Giuffré Editore

Il ruolo del notaio nel tempo della postverità


di Massimo Palazzo

Notaio in Pontassieve

Presidente Fondazione italiana del Notariato

Consigliere nazionale del Notariato


La funzione notarile nell’ordinamento professionale e nel codice civile

Anteriormente alla Rivoluzione francese, nell'Antico regime, la produzione del diritto dei privati era affidata in misura considerevole alla attività del notaio che, attraverso la interpretatio del vecchio diritto romano giustinianeo e del diritto canonico, costituiva lo strumento di adeguamento di quelle norme alle esigenze dell'esperienza giuridica medievale e postmedievale in continua crescita. Gli atti notarili si ponevano perciò quali autentiche fonti del diritto comune europeo[1].

Naturalmente le opinioni di notai, giudici, dottori si accumulavano l'una dopo l'altra; si formavano opinioni comuni, più che comuni, comunissime; tesaurizzate nei farraginosi formulari sei-settecenteschi, provocando la reazione risentita e critica di Muratori (Dei difetti della giurisprudenza, 1742) e Beccaria (Dei delitti e delle pene, 1764) contro il diritto comune monopolizzato da giudici e notai. La risposta alla ridda delle opinioni interpretative venne con il puntiglio codificatorio di Napoleone che cancella la precedente formazione alluvionale del diritto, riducendo tutto il diritto dei privati ad un'unica fonte, moderna, chiara, di facile consultazione: il code civil del 1804 (dal 1807 Code Napoleon). Il codice civile rivela la sua filiazione illuministica; esso è una fonte unitaria, specchio e cemento dell'unità dello Stato; è fonte completa ed esauriente, ma anche fonte esclusiva.

Complementare al Codice ed espressione della medesima ideologia giuridica postilluministica è la prima legge organica sul Notariato, che esprime le istanze del nuovo contesto politico-istituzionale e segna l'avvento del moderno nella storia europea dell'istituzione notarile. La legge francese del 25 Ventoso XI (16 marzo 1803), preceduta da un lavoro preparatorio durato oltre dieci anni, individua nel notaio l’organo fondamentale per la cura e la documentazione dell’autonomia dei privati[2].

 Si tratta di un atto normativo non solo in stretta continuità cronologica con il code civil del 1804, ma decisamente collocato nell’ambito del disegno strategico della codificazione teso a idealizzare e irrobustire la figura del Principe ed a consegnare nelle sue mani la costruzione dell’ordine giuridico, onde pervenire al risultato del protagonismo dello Stato e della affermazione del suo monopolio nella produzione del diritto. Il che portava a fare assurgere la legge a fonte giganteggiante sulla struttura gerarchica delle fonti del diritto ed a ridurre in essa tutta l’articolazione rigidamente piramidale delle fonti subordinate. Coerentemente con queste premesse l’interpretazione del diritto si risolveva nella mera constatazione della volontà del legislatore ed il giurista esiliato nella bassa corte dell’esegesi[3].

La legge del 25 Ventoso costituisce l’indiscusso modello per gli ordinamenti notarili successivi in tutta l’area del Notariato latino. Non tanto perché essa fu direttamente operante negli Stati annessi alla Francia, quanto perché a tale modello si ispirarono in diversa misura le leggi sull'ordinamento del Notariato, e tra esse, la prima legge notarile dell'Italia unita del 25 luglio 1875. In tutti gli ordinamenti di civil law varrà infatti mantenuta la stretta connessione con le corrispondenti codificazioni civili: la fisionomia della figura giuridica del notaio – tanto nei codici civili, quanto nelle leggi notarili – è costruita dall’angolo visuale della funzione documentale. Tale impostazione, già presente nei codici pre-unitari e nel c.c. 1865, permane ininterrottamente anche nella legislazione vigente.

Per limitare il nostro discorso all’Italia, la legge notarile vigente (l. 16 febbraio 1913, n. 89) definisce i notai ufficiali pubblici «istituiti per ricevere gli atti atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie i certificati, gli estratti» (art. 1). Nel codice civile si tratta della figura del notaio come un documentatore, il cui ufficio è costruito in funzione della costruzione di documenti rappresentativi della manifestazione di volontà dei privati, con valore non solo di atto pubblico (art. 2699 cc.) ma anche in funzione fidefacente (art. 2700 c.c.).

La normativa in oggetto è collocata nel quadro della disciplina della prova documentale (art. 2699 ss. c.c.). Anche le ulteriori disposizioni del codice che riguardano l’attività notarile individuano nel notaio un formatore di documenti (v. art. 2328 e 2330 c.c. per la costituzione di società per azioni; 2375 c.c. per i verbali di assemblea straordinaria, l’art. 2657 c.c. in tema di titoli idonei per la trascrizione nei pubblici registri immobiliari etc.).

L’impostazione caratteristica del positivismo giuridico – dominata dalla pesante ipoteca culturale esegetico-pandettistica – vede dunque nel notaio moderno, intendendo per modernità giuridica[4] il periodo successivo alla codificazione napoleonica, fino alla Costituzione repubblicana del 1948, un formatore di documenti, un documentatore al quale resta estraneo ogni compito progettuale.

Siamo quindi all’opposto della Bologna medievale, dove i maestri dell’ars notaria, ben inseriti nella polis, creavano diritto, giorno dopo giorno, attraverso la interpretatio, costruendo un modello evoluto e raffinato di sistemazione del diritto vivente. Non a torto un acuto civilista, che però era nato alla scienza giuridica come storico, parla di “estrastatualità” del diritto civile fino alla nuova visione che la Rivoluzione volle, progettò e realizzò[5].


Il Novecento e la postmodernità giuridica

La legge notarile del 1913 ed il codice civile del 1942 – che individuano nella figura del notaio il soggetto cui si chiede unicamente di compilare l’atto con chiarezza e precisione – sono espressione di una stagione che un illustre storico del diritto ha definito dell’assolutismo giuridico, caratterizzata cioè dal monismo legislativo e da un interpretazione meramente dichiarativa, retta sulla convinzione della struttura logico-razionale (sillogistica) della interpretazione/applicazione della legge: il giudice potere nullo o “bocca della legge”, secondo la celebre formula di Montesquieu. Nel capitolo VI del libro XI dell'Esprit des lois il giudice è descritto (ma in realtà si tratta di un pensiero prescrittivo che vale per ogni interprete) come “etre inanimè” attraverso il quale parla la legge. Perciò delle tre puissances dello Stato quella giurisdizionale è “en quelque facon nulle”.

È questo il postulato fondamentale del positivismo legislativo, riassumibile nel principio del monopolio legislativo della produzione del diritto. Il suo corollario sul piano metodologico (interpretativo) è: la legge è univoca e completa, include in se stessa, come suoi costrutti, tutti i casi possibili e quindi ha in sé la forza di produrre la regola della decisione per ogni caso concreto, mediante sillogismi automatici, la cui formulazione è il solo compito dell'interprete: les lois s'expliquent d'elles-memes. L'applicazione della legge non è che la riproduzione meccanica, in tutti i casi logicamente sussumibili nella fattispecie legale, di un significato normativo già compiutamente fissato una volta per tutteNella concezione del positivismo giuridico[6], sia della scuola dell'esegesi francese, sia della scuola pandettistica tedesca, l'interpretazione della legge postula una indipendenza assoluta della norma dal caso concreto, si sviluppa e si esaurisce interamente all'interno della dimensione terminologica, tra i cancelli delle parole[7].

È chiaro che ad un notaio-documentatore non avrebbe senso chiedere uno sforzo argomentativo oppure l'onere di fornire una motivazione delle scelte interpretative o delle soluzioni negoziali. Del resto, come sopra si accennava, in una civiltà giuridica statalistica e legalistica come quella moderna la stessa interpretazione/applicazione è collocata in un passivo non-ruolo; assegnare ad essa un ruolo attivo avrebbe significato incrinare irrimediabilmente le basi dell'edificio rigidamente legalitario. L'essenziale è solo ciò che volle e pensò il legislatore nel momento della produzione della norma, restando irrilevanti gli accadimenti successivi.

Ma il Novecento è stato un secolo in cui tutto è stato rimesso in discussione, specialmente nei decenni a noi più vicini.

L'avvento della condizione postmoderna in Europa viene fissato da Lyotard negli anni Cinquanta del secolo scorso. Sul piano generale la riflessione filosofica, a partire dagli anni Settanta del secolo XX, ha definito la condizione postmoderna del sapere come il tramonto delle grandi metanarrazioni che avevano caratterizzato la modernità: illuminismo, idealismo, marxismo. L'analisi è nota. L'età moderna era caratterizzata da grandi racconti, aventi per finalità la legittimazione politica e sociale del sapere. Le grandi ideologie del passato apparivano a Lyotard, Foucault, Derrida, incapaci di spiegare la realtà contemporanea, avendo perso coerenza e peso assiologico, nel momento in cui il sapere stesso diviene oggetto di circolazione, di scambio e di potenza esplicita: ad un sapere assoluto ed unico i postmoderni sostituiscono molti saperi specialistici, provvisori, frammentari, instabili, legati ad una situazione o a uno specifico contesto[8] , con l'apertura di nuove chanches per il pensiero, non più condizionato dalla ricerca del “fondamentale” e più aperto verso il possibile, l'eventuale.

Secondo la nota formulazione di Popper[9], ogni teoria è sempre provvisoria, anche quando riteniamo di non avere più ragioni per dubitarne, senza speranze di fondatezza certa o di totalità assoluta. Il noto frammento postumo di Nietzsche è divenuto la pietra angolare del post modernismo, «non esistono veramente fatti, ma solo interpretazioni»[10].

Per quanto concerne la storia giuridica il secolo ventesimo si snoda lentamente, senza sbalzi improvvisi, ma solcato da eventi formidabili che determinano nuovi assestamenti ed anche in questo settore dell'esperienza un vero e proprio cambio di paradigma, all'insegna di un messaggio puntuale: prima dello Stato c'è il diritto. Limitandoci ai fatti essenziali funzionali al nostro discorso, occorre ricordare che l'evoluzione ha seguito un duplice percorso, quello teorico della rivoluzione ermeneutica e quello pratico del passaggio da un sistema delle fonti chiuso ad un sistema aperto[11]. Questi itinerari della scienza giuridica novecentesca meritano qualche breve considerazione.


Espressioni della postmodernità novecentesca

Iniziando dal pluralismo delle fonti, in luogo del monismo legislativo moderno, una prima espressione profondamente nuova della giuridicità novecentesca pare doveroso rintracciare nel contrassegno pluralistico della Costituzione repubblicana del 1948. Nella nuova Costituzione è la società che parla, che esprime il proprio volto pluralistico e complesso. La Costituzione non è e non vuole essere un codice, rifiuta i dettagli ed i comandi specifici, fissa principi (e quindi valori) espressi ed inespressi, rinvenibili nella soggiacente dimensione costituzionale, ossia riposti – per dirla con le parole di Mortati – in «certi fondamentali orientamenti sufficienti ad ispirare il sistema dei rapporti economici, religiosi, culturali etc.» sui quali una società si struttura[12].

Il pluralismo sociale, culturale e giuridico introdotto dalla Costituzione costituisce una prima breccia nella gerarchia delle fonti, fissata nell'art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile. Dapprima vista dai civilisti come un ingombrante ostacolo da esorcizzare o da ignorare, in una fase più matura impone ad essi la necessità di “rileggere” il codice civile in stretta connessione ed in dialettica con i principi della Carta, di familiarizzare con i due piani di legalità (costituzionale ed ordinaria), di cui il primo sovraordinato e depositario di una legittimazione suprema. La Costituzione contribuisce a rompere la logica della fattispecie poiché individua i principi che allargano l'ambito di riferimento dell'interprete, inducendolo a valutare i valori prevalenti nel contesto sociale in relazione ai beni, ai diritti ed a gli interessi implicati nella concreta vicenda contrattuale o giudiziale[13].

Pionieristico in questa “rilettura” fu Rosario Nicolò in due note voci enciclopediche, poi venne Pietro Rescigno, seguito da Stefano Rodotà, Pietro Perlingieri e, in seguito, da molti altri studiosi[14], che hanno richiamato l'esigenza di ripensare le categorie dogmatiche della tradizione civilistica nel quadro della legalità costituzionale.

Un secondo fenomeno che realizza una fuoriuscita dai rigidi schemi attraverso i quali si esprime la cultura giuspositivistica è rappresentato dal progressivo affermarsi del diritto europeo, un ordinamento giuridico che trae origine da da un assetto organizzativo economico, da un mercato comune. Riconoscendo un ruolo rilevante al diritto di formazione giudiziale (Corte di giustizia di Lussemburgo e Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo). Questo innovativo farsi del diritto contribuisce ad affermare il pluralismo delle fonti attraverso il riconoscimento della fonte dottrinale e giurisprudenziale. Diffusamente quindi si parla oggi di discipline multi livello[15].

Un ultimo accenno va fatto a un'altra espressione tipicamente postmoderna, che sarebbe indebito trascurare considerato il suo ruolo crescente, e cioè la cosiddetta globalizzazione giuridica. La quale consiste in una singolare circostanza peculiare al maturo capitalismo moderno che stiamo vivendo: a fronte delle esigenze stingenti dello sviluppo economico ormai a proiezione globale della impotenza degli ordinamenti ufficiali (statali o sovrastatali o internazionali) sono i protagonisti del mercato sempre più globale a pretendere il conio di nuovi disciplinamenti del traffico economico, di nuovi assetti e categorie giuridiche; i quali nati e consolidati nella prassi quotidiana e perciò grezzi ed informi, abbisognando di adeguati rivestimenti tecnici vengono affidati al cesello di grandi studi professionali, di grandi law firms[16]. Questo tiers ordre juridique[17] è stato definito lex mercatoria, pensando ai mercanti medievali inventori di tanti appropriati strumenti organizzativi dei loro affari a livello locale ed europeo.

L'accostamento, pur con le necessarie differenziazioni, non appare improprio: si tratta – allora come oggi – di una genesi spontanea, spiccatamente esperienziale, ossia del prodotto di una prassi economica vivace; dunque di qualcosa di estra-statuale che non esiste a livello ufficiale, almeno fino a quando qualche legislatore nazionale si adegua alla prassi e la fornisce di veste legislativa, (come è recentemente accaduto in Italia con riferimento allo schema negoziale del rent to buy, recepito dal d.l. n. 133 del 2014 convertito dalla l. n. 164 del 2014). Allora, come oggi, si tratta di istituti nuovi di zecca che, coerenti alle richieste del mercato, allignano prontamente e prontamente si diffondono a livello globale (livello che, nel tardo medioevo, si limitava ovviamente all'Europa occidentale dal Mediterraneo al Baltico).

In conclusione, negli ultimi decenni del Novecento lo scenario del sistema delle fonti del diritto privato muta completamente diviene più complesso. Umberto Breccia qualifica il paesaggio giuridico disegnato dai redattori dell'art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al codice civile «un ordine irreale, un sistema perduto»[18]. Una disposizione galleggiante, quasi senza radicazioni, nell'ordinamento della Repubblica, al pari, come vedremo tra un momento, dell'art. 12, cioè delle regole sulla interpretazione della legge.


La revisione epistemologica della teoria dell'interpretazione

Come si accennava nella conclusione del secondo paragrafo di questo contributo, il discorso sull'odierno paesaggio giuridico sarebbe incompleto se non si ricordasse, nelle linee essenziali, il profondo ripensamento, un'autentica rivoluzione, che si è registrato sul problematico tema dell'interpretazione giuridica.

Anche se l'itinerario può farsi risalire alle analisi dello storicismo tedesco, in particolare a Friedrich Schleiermacher (1768-1824) studioso dei testi, è stato Hans Georg Gadamer, che, su un piano di pura speculazione filosofica, sviluppando intuizioni di Heidegger, si era posto il problema del carattere essenziale dell'attività intellettiva dell'interpretare, del rapporto tra interprete e testo.

Questo filosofo afferma, muovendo dall'esistenzialismo, che la comprensione non rappresenta una forma di conoscenza, ma un modo di essere dell'esserci, per cui l'essere sviluppa la capacità del poter essere, del poter conoscere, del poter affrontare determinate situazioni. La comprensione afferma Gadamer è «il carattere ontologico originario della vita umana stessa», e riconosce all'ermeneutica giuridica un «significato esemplare», come recita l'intitolazione di un capitolo centrale della sua innovativa opera Wahrheit und Methode (1960).

La verità elementare che Gadamer disseppellisce – tanto elementare, quanto intimamente eversiva – è la inseparabilità del momento della produzione della norma dal momento della interpretazione applicazione. Gadamer chiarisce che la interpretazione non si esaurisce nella spiegazione di un testo conchiuso ed indisponibile, ma è piuttosto intermediazione necessaria e vitale tra le proposizioni astratte della legge e la concretezza storica che l'interprete ha di fronte. Punto di partenza è la precomprensione (Vorvestrtandnis) che abbiamo di un testo, sedimentata nel linguaggio. Ciò avvia un circolo ermeneutico tra interpretante e interpretandum in cui per giungere al significato del testo giova certamente indagare l'intenzione dell'autore, ma è possibile coglierlo anche al di là della sua intenzione. Il giurista coglie il «senso della legge in base al caso specifico e in vista di questo caso»[19].

In tal modo Gadamer – al quale i più fanno risalire l'ermeneutica giuridica contemporanea – sposta l'attenzione dell'interprete dall'ontologia alla storia e offre ai giuristi l'occasione per un ripensamento del problema dell'interpretazione, che si realizzò dapprima nel dialogo instauratosi con il civilista tedesco Esser, e poi tra Esser ed il civilista italiano Luigi Mengoni. Successivamente Mengoni e molti filosofi del diritto, tra i quali Giuseppe Zaccaria, ribadiscono l'intuizione gadameriana della creatività dell'interpretazione[20].

Vi è ulteriormente da aggiungere che il carattere valutativo dell'attività notarile non riguarda soltanto il momento dell'individuazione della norma applicabile al fatto concreto, concernendo anche la ricostruzione del caso stesso da regolare.

Così come, infatti, la norma è il risultato dell'interpretazione della disposizione di legge, anche la fattispecie concreta da regolare non è un dato oggettivo che preesiste all'atto notarile, essendo la sua definizione anch'essa affidata al notaio. Attraverso l'esercizio di una discrezionalità che va oltre quella insita nell'attività interpretativa delle norme di legge sostanziale, investendo la ricerca, la scelta e la valutazione dei fatti e dei documenti oggetto dell'istruttoria. Il fatto, dunque, non è puro accadimento ma accadimento problematico al quale il notaio deve attribuire un senso o significato, per mezzo delle proprie categorie di significato[21].


Trasformazioni della figura giuridica del notaio. La prassi notarile e gli “orientamenti notarili” in materia societaria

Per quel che interessa ai fini della metamorfosi della funzione notarile, conviene tentare di fissare le svolte innovative determinate dal pluralismo delle fonti e dalla rivoluzione gadameriana, rispetto alla vecchia figura del notaio del primo Novecento.

Statalismo e legalismo sottesi alla legge notarile ed al codice civile avevano tre scopi fondamentali: collocare l'applicazione/interpretazione fuori dal processo di produzione del diritto; concepire il notaio come un soggetto tenuto alla semplice intelligenza del contenuto di volontà delle parti e tradurlo in un linguaggio e in una forma giuridica conforme alla legge, riducendosi il suo ruolo ad una mera presa d'atto, con distacco totale tra il notaio e le parti, tra interprete e testo; eludere il problema – di fatto ineludibile – della frizione tra testo della legge e vita reale, tra immobilità del comando fissato sulla carta e mobilità del magma sociale cui la legge ed il contratto sono destinati.

Poliarchia delle fonti del diritto e revisione ermeneutica richiamano invece ad alcune “verità” prima ignorate o rimosse: il testo non è affatto una realtà autosufficiente, ma ha al contrario compiutezza solo con l'interpretazione, che immerge la regola legislativa nella storia quotidiana; l'applicazione notarile costituisce, come la comprensione e la spiegazione, un aspetto costitutivo dell'atto interpretativo inteso come unità; l'interpretazione notarile non è operazione meramente conoscitiva ma è, appunto, comprensione, intermediazione tra la volontà delle parti, il testo legislativo e l'attività dell'interprete. Il notaio viene valorizzato quale attore primario della costruzione della soluzione negoziale, dovendo giudicare del fatto, poi del diritto e, infine costruire il contratto, che sarà, a sua volta, oggetto di interpretazione da parte di altri.

Per calare al nostro campo di indagine e volendo procedere ad una verifica sul terreno dell'esperienza quotidiana in ordine alla profonda trasformazione strutturale e funzionale che l'attività notarile ha registrato negli ultimi decenni, è sufficiente spostare l'attenzione dai testi di legge alla prassi negoziale notarile, cioè a quel complesso di soluzioni operative adottate dai notai e ripetute nel tempo.

Il notaio, essendo collocato al pari del giudice nella estrema trincea dove i cittadini chiedono soluzioni immediate per i loro problemi, non potrà sottrarsi al dovere elementare di corrispondervi; e vi corrisponde unicamente se, accanto all'esegesi delle norme legislative, egli si fa concretamente interprete, cioè mediatore tra fatti sopravvenuti e diritto ufficiale, o addirittura inventore.

Di fronte ai bisogni nuovi e novissimi della mutevole realtà il notaio potrà trovare la soluzione tecnica adeguata ad ordinare la fattispecie che le parti sottopongono al suo giudizio attraverso due strade. La prima è quella di trasfigurare vecchi arnesi dell'officina giuridica dando loro nuovo vigore. Come è accaduto con la permuta (attualizzata durante la fase dell'espansione edilizia nella permuta del terreno con i futuri appartamenti da costruire) o con la servitus altius non tollendi, (utilizzata per cedere la cubatura di un fondo al vicino, finché il legislatore ha ribattezzato le cessioni di cubatura sorte negli studi notarili come diritti edificatori, richiamandoli nell'art. 2643 n. 2-bis cc.)[22]. In alternativa, il notaio di fronte alla carica normativa di alcuni fatti può conferire loro un conio tecnico, scovando appoggi o coperture formali all'interno del mondo giuridico ufficiale. Prima o poi, presto o tardi il legislatore interviene, come è stato per il trust, per il negozio di affidamento fiduciario, per il rent to buy di immobili.

In questi casi il notaio, senza che lui lo voglia, forte solo della propria perizia tecnica e della propria disponibilità all'ascolto della storia (che è storia minuta, umile, non rumorosa, ma che è la storia quotidiana delle persone), fa un autentico salto di piano: il documentatore diventa anche produttore di diritto[23].

