I regolamenti europei sui regimi patrimoniali dei coniugi e delle unioni registrate.
Focus sulla legge applicabile.
I regolamenti (UE) 2016/1103 e 2016/1104 del 24 giugno 2016[[1]] sono la nuova fonte normativa per la definizione della legge applicabile in materia di regimi patrimoniali tra coniugi e in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate. Costituiscono uno strumento di attuazione della cooperazione rafforzata e, conseguentemente, il loro ambito di applicazione è limitato ai Paesi partecipanti[[2]]. Gli Stati membri dell'Unione europea non partecipanti alla cooperazione rafforzata continuano ad applicare le rispettive norme interne di diritto internazionale privato, con possibile conflitto tra queste ultime e le disposizioni dei regolamenti. Nell'analisi della materia, è da mettere in evidenza sin da subito che i due regolamento presentano un contenuto uguale tra loro, nella maggior parte della disciplina, fermo restando il differente ambito applicativo relativo ai matrimoni per il regolamento 2016/1103 e alle unioni registrate per il regolamento 2016/1104. questo giustifica che i due regolamenti vengano trattati congiuntamente, in modo da fare emergere in modo più evidente le parti in cui vi è una regolamentazione differente tra i due istituti.
1. Matrimoni e unioni registrate
La trattazione della materia deve partire dalle definizioni di matrimonio e di unione registrata e fa emergere una prima differenza tra i due regolamenti. Nel regolamento 2016/1103 non è presente una definizione di matrimonio, rimandando alle legislazioni interne dei singoli Stati Membri per definire che cosa si tratti per unione matrimoniale e, quindi, per determinare l'applicazione del primo regolamento. Al contrario, invece, il regolamento 2016/1104 definisce, ai soli fini del regolamento stesso, l'unione registrata come quel «regime di comunione di vita tra due persone previsto dalla legge, la cui registrazione è obbligatoria a norma di legge e conforme alle formalità giuridiche prescritte da tale legge ai fini della sua creazione».
Al fine di favorire l'approvazione del regolamento 2016/1104 da parte del numero più ampio possibile di Stati Membri, è stato espressamente previsto nel Considerando 17 che nessuno Stato Membro è tenuto ad introdurre l'istituto dell'unione registrata se non è prevista dalla propria legislazione nazionale. In tal modo, si è cercato di evitare di escludere dalla cooperazione rafforzata quei Paesi che prevedevano solamente il matrimonio come unico tipo di unione riconosciuto nel rispettivo ordinamento. Facendo un riferimento alla disciplina italiana, non vi sono dubbi che il regolamento 2016/1103 trovi applicazione per le coppie unite in matrimonio. Maggiori incertezze emergono, invece, per le unioni civili.
Ad una prima lettura, privilegiando il tenore letterale delle normative in analisi, si potrebbe essere portati ad affermare che il regolamento 2016/1104 si applichi alle unioni civili previste nel nostro ordinamento.
Tuttavia, si evidenzia che la legge che ha introdotto in Italia le unioni civili[[3]] ha equiparato questo istituto al matrimonio, salve lievi differenze relative alla mancanza della fase di separazione, all'obbligo di fedeltà e alla possibilità di adozione. In tal modo, in Italia la principale differenza tra matrimonio e unione civile è rappresentata dalla differenza di sesso dei coniugi nel primo istituto rispetto alla seconda, che può essere costituita da due persone dello stesso sesso.
Questo ha portato a sostenere la tesi che le unioni civili italiane potrebbero essere regolate dal regolamento 2016/1103, in quanto sono stare parificate ai matrimoni dal punto di vista sostanziale. L'interpretazione proposta è altresì avvalorata dal fatto che il differente ambito applicativo dei due regolamenti non si basa in alcun modo sul fatto che la coppia sia composta da persone dello stesso sesso o meno.
Simili dubbi sorgono per il peculiare istituto delle convivenze di fatto. In merito, è altresì importante sottolineare come la mancanza di omogeneità tra le diverse forme di unione registrata tra i diversi Stati Membri ha costretto il legislatore europeo a precisare nel Considerando 16 che non sono comprese nell'ambito applicativo del regolamento in analisi quelle «coppie che vivono in unione di fatto».
Innanzitutto, bisogna distinguere tra quelle persone che convivono[[4]] o che hanno la stessa residenza[[5]] e quelle che hanno dichiarato all’ufficio anagrafe di costituire una coppia di fatto[[6]] e di coabitare nella stessa casa.
Non è posto in dubbio che la prima ipotesi non rientri nell’ambito applicativo del regolamento in analisi, vista la mancanza di qualsiasi formalità che caratterizza questo tipo di casistiche. In tal caso, i due conviventi non godono dei diritti propri delle convivenze di fatto formalmente registrate. I medesimi, però, costituiscono comunque una coppia, in quanto costituita da «persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile»[[7]].
