Giuffré Editore

Sostegno finanziario agli Enti del Terzo settore

Rosaria Bono

Notaio in Genova


Il tema che mi è stato assegnato, il sostegno finanziario agli ETS, se di certo non è un tema propriamente notarile, può essere comunque argomento di interesse del notaio come sua cultura generale, specialmente quando il notaio non si pone solo come il sarto di alta moda che disegna, taglia e cuce uno statuto perfetto per l’Ente che si vuole costituire, ma viene coinvolto anche con un ruolo di consulente generale. 

Una volta definiti gli ETS e strutturati con il giusto statuto, la questione principale di questi enti, che ci resta da affrontare, è quella del finanziamento e più nello specifico quello della sostenibilità economica degli enti stessi, senza la quale nessun soggetto è in grado si esistere nel tempo. 

È evidente l’esigenza per gli enti non solo di reperire contributi nella fase iniziale, ma di assicurare alla propria attività un flusso di denaro costante nella consistenza e nella periodicità, per continuare a vivere e per portare avanti le finalità statutarie: questa esigenza era ben chiara al legislatore della riforma, che se ne è preoccupato dedicando una larga parte delle nuove norme al sostegno degli ETS.

La riforma del Terzo settore apre alcune forme di sostegno non irrilevanti[[1]]. 

Ma le nuove disposizioni, seppur assai utili, non sono di per sé sufficienti e dovranno essere sempre collocate in una strategia di sostenibilità economica solida e più ampia degli enti. 

In mancanza di una strategia solida, gli enti rischiano di operare con strutture finanziarie deboli e costituite eccessivamente da finanza derivata e in particolare con indebitamenti rischiosi sul lungo periodo. 

Il mondo in cui gli enti non profit si muovono è cambiato negli anni: è aumentato il loro numero, si è creata una sorta di concorrenza, è cambiata la percezione nell’opinione pubblica, perché se da un lato è aumentata la coscienza sociale, dall’altro è aumentata anche la diffidenza. 

Gli enti devono quindi adottare strategie di tipo aziendalistico se vogliono continuare ad operare a lungo. 

Lo Stato ha sempre minori mezzi da destinare alle attività sociali e vi è quindi una crescente necessità di reperire fondi da privati.

In realtà in Italia, a differenza di quanto avviene ad esempio negli USA, le fonti di finanziamento erogate da privati costituiscono ancora una percentuale molto bassa delle risorse che giungono agli enti non profit, mentre la maggior parte delle risorse finanziarie derivano ancora dalla pubblica amministrazione e dalle attività degli enti stessi. 

Fa riflettere che circa il 30% delle grandi imprese italiane non abbia mai erogato fondi ad enti non profit[[2]]. 

È quindi necessaria una forte spinta culturale per modificare questa situazione. 

Nella battaglia culturale di sensibilizzazione, il notariato sta facendo la sua parte con molto vigore, ad esempio con la campagna dei lasciti solidali come con i numerosi altri eventi dedicati al Terzo settore organizzati dal Consiglio Nazionale accanto alle principali organizzazioni operanti in Italia.

Tutti i dati ci indicano che la situazione anche da noi sta cambiando: come sono in costante crescita i testamenti solidali, altrettanto in costante crescita sono le donazioni per finalità sociali da parte delle imprese.

L’intervento dei privati non soci con le loro donazioni è essenziale per il finanziamento degli enti. 

La maggior parte delle entrate private è data, ancora, dalle quote associative, ma queste non sono sufficienti per grandi attività e specialmente non coprono alcuni segmenti del Terzo settore, quelli che sono più spostati verso servizi alla collettività piuttosto che ai propri soci. 

Con tutta evidenza, il settore del non profit non può vivere, quindi, solo con l’autofinanziamento e senza apporti liberali esterni. 

Accanto all’esigenza di reperire risorse finanziarie, c’è però un’altra esigenza che con questa va coordinata, che è l’esigenza di trasparenza.

Chi dona vuole conoscere la destinazione delle risorse erogate, o addirittura vuole cooperare per il raggiungimento dello scopo. 

Il desiderio di autonomia e di riservatezza degli enti si trova a dover cedere di fronte ad un nuovo modello di condivisione della gestione e della rendicontazione dei progetti finanziati dai terzi. 

Siamo sempre di fronte a liberalità, perché il donante non riceve nulla in cambio, ma sono liberalità per le quali è richiesta una rendicontazione trasparente. 

In alcuni casi sarà possibile prevedere una verifica formale, con l’introduzione di soggetti controllori oppure con la previsione di modalità di rendicontazione prestabilite. 

E qui il ruolo del notaio assume una fondamentale importanza nel saper tagliare e confezionare un contratto su misura per donante ed ente ricevente.

Abbiamo detto che per la sua durata nel tempo è indispensabile che l’ente raggiunga un assetto finanziario equilibrato. 