Nel diritto commerciale l’apporto della prassi è ancora più evidente: basti pensare all’importanza che hanno assunto nel settore (non solo per le grandi società, ma soprattutto per quella moltitudine di piccole realtà che pare rappresentare la spina dorsale della nostra economia) alcune clausole che, seppure con formulazioni differenti ma accomunate dalla medesima finalità socio economica, sono il prodotto di un’accorta opera di interpretazione ed applicazione notarile, quali le clausole di prelazione e di gradimento, le clausole di co-vendita (tag along), le clausole di trascinamento (drag along).

Con riferimento alla interpretatio notarile una speciale menzione meritano gli “orientamenti” e le “massime” di diritto societario, elaborate dai comitati regionali o da apposite commissioni create dai Consigli notarili, poiché costituiscono un notevole esempio di diritto di matrice extralegale. Si tratta di consolidazioni di prassi applicative con attitudine a svolgere un ruolo ordinante assai più incisivo di una semplice guida offerta ai singoli notai. Essi non rappresentano atti isolati, legal opinion di un singolo studioso sia pure autorevole, ma regole che, impegnando appunto la riflessione collettiva di una comunità di esperti, possessori di uno specifico sapere professionale, godono di una effettività giuridica sostanziale; costituiscono, in altre parole, una soft law, un canale privato di produzione del diritto che si affianca a quelli ufficiali, dando luogo a una prassi uniforme e tramandabile che si afferma come diritto applicato, ponendosi nel sistema delle fonti – in sinergia con l’interpretazione giudiziale – quale sede privilegiata di interpretazione/applicazione del diritto societario contemporaneo[24]. Un diritto che nasce “in basso” e dal basso e che dopo una dialettica interna alla categoria viene offerto al pubblico dibattito della comunità scientifica.


A cosa serve il notaio all'epoca di Internet

L'umanità ha conosciuto tornanti storici di trasformazione radicale. Il primo è stato il passaggio dalla cultura orale alla società della scrittura, in particolare nella Grecia del V secolo Avanti Cristo si giunse alla alfabetizzazione diffusa. Il secondo è stato il passaggio dal manoscritto a libro, con l'invenzione dei caratteri mobili di stampa per opera di Gutemberg, intorno alla metà del Quattrocento.

Il terzo è stato il passaggio recentissimo ad una scrittura esplosa e diffusa nel web, con una proliferazione di documenti che si moltiplicano perché è facile riprodurli e ancor più perché vengono generati automaticamente; al punto che diventa difficile determinare cosa conti come documento. Con un'ulteriore conseguenza, gli Oxford Dictionaries hanno eletto il sintagma “post-verità” parola internazionale dell'anno 2016, a seguito del controverso referendum sulla “Brexit” e delle elezioni presidenziali americane.

Il prefisso “post” in questo caso non significa “successivo”, ma denota una situazione in cui la verità oggettiva perde di rilievo e prevalgono le credenze personali, costruite ed alimentate attraverso opinioni diffuse dai mezzi di comunicazione attraverso le tecnologie info-telematiche.

Del tutto evidente, alla luce delle precedenti considerazioni, risulta l'utilitas del documento notarile, cioè il documento redatto da un pubblico ufficiale, con le richieste formalità, autorizzato ad attribuire al medesimo la “pubblica fede”. A differenza di altri titoli che potrebbero risultare non genuini o addirittura “tossici”, l'atto pubblico notarile, anche dematerializzato, mantiene sia in senso formale (cioè come contenitore di documenti legali), sia in senso sostanziale (cioè come conformità dei suoi contenuti all'ordinamento giuridico vivente), i pregi di affidabilità che ha dimostrato nella storia.

In conclusione, la dematerializzazione dei documenti non può che aumentare il primato dell'atto pubblico notarile rispetto alle scritture private, poiché essa richiede certezze documentali ancora maggiori di quelle richieste nelle passate stagioni dalla società industriale.

[1] P. GROSSI, L'Europa del diritto, Roma-Bari, 2007, 30, ove il rilievo che la prassi aborrisce l'uso di una modellistica rigida «i suoi stampi sono duttili e mutevoli, con un affidamento totale alle intuizioni del notaio». G. GORLA, Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981.

[2] Per gli opportuni riferimenti cfr. F. MAZZANTI PEPE - G. ANCARANI, Il notariato in Italia dall' età napoleonica all'Unità, Roma, 1983; F. MAZZANTI PEPE, La legge del Ventoso: un modello tra tradizione e innovazione, in Studi e Materiali, 1, 2003, 271 ss.; S. TONDO, Tradizione codicistica e notariato, in Vita not., 1, 2012, 3 ss. M. PALAZZO, Ars notaria e cultura giuridica dopo la legge del 25 Ventoso, ivi, 2, 2004, 115 ss. Per un disteso esame in chiave storico-giuridica del ruolo del notaio in Francia, cfr. J. HILAIRE, La scienza dei notai. La lunga storia del notariato in Francia, Milano, 2003.

[3] Sull’ordine giuridico della modernità ha lungamente riflettuto P. GROSSI, Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, 1998. Recentemente ha ben descritto il superamento del legicentrismo, G. BENEDETTI, La cultura del civilista al risveglio del sonno dogmatico, in Oggettività esistenziale dell’interpretazione. Studi su ermeneutica e diritto. Torino, 2014.

[4] Per evitare possibili e forse probabili fraintendimenti sui caratteri della modernità e posmodernità giuridica, è utile rimandare alla lettura del contributo di P. GROSSI, Introduzione al Novecento giuridico, Roma-Bari, 2012.

[5] Il riferimento è, ovviamente, a F. VASSALLI, Estrastatualità del diritto civile (1951), ora in Scritti giuridici, vol. III, t. II, Milano, 1960.

[6] Questo sintagma sta a indicare la concezione che identifica il diritto nei comandi “posti” da un'autorità munita del potere di coazione; positivismo giuridico vale statalismo e legalismo. Il rischio, spesso verificatosi, è il distacco dei testi dalla realtà socio-economica e il costo conseguente è un carattere eminentemente formale del diritto. Cfr. U. SCARPELLI, Cos'è il positivismo giuridico, Napoli, 1965. Altro è il positivismo filosofico (e quindi occorre guardarsi da una fallace assonanza) che significa rifiuto di ogni richiamo alla trascendenza e di ogni metafisica. Esistendo solo la realtà immanente, è consequenziale che, sul piano delle scienze, il primato vada a quelle naturali, anche il primato epistemologico. Il cultore delle scienze morali (e quindi anche il giurista) deve reperire in quel cospicuo forziere, metodologia, principi, strumenti, linguaggio. Cfr. E. GARIN, Storia della filosofia italiana, III, Torino, 1966, 1269.

[7] N. IRTI, I cancelli delle parole, Napoli, 2015.

[8] J.F. LYOTARD, La condition postmoderne (1979), trad. it. di C. FORMENTI, La condizione postmoderna, IV ed., Milano 1989. Sempre attuali le riflessioni di M. FERRARIS, Tracce, Nichilismo Moderno Postmoderno (seguito da Il postmoderno vent’anni dopo), Milano, 2006. Con specifico riferimento alla postmodernità nel diritto, oltre alla riflessione di P. GROSSI, Introduzione al Novecento giuridico, cit., cfr. V. SCALISI, Fonti-Teoria-Metodo. Alla ricerca della regola giuridica nell’epoca della postmodernità, Milano, 2012; G. MINDA, Postmodern Legal Movements Law and Jurisprudence at Century’s End, New York and London, 1995, trad. it. di C. Colli, in BARBERIS (a cura di), Teorie postmoderne del diritto, Bologna, 2001; M. VOGLIOTTI, Tra fatto e diritto. Oltre la modernità giuridica, Torino, 2007; P. PELLEGRINO, Introduzione alla cultura del postmodernismo giuridico, Roma, 2012.

[9] Sul pensiero di Popper cfr. G. BRIANESE (a cura di), Congetture e confutazioni di Popper e il dibattito epistemologico post-popperiano, Torino, 1988.

[10] F. NIETZSCHE, Frammenti postumi (1885-1887), vol. VIII, t.1, trad.it. a cura di G. Colli - M. Montinari, Milano, 1975, 299. Per una lettura di Nietzsche come filosofo dello smascheramento cfr. E. FINK, La filosofia di Nietzsche, Venezia, 1977.

[11] Per una sintesi anche in chiave storico giuridica della evoluzione del sistema delle fonti e della teoria dell'intepretazione giuridica, si veda A. GENTILI, Senso e consenso. Storia, teoria e tecnica dell'interpretazione dei contratti, Torino, 2015, 4 ss. L. LOMBARDI VALLAURI, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, 1967. Più recentemente B. PASTORE, Interpreti e fonti nell'esperienza giuridica contemporanea, Torino, 2014, 32 ss.

[12] C. MORTATI, Costituzione (dottrine generali), in Enc. dir., vol. XI, Milano, 1962, 162. Sul significato postmoderno della Costituzione, P. GROSSI, La Costituzione italiana quale espressione di un tempo giuridico posmoderno, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013.

[13] N. LIPARI, La codificazione nella stagione della globalizzazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 880 ss.; per una diversa valutazione N. IRTI, La crisi della fattispecie, Riv. dir. proc., 2014, 36 ss.

[14] Nel 1960 R. NICOLÒ, nella voce Codice civile, in Enc. dir., VII, Milano, prende atto dell'ingombrante evento novissimo rappresentato dalla Costituzione e con essa inizia a fare i conti, sviluppando i problemi individuati nel 1964 nella voce Diritto civile, sempre nella Enc. dir., XII. Con il progetto ben chiaro di recuperare una vasta gamma di situazioni collettive entro i confini del diritto privato, l'allievo di Santoro Passarelli, P. RESCIGNO dedica una grossa attenzione alle formazioni sociali nel solco dell'art. 2. Cost. Rilevanti i saggi raccolti in Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Bologna, 1966 e vol. 2. (1967-1987), Bologna, 1988. La prolusione maceratese dell'allievo romano di Nicolò, S. RODOTÀ, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, si legge in Riv. dir. comm., 1967, I, 83, ristampata con prefazione dell'A. dal titolo Quarant'anni dopo, Napoli, 2007. Le posizioni di Pietro PERLINGIERI, possono ritrovarsi nella prolusione camerte, Produzione scientifica e realtà pratica: una frattura da evitare, in Riv. dir. comm., 1969, 455 ss., ora in ID., Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1989, 1 ss. La vicenda culturale cui si accenna nel testo è ampiamente descritta in P. GROSSI, La cultura del civilista italiano - Un profilo storico, Milano, 2002.

[15] G. ZACCARIA,Trasformazione e riarticolazione delle fonti del diritto oggi, in ZACCARIA (a cura di), La comprensione del diritto, Roma-Bari, 2012.

[16] P. GROSSI, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica (2002), in Società, diritto, Stato - Un recupero per il diritto, Milano, 2006. F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2010.

[17] A. PELLET, La lex mercatoria, “tiers ordre Juridique?” Remarque ingenues d'un internationaliste de droti public, in Souverainete' etatique et marches internationaux à la fin du 20 siècle - Melanges en l'honneur de Phiplippe Kahn, Litec, 2000, 53 ss.

[18] U. BRECCIA, Immagini della giuridicità contemporanea tra disordine delle fonti e ritorno al diritto, in Pol. dir., 2006, 366.

[19] H. G.GADAMER, Verità e metodo, (1960), trad. it. di G. Vattimo, Milano, 2000, 441.

[20] Da ultimo, P. GROSSI, L'invenzione del diritto, Roma-Bari, 2017. Il tema degli spazi e dei confini dell'interpretazione della legge rappresenta uno snodo centrale nel dibattito giuridico contemporaneo, non appare casuale che la rivista Questione giustizia abbia dedicato ad esso l'intero numero 4, 2016, con contributi, tra gli altri, di Nicolò Lipari, Alberto Giusti, Luigi Ferrajoli.

[21] Cfr. J. ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto: fondamenti di razionalità nella prassi decisionale del giudice (1972), Napoli, 1983. Secondo questo autore la precomprensione si svolge in primo luogo a livello del fatto e prosegue con riguardo alla norma da applicare.

[22] Su questa specifica vicenda cfr. G. TRAPANI, I diritti edificatori, Milano, 2014.

[23] Per un'ampia riflessione sul ruolo della prassi notarile in tema di situazioni reali si veda il volume, Il contributo della prassi notarile alla evoluzione delle situazioni reali, in Quaderni della Fondazione italiana del Notariato, 2015, 1, con Prefazione e Conclusioni di P. GROSSI. Un'interessante indagine sul tema delle reciproche interferenze dei diversi formanti in G. BEVIVINO, Il ruolo delle massime notarili nel dialogo tra i diversi formanti, in Contr. impr., 2016, 6, 1559 ss. Riafferma il ruolo creativo del notaio F.DI MARZIO, Sulla prassi notarile, in Giustiziacivile.com del 24 febbraio 2017Di notevole interesse il Quaderno n. 38 della rivista Notariato, Milano, 2017, che raccoglie gli Atti del convegno toscano del settembre 2016 dedicato alla “Prassi notarile come fonte del diritto”.

[24] Sul ruolo delle massime notarili cfr. M. SILVA - M. ZACCARIA, Orientamenti notarili societari, in Dig. comm., aggiornamento, Torino, 2015, 425; G. BEVIVINO, Il ruolo delle massime notarili nel dialogo tra i diversi formanti, cit.