La seconda ipotesi, invece, presenta maggiori aspetti di problematicità ai fini della nostra analisi. In tal caso, la necessità di formalizzazione richiede, come requisito imprescindibile, che i due conviventi rendano la dichiarazione di costituire una coppia di fatto e di coabitare nella stessa casa di fronte all’ufficiale dello stato civile[[8]]. Secondo una prima interpretazione, tale dichiarazione costituisce requisito sufficiente e necessario per attribuire un carattere formale e solenne al rapporto, tale da consentire l’applicazione del regolamento 2016/1104 a questo tipo di rapporti. Una seconda tesi, invece, ritiene che la mera dichiarazione anagrafica non consenta una simile conclusione, in quanto non attribuisce una stabilità tale da «tenere conto della loro specificità e di definire norme ad esse applicabili in uno strumento dell'Unione», come affermato dal Considerando 16 del medesimo regolamento. Tale interpretazione si basa sul fatto che, strutturalmente, la convivenza è una situazione di fatto riguardo alla quale gli atti anagrafici servono, principalmente, a fini di accertamento di tale situazione di fatto[[9]].
2. Obiettivi e applicazione dei regolamenti
L’obiettivo dei regolamenti è fornire una disciplina per tutti gli aspetti di diritto civile dei regimi patrimoniali tra coniugi e delle unioni registrate, riguardanti sia la gestione quotidiana dei beni dei coniugi, sia la liquidazione del regime patrimoniale. L’emanazione di normative in materia di diritto di famiglia da parte del legislatore europeo ha rappresentato un cambio significativo nelle prospettive dell’Unione europea. Infatti, se le prime normative riguardavano materie unicamente economiche degli Stati membri, visto l’iniziale obiettivo di collaborazione economica della Comunità economica europea, i numerosi regolamenti emanati recentemente in materia di diritto di famiglia rappresentano la risposta alla necessità di tutela della “generazione Erasmus”. Questo è giustificato dal fatto che, secondo un recente studio della Commissione europea sull’impatto dell’Erasmus sui giovani, il 27% degli studenti che hanno studiato o fatto un’esperienza di stage all’estero ha incontrato il proprio partner fisso durante questo periodo e dal 1987 ad oggi sono nati circa un milione di bambini, figli di coppie Erasmus.
Nello specifico, i due regolamenti rappresentano una delle tante misure adottate dall’Unione europea per la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone[[10]]. Come espressamente disposto dal Considerando 2 di entrambi i regolamenti, richiamando l’art. 81 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, il raggiungimento di questi obiettivi include misure volte ad assicurare la compatibilità e l’armonizzazione delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione.
Secondo questi principi, i due regolamenti in analisi forniscono una definizione di regime patrimoniale che comprende l'insieme delle norme che regolano i rapporti patrimoniali dei coniugi o dei partner tra loro e rispetto ai terzi in conseguenza del matrimonio o dell’unione registrata o del suo scioglimento. In tal modo, viene garantita alle coppie, sposate e non, quella certezza del diritto e prevedibilità nei loro rapporti patrimoniali, riunendo in un solo strumento tutte le norme ivi applicabili.
Nello specifico, viene fornita una disciplina per tutti i connessi aspetti patrimoniali, ma vengono espressamente escluse le materie fiscali, doganali e amministrative. Ulteriori limitazioni dell’ambito applicativo sono rappresentate da quelle materie già disciplinate da altri specifici regolamenti, come le obbligazioni alimentari tra coniugi o tra partner[[11]] e le questioni relative alla successione a causa di morte di un coniuge o del partner[[12]].
Solamente specifiche questioni continuano a essere disciplinate dal diritto nazionale degli Stati Membri, come la materia della capacità giuridica generale dei coniugi o dei partner o dell'esistenza, della validità o del riconoscimento di un matrimonio o di un’unione registrata. Questa scelta si ricollega all’analizzata assenza di definizione di matrimonio nel regolamento, lasciandola alla discrezionalità e sensibilità dei singoli Stati Membri.
Ulteriori limitazioni all’ambito applicativo dei regolamenti riguardano il sistema dei diritti reali, differente in ogni Paese. In particolare, viene espressamente affermato nel Considerando 24 che uno Stato Membro non dovrebbe essere tenuto a riconoscere un diritto reale su un bene situato sul suo territorio se il diritto reale in questione non è contemplato dalla sua legge nazionale, in quanto non si dovrebbe incidere sul numero limitato dei diritti reali conosciuti nei singoli diritti nazionali.
A tal proposito, un primo esempio concreto potrebbe essere rappresentato dalla costituzione di un fondo patrimoniale in Italia da parte di una coppia che scelga, dopo qualche tempo e sussistendone i requisiti, analizzati nei paragrafi successivi, la legge francese come legge applicabile con effetto retroattivo. Tuttavia, in Francia non è previsto un istituto analogo al nostro fondo patrimoniale, vincolo, come noto, che permette di destinare ai bisogni della famiglia i beni immobili. La scelta della legge francese come applicabile, effettuata dalla coppia e pienamente valida, farà venire meno quell’effetto segregativo sui beni consentito dal fondo patrimoniale in Italia. Di conseguenza, anche i creditori personali di un componente della coppia, nei limiti previsti dalla legge francese, potranno comunque aggredire i beni costituiti in fondo patrimoniale, senza che vi sia alcuna tutela derivante dal vincolo.
I regolamenti sono stati approvati e sono entrati in vigore nel 2016. Tuttavia, le disposizioni transitorie prevedono che le previsioni in merito alla legge applicabile siano applicabili solamente con riferimento alla data del 29 gennaio 2019. In particolare, l’ambito applicativo riguarda quei matrimoni e quelle unioni registrate che sono stati celebrati dopo tale data oppure che dopo tale hanno stipulato una convenzione sulla legge applicabile al loro regime patrimoniale.
Una simile scelta del legislatore europeo determina che, anche dopo il 29 gennaio 2019, la maggior parte delle unioni celebrate prima di tale data rimangano disciplinate dalle normative interne di diritto internazionale privato, salvo che sia stipulata un’apposita convenzione. In tal modo, si rischia di vanificare, almeno in un primo momento, l’obiettivo di stabilire un’unica disciplina comune relativa alla legge applicabile per i regimi patrimoniali in tutti gli Stati membri.
Un esempio può illustrare meglio la possibile sovrapposizione delle diverse normative applicabili.
Due cittadini francesi, residenti in Svezia, hanno contratto matrimonio in Italia nel 2015: la legge applicabile ai loro rapporti patrimoniali risulta quella francese, in quanto legge nazionale comune, ai sensi della legge sul diritto internazionale privato n. 218/1995. Se il matrimonio fosse celebrato dopo il 29 gennaio 2019, invece, la relativa legge applicabile sarebbe quella svedese, in quanto Stato della prima residenza abituale comune dopo la conclusione del matrimonio, ai sensi del citato regolamento 2016/1103.
Se, invece, questi due stessi cittadini fossero dello stesso sesso e avessero contratto un’unione civile (prima o dopo il 29 gennaio 2019), la legge applicabile sarebbe sempre quella italiana, Stato ai sensi della cui legge l’unione è stata costituita, in quanto sia la l. n. 218/1995, sia il regolamento gemello 2016/1104 prevedono lo stesso criterio in via principale[[13]].
Una diversa scelta del legislatore europeo, che avrebbe potuto prevedere un’applicazione generalizzata dei regolamenti anche ai matrimoni e alle unioni registrate già esistenti il 29 gennaio 2019, avrebbe comportato pericolosi cambi di legge applicabile a coppie già costituite, che si sarebbero trovate costrette a stipulare una convenzione sulla legge applicabile per evitare una simile modificazione e tornare allo status quo ante[[14]].
Con riferimento all’ordinamento italiano, è da mettere in evidenza che, come noto, l’istituto delle unioni civili è stato introdotto dalla l. n. 76 del 2016. Di conseguenza, il legislatore italiano ha dovuto prevedere un’apposita disposizione nell’ambito della legge sul diritto internazionale privato per disciplinare le unioni civili in tale ambito[[15]]. Questa previsione, come tutto il resto del diritto internazionale privato, troverà applicazione solamente per quelle unioni civili costituite prima del 29 gennaio 2019 che non abbiano stipulato alcuna convenzione sulla legge applicabile.
3. Principi generali sulla legge applicabile
I criteri di scelta della legge applicabile sono regolati da alcuni principi generali definiti dal legislatore europeo, al fine di consentire ai coniugi e ai partner di conoscere in anticipo la legge applicabile ai loro regimi patrimoniali. Il primo principio è costituito dall’universalità, in base a cui la legge designata come applicabile si applica anche ove non sia quella di uno Stato Membro. Il secondo principio è costituito dall’unità, che impone che la legge applicabile si applichi alla totalità dei beni rientranti nel regime patrimoniale, indipendentemente dal luogo in cui si trovano i beni. Questo principio è da collegare ad un’altra importante previsione dei regolamenti, cioè l’esclusione del rinvio. In particolare, l’applicazione della legge di uno Stato si riferisce all'applicazione delle norme giuridiche sostanziali in vigore in quello Stato, ad esclusione della relativa disciplina di diritto internazionale privato. Questo comporta che l’applicazione di una legge straniera comprende tutte le previsioni di carattere sostanziale, ivi comprese quelle in materia di regime patrimoniale, senza possibilità che eventuali norme di conflitto dell’ordinamento straniero rinviino, almeno in parte, a normative di altri ordinamenti. L’esclusione del rinvio costituisce una fondamentale novità rispetto alle corrispondenti previsioni nazionali di diritto internazionale privato, che consentono il rinvio alla disciplina di un altro Paese se a) se il diritto di tale Stato accetta il rinvio; b) se si tratta di rinvio alla legge italiana[[16]].
Nel complesso, questi tre principi consentono di conoscere in anticipo la legge applicabile al regime patrimoniale di matrimoni e unioni registrate, nel rispetto della certezza del diritto, consentendo così ai cittadini di beneficiare dei vantaggi offerti dal mercato interno. Si cerca di garantire che la legge applicabile ai regimi patrimoniali si applichi a tutti i rapporti che ne derivano, evitando qualsiasi tipo di frammentazione, indipendentemente dalla natura dei beni ivi compresi e dalla loro localizzazione.
Un esempio può spiegare meglio l’applicazione concreta di tali principi e può altresì mettere in evidenza la loro importanza. Immaginiamo il caso di due coniugi inglesi residenti nel Regno Unito che acquistano un immobile in Italia[[17]].
Se la coppia si è sposata prima del 29 gennaio 2019, la legge applicabile ai relativi rapporti patrimoniali è quella inglese, in quanto legge nazionale comune, ai sensi del combinato disposto degli art. 29 e 30, l. n. 218 del 1995. La normativa inglese, tuttavia, prevede il principio della lex rei sitae, in base al quale la normativa applicabile agli acquisti effettuati in Italia sarà proprio quella italiana. Questo comporta che l’acquisto dell’immobile in Italia dovrà considerarsi caduto in comunione legale dei beni e assoggettato al relativo regime.
Si giunge, invece, a diversa conclusione nel caso la coppia si sia sposata dopo il 29 gennaio 2019. La legge inglese rappresenta sempre quella applicabile ai relativi rapporti patrimoniali, ai sensi del regolamento. Tuttavia, gli analizzati principi dell’esclusione del rinvio e dell’universalità della legge applicabile impongono l’applicazione della legge inglese per tutti i rapporti patrimoniali della coppia, senza possibilità di applicare altre leggi per alcuni aspetti. Di conseguenza, l’acquisto del medesimo immobile in Italia dovrà considerarsi come bene personale dei due coniugi, poiché in Inghilterra non è previsto un istituto paragonabile alla comunione dei beni italiana.
4. Legge applicabile in mancanza di scelta delle parti
I due regolamenti forniscono alcuni criteri di collegamento per definire in modo chiaro e univoco quale sia la legge applicabile a una coppia sposata o legata da un’unione registrata e di conoscerla in anticipo, in modo, eventualmente, da effettuare una scelta di una diversa normativa. I criteri proposti hanno carattere successivo e subordinato, e non alternativo, in quanto si applicano le previsioni successive solamente se le coppie non hanno i requisiti per applicare quelle precedentemente indicate. Nel definire questi criteri, il legislatore europeo ha cercato di conciliare la prevedibilità e l'esigenza di certezza del diritto con le circostanze della vita reale di una coppia, nel caso in cui non sia stata stipulata un’apposita convezione di scelta della legge applicabile. In questa materia, alcuni criteri sono comuni per le coppie sia sposate, sia unite da un’unione registrata, mentre altri sono previsti solamente per uno dei due istituti e risulta, quindi, opportuna un’analisi separata delle due normative per una maggiore chiarezza.
Partendo dall’analisi delle coppie sposate, il primo criterio applicabile è la prima residenza abituale comune dei coniugi dopo la conclusione del matrimonio. Questa previsione rappresenta un grande cambiamento rispetto alla normativa italiana di diritto internazionale privato, che prevedeva come primo criterio applicabile la legge nazionale comune dei coniugi. Tale cambiamento dà prevalenza alla situazione fattuale della prevalente localizzazione della vita della coppia, rispetto al criterio della cittadinanza comune, consentendo un più stretto legame con l’ordinamento in cui la coppia si trova a vivere.
L’analisi di questo criterio deve partire dal concetto di residenza abituale comune, per cui non è prevista una definizione nei due regolamenti. In ogni caso, questa nozione è richiamata in altri regolamenti in materia di diritto internazionale privato e da numerose pronunce della Corte di Giustizia, relative ad altri argomenti. Si può, quindi, affermare che questo criterio si caratterizza per un elemento quantitativo, costituito dalla durata temporale della permanenza, e da uno qualitativo, rappresentato dalla natura e dalle caratteristiche del soggiorno.
In tal modo, si può parlare di residenza abituale comune quando si verifica un’integrazione dei soggetti in un ambiente sociale e familiare, sulla base della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno in uno Stato Membro, del trasferimento della famiglia in tale Stato e di altri simili elementi fattuali.
Maggiori perplessità, invece, sono sorte in merito al criterio temporale rappresentato dal fatto che la residenza abituale comune deve essere la prima comune «dopo la conclusione del matrimonio». L’analisi di questo aspetto e le soluzioni proposte devono basarsi sul Considerando 46 del regolamento 2016/1103, in base al quale non può essere consentita alcuna modifica della legge applicabile senza una manifestazione espressa della volontà delle parti. Di conseguenza, si ritiene, al fine di garantire la certezza del diritto in ordine ai negozi giuridici, che il trasferimento della residenza dei coniugi dopo il matrimonio non possa comportare automaticamente il relativo cambio della legge applicabile.
La prima residenza abituale comune può coincidere con la residenza abituale comune della coppia già prima della celebrazione del matrimonio oppure può essere identificata con quella fissata subito dopo la conclusione del matrimonio stesso, purché sia caratterizzata da stabilità e destinata a durare nel tempo. La mancanza di definiti orizzonti temporali sul che cosa si intenda per «dopo la conclusione del matrimonio» fa, però, sorgere molti dubbi applicativi, in relazione a tutti i possibili momenti in cui la prima residenza comune può essere stabilita dai coniugi.
Pensiamo al caso di due cittadini italiani, senza avere una residenza comune, che si sposano e si trasferiscono insieme per lavoro in Qatar un mese dopo il matrimonio, per poi tornare in Italia dopo due anni.
Per capire quale sia la legge applicabile, il trasferimento in Qatar potrebbe rappresentare la prima residenza abituale comune dopo il matrimonio, con la conseguenza che i rapporti patrimoniali di questa coppia saranno disciplinati dalla legge del Qatar, anche dopo il successivo trasferimento in Italia, salvo che non venga effettuata una professio iuris. In questo caso, il termine di un mese è ritenuto un lasso di tempo abbastanza breve, tale da consentire ai coniugi di trasferirsi effettivamente nella loro prima residenza comune. Tale soluzione rispetta il tenore letterale della norma e non consente successivi cambi di legge applicabili non collegati ad un’espressa manifestazione di volontà dei coniugi, come previsto dal regolamento stesso.
Secondo una differente prospettiva, invece, nel primo mese i due sposi non hanno avuto una residenza abituale comune e, quindi, il criterio in analisi non può trovare applicazione. La legge applicabile sarà così determinata in base ai successivi criteri disciplinati dal regolamento, non essendovi una residenza abituale comune dopo il matrimonio. Tuttavia, questa interpretazione non valorizza il termine “dopo”, avendo il legislatore immaginato un tempo tecnico inevitabile e necessario per consentire ai coniugi, magari residenti in differenti Stati Membri, di stabilire una residenza comune. Questo lasso temporale deve essere enfatizzato soprattutto in relazione ai successivi criteri per stabilire la legge applicabile previsti dal regolamento, che fanno, invece, riferimento «al momento della conclusione del matrimonio». Questo lasso temporale deve, comunque, essere interpretato in maniera restrittiva e non deve durare più di alcuni mesi. Sarebbe altresì possibile enfatizzare il carattere di temporaneità del trasferimento in Qatar, per affermare l’applicazione della legge italiana, in relazione al trasferimento dopo due anni nel nostro Paese. Si ritiene che questa tesi non possa essere condivisibile, in quanto farebbe venire meno la certezza del diritto applicabile ai rapporti patrimoniali della coppia e comporterebbe una modifica della legge applicabile dipendente unicamente da un elemento fattuale. Una differente ipotesi si verifica quando la coppia stabilisce una residenza comune molto tempo dopo la celebrazione del matrimonio. Si può prendere il caso di due coniugi spagnoli, residenti in due Stati Membri differenti, che stabiliscono la prima residenza abituale comune in Francia solamente alcuni anni dopo rispetto al matrimonio.
In tale situazione, si può individuare un primo periodo in cui i coniugi non hanno una residenza comune e per cui la relativa legge applicabile ai loro rapporti patrimoniali può essere definita sulla base del primo criterio successivo stabilito dal regolamento, cioè la comune cittadinanza spagnola. Lo stabilire la residenza comune permette la definizione di un secondo periodo in cui viene in rilievo il primo criterio della prima residenza comune, con possibile applicazione della legge francese. Questa soluzione, tuttavia, determina un cambio della legge applicabile senza essere collegato ad una espressa volontà dei coniugi e pone dei dubbi sulla stabilità dei criteri di collegamento, così come definiti dal regolamento[[18]]. È da sottolineare che questo mutamento, meramente connesso ad elementi fattuali, non abbia carattere retroattivo, possibile solamente in caso di accordo espresso dei coniugi.
Si ritiene, quindi, preferibile ritenere che, nel caso in esame, non possa trovare applicazione l’analizzato criterio della prima residenza abituale comune e, quindi, la legge applicabile sia quella della cittadinanza comune, cioè quella spagnola. In tale modo, viene cristallizzata la legge applicabile subito dopo la celebrazione del matrimonio e non intervengono successivi mutamenti della stessa dovuti a cambiamenti nella vita della coppia.
In mancanza della prima residenza abituale comune dei coniugi dopo la conclusione del matrimonio, il regolamento prevede che il successivo criterio per definire la legge applicabile sia quello della cittadinanza comune dei coniugi al momento della conclusione del matrimonio. Questo criterio corrisponde a quello primario previsto dalla normativa nazionale sul diritto internazionale privato, cioè la legge nazionale comune dei coniugi[[19]].
Viene espressamente previsto che tale criterio non trovi applicazione nel caso in cui i coniugi abbiano più di una cittadinanza comune al momento della conclusione del matrimonio. In tal modo, si evita che i coniugi scelgano quale sia la legge applicabile, sempre al fine garantire la certezza del diritto. Il riferimento “al momento della conclusione del matrimonio” consente di evitare qualsiasi dubbio sul momento temporale a cui il criterio debba riferirsi. Da ciò, deriva che il successivo acquisto di una comune cittadinanza da parte dei coniugi non può comportare alcun mutamento automatico della legge applicabile. Nel caso i due analizzati criteri non possano trovare applicazione, la legge applicabile al regime patrimoniale sarà determinata in base al criterio residuale della legge dello Stato con cui i coniugi presentano assieme il collegamento più stretto al momento della conclusione del matrimonio, tenuto conto di tutte le circostanze.
Questo criterio presenta volutamente ampi margini di incertezza e si può ritenere corrisponda a quello previsto, anch’esso in via subordinata, dalla citata l. 218 del 1995, che richiama la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. Il regolamento gemello 2016/1104, invece, non prevede una serie di criteri successivi, ma dispone unicamente che la legge applicabile agli effetti patrimoniali delle unioni registrate è quella dello Stato ai sensi della cui legge l'unione registrata è stata costituita.
In tal modo, vengono garantite sia la certezza del diritto, sia l'immutabilità della legge applicabile agli effetti patrimoniali delle unioni registrate, senza fare sorgere dubbi applicativi, a differenza di quanto analizzato per le coppie sposate. Questa soluzione coincide altresì con le corrispondenti previsioni della disciplina nazionale di diritto internazionale privato, già precedentemente citate. Nella legge nazionale sul diritto internazionale privato, un ruolo importante è svolto dall’art. 32-bis[[20]], relativo al matrimonio contratto all'estero da cittadini italiani dello stesso sesso, per cui viene previsto che produca gli effetti dell'unione civile regolata dalla legge italiana. Si rivolge, in particolar modo, a tutte quelle coppie dello stesso sesso che hanno formalizzato la loro unione prima del 2016 e sono state costrette a farlo in uno Stato estero, in quanto in Italia non erano ancora riconosciute le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Questa norma rappresenta un’eccezione rispetto al criterio applicabile della legge di costituzione dell’unione registrata, ma consente di applicare la legge italiana anche a quelle coppie che sono dovute ricorrere “per necessità” alla legge di uno Stato estero, senza presentare alcun altro profilo di transnazionalità.
Mettendo in pratica le analizzate previsioni in materia di unioni civili si può prendere come esempio il caso di due cittadini italiani dello stesso sesso, che sono residenti in Italia e che si sono sposati in Spagna. Se gli stessi si sono sposati prima del 29 gennaio 2019, si verificherà la conversione prevista dal citato art. 32-bis della l. n. 218 del 1995 e, quindi, troverà applicazione la legge italiana. Se si trattasse di due persone di nazionalità diverse, invece, non sarebbe possibile la conversione e sarà applicabile la legge spagnola, cioè la legge dello Stato davanti alle cui autorità l'unione è stata costituita.
Se, invece, i due cittadini italiani dello stesso sesso si sono sposati dopo il 29 gennaio 2019, si applicherà la legge spagnola, cioè la legge dove l’unione è stata costituita, se si ritiene si rientri nell’ambito delle unioni registrate, così come disciplinate dal regolamento 2016/1104. Se, al contrario, si ritiene applicabile il regolamento 2016/1103, in quanto le unioni civili sono parificate al matrimonio dal punto di vista sostanziale, in particolar modo dalla legge spagnola, la legge applicabile sarà quella italiana, in quanto legge della residenza comune.
Per concludere l’analisi della legge applicabile è da fare un brevissimo cenno alla possibilità di derogare le previsioni di entrambi i regolamenti da parte dell’autorità giurisdizionale in casi eccezionali, su cui non ci si può soffermare nel presente articolo e per cui si rimanda all’ultimo comma dell’art. 26 dei due regolamenti.
5. La scelta della legge applicabile
In entrambi i regolamenti, i criteri sopra analizzati relativi alla legge applicabile trovano applicazione in mancanza di diversa volontà delle parti. È, quindi, consentito ai coniugi e ai partner scegliere quale sia la legge applicabile ai loro rapporti patrimoniali, anche prima della celebrazione del matrimonio o della costituzione dell’unione registrata.
Tale scelta, anche definita professio iuris, può essere effettuata entro determinati limiti, rappresentati da:
– la legge dello Stato della residenza abituale di almeno un coniuge o partner;
– la legge di uno Stato di cui almeno un coniuge o partner ha la cittadinanza;
Importante sottolineare che il momento temporale di riferimento di queste opzioni è quello della conclusione dell'accordo di scelta della legge applicabile. In tal modo, è consentito alla coppia valorizzare eventi successivi rispetto alla costituzione del matrimonio o dell’unione, come, ad esempio, il trasferimento in un altro Stato di anche solo un componente.
Per le sole unioni registrate è consentita un’ulteriore opzione, rappresentata dalla legge dello Stato ai sensi della cui legge l'unione registrata stessa è stata costituita. Questa possibilità è importante perché permette ai partner di tornare ad applicare il criterio legale, che si applicherebbe in mancanza di scelta, nel momento in cui è stata effettuata precedentemente una differente professio iuris.
Le previsioni dei due regolamenti riprendono le previsioni nazionali in materia di diritto internazionale privato, che consentivano le stesse opzioni[[21]] .
Una peculiarità dei regolamenti è rappresentata dalla possibilità che tali accordi assumano carattere retroattivo se espressamente convenuto dalle parti, senza, in ogni caso, poter pregiudicare i diritti dei terzi derivanti dalla legge in precedenza applicabile.
Un esempio può illustrare meglio quali limiti abbia il possibile carattere retroattivo della professio iuris nei confronti dei terzi. Immaginiamo una coppia residente in Austria al momento della celebrazione del matrimonio, la cui legge applicabile è quella austriaca, che prevede un regime assimilabile alla separazione dei beni. Uno dei due coniugi acquista un bene in Italia, che, quindi, non rientra nella comunione dei beni. Successivamente, i due coniugi si trasferiscono in Italia e scelgono proprio la legge italiana, con conseguente applicazione della comunione dei beni, come professio iuris con effetto retroattivo. Questo comporta che il bene in Italia rientri anch’esso nella comunione dei beni.
Una simile scelta, tuttavia, non può pregiudicare eventuali diritti che potrebbe vantare un creditore del coniuge che aveva acquistato il bene in Italia. Tale creditore, infatti, continuerà ad avere una garanzia sull’intero bene del coniuge, in quanto il suo credito è sorto prima che i coniugi effettuassero la professio iuris e facessero, quindi, cadere il bene in comunione legale.
Allo stesso modo, nel caso opposto, di passaggio dalla legge italiana a quella austriaca con effetto retroattivo, il creditore che avesse iscritto ipoteca sul bene in comunione conserverà la garanzia anche nel caso in cui venga pattuito che tale bene divenga di proprietà esclusiva del coniuge non debitore[[22]].
I regolamenti contengono, poi, alcune previsioni in merito alla validità formale dell'accordo sulla scelta della legge applicabile, disponendo che esso debba essere redatto per iscritto, datato e firmato da entrambi i coniugi o partner. A tal fine, è considerata equivalente alla forma scritta anche qualsiasi comunicazione elettronica che consenta una registrazione duratura dell’accordo.
Tuttavia, è possibile che vengano richiesti dei requisiti di forma supplementari se sono previsti dalla legge del Paese in cui almeno uno dei componenti della coppia ha la residenza abituale al momento della conclusione dell'accordo e che tale Paese sia uno Stato Membro dell’Unione europea[[23]].
Ad esempio, sarà necessaria la forma dell’atto pubblico per la stipula di una convenzione tra un coniuge residente in Italia e un altro negli Stati Uniti. Al contrario, sarà sufficiente l’accordo scritto se entrambi i coniugi risiedessero negli Stati Uniti.
In merito alla validità sostanziale dell’accordo sulla scelta, invece, entrambi i regolamenti rinviano alle previsioni della legge scelta dalle parti nell’ambito della professio iuris e viene espressamente precisato che tale scelta mantiene la sua efficacia, relativamente all’esistenza e alla validità dell’accordo, anche nel caso in cui l’accordo stesso si rivelasse invalido[[24]].
Il legislatore europeo, infine, ha disciplinato regole di validità formale per la stipula delle convenzioni matrimoniali e delle convenzioni tra partner che corrispondono a quelle, appena analizzate, per la scelta della legge applicabile. In tal modo, si è cercato di agevolare l'accettazione in tutti gli Stati Membri dei diritti patrimoniali dei coniugi o dei partner acquisiti per effetto di una convenzione matrimoniale stipulato in un altro Stato Membro.
Senza potersi soffermarsi sulle previsioni dei regolamenti relative all’ambito della legge applicabile, all’opponibilità a terzi, all’adattamento dei diritti reali e agli ordinamenti plurilegislativi, si ritiene di effettuare una nota conclusiva in merito al limite delle norme di applicazione necessaria e dell’ordine pubblico del foro.
In particolare, viene espressamente previsto che le disposizioni di entrambi i regolamenti non ostano all'applicazione delle norme di applicazione necessaria della legge del foro, relative alla salvaguardia degli interessi pubblici di uno Stato, come la sua organizzazione politica, sociale o economica.
Si tratta di norme di carattere imperativo, la cui applicazione non può in alcun modo essere derogata da eventuali disposizioni contrastanti con le medesime previste dalla legge applicabile al regime patrimoniale tra coniugi ai sensi dei regolamenti. Secondo i Considerando 53 di entrambi i regolamenti, costituiscono norme di applicazione quelle relative alla protezione della casa familiare e agli obblighi di contribuzione ai bisogni familiari.
Allo stesso modo, viene altresì previsto che l'applicazione di una disposizione della legge di uno Stato specificata dal regolamento può essere esclusa solo qualora tale applicazione risulti manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico del foro. Queste due ultime previsioni, che introducono due clausole di salvaguardia degli ordinamenti nazionali, sono fondamentali per un’armonica integrazione della normativa prevista dai due regolamenti con le rispettive discipline nazionali, in modo da favorire un’efficace applicazione della normativa sui regimi patrimoniali in tutti gli Stati Membri ed evitare nella misura maggiore possibile il sorgere di controversie in materia.