Deve innanzi tutto definire con chiarezza gli obbiettivi e poi valutare le risorse finanziarie necessarie. 

Un ente ben gestito dovrà predisporre dei piani di sostenibilità annuali e pluriennali e dovrà individuare le attività di reperimento delle risorse, secondo un progetto ben preciso che consenta di ottimizzare nel tempo il flusso di denaro, rendendolo il più possibile costante.

I finanziamenti possono essere di natura pubblica o di natura privata. 

I finanziamenti di natura privata coprono circa il 60% delle entrate del settore non profit, mentre il 40% è di tipo pubblico.

È evidente che per incrementare l’apporto di liberalità da parte dei privati al settore non profit è necessario innanzitutto l’intervento dello Stato. 

Lo Stato lo può fare promulgando leggi di favore, incentivando l’afflusso di risorse finanziarie private agli enti mediante agevolazioni fiscali, sia per i privati che per le imprese, e disciplinando nuovi strumenti di finanziamento. 

Ricordiamo che questo compito di incentivazione dello Stato è espressamente sancito dalla Costituzione all’art. 118 ultimo comma: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

Tutto questo deve avvenire in maniera organica, secondo un progetto completo, con un piano di sviluppo ben preciso. E in questo senso si muove (seppur in maniera non del tutto soddisfacente) la riforma del Terzo settore, che cerca di mettere un po’ di ordine in questa intricata materia anche dal punto di vista del finanziamento.

Come dicevamo, il mondo del non profit è cambiato e gli enti devono operare nel “mercato” di riferimento con una visione strategica più ampia se vogliono reperire risorse finanziarie sul lungo periodo. 

È molto importante, da questo punto di vista, la creazione di istituzioni di secondo grado con varie funzioni. Si creano ora reti strategiche o network di enti per coordinare e armonizzare diversi attori, analogamente a come in passato si era proceduto all’aggregazione delle cooperative. 

È sostanzialmente lo stesso fenomeno delle reti di imprese e dei consorzi, in cui imprese normalmente in competizione si aggregano per una determinata finalità. 

Nel campo dei finanziamenti per il Terzo settore questo può rivelarsi molto utile, in quanto l’impegno sinergico può consentire agli enti di realizzare iniziative e condurre attività che da soli non sarebbero in grado di svolgere. 

La creazione di reti consente inoltre la raccolta di dati, la condivisione di esperienze e la condivisione anche di esigenze, che vengono conosciute, attraverso la rete, dai soggetti che devono finanziare i progetti o supportarli con donazioni, e può facilitare l’affidamento da parte di soggetti non profit, conosciuti dalla propria rete di appartenenza. 

Inoltre, l’appartenenza ad una rete può senza dubbio costituire un valore e una garanzia per chi deve erogare somme a vario titolo.

Alle reti associative il Codice del Terzo settore riconosce importanza dedicandovi l’art. 41. Richiede il numero di 100 enti o di 20 fondazioni per la creazione di una rete, e di 500 associazioni o 100 fondazioni per la rete nazionale. 

Sempre nell’ambito della creazione di istituzioni di secondo livello, rientra la possibilità della creazione di consorzi-fidi o confidi, come quelli per le piccole imprese che hanno difficoltà ad accedere al credito. 

Questi consorzi costituiscono garanzie collettive dei prestiti tramite il varo di un fondo comune, che non eroga direttamente il credito, ma svolge un’attività di intermediazione tra gli enti e le banche convenzionate, offrendo una garanzia sussidiaria. 

Parlando sempre di istituzioni di secondo grado, di trasparenza e di garanzie, un utile sistema per incrementare le donazioni consiste nella creazione di istituti indipendenti in grado di certificare l’attendibilità degli enti. 

Abbiamo già detto all’inizio che una delle esigenze fondamentali nel sistema di finanziamento del non profit è la trasparenza. 

I donatori e i finanziatori vogliono conoscere l’effettivo impiego dei fondi erogati e per questo può essere assai gradita una sorta di certificazione di qualità.

All’estero già esistono istituzioni di questo tipo, il Comité de la Charte in Francia, la Charity Commission in Gran Bretagna, e hanno già dato prova di aver incrementato le donazioni, avendo incentivato i principi di trasparenza e di correttezza nella gestione dei fondi.

Di fondamentale importanza per il reperimento di risorse economiche è poi la condivisione di progetti con il Pubblico. Si tratta di creare dei tavoli pubblico-privati che trovino fondi per progetti congiuntamente concordati, i cui protagonisti sono lo Stato e gli enti territoriali, insieme alle grandi fondazioni e agli enti del Terzo settore.

Ai rapporti con gli Enti Pubblici è dedicato il titolo VII del Codice. 

Di particolare interesse l’art. 55 che prevede il coinvolgