terreni nel loro insieme ricadono uniformemente gli effetti economici delle scelte urbanistiche. Tutti i terreni inseriti nella macrozona di trasformazione saranno quindi utilizzati a fini edificatori, direttamente o indirettamente.

Ciò è d'altra parte coerente col disposto del decreto Visco-Bersani[24], che a fini fiscali fa discendere la qualificazione del terreno dagli strumenti urbanistici ancor prima che questi siano efficaci; nel caso in esame è presente uno strumento urbanistico già approvato anche se contenente ancora prescrizioni di massima che non consentono in concreto l'edificazione.

È ovvio che in questa fase il valore dei terreni è minore di quello che essi avranno quando la possibilità di utilizzazione edificatoria sarà divenuta attuale ed è anche evidente che, dopo l’approvazione dello strumento attuativo, i terreni dove si prevede che avverrà l'edificazione varranno di più di quelli che, dovendo essere ceduti, produrranno solo diritti edificatori da commerciare, ma la qualificazione di tutti è comunque di "terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria" con le conseguenze di legge in termini di produzione di plusvalenze tassabili a fini Irpef, assoggettamento a Iva e impossibilità di valuta­zione automatica ai fini dell'imposta di registro.

2) Dopo l’approvazione dello strumento attuativo si possono considerare "suscettibili di utilizzazione edificatoria" le aree dove sono state localizzate le opere pubbliche, comunque dotate di diritti edificatori?

Con l’approvazione del piano attuativo vengono localizzate le aree sulle quali si potrà in concreto edificare (certamente “suscettibili di utilizzazione edificatoria”) e quelle ove sorgeranno le urbanizzazioni che dovranno essere cedute al Comune; a queste ultime aree sono comunque legati, negli strumenti “perequativi”, dei diritti edificatori i quali, a seguito della cessione dell’area al Comune, potranno "decollare" ed essere ceduti ai proprietari delle aree ove è prevista l’edificazione (cd “aree di atterraggio”) permettendo a questi di procedere in concreto alle costruzioni previste dal piano.

Se una delle aree “di decollo” viene trasferita a terzi prima della cessione al Comune, oggetto della cessione è non soltanto l'area in senso materiale ma anche i diritti edificatori potenziali che saranno utilizzabili e cedibili dopo la cessione della stessa al Comune.

In questa materia si rinviene uno dei pochi documenti di prassi: la Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 27/E del 21 giugno 2012, che, a seguito di un quesito in ordine al trattamento Iva della cessione di una «area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta alla quale risulta connesso un diritto di cubatura» da parte di una società, ha ritenuto di configurare nel negozio una duplice cessione: quella dell'area gravata da vincolo di inedificabilità (non soggetta a Iva in quanto il terreno non è “suscettibile di utilizzazione edificatoria”) e quella dell'aspettativa connessa allo sfruttamento in altro sito della potenzialità edificatoria, soggetta a Iva in base all'articolo 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 in quanto, come vedremo meglio, l’Agenzia delle entrate equipara la cessione dei diritti edificatori a una cessione di diritti reali.

La stessa circolare ha però precisato che, se le parti non operano alcuna distinzione nell'ambito del corrispettivo dovuto, l'intera operazione deve essere assoggettata a imposta di registro proporzionale e non a Iva. 

Il contenuto di detta Circolare merita di essere approfondito.

Il caso esaminato è quello di una «area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta alla quale risulta connesso un diritto di cubatura» e quindi sembra essere quello di un terreno destinato dallo strumento urbanistico ad essere espropriato per la realizzazione di un'opera di pubblica utilità secondo il modello "tradizionale" (imposizione del vincolo preespropriativo  finalizzato all'espropriazione entro 5 anni) con la sola variante che è previsto che l'indennità all'espropriato sia corrisposta mediante attribuzione non di una somma di denaro ma di diritti edificatori commerciabili e utilizzabili su altre aree previste dallo strumento urbanistico. In questo caso è certo che il terreno non si può considerare "suscettibile di utilizzazione edificatoria" in quanto è in effetti destinato solo all'espropriazione, mentre il corrispettivo è costituito da diritti edificatori "compensativi" in senso stretto[25] e cioè da diritti che vengono attribuiti al proprietario per "ristorarlo" dall'ablazione del suo terreno con un corrispettivo diverso dal denaro di cui l'amministrazione non dispone. 

Caso diverso è invece, a mio avviso, quello in cui è in vigore un piano "perequativo" nel quale i diritti edificatori cd “compensativi/perequativi” sono già collegati all’area anche prima della cessione della stessa al Comune e non vengono quindi attribuiti dal Comune al proprietario al momento della cessione, a titolo di corrispettivo o indennità per la cessione stessa, ma sono stati già attribuiti dallo strumento urbanistico e vengono solo “sbloccati” e re­si commerciabili a seguito della cessione[26].

In questo caso, se consideriamo che la perequazione distribuisce i vantaggi economici della trasformazione urbanistica su tutti i suoli interessati, possiamo affermare che tale terreno, pur non essendo materialmente “suscettibile di utilizzazione edificatoria”, in realtà concorre all’utilizzazione edificatoria dell'ambito territoriale in cui è inserito e beneficia degli effetti economici di tale utilizzazione edificatoria; di conseguenza esso, in senso economico, verrà utilizzato a fini edificatori e si può quindi considerare "suscettibile di utilizzazione edificatoria".

Da ciò discende che la cessione di un tale terreno, comprensiva dei diritti edificatori “potenziali”, sarà soggetta a Iva se il cedente è un soggetto Iva e potrà produrre plusvalenze tassabili ai fini Irpef se il cedente è una persona fisica.

3) Qual è il trattamento tributario del trasferimento dei diritti edificatori?

Su questo quesito è presente un animato e interessante dibattito, collegato a quello in ambito civilistico sulla natura giuridica dei diritti edificatori che si è aperto a seguito dell’introduzione nel codice civile della norma (il n. 2-bis dell’art. 2643) che prevede la trascrizione dei «contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale».

In estrema sintesi si fronteggiano tre posizioni:

  1. per la prima i diritti edificatori hanno natura di diritti reali immobiliari, assimilabili ai diritti reali di godimento, e la norma in tema di trascrizione ne è una conferma[27];
  2. per la seconda i diritti edificatori non hanno natura reale immobiliare ma obbligatoria, che si lega al procedimento urbanistico;
  3. per la terza sono diritti su un bene immateriale.

Secondo le due ultime tesi il n. 2-bis dell'art. 2643 è stato introdotto al fine di permettere la trascrizione delle vicende costitutivo/traslative di tali diritti, che altrimenti non sarebbe stata possibile se non ricorrendo all’espediente di configurare l’atto come la costituzione di una servitù di non edificare, non facilmente adattabile però alla nuova realtà di diritti edificatori “in volo” scollegati dai fondi[28].

Le conseguenze di seguire l’una o l’altra posizione per il trattamento tributario degli atti sono notevoli:

a) se i diritti edificatori sono comunque assimilabili ai diritti reali, l’atto a titolo oneroso che li trasferisce avrebbe ad oggetto un diritto reale su un terreno “suscettibile di utilizzazione edificatoria” e di conseguenza se il cedente è un soggetto Iva l’atto è soggetto a Iva mentre se il cedente è un privato l’atto è soggetto a imposta di registro al 9% e può produrre plusvalenze tassabili a fini IRPEF. A quest’ultimo proposito l’Agenzia delle entrate[29] ha espressamente affermato che è possibile procedere alla rivalutazione del valore di acquisto per pagare su tale valore l’imposta sostitutiva (oggi, come detto, di nuovo attuale perché previsto dalla legge di bilancio 2019);

b) se invece i diritti edificatori non hanno natura reale immobiliare (diritti obbligatori o diritti su bene immateriale), la loro cessione:

– se il cedente non è un soggetto Iva, è soggetta a imposta di registro con l’aliquota residuale del 3% prevista dall’art. 9 della Tariffa parte I allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 per gli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale»;

– se il cedente è un soggetto Iva è comunque soggetta a Iva:  ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, che assoggetta a Iva le cessioni di "beni di ogni genere" se la fattispecie si considera come cessione di un bene immateriale; ai sensi dell’art. 3 dello stesso d.P.R., che assoggetta a Iva le prestazioni di servizi verso corrispettivo e tra queste quelle dipendenti da «obbligazioni di fare, di non fare e di permettere» se si considera la fattispecie come la cessione di una obbligazione collegata al procedimento amministrativo del rilascio del titolo abilitativo edilizio.

Se restiamo al di fuori dei diritti reali immobiliari, poi, la cessione da soggetto non Iva non genererebbe plusvalenze tassabili a fini IRPEF in quanto non inquadrabile in nessuna delle fattispecie tipiche previste dall’art. 67 del d.P.R. 917 del 1986; al massimo, se configuriamo il diritto edificatorio come un diritto obbligatorio legato al procedimento urbanistico, potrebbe essere possibile tassare la plusvalenza ai sensi della lettera l dello stesso articolo che riguarda le plusvalenze derivanti dalla assunzione di obblighi, di fare, non fare o permettere[30]. In quest'ultimo caso, però, non trattandosi di un diritto immobiliare, non sarebbe possibile procedere alla rivalutazione del costo di acquisto ai fini del pagamento dell'imposta sostitutiva della plusvalenza.

A me pare che dal punto di vista civilistico, nonostante illustri e qualificati pareri contrari, sia più convincente la tesi che nega la natura di diritto reale immobiliare dei diritti edificatori e li qualifica come diritti obbligatori o come diritti immateriali, dato che, una volta “in volo”, essi non hanno più la caratteristica dell’inerenza a un immobile che è essenziale per un diritto immobiliare e sono invece delle posizioni giuridiche tutelate e con valore economico non legate a un determinato immobile: infatti il fondo di decollo al momento della cessione del diritto edificatorio “in volo” non è più del cedente, mentre il fondo “di atterraggio” potrebbe non essere ancora determinato perché l’acquirente potrebbe non esser­ne ancora proprietario ovvero perché potrebbe acquistare i diritti edificatori per poi rivenderli.

Le conseguenze economiche sull’entità della tassazione sono però pesanti per il Fisco: aliquota di registro ridotta a un terzo (3% contro 9%) e incerto assoggettamento a tassazione a fini IRPEF dell’eventuale plusvalenza realizzata. 

È quindi ovvio che l’Agenzia delle entrate sostenga la tesi della realità dei diritti edificatori. E infatti essa, sul presupposto della natura immobiliare dei diritti edificatori, con la Circolare n. 1/E del 15 febbraio 2013 ha ritenuto la imponibilità delle plusvalenze emergenti dalla cessione dei diritti di "rilocalizzazione" (fattispecie analoga a una cessione di cubatura) e con la Risoluzione n. 233/E del 20 agosto 2009 ha affermato la possibilità di rivalutare i terreni ai sensi dell'art. 7 della legge n. 448 del 2001 consi­derando lo ius aedificandi distintamente ed autonomamente rispetto al diritto di proprietà del terreno e provvedendo alla rideterminazione del valore dei diritti edificatori facendo redigere apposita perizia giurata di stima.

Tale possibilità è di nuovo attuale a seguito dell'approvazione della legge di bilancio 2019; il comma 1053 della art. 1 (unico) della legge 30 dicembre 2018, n. 145 ha infatti riaperto i termini per procedere alla rivalutazione, facendo redigere la perizia e pagando la prima rata dell'imposta sostitutiva entro il 30 giugno 2019.

Va però segnalato che il comma seguente, il 1054, dispone che: «Sui valori di acquisto delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati e dei terreni edificabili e con destinazione agricola […] l'aliquota di cui all'articolo 7, comma 2, della medesima legge è aumentata al 10 per cento». La rivalutazione è divenuta quindi più onerosa e ne va valutata con attenzione la convenienza.



* L’intervento riprende nella prima parte lo Studio n.16-2018/T della Commissione Studi Tributari del CNN, Est. A. PISCITELLO; nella seconda parte ne applica i principi all’urbanistica perequativa che sempre più si va diffondendo.

1 Legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1053, che ha ancora una volta modificato l'art. 2, comma 2, del d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27.

2 L’art. 35 n. 23-ter del d.l. n. 223 del 2006 convertito con modificazioni dalla l. n. 248 del 2006 ha infatti escluso dalla valutazione automatica le cessioni diverse da quelle cui si applica il cosiddetto “prezzo valore” (art. 1 comma 497 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 e successive modificazioni) e cioè quelle diverse dalle cessioni di abitazioni e relative pertinenze.

3 Cass., sez. un., 28 maggio 2006, n. 25506.

4 Cfr., tra i tanti, P. PURI, La nuova nozione di terreno edificabile nella disciplina dei diversi tributi, in I Quaderni della Fondazione italiana per il notariato, Novità e problemi dell’imposizione tributaria relativa agli immobili, 2006, 3; Studio CNN n. 24-2012/T Est. M.P. NASTRI.

5 Cass. civ., sez. V, 31 marzo 2017, n. 8409 e Cass. civ., sez. V, 31 marzo 2017, n. 8410, che hanno riconosciuto l’applicabilità della valutazione automatica ai fini dell’imposta di registro per terreni ricadenti in una zona per la quale era stata adottata una variante al piano regolatore che la destinava ad uso agricolo (zona H1- agro romano) in luogo della precedente destinazione edificabile. Le sentenze si rifanno alla precedente sentenza della Cassazione del 2 marzo 2012, n. 3264, che aveva accolto l'istanza di revocazione dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 10780 del 2009. Cfr. Studio CNN n. 24-2012/T, cit.

6 Cass. civ., sez. V, 16 novembre 2012, n. 20137; Cass. civ., sez. V, 11 novembre 2016, n. 23026.

7 È della stessa opinione G. SALANITRO, Edificabilità dei terreni e registro: dalla valutazione automatica al valore in concreto del bene, in Corr. trib., 2017, 13, 1020.

8 Cass., sez. V, 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., sez. V, 15 luglio 2016, n. 14503; Cass., sez. V, 15 aprile 2016, 7513; Cass., sez. V, 16 ottobre 2015, n. 20950; Cass., sez. V, 15 ottobre 2013, n. 23316.

9 Art. 67 – già art. 81 – T.U.I.R.

10 Occorre però precisare che, per le imposte diverse dall’Irpef, la Corte di Cassazione ha adottato una linea interpretativa diversa; cfr. le sentenze. n. 8409 e 8410 del 31 marzo 2017 citate in nota 5, in materia di imposta di registro.

11 Cfr. lo Studio CNN n. 32-2017-T, Est. F. RAPONI, par. 7.1, che assoggetta a critica tale orientamento giurisprudenziale con motivazioni analoghe a quelle che saranno di seguito esposte.

12 La Costituzione all’art. 42 riconosce la proprietà privata e la garantisce, ma ne ammette la limitazione per motivi di interesse generale.

13 Cfr. Studio CNN n. 32-2017/T, cit., par.7; Studio CNN n. 21-2012/T, Est. F. RAPONI; Studio CNN n. 45-2011/T, Est. M. BASILAVECCHIA – M. CIGNARELLA.

14 Il citato Studio CNN n.32-2017/T, al par. 7.2, propone di considerare tale norma in campo Iva una norma di portata generale, tale da escludere a fini tributari i terreni agricoli dal novero dei terreni “suscettibili di utilizzazione edificatoria” anche ai fini delle imposte dirette.

15 Studio CNN n. 178-2011/T, Est. A. PISCHETOLA; Studio CNN n. 32-2017/T, cit. 

16 Cass. Sez. V, 30/11/2011, n. 25522.

17 Cfr. Studio CNN n. 24-2012/T, cit.

18 Cfr. Studio CNN n. 32-2017/T, cit., nota 58.

19 Cfr. legge n. 23 del 1999 della Regione Basilicata; legge n. 20 del 2000 della Regione Emilia Romagna; legge n. 20 del 2001 della Regione Puglia; legge n. 19 del 2002 della Regione Calabria; legge n. 11 del 2004 della Regione Veneto; legge n. 16 del 2004 della Regione Campania; legge n. 12 del 2005 della Regione Lombardia; legge n. 5 del 2007 della Regione Friuli Venezia Giulia; legge n. 22 del 2011della Regione Marche; legge n. 3 del 2013 della Regione Piemonte che ha modificato la legge n. 56 del 1977; legge n. 65 del 2014 della Regione Toscana; legge n. 1 del 2015 della Regione Umbria; legge n. 11 del 2015 della Regione Liguria che ha modificato la legge n. 36 del 1997; legge n. 15 del 2015 della Provincia Autonoma di Trento.

20 Il caso più noto è quello del Piano Regolatore di Roma, le cui previsioni in senso perequativo sono state dichiarate legittime dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4545 del 13 luglio 2010.

21 R. GAROFOLI, La perequazione urbanistica: nozione e compatibilità con il principio di legalità, l’art. 42 Cost., i criteri di riparto tra Stato e regioni della potestà legislativa, in I Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Urbanistica e attività notarile. Nuovi strumenti di pianificazione del territorio e sicurezza delle contrattazioni, 2012.

22 Art. 27 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, la cui attuale formulazione recepisce la giurisprudenza della Corte EDU e della Corte Costituzionale in materia.

23 Vedi nota 19.

24 D.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248.

25 Cfr. E. BOSCOLO, La compensazione e l’incentivazione: modelli e differenze rispetto alla perequazione, in I Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Urbanistica e attività notarile ..., cit.

26 Sull’argomento cfr. R. TRABACE, Diritti edificatori a Milano – profili operativi e fiscali, in Quotidiano giuridico, 23 novembre 2015.

27 G. AMADIO, I diritti edificatori: la prospettiva del civilista, in I Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Urbanistica e attività notarile ..., cit., G. RIZZI (con la collaborazione di G. TRENTIN), I diritti edificatori, riconoscimento e circolazione, sul sito dei Notai Rizzi e Trentin. È la tesi seguita dall’Agenzia delle entrate (risoluzione n. 233/E del 20 agosto 2009 e circolare n. 1/E del 15 febbraio 2013).

28 G. TRAPANI, Normative speciali e circolazione dei diritti edificatori, in I Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Urbanistica e attività notarile ..., cit.; F. RAPONI, Profili fiscali nella circolazione dei diritti edificatori, ibidem; Studio CNN n. 540-2014/T, Negoziazione dei diritti edificatori e relativa rilevanza fiscale, anche alla luce dell'art. 2643. n. 2-bis) c.c., est. A. PISCHETOLA; A. BUSANI, Gli atti traslativi della cubatura (o volumetria), in Corr. trib., 2017, 14; A. PISCHETOLA, La circolazione di cubatura, di crediti edilizi e di diritti edificatori: profili fiscali, in Il fisco, 2011, 17; in giurisprudenza Comm. Trib. Prov. di Novara, sez. I, n. 99/2013, confermata da Comm. Trib. Reg. Piemonte/Torino, sez. 31, n. 721/31 del 28 gennaio 2016.

29 Circolare n. 1/E del 2013, cit.

30 Vedi Studi CNN n. 32-2017/T, est. F. RAPONI, n.21-2012/T, est. F. RAPONI e 540-2014-T, est. A. PISCHETOLA.