NOTE:
[1] Si tratta, nello specifico, del regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio del 24 giugno 2016 che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi e del regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio del 24 giugno 2016 che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate, entrambi in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea n. 183 dell'8 luglio 2016.
[2] Nello specifico, i Paesi partecipanti alla cooperazione rafforzata sono: Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Cipro, Croazia, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Austria, Portogallo, Slovenia, Finlandia e Svezia.
[3] L. 20 maggio 2016, n. 76 (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
[4] Questo caso comprende tutte quelle coppie che, di fatto, vivono insieme, ma che anagraficamente hanno una residenza diversa.
[5] In tale caso, possono rientrare quelle persone che, pur avendo la stessa residenza, non costituiscono in alcun modo una coppia di fatto: si pensi, ad esempio, a due studenti che, pur abitando in una stessa casa, affittano ciascuno una parte di casa.
[6] Si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'art. 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'art. 13 del regolamento anagrafico di cui al d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223.
[7] Si veda l’art. 1, comma 36, l. n. 76 del 2016.
[8] Tale dichiarazione può altresì essere inviata tramite fax o per via telematica.
[9] Questa interpretazione è stata sostenuta dal Consiglio Nazionale del Notariato; si veda M.L. CENNI, La nuova legge sulle unioni civili e le convivenze. Profili generali degli istituti, in CNN Notizie del 20 giugno 2016; D. BOGGIALI – A. RUOTOLO, La legge applicabile ai regimi patrimoniali tra coniugi e agli effetti patrimoniali delle unioni registrate nei regolamenti europei (CE) 24 giugno 2016, n. 2016/1103 e n. 2016/1104, in CNN Notizie del 18 gennaio 2019.
[10] Altri recenti regolamenti emanati in materia di diritto di famiglia sono il regolamento (CE) 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea n. 7 del 10 gennaio 2009, e il regolamento (UE) 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e all'accettazione e all'esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea n. 201 del 27 luglio 2012.
[11] Si veda il citato regolamento (CE) 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari.
[12] Si veda il citato regolamento (UE) 650/2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e all'accettazione e all'esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo.
[13] Nel presupposto che si ritenga applicabile il regolamento 2016/1104 alle unioni civili.
[14] Differente soluzione era stata seguita, in materia di regimi patrimoniali dei coniugi, con la riforma del diritto di famiglia del 1975. La l. n. 151 del 1975 aveva comportato il passaggio dal regime di separazione dei beni a quello della comunione dei beni per le famiglie costituite prima del 20 settembre 1975. Era, però, stato previsto un periodo transitorio, dal 20 settembre 1975 al 16 gennaio 1978, in cui era consentito anche solo a un coniuge esprimere volontà contraria ed impedire che gli acquisti successivi al 20 settembre 1975 cadessero in comunione dei beni.
[15] Si veda l’art. 32-ter “Unione civile tra persone maggiorenni dello stesso sesso” della l. n. 218 del 1995 (“Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”), così come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 7 del 2017 (“Modifiche e riordino delle norme di diritto internazionale privato per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettera b), della legge 20 maggio 2016, n. 76”).
[16] Si veda l’art. 13, l. n. 218 del 1995.
[17] D. BOGGIALI – A. RUOTOLO, La legge applicabile ai regimi patrimoniali tra coniugi e agli effetti patrimoniali delle unioni registrate nei regolamenti europei (CE) 24 giugno 2016, n. 2016/1103 e n. 2016/1104, cit.
[18] Si veda D. BOGGIALI – A. RUOTOLO, La legge applicabile ai regimi patrimoniali tra coniugi e agli effetti patrimoniali delle unioni registrate nei regolamenti europei (CE) 24 giugno 2016, n. 2016/1103 e n. 2016/1104, cit.
[19] Si veda il combinato disposto degli art. 29 e 30, l. n. 218 del 1995.
[20] Così come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 7 del 2017.
[21] Si vedano rispettivamente gli art. 30 e 32-ter, l. n. 218/1995.
[22] Si veda D. BOGGIALI – A. RUOTOLO, La legge applicabile ai regimi patrimoniali tra coniugi e agli effetti patrimoniali delle unioni registrate nei regolamenti europei (CE) 24 giugno 2016, n. 2016/1103 e n. 2016/1104, cit.
[23] Si pensi all’art. 162 c.c., in base al quale le convenzioni matrimoniali devono essere stipulate per atto pubblico a pena di nullità.
[24] È in ogni caso consentito a un coniuge o un partner di fare riferimento alla legge del paese in cui ha la residenza abituale nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale, al solo fine di dimostrare che non ha dato il suo consenso, se dalle circostanze risulta che non sarebbe ragionevole stabilire l'effetto del suo comportamento secondo la legge ritenuta applicabile.