Sistema di riconoscimento degli Enti: dal Codice Civile al Codice del Terzo settore
Notaio in Brugine
Associato di Diritto privato, Università di Padova
Riconoscimento e personalità giuridica dal Codice del 1865 al Codice del 1942
È noto che il Codice civile del 1865 non disciplinava in alcun modo il sistema di riconoscimento della personalità giuridica agli enti morali, cui peraltro, con affermazione piuttosto enfatica, veniva garantito il godimento dei diritti civili; per prassi, peraltro, il riconoscimento veniva concesso dal potere esecutivo, previo parere del Consiglio di Stato, per mezzo di atto decisamente discrezionale.
Non servono molte parole per ricordare come l’impianto codicistico fosse il precipitato del sospetto e del pregiudizio che circondavano gli enti morali – spesso nell’immaginario del legislatore del tempo fatti coincidere con gli enti religiosi[[1]] – da cui di conseguenza non solo la discrezionalità nella concessione del riconoscimento ma anche tutta una serie di disposizioni tendenti a limitare la capacità degli enti medesimi[[2]].
Il pregiudizio e il sospetto avevano un radicato substrato ideologico e venivano da lontano, sostanzialmente dalla Rivoluzione francese[[3]].
L’impianto originario del Codice del 1942 mantenne sostanzialmente la linea del Codice del 1865, sia sul piano del riconoscimento che sul piano delle limitazioni degli acquisti; con riguardo a questo secondo punto, l’art. 17 c.c. di allora stabiliva che la persona giuridica, quand’anche straniera[[4]], non poteva acquistare beni immobili, né accettare donazioni o eredità, né far propri legati senza l’autorizzazione governativa, la cui mancanza avrebbe determinato l’inefficacia dell’acquisto[[5]] o della accettazione[[6]].
Mentre per quanto riguarda il riconoscimento l’art. 12 c.c. stabiliva che «Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del Presidente della Repubblica»[[7]]; la disposizione veniva considerata la tipica espressione di un sistema di riconoscimento c.d. concessorio, positivizzazione di quell’atteggiamento di sospetto di cui si è detto; la norma andava poi integrata, tra l’altro, con gli artt. 33[[8]] e 34[[9]] c.c. e con il disposto di vari articoli delle disp. att. c.c, tra cui in specie l’art. 1[[10]], 2[[11]], 22[[12]], 25[[13]].
Sotteso al sistema concessorio v’era ovviamente l’intendimento di mantenere un controllo di tipo politico sull’individuazione dell’ente che potesse o meno assumere autonomia patrimoniale perfetta[[14]], circostanza che ben si spiega con il tradizionale atteggiamento diffidente che, come detto, affonda le sue radici certo nella Rivoluzione francese[[15]] ma anche nella specificità storica del Codice civile italiano del 1942, che non richiede molte precisazioni.
Ora, l’atto di riconoscimento veniva pacificamente classificato tra gli atti amministrativi ad effetti costitutivi [[16]], costitutivi ovviamente della personalità giuridica [[17]]. Parimenti l’atto aveva natura decisamente discrezionale [[18]], perlomeno con riguardo alla valutazione dello scopo dell’ente e dell’ammontare del patrimonio di cui veniva dotato; così per esemplificare alcuni principi che generalmente vennero a consolidarsi: lo scopo non poteva essere troppo generico [[19]], né di scarsa rilevanza o utilità [[20]]; il patrimonio poi non doveva apparire insufficiente per il soddisfacimento dello scopo [[21]]. Con il tempo, peraltro, l’arbitrio della pubblica autorità andò affievolendosi; nella prassi difatti il Consiglio di Stato tendeva a dare giudizi sempre meno rigorosi e tendenzialmente sempre limitati a valutazioni di tipo formale; ciò che restava di problematico, invece, e su cui si spostarono le critiche degli interpreti e degli addetti ai lavori, era la lunghezza del procedimento, che nella media, era di quattro anni [[22]].
Il d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 36: Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto.
Ad inizio del 2000, dopo discussioni e tentativi di riforme sfumati [[23]], fu approvato il d.P.R. n. 361/2000 che abrogò, tra gli altri, gli artt. 12 c.c. , 1 e 2 disp. att. c.c., determinando il passaggio da un sistema di riconoscimento c.d. concessorio ad un sistema di riconoscimento c.d. normativo. Difatti l’art. 1, comma 1, del d.P.R. 361/2000 statuisce che «… le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture».
Il passaggio dall’uno all’altro sistema è stato sottolineato in modo pressoché unanime [[24]]. Se prima era l’atto amministrativo di riconoscimento a determinare l’acquisto della personalità giuridica, mentre l’iscrizione del decreto presso il registro delle persone giuridiche svolgeva funzione di sola pubblicità dichiarativa, di tutela cioè della buona fede e dell’affidamento dei terzi [[25]], ora invece l’effetto costitutivo della personalità giuridica viene a coincidere con l’effettuazione della formalità pubblicitaria, vale a dire con l’iscrizione nel registro, con evidente assegnazione di natura costitutiva alla formalità pubblicitaria; il riconoscimento quindi conseguiva all’espletamento dell’adempimento pubblicitario, similmente al sistema che disciplinava l’assegnazione della personalità giuridica alle società di capitali.
Il d.P.R. n. 361 del 2000 ha indubbiamente fatto un passo in avanti nel tentativo di limitare la discrezionalità della pubblica amministrazione nel concedere il riconoscimento, non tanto perché ora il riconoscimento viene a coincidere con l’effettuazione dell’adempimento pubblicitario (i.e.; l’iscrizione), quanto perché alla totale mancanza di confini, criteri e limiti normativi entro cui circoscrivere l’attività della pubblica amministrazione, è subentrata una disposizione normativa che qualche criterio cerca di fissarlo.
Difatti l’art. 1, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 2000 statuisce che l’autorità chiamata ad eseguire l’iscrizione nel registro delle Persone giuridiche è tenuta a verificare: 1) che siano soddisfatte le condizioni previste dalle norme di legge o di regolamento; 2) la possibilità e la liceità dello scopo; 3) l’adeguatezza del patrimonio. Se appaiono ovvi i primi due criteri (e forse quasi inutili, perlomeno il secondo), la presenza del terzo impedisce comunque di parlare di automatismo del riconoscimento [[26]], essendo evidente che con esso persiste una tal quale discrezionalità in capo alla pubblica amministrazione.
Da segnalare, come chiosa per il discorso che qui interessa, ma con una grande valenza sistematica, è la circostanza che nel d.P.R. non si fa alcun riferimento alla tipologia degli scopi perseguibili dagli enti; nessuna indicazione quindi a finalità di pubblica utilità o di interesse superindividuale. Per questo, alla luce della nuova procedura di riconoscimento della personalità giuridica, si è ritenuto, ed in modo condivisibile, decisamente superato il requisito dell’utilità sociale, e sufficiente, ai fini dell’ottenimento della personalità giuridica, unicamente la possibilità e liceità dello scopo oltreché l’adeguatezza del patrimonio [[27]]. Questo ovviamente non sta a significare che, nella percezione comune e soprattutto in certa legislazione speciale, la presenza o meno di finalità solidaristiche sia irrilevante [[28]], ma solo, più semplicemente, che per l’ottenimento della personalità giuridica con la procedura del d.P.R. n. 361 del 2000 oltre a scopo lecito e possibile e patrimonio adeguato altro non pare richiesto.
L’acquisto della personalità giuridica nel sistema del d.lgs. n. 117 del 2017: interferenze tra Codice del Terzo settore, codice civile e legislazione speciale.
Nel d.lgs. n. 117/2017, l’intero titolo IV, capo I, dedicato alle associazioni e fondazioni del Terzo settore, detta una disciplina che inevitabilmente viene ad intrecciarsi con le disposizioni del Codice civile e con la legislazione speciale dettata dal d.P.R. n. 361/2000.
Ora, tra le tante disposizioni del Codice del Terzo settore, per quello che qui interessa, c’è quella relativa ad un nuovo modo di acquisto della personalità giuridica, disciplinato all’art. 22, il cui discorso ruota principalmente attorno ad una delle novità di maggior rilievo del Codice, vale a dire il Registro Unico Nazionale del Terzo settore [[29]].
L’art. 22 pone le basi di un procedimento di riconoscimento della personalità giuridica alternativo a quello classico di cui al d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361 [[30]], stabilendo infatti che in deroga alla procedura di cui al decreto citato la personalità giuridica possa essere acquisita anche con l’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (art. 22, comma 1), ovviamente seguendo lo specifico iter che i commi successivi del medesimo articolo delineano.
Quest’ultima precisazione – e cioè che l’acquisto della personalità giuridica si consegua rispettando la specifica procedura dell’art. 22 – benché ovvia all’interprete fin da subito, evidentemente non lo è stata per tutti visto che il legislatore con il c.d. decreto correttivo (d.lgs. 3 agosto 2018, n. 105) [[31]] ha sentito il bisogno di aggiungere, in fine al comma 1, la precisazione che l’acquisto della personalità giuridica mediante iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore avviene «ai sensi del presente articolo». La precisazione mira probabilmente a togliere ogni dubbio sulla circostanza che è la procedura tipizzata dell’art. 22 che fa acquisire la personalità giuridica in alternativa, appunto, alla procedura di cui al d.P.R. n. 361 del 2000, quasi a temere che la precedente formulazione – in mancanza dell’integrazione aggiunta con il d.lgs. n. 105 del 2018 – potesse essere intesa come semplice affermazione di principio espressiva di una non incompatibilità tra acquisto della personalità giuridica ed acquisto della qualifica di ente del Terzo settore, fatto salvo il fatto che per l’acquisto della prima erano e restavano disponibili entrambe le procedure (quella del d.P.R. n. 361 del 2000 e quella dell’art. 22 Codice del Terzo settore). Il problema interpretativo, in fondo, è legato all’utilizzo del verbo “possono” ed al successivo sintagma “in deroga”, per cui si poteva sostenere che all’ente del Terzo settore rimanessero aperte le due strade: 1) o la procedura del d.P.R. n. 361 del 2000 o quella dell’art. 22; e ciò chiaramente, visto che il verbo “possono” significa “non devono” e visto che la procedura de qua era in deroga a quella del d.P.R. n. 361 del 2000. Ma anche prima del decreto correttivo del 2018 una tale impostazione non avrebbe convinto; il verbo “possono” non fa infatti riferimento alla procedura da seguire, bensì all’acquisto della personalità giuridica e sta quindi a significare che per essere scritti nel Registro del Terzo settore ed acquisire quindi di conseguenza la qualifica di ETS non occorre avere la personalità giuridica; se però l’ente desidera contestualmente acquisire la qualifica di ETS e la personalità giuridica la procedura da seguire non potrà che essere quella dell’art. 22, che è l’unica nell’ambito del Codice del Terzo settore che permette di acquistare la personalità giuridica [[32]].
È, poi, appunto il comma 2 dell’art. 22 a delineare la nuova procedura, riconoscendo al notaio la funzione di controllo sulle associazioni e le fondazioni del Terzo settore che vogliano acquisire la personalità giuridica; è il notaio infatti che – analogamente a quanto previsto nel caso delle società di capitali – allorché riceva un atto costitutivo di associazione o fondazione del Terzo settore ovvero pubblichi un testamento che disponga una fondazione del Terzo settore deve verificare la presenza di tutti i requisiti previsti dal Codice, tra cui in particolare l’esistenza di un patrimonio minimo, che deve essere di Euro 15.000 per le associazioni ed Euro 30.000 per le fondazioni [[33]]; il comma 4 supera meritoriamente qualsiasi giudizio arbitrario visto che pone una presunzione assoluta di adeguatezza allorché il patrimonio raggiunga la soglia minima di legge testé ricordata.
L’ente del Terzo settore che voglia conseguire la personalità giuridica avrà anche l’onere di rispettare il requisito di forma previsto in via generale dall’art. 14 c.c. e cioè quello di costituirsi per atto pubblico. L’art. 22, comma 2, parla di atto “ricevuto” dal notaio, senza altro specificare; l’espressione potrebbe sembrare in sé atecnica, lasciando così in astratto spazio per ritenervi compresa sia l’ipotesi dell’atto pubblico che quella della scrittura privata autenticata [[34]]. Tuttavia sembra difficile che il sintagma utilizzato dal legislatore al comma 2 dell’art. 22, in difetto di una chiara volontà in questo senso, abbia in sé una reale portata precettiva derogatoria della regola generale sulla forma di cui all’art. 14 c.c.; piuttosto, più ragionevolmente, l’espressione utilizzata pare essere meramente descrittiva del fenomeno e cioè del fatto che l’atto (pubblico) è (ovviamente) ricevuto dal notaio. Del resto che sia così è confermato dal successivo comma 6 dell’art. 22, che stabilisce che le modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto devono risultare da atto pubblico, formalismo che avrebbe ben poco senso se l’atto da modificare non avesse a propria volta forma pubblica.
Sempre con riguardo alla forma va precisato che il d.lgs. n. 117 del 2017 non prescrive per la semplice iscrizione al Registro unico del Terzo settore alcuna forma particolare; sarà quindi possibile utilizzare anche la semplice scrittura privata, anche sotto forma dei c.d. modelli standardizzati rammentati dall’art. 47, comma 5; poiché peraltro nulla esclude che anche un’associazione non riconosciuta ricorra all’atto pubblico per costituirsi, può porsi il problema di capire quando effettivamente l’iscrizione nel registro unico del Terzo settore sia formalità idonea anche per l’attribuzione della personalità giuridica. Potrebbe infatti accadere che un’associazione, che ha tutti i requisiti dell’ente di Terzo settore e che magari si doti di un patrimonio minimo di 15.000 Euro, decida di costituirsi per atto pubblico e purtuttavia desideri operare come associazione non riconosciuta, non avendo alcun interesse all’acquisto della personalità giuridica. Per quanto detto pare logico ritenere che l’acquisto della personalità giuridica attraverso la procedura delineata dall’art. 22 del Codice presupponga, oltre agli elementi esplicitati dalla disposizione in questione, anche un altro elemento implicito ma indefettibile e cioè un’espressa manifestazione di volontà acquisitiva della personalità giuridica; è molto opportuno cioè che nell’atto costitutivo venga esplicitata la volontà di acquistare la personalità giuridica, in difetto della quale l’iscrizione nel registro unico del Terzo settore, pur in presenza degli altri elementi richiesti dall’art. 22, non potrà dirsi sufficiente ad integrare la fattispecie acquisitiva della personalità giuridica.
Alla stregua di quanto previsto per la c.d. omologa societaria il notaio può ritenere non sussistenti le condizioni richieste dalla legge e quindi rifiutare di procedere all’iscrizione dell’ente nel Registro unico, con onere, peraltro, di motivare il proprio rifiuto. In questo caso si aprono tre possibilità:
– la prima consiste nella facoltà riconosciuta ai fondatori, agli amministratori o, solo in mancanza di questi, ai singoli associati di rivolgersi direttamente all’ufficio del Registro competente per richiedere l’iscrizione; l’ufficio potrà o motivare il diniego o richiedere un’integrazione documentale; mentre nel caso non si pronunci l’iscrizione si intenderà negata, circostanza quest’ultima che si spiega con il fatto che, poiché la centralità del controllo è riconosciuta al notaio, il diniego di questi viene già inteso come presunzione di difetto degli elementi minimi per l’inquadramento tra gli enti del Terzo settore;
– la seconda possibilità è che, abbandonata la strada del Codice del Terzo settore, si opti per la procedura ordinaria di riconoscimento di cui al d.P.R. n. 361 del 2000;
– ed infine, in terza istanza, è sempre possibile che l’ente opti per abbandonare la richiesta di acquisizione della personalità giuridica, decidendo di operare come ente non riconosciuto, eventualmente anche provando a chiedere in un secondo momento, l’iscrizione nel Registro unico degli enti del Terzo Settore, questa volta ai sensi dell’art. 47;
La seconda e la terza possibilità meritano un approfondimento, perché sono ipotesi che hanno creato e stanno creando qualche discussione.
Partendo dall’ultima – abbandono della strada dell’ottenimento della personalità giuridica – pare abbastanza evidente come non vi sia alcuna preclusione alla possibilità di richiedere l’iscrizione nel Registro ai sensi dell’art. 47 al fine di ottenere l’inquadramento come ente del Terzo settore pur in assenza di personalità giuridica. Il dato testuale dell’art. 47 è infatti chiaro: fatto salvo il disposto dell’art. 22 (e quindi la specifica procedura per gli enti che con l’iscrizione nel registro unico, oltre ad acquisire la qualifica di ente del Terzo settore, vogliano anche la personalità giuridica), si ammettono all’iscrizione nel registro unico sia enti riconosciuti che enti non riconosciuti. Ciò è chiaro anche alla luce del disposto dell’art. 4, comma 1, che indica quale requisito della fattispecie – dopo aver elencato sotto il profilo strutturale quali enti possono essere del Terzo settore ed averne altresì definito sul piano sostanziale le caratteristiche (i.e.: finalità di interesse generale ed assenza dello scopo di lucro) – il fatto di essere iscritti al Registro unico; e pure l’art. 11, comma 1°, precisa che in detto registro gli enti “si iscrivono”, cioè devono essere iscritti. Insomma è testuale e non revocabile in dubbio che l’iscrizione al Registro unico nazionale del terzo settore, quale circostanza costitutiva della qualifica, sia consentita anche ad enti non riconosciuti e non si vede quindi quale motivo potrebbe esserci per sollevare dubbi di ammissibilità allorché questa strada venga intrapresa da un ente che, pur partito con l’iniziale idea di ottenimento della personalità giuridica, abbia poi optato per l’iscrizione “ordinaria” dell’art. 47 [[35]] a seguito di abbandono della procedura “speciale” di cui all’art. 22.
Più delicata, almeno apparentemente, la seconda possibilità, cioè quella di ottenere la personalità giuridica optando per la procedura ordinaria di riconoscimento di cui al d.P.R. n. 361 del 2000. Benché il rapporto tra la procedura ordinaria di cui al d.p.r. e quella speciale dell’art. 22 possa presentare a prima vista dei risvolti ambigui, un punto non è revocabile in dubbio: la procedura di riconoscimento del d.P.R. n. 361 del 2000 permane e rimane la procedura generale per l’attribuzione della personalità giuridica. È quindi evidente che con l’introduzione della procedura di cui all’art. 22 si è pertanto creato un doppio binario per l’attribuzione della personalità giuridica degli enti [[36]], l’uno alternativo all’altro: c’è quello tradizionale di cui al d.P.R. n. 361 del 2000 che passa attraverso un controllo di tipo amministrativo e la verifica di certi presupposti – segnatamente liceità e possibilità dello scopo e adeguatezza del patrimonio; e poi c’è quello dell’art. 22 del Codice del Terzo settore in cui il controllo spetta al notaio e in ordine al quale la verifica delle condizioni attiene ai vari elementi richiesti dal Codice stesso.
Potrebbe quindi un ente, che miri ad ottenere la personalità giuridica e la qualifica di ente del Terzo settore, combinare la procedura del d.P.R. n. 361 del 2000 con quella dell’art. 47 CTS? Non vedo con quali argomenti come sia possibile negarlo.
Altro discorso è se convenga ad ente che voglia acquistare la personalità giuridica e la qualifica di ETS optare per la combinazione delle procedure del d.P.R. n. 361 del 2000 e dell’art. 47, aggirando quella dell’art. 22, se non altro per questioni di semplicità e velocità dell’iter.
Del resto la circostanza che procedura di cui al d.P.R. n. 361 del 2000 possa coesistere, sovrapporsi e finanche confliggere con quella dell’art. 22 è stata confermata dal comma 1-bis del medesimo art. 22, aggiunto con il d.lgs. 3 agosto 2018, n. 105 (decreto correttivo) [[37]]. La disposizione mira a disciplinare i rapporti tra il d.P.R. n. 361 del 2000 e CTS allorché un ente (associazione o fondazione) già personificato secondo la procedura del d.P.R. n. 361 del 2000 ottenga l’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore; in tale caso l’efficacia dell’iscrizione nel registro delle Persone giuridiche viene sospesa fino a quando permane l’iscrizione nel Registro del Terzo settore[[38]]; l’esigenza sottesa alla disposizione è pacificamente riconosciuta nella necessità di evitare sovrapposizioni, appesantimenti di disciplina ed un’eccessiva onerosità amministrativa e pubblicitaria che deriverebbe dalla contemporanea iscrizione nei due registri.
Nessun effetto invece sull’acquisto della personalità giuridica che non viene persa, come si premura di specificare la stessa disposizione; come è normale che sia del resto, visto che la normativa del Codice del Terzo Settore, come norma speciale sopravvenuta, non può costituire eccezione alla disciplina del sistema generale di riconoscimento della personalità giuridica se non nei limiti e per le finalità della legge delega. Pertanto il disposto dell’art. 22, comma 1-bis, va coordinato con quello dell’art. 47: se si ha già la personalità giuridica ottenuta con la procedura generale del d.P.R. n. 361 del 2000, l’iscrizione nel Registro unico del Terzo Settore avverrà con la procedura generale dell’art. 47, e non ovviamente con quella speciale dell’art. 22, che è procedura pensata per l’ottenimento contestuale della personalità giuridica e della qualifica di ETS.
Poi restano le problematiche delle altre vicende che possono coinvolgere la personalità giuridica acquistata, da acquisire ovvero persa, e i correlativi rapporti tra d.P.R. n. 361 del 2000 e CTS. Non c’è infatti solo la questione della migrazione di ente già personificato ex d.p.r. 361/2000 al Codice del TS, ma anche quella dell’ente, già personificato ex d.P.R. n. 361 del 2000 iscritto successivamente nel Registro unico Terzo Settore e che successivamente perde i requisiti di iscrizione al Registro unico del Terzo settore; e poi quella dell’ente che ha acquisito la personalità giuridica con la procedura speciale dell’art. 22 e che viene cancellato dal registro unico TS; e quella dell’ETS, senza personalità giuridica, e che vuole acquisire la personalità giuridica.
Della prima ipotesi si è testé detto. La seconda ipotesi è solo in parte disciplinata dal comma 1-bis dell’art. 22, che, infatti sul punto si limita a dire che «… dell'eventuale successiva cancellazione, è data comunicazione, da parte dell'ufficio di cui all'articolo 45 competente, entro 15 giorni, alla Prefettura o alla Regione o Provincia autonoma competente» senza nulla dire in ordine agli effetti conseguenti a detta cancellazione. Certamente la cancellazione dal RUNTS determina la perdita della qualifica di ETS (art. 50), ma che dire della personalità giuridica acquisita ex d.P.R. n. 361 del 2000? Ebbene mi pare possano esservi pochi dubbi sul fatto che regola generale sarà la permanenza di questa con contestuale reviviscenza delle regole del d.P.R. n. 361 del 2000 temporaneamente sospese; data la diversità dei presupposti che disciplinano le due fattispecie – acquisto della personalità giuridica ex d.P.R. n. 361 del 2000 ed ex d.lgs. 2017 – il venir meno dei presupposti per l’iscrizione nel RUNTS non può ovviamente comportare la perdita di una qualifica (i.e.: la personalità giuridica) acquisita in base a dei requisiti sulla cui mancanza nulla dice e nulla può dire la cancellazione dal RUNTS, attenendo quest’ultima (i.e.: la cancellazione) a presupposti diversi [[39]]. Del resto proprio a questo serve la comunicazione che l’ufficio del RUNTS deve effettuare alla Prefettura o alla Regione: a permettere cioè di annotare l’intervenuta cancellazione dal RUNTS, con contestuale ripristino di efficacia della normativa del d.P.R. n. 361 del 2000 con una continuità informativa tra registri di certo apprezzabile. Resta la sola domanda se il ripristino effettuale della disciplina di cui al d.P.R. n. 361 del 2000 richieda una eventuale rivalutazione dei parametri in esso contenuti, specie con riguardo al patrimonio; dato atto infatti che l’ente con personalità giuridica ed iscritto nel RUNTS debba avere e mantenere durante la sua iscrizione in detto registro un patrimonio minimo che è quello indicato nell’art. 22, comma 4, nulla pare escludere che l’ente medesimo, pur partito come ente riconosciuto ex d.P.R. n. 361 del 2000 e quindi con patrimonio “adeguato” in base a detto decreto, lo abbia poi, durante la propria vita trascorsa come ETS, ridotto o modificato, pur sempre mantenendolo nei limiti indicati di cui all’art. 22, comma 4; può quindi accadere che l’ente, una volta cancellato dal RUNTS, con conseguente ricaduta del medesimo sotto l’egida di disciplina del d.P.R. n. 361 del 2000 non abbia più un patrimonio “adeguato” secondo detta disciplina; in ogni caso mi pare che, anche per evitare pericolosi cortocircuiti nella vita dell’ente con inevitabili ricadute anche sull’affidamento dei terzi, la riespansione della disciplina del d.P.R. n. 361 del 2000 consegua automaticamente una volta effettuate le comunicazioni tra registri come previste dal comma 1-bis dell’art. 22; sarà tutt’al più l’autorità prefettizia o regionale che, in secondo momento, potrà rivalutare l’adeguatezza patrimoniale dell’ente con conseguente ed eventuale revoca del provvedimento di riconoscimento.
Con riguardo alla terza ipotesi, anche in questo caso mi pare vi possano essere pochi dubbi: se la personalità giuridica è stata acquistata con la procedura speciale dell’art. 22, la cancellazione dal RUNTS non potrà che determinare anche la perdita della personalità giuridica; qui il duplice effetto – l’acquisto della personalità giuridica e l’acquisto della qualifica di ETS – trova difatti origine in una fattispecie unitaria: quella dell’iscrizione al RUNTS secondo la procedura dell’art. 22. Quindi il venir meno dei presupposti per la permanenza di iscrizione nel RUNTS non potrà che travolgere tutti gli effetti di fattispecie complessivamente intesi. Nulla preclude ovviamente all’ente di poter continuare ad operare, al di furori del CTS, come ente non riconosciuto sulla base della normativa generale del Codice civile, ovvero di richiedere la personalità giuridica secondo la normativa generale del d.P.R. n. 361 del 2000 ovvero, ancora, di poter provare a richiedere l’iscrizione nel RUNTS, come ente non riconosciuto, secondo la procedura dell’art. 47.
Infine la quarta ipotesi, ancora piuttosto remota, ma forse la più interessante e che di certo – una volta che il CTS sarà entrato a pieno regime – non mancherà di presentarsi agli operatori. In questo caso pare ragionevole ritenere che l’ETS, già tale perché iscritto nel RUNTS e che tale voglia rimanere, che desideri acquisire anche la personalità giuridica lo debba fare secondo la procedura dell’art. 22. In caso contrario – ammettendo cioè il ricorso alla procedura generale del d.P.R. n. 361 del 2000 – si arriverebbe alla conseguenza piuttosto peculiare che non appena ottenuta la personalità giuridica ex d.P.R. n. 361 del 2000 la disciplina del decreto stesso dovrebbe essere subito sospesa ex art. 22, comma 1-bis. Al che si potrebbe invero obiettare che il comma 1 bis vada letto in senso stretto come riferentesi solo all’ipotesi in cui la progressione cronologica del procedimento vede in primis l’iscrizione nel Registro delle Persone giuridiche ex d.P.R. n. 361 del 2000 e poi l’iscrizione al RUNTS; e non quindi all’ipotesi inversa in cui prima risulta attuata l’iscrizione al RUNTS e solo successivamente l’iscrizione al registro delle Persone Giuridiche ex d.P.R. n. 361 del 2000.
L’obiezione però non mi parrebbe cogliere nel segno. Si arriverebbe evidentemente ad ammettere – in questa seconda peculiare ipotesi – un concorso di disciplina effettuale tra i due registri, quello delle Persone Giuridiche e quello del Terzo settore. Sennonché le esigenze che spingono ad evitare una sovrapposizione ed un conflitto di disciplina tra Registri appaiono esattamente identici alla fattispecie positiva come disciplinata al comma 1-bis dell’art. 22, vale a dire evitare appesantimenti di disciplina ed un’eccessiva onerosità amministrativa e pubblicitaria che deriverebbe dalla contemporanea iscrizione nei due registri. Oltretutto pare insito al sistema delineato dal CTS nel suo complesso una intrinseca incompatibilità di iscrizione – e vigenza effettuale – contestuale tra i due registri. A prescindere infatti dal dato positivo, apparentemente circoscritto, del comma 1-bis dell’art. 22, pare esigenza ontologica che un medesimo ente non possa essere iscritto contemporaneamente all’uno e all’altro registro e con effetti di disciplina, soggiacendo cioè alla regolamentazione contestuale dell’uno e dell’altro.
In questo senso mi pare porti anche un altro articolo, che è l’unico introdotto dalla d.lgs. n. 117 del 2017 nel corpo del codice civile; ci si riferisce ovviamente all’art. 42-bis, che all’ultimo comma – quello dedicato ai formalismi pubblicitari – stabilisce che la pubblicità che per gli enti del Libro V si esegue nel Registro delle imprese, per gli enti del Libro I si realizza e trova la sua forma corrispondente nel registro delle Persone giuridiche ovvero, per gli ETS, nel RUNTS, a dire quindi – parrebbe – della effettiva incompatibilità della contemporanea iscrizione di un ente nei due registri: o l’uno o l’altro quindi, per cui anche se l’ETS ha la personalità giuridica, come ETS, non potrà che essere iscritto nel solo RUNTS [[40]] con applicazione quindi della solo disciplina da esso derivante.
Questa della incompatibilità della contemporanea iscrizione nei due registri è un po’ quello che, un anno dopo, ha proprio cercato di dirci, anche se in modo approssimativo e limitato ad una sola delle possibili ipotesi, il comma 1-bis dell’art. 22, probabilmente perché questa è l’ipotesi che il legislatore, nella contingenza del momento, riteneva di più immediata urgenza e percezione pratica.
Questa idea germinale della incompatibilità effettuale derivante dalla contemporanea iscrizione nei due registri, c’era però già nell’art. 42-bis c.c., quasi che per una sorta di impercettibile influenza benefica quello che si trova nel Codice civile – o che si “osa” inserire in esso – sia già per ciò solo un po’ più saggio, un po’ più giusto e un po’ più corretto di quello che si trova al di fuori di esso: un’impressione che forse ormai è solo un’illusione.
[1] Difatti sull’onda delle dottrine liberali e individualiste del tempo, l’azione era in particolare rivolta contro gli enti ecclesiastici, che sovente ricevevano generose elargizioni dietro pressioni di tipo mistico-psicologico esercitate dal clero, implementando il patrimonio della chiesa e contestualmente sottraendo, in via pressoché definitiva, detti beni ad una più libera circolazione. Sul punto cfr. amplius T. PASQUINO, La capacità di succedere delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute, in Tratt. di diritto delle successioni e delle donazioni Bonilini, I, La successione ereditaria, Milano, 2009, 914. Anche M. BIAGINI, Successioni a favore di enti non riconosciuti e persone giuridiche diverse dalle società, in Vita not., 1986, 62
[2] Le disposizioni limitative degli acquisti da parte degli enti morali trovano il loro fondamento in una lunga tradizione, risalente almeno alle legislazioni degli stati preunitari, sostanzialmente miranti ad ostacolare il fenomeno, certamente pregiudizievole per l’economia generale, della c.d. manomorta. Per uno studio più approfondito dei significati assunti dall' espressione nel corso dei secoli cfr. G. LANDI, voce Manomorta, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, 542 ss., secondo cui gli “uomini di manomorta” erano i servi della gleba e i vassalli, entrambi incapaci di disporre per testamento, mentre gli “enti manomorta” non erano obbligati alle tasse di successione; A. FALCHI, voce Manomorta (storia del diritto), in Dig., XV, I, Torino, 1903-1907, 700 ss. Il termine indica proprio la concentrazione di patrimoni in un’unica “mano”, che, sottraendoli alla circolazione giuridica e a scopi produttivi, sarebbe stata, appunto, “morta” (cfr. per altre interessanti considerazioni, G. SAREDO, voce Acquisto dei corpi morali, in Dig. it., II, 1, Torino, 1884, 86 ss.; A. PALAZZO, Le successioni, I, in Tratt. di dir. privato Iudica – Zatti, Milano, 2000, 267 s.); i beni così concentratisi, in quanto non liberamente circolabili, dovevano considerarsi in qualche modo “estinti”, cioè ammortizzati (amortir) (cfr. S. TOMASINO, I diritti del potere civile sulle associazioni religiose e su’ loro beni, Palermo, 1866, 115); il fenomeno quindi realizzava una sottrazione di beni, mobili e immobili, alla libera circolazione in quanto appartenenti a persone giuridiche connotate dalla perpetuità, che li rendeva intrasmissibili per causa di morte.
Il risultato fu la promulgazione di un corpo di leggi (In particolare può ricordarsi la l. 5 giugno 1850, n. 1037, nota come “legge Siccardi” – rimasta in vigore fino alla riforma operata con la l. 15 maggio 1997, n. 127 – la quale richiedeva l’autorizzazione con regio decreto per tutti gli acquisti di beni, per le donazioni e per le disposizioni testamentarie a favore di stabilimenti e corpi morali, sia ecclesiastici che laicali; su questo aspetto cfr. amplius F. GALGANO, Delle persone giuridiche2, sub art. 11-35, in Comm. al cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2006, 286 ss.; G. DE NOVA, Novelle e diritto successorio: l’accettazione di eredità beneficiata degli enti non lucrativi, in Riv. not., 2009, 3 s.; se permesso M. CEOLIN, Scopo non lucrativo e struttura degli enti. Accettazione beneficiata dell’eredità e tendenze del diritto europeo, Napoli, 2016, 75 ss.) volte a sottoporre a controllo governativo ogni acquisto, inter vivos e mortis causa, dei corpi morali, che comprendevano sia enti laici che religiosi (Sul punto v. M.V. DE GIORGI, L’autorizzazione agli acquisti delle persone giuridiche: ingloriosa fine di un istituto secolare, in Studium iuris, 1997, 1010 ss.; fra gli studiosi del tempo v. L. BIANCHINI, Principi della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli stati, Napoli, 1855, 81); escluse da tale categoria, invece, erano le società, la cui struttura e funzione non era tale da portare alla immobilizzazione di ricchezze: il dinamismo delle stesse e il fine proprio dell’attività imprenditoriale collettiva rendeva superfluo un controllo mirante ad evitare stalli di risorse.
[3] Sia sufficiente ricordare come la legge Le Chapelier del 16 giugno 1791 abolì in tutta la Francia qualsiasi associazione tra cittadini esercenti lo stesso mestiere («… il n'y a plus de corporation dans l'Etat; il n'y a plus que l'intérêt particulier de chaque individu, et l'intérêt général. Il n'est permis à personne d'inspirer aux citoyens un intérêt intermédiaire, de les séparer de la chose publique par un esprit de corporation»). Del resto è singolare – ma ben indicativo del contesto – come nella tanto venerata Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino non si menzioni mai, nel suo catalogo dei diritti, la libertà di associazione.
[4] In ordine a tale previsione, vi erano sottese, ovviamente, ragioni di ordine pubblico interno; cfr. M. COSTANZA, I soggetti: gli enti non commerciali, in Tratt. dir. civ. del Consiglio Nazionale del Notariato, Napoli, 2012, 13; M.V. DE GIORGI, L’autorizzazione agli acquisti delle persone giuridiche: ingloriosa fine di un istituto secolare, cit., 1012; Cass., 30 gennaio 1997, n. 944, in Dir. e giur., 1998, 248.
[5] L’opinione non era, in verità, incontroversa; se la maggioranza era ferma nel qualificare l’autorizzazione ex art. 17 c.c. quale condizione di efficacia dell’acquisto (così cfr. Cass. 13 aprile 1972, n. 1158, in Giur. it., 1973, I, 1, 210; Cass. 4 giugno 1976, n. 2027, in Giur. it., 1978, I, 1, 687; App. Roma, 15 dicembre 1986, in Riv. not., 1987, 895; P. LOREFICE, Dei provvedimenti di successione, Padova, 1991, 121) non mancavano posizioni, invece, che ritenevano l’autorizzazione condizione di validità dell’accettazione (Cons. Stato, 6 febbraio 1962, n. sez. 147, in Riv. not., 1962, 619; Cass. 20 luglio 1966, n. 1954, in Foro it., 1966, I, 1500).
[6] Stabiliva, inoltre, l’art. 5 disp. att. c.c. che la domanda per l’autorizzazione doveva essere accompagnata dai documenti necessari per dimostrare l’entità, le condizioni e l’opportunità dell’acquisto, nonché la destinazione dei beni. Ciò veniva motivato dalla esigenza di tutela dell’ente da acquisti non convenienti: M.V. DE GIORGI, L’autorizzazione agli acquisti delle persone giuridiche: ingloriosa fine di un istituto secolare, cit., 1011.
[7] Sul punto va segnalato che, benché l’art. 12 c.c. prevedesse quale atto formale conclusivo del procedimento di riconoscimento della personalità giuridica un d.P.R., di fatto, dopo l’adozione della legge n. 13 del 12 gennaio 1991 che si premurò di indicare quali atti dovessero essere adottati sotto forma di d.P.R. dimenticando però di includervi appunto quello di riconoscimento delle persone giuridiche, il riconoscimento veniva effettuato con decreto ministeriale.
[8] Art. 33 c.c.: «In ogni provincia è istituito un pubblico registro delle persone giuridiche. Nel registro devono indicarsi la data dell'atto costitutivo e quella del decreto di riconoscimento, la denominazione, lo scopo, il patrimonio, la durata, qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica e il cognome e il nome degli amministratori con la menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza. La registrazione può essere disposta anche d'ufficio. Gli amministratori di un'associazione o di una fondazione non registrata, benché riconosciuta, rispondono personalmente e solidalmente, insieme con la persona giuridica, delle obbligazioni assunte».
[9] Art. 34 c.c.: «Nel registro devono iscriversi anche le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto, dopo che sono state approvate dall'autorità governativa, il trasferimento della sede e l'istituzione di sedi secondarie, la sostituzione degli amministratori con indicazione di quelli ai quali spetta la rappresentanza, le deliberazioni di scioglimento, i provvedimenti che ordinano lo scioglimento o dichiarano l'estinzione, il cognome e il nome dei liquidatori. Se l'iscrizione non ha avuto luogo, i fatti indicati non possono essere opposti ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza».
[10] Art. 1 disp. att. c.c.: «L'esercizio delle facoltà attribuite all'autorità governativa nel titolo II del libro I del codice può dal Governo essere delegato in tutto o in parte ai prefetti per gli enti che esercitano la loro attività nell'ambito di una provincia».
[11] Art. 2 disp. att. c.c.: «La domanda per il riconoscimento di una persona giuridica deve essere accompagnata dalla copia autentica dell'atto costitutivo e dello statuto e da quegli altri documenti che possono, secondo le circostanze, servire a dimostrare lo scopo dell'ente ed i mezzi patrimoniali per provvedervi. Il riconoscimento delle fondazioni può essere concesso dall'autorità governativa anche d'ufficio».
[12] Art. 22 disp. att. c.c.: «Il registro delle persone giuridiche è istituito presso la cancelleria del tribunale di ogni capoluogo di provincia ed è tenuto sotto la diretta sorveglianza del presidente del tribunale».
[13] Art. 25 disp. att. c.c.: «Per ottenere l'iscrizione della persona giuridica, il richiedente deve presentare copia autentica in carta libera del decreto di riconoscimento, dell'atto costitutivo e dello statuto. Quando il riconoscimento è avvenuto per decreto del presidente della Repubblica, è sufficiente l'esibizione del numero della Gazzetta ufficiale nel quale il decreto è stato pubblicato».
[14] M. BASILE, Le persone giuridiche, in Tratt. dir priv. Iudica – Zatti, Milano, 204, 174.
[15] Cfr. sopra nota n. 3.
[16] F. BASSI, Contributo allo studio dell’atto di riconoscimento della personalità giuridica, in Riv. trim. dir. pubb., 1961, 886.
[17] Se sufficientemente pacifico era il carattere costitutivo della personalità giuridica dell’atto di riconoscimento, meno pacifica era la natura tout court costitutiva del riconoscimento in se stesso sulla base della considerazione che anche prima dell’atto di riconoscimento all’ente doveva riconoscersi una tal quale soggettività giuridica (in questo senso specie F. GALGANO, Delle persone giuridiche2, sub art. 11-35, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2006, 184). Tuttavia, a ben vedere, nonostante l’evoluzione dei formanti dottrinale, giurisprudenziale e finanche legislativo abbia attenuato sempre più la distinzione tra enti riconosciuti ed enti non riconosciuti, la differenza di opinioni è più terminologica che di sostanza, poiché pare piuttosto incontestabile come il provvedimento di riconoscimento avesse natura costitutiva, costitutiva della personalità, ancorché non della soggettività in senso lato.
Poi altro discorso è constatare come quella tra enti con personalità giuridica e senza personalità sia una distinzione da tempo entrata in crisi (da ultimo C. GRANELLI, Impresa e Terzo settore: un rapporto controverso, in Jus civile, 2018, 721; E. QUADRI, Il Terzo settore tra diritto speciale e diritto generale, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 713). Se nel disegno originario del legislatore del ’42 l’attribuzione della personalità giuridica contrapponeva nettamente gli enti soggetti di diritto agli altri, oggi è ormai pacifico che la soggettività giuridica vada riconosciuta comunque a prescindere dalla personalità giuridica e dalle procedure che le sono proprie, sicché «tutti gli enti sono dotati di capacità giuridica di agire, possono acquistare ed alienare beni ..., essere titolari di patrimoni» (M.V. DE GIORGI, La scelta degli enti privati: riconoscimento civilistico e/o registrazione speciale?, in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, 86; sulla attuale irrilevanza del riconoscimento v. anche M. BASILE, in CARUSI (a cura di), Associazioni e fondazioni. Dal Codice Civile alle riforme annunciate, – Convegno di studi in onore di Pietro Rescigno, Milano, 2001, 9 e sempre M.V. DE GIORGI, Dalle persone giuridiche agli “enti non profit”, in Tratt. Rescigno, Persone e Famiglia, 2, I, Torino, 1999, 282, nt. 1, dove si parla, a tal riguardo, di un problema ormai «venerando»). Quanto alla distinzione tra soggettività e personalità giuridica, si è autorevolmente osservato come quest’ultima sia ormai «solo una formula linguistica per indicare la posizione di privilegio ... sul piano della responsabilità patrimoniale» (così F. GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche sulla tutela del concepito e sulla fecondazione artificiale, in Dir. fam., 2005, 185; di mera formula linguistica già parlava il N. LIPARI, Spunti problematici in tema di soggettività giuridica, in La civilistica italiana dagli anni ’50 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative, Padova, 1991, 55 ss.). Più in generale sul punto v. G.L. PELLIZZI, voce Soggettività giuridica, in Enc. giur., Roma, 1994.
Da molteplici punti di vista v’è, quindi, nella sostanza, una tendenziale equivalenza tra enti riconosciuti e non riconosciuti. Il fatto che l’importanza della qualifica formale sia indubbiamente venuta a sfumare trova conferma anche in una serie di interventi legislativi settoriali da cui risulta chiaramente l’irrilevanza della presenza della personalità giuridica. Così, ad esempio, il d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – dedicato alle organizzazioni assistenziali, di cura e riabilitazione – ha riguardo indifferentemente ad associazioni riconosciute e non riconosciute; e l’art. 5 della l. 11 agosto 1991, n. 266, fa riferimento generico alle organizzazioni di volontariato, anche prive di personalità giuridica. Questo non significa, ovviamente, che non permangano delle differenze (segnatamente quella sulla responsabilità patrimoniale), significa piuttosto che sempre più spesso l’applicazione di certe discipline prescinde dalla presenza o meno della personalità giuridica.
L’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale favorevole alla presenza di una soggettività giuridica indipendentemente dalla presenza della personalità, sì da determinare un vero e proprio superamento di quest’ultima, ha trovato un singolare recepimento positivo nella disciplina sulle reti di impresa; con il d.l. 10 febbraio 2009, n. 5 si è stabilito, tra l’altro, che «con l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede la rete acquista soggettività giuridica»; si è, così, dato spazio, per la prima volta nel diritto positivo, al concetto di “soggettività” (ex multis cfr. A. GENTILI, Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, in Contratti, 2011, 617 ss.; M.R. MAUGERI, Reti di imprese, contratto di rete e reti contrattuali, in Obbl. e contr., 2009, 951 ss.; R. SANTAGATA, Il ‹‹Contratto di rete›› fra (comunione di) impresa e società (consortile), in Riv. dir. civ., 2011, 323 ss.; G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, in Giur. comm., I, 2010, 944 ss.; M. MILELLA, La soggettività nel contratto di rete tra imprese, in Contratti, 2013, 401 ss.).
[18] Di fatto la discrezionalità dell’atto trovava la propria fonte nel Consiglio di Stato che era chiamato a dare il proprio parere sulle domande di riconoscimento; cfr. M. V. DE GIORGI, Il (criticato) sistema per il riconoscimento degli enti del primo Libro C.C., in Studium iuris, 1997, 705.
[19] Cons. Stato, 27 luglio 1979, n. 1228, in Cons. Stato, 1981, I, 361; Cons. Stato, 15 novembre 1995, n. 2835, in Cons. Stato, 1997, I, 1156.
[20] M. TAMPONI, Persone giuridiche (artt. 11-35), in Cod. civ. comm. Schlesinger, Milano, 2018, 74.
[21] M. V. DE GIORGI, Il (criticato) sistema per il riconoscimento degli enti del primo Libro c.c., ult. cit.
[22] M. V. DE GIORGI, Il (criticato) sistema per il riconoscimento degli enti del primo Libro c.c., cit., 706.
[23] Sull’idea di una revisione generale degli enti del LIBRO I c.c. mi limito a ricordare il progetto della Commissione Rovelli, segnatamente, quello della sottocommissione presieduta dalla Prof.ssa Giovanna Visintini, che può leggersi in CARUSI (a cura di), Associazioni e fondazioni. Dal Codice Civile alle riforme annunciate – Convegno di studi in onore di Pietro Rescigno, Milano, 2001. Di rilievo anche il Disegno di legge di delega al Governo per la riforma del titolo II del libro I del codice civile approvato dal Consiglio dei Ministri n. 134 del 31 marzo 2011 (proponenti Alfano-Sacconi).
[24] Per tutti si veda M.V. DE GIORGI, La riforma del procedimento per l’attribuzione della personalità giuridica agli enti regolati nel libro primo c.c., in Nuove leggi civ. comm., 2000, 1328 ss.; M. TAMPONI, Persone giuridiche (artt. 11-35), cit., 77 ss.
[25] La stessa formulazione dell’abrogato art. 34, comma 2, c.c. rendeva evidente la funzione di pubblicità dichiarativa dell’iscrizione nel registro delle Persone giuridiche. Si esprime chiaramente in questo senso, rendendone evidente la ratio, la Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942: «L'istituto della registrazione delle persone giuridiche costituisce un adeguato sistema pubblicitario per la tutela della buona fede e dei diritti dei terzi nei confronti dell'ente e, nello stesso tempo, permette di sottoporre più agevolmente le persone giuridiche private a un regime amministrativo ispirato a finalità pubblicistiche …».
[26] M. TAMPONI, Persone giuridiche (artt. 11-35), cit., 79 s. Da evidenziare oltretutto la difformità di valutazione sull’adeguatezza patrimoniale che sovente si riscontra da Regione a Regione.
[27] Già prima della riforma: R. COSTI, Fondazione e impresa, in Riv. dir. civ., 1968, I, 13, nota 62; un cenno pure in P. RESCIGNO, Fondazione e impresa, in Riv. soc., 1967, 832; A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, cit., 13 ss. e 141. Dopo la riforma: M.V. DE GIORGI, La scelta degli enti privati: riconoscimento civilistico e/o registrazione speciale?, cit., 88; ID., Dalle persone giuridiche agli enti “non profit”, in Tratt. di dir. priv. Rescigno, cit., 446; A. ZOPPINI, in DE GIORGI – PONZANELLI – ZOPPINI (a cura di), Il riconoscimento delle persone giuridiche, Milano, 2001, 19; ID., Riformato il sistema di riconoscimento delle persone giuridiche, in Corr. giur., 2001, 296; M. MAGGIOLO, Il tipo della fondazione non riconosciuta nell’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c., in Riv. not., 2007, 1150; A. ZOPPINI – L. NONNE, Fondazioni e trust quali strumenti della successione ereditaria, in RESCIGNO (a cura di), Successioni e donazioni, Padova, 2010, I, 149-150: «il rispetto del divieto di distribuzione degli utili e la liceità dello scopo sono i requisiti necessari e sufficienti ad identificare sul piano causale la fattispecie (associativa e) fondazionale e sufficienti anche ai fini di accedere alla personificazione». Resta ancora di idea contraria C.M. BIANCA, Diritto civile, 1, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, 330.
[28] La conferma che l’orientamento sia in questo senso la si può rinvenire un po’ in tutta la legislazione specialistica, oltreché ovviamente nello steso Codice del Terzo Settore (cfr. C. GRANELLI, Impresa e Terzo settore: un rapporto controverso, cit., 717).
[29] Per un inquadramento generale del Registro sia permesso il rinvio a M. CEOLIN, Il c.d. Codice del Terzo settore (d.lgs., 3 luglio 2017, n. 117): un’occasione mancata?, in Nuove leggi civ. comm., 2018, 23 ss.
[30] A ben vedere, anche prima dell’entrata in vigore del Codice del Terzo settore, quella delineata all’art. 1 del d.P.R. n. 361 del 2000 non era l’unica forma procedurale di riconoscimento della personalità giuridica. Nello stesso d.P.R. n. 361 del 2000, all’art. 2, si precisa infatti che il riconoscimento della personalità giuridica può avvenire anche per atto legislativo; più in generale, poi, l’art. 9, comma 3, fa salve le norme speciali derogatorie del procedimento di riconoscimento di cui al d.P.R. in oggetto; a tal riguardo può essere sufficiente ricordare il caso delle fondazioni bancarie riconosciute per legge come persone giuridiche nel momento in cui l’autorità di vigilanza approvava lo statuto delle medesime (art. 2 d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153); v. M. TAMPONI, Persone giuridiche (artt. 11-35), cit., 93.
[31] L’art. 1, comma 7, della legge 6 giugno 2016, n. 106 prevedeva infatti che entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla stessa legge delega, il Governo potesse adottare, attraverso la medesima procedura di cui all’articolo in oggetto, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse; il d.lgs. n. 117 del 2017 è difatti entrato in vigore il 3 agosto 2017 (art. 104, comma 3).
[32] Da escludere in radice quindi che il ricorso alla procedura di iscrizione ordinaria di cui all’art. 47 possa fa acquistare la personalità giuridica; cfr. Parere del Consiglio di Stato n. 1432/2018 del 30 maggio 2018, che ritiene però non ancora sufficientemente chiara la formulazione legislativa anche post integrazione.
[33] Con questa scelta il legislatore ha voluto chiaramente staccarsi dal disposto dell’art. 1, comma 3, d.P.R. n. 361 del 2000 che in modo indefinito richiede un «patrimonio adeguato alla realizzazione dello scopo». Esattamente come accade per le società a responsabilità limitata (art. 2465 c.c.) sono inoltre ammessi apporti anche diversi dal denaro a condizione però che il valore di questi sia attestato da apposita perizia giurata redatta da un revisore legale o da una società di revisione che deve essere allegata all’atto costitutivo; l’art. 22, comma 4, non ha invece ripetuto il contenuto che la perizia deve avere (i.e.: descrizione dei beni o dei crediti, criteri di valutazione ed attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito per la determinazione del patrimonio) benché appaia pressoché scontato che tali perizie verranno redatte sulla falsariga di quelle societarie.
[34] Il sintagma non è a dire il vero del tutto sconosciuto anche allo stesso codice civile, che ad esempio, all’art. 519 c.c. precisa che la rinuncia all’eredità va fatta con dichiarazione ricevuta da notaio; ora benché l’opinione maggioritaria, quasi unanime, ritenga che l’atto ricevuto sia (solo) l’atto pubblico (cfr. Cass., 11 gennaio 2011, n. 444; Cass,. 4 luglio 2016, n. 13599) non sono mancate a dire il vero alcune opinioni che hanno ritenuto l’espressione comprensiva anche dell’atto autenticato (cfr. Co.Re.Di. Campania e Basilicata, 18 febbraio 2001, n. 126).
[35] Da segnalare come nella procedura delineata dall’art. 47 il mancato pronunciamento dell’autorità sia in favore del richiedente (comma 4: «Decorsi sessanta giorni … la domanda s’intende accolta»); ciò a differenza di quanto prevede l’art. 22 – per le cui ragioni si veda nel testo – e a differenza pure dell’art. 1, comma 5 e 6, del d.P.R. n. 361 del 2000 («Decorsi sessanta giorni … la domanda s’intende accolta, in caso di silenzio o di mancata iscrizione questa si intende negata»).
Va pure sottolineato come il d.P.R. n. 361 del 2000 permetta alla prefettura di negare l’iscrizione in presenza di “ragioni ostative” senza ulteriormente meglio precisare limiti e termini di questo controllo (cfr. M.V. DE GIORGI, La riforma del procedimento per l’attribuzione della personalità giuridica agli enti regolati nel libro primo c.c., cit., 1331). Decisamente diversa l’impostazione del Codice del Terzo Settore che sia con riguardo alla procedura di iscrizione ordinaria dell’art. 47 sia con riguardo alla procedura di iscrizione speciale dell’art. 22 delimita puntualmente i poteri di verifica alle «condizioni previste dalla legge per la costituzione dell'ente, ed in particolare dalle disposizioni del presente Codice con riferimento alla sua natura di ente del Terzo settore, nonché del patrimonio minimo […]» (art. 22 comma 2), ovvero alla «sussistenza delle condizioni previste dal presente Codice per la costituzione dell'ente quale ente del Terzo settore […]» (art. 47, comma 2).
[36] Assolutamente non condivisibile l’affermazione di P.A. PESTICCIO, La personalità giuridica degli ETS ed i rapporti con la disciplina vigente, in Coop. Enti non profit, 2018, 15, che ritiene che l’art. 22 aggiunga una nuova personalità giuridica per i soli enti del Terzo settore. La personalità giuridica è ovviamente concetto generale ed omogeneo per l’ordinamento nel suo complesso; l’art. 22 ha inciso solo sulla procedura di acquisizione della personalità giuridica e non certo sulla fattispecie effettuale.
[37] Art. 22, comma 1-bis: «Per le associazioni e fondazioni del Terzo settore già in possesso della personalità giuridica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, che ottengono l'iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore ai sensi delle disposizioni del presente articolo e nel rispetto dei requisiti ivi indicati, l'efficacia dell'iscrizione nei registri delle persone giuridiche di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 è sospesa fintanto che sia mantenuta l'iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore. Nel periodo di sospensione, le predette associazioni e fondazioni non perdono la personalità giuridica acquisita con la pregressa iscrizione e non si applicano le disposizioni di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000. Dell'avvenuta iscrizione al registro unico nazionale del Terzo settore nonché dell'eventuale successiva cancellazione, è data comunicazione, da parte dell'ufficio di cui all'articolo 45 competente, entro 15 giorni, alla Prefettura o alla Regione o Provincia autonoma competente».
[38] In una prima stesura del decreto correttivo si stabiliva la cancellazione dal registro delle persone giuridiche. Opportunamente poi nel testo definitivo si è optato per una sospensione degli effetti dell’iscrizione. Di fatto la pubblicità relativa alla trasmigrazione dal registro delle Persone giuridiche a quello del Terzo settore potrà essere effettuata a mezzo di annotazione, che è la forma pubblicitaria che appare di certo più armoniosa e che, garantendo una continuità informativa tra registri, assicura una maggior tutela per l’affidamento dei terzi.
[39] Così, e condivisibilmente, Parere del Consiglio di Stato n. 1432/2018 del 30 maggio 2018.
[40] In questo senso, velatamente, mi pare anche M. BIANCA, Trasformazione, fusione e scissione degli enti del Terzo settore, in GORGONI (a cura di), Il codice del Terzo Settore, Pisa, 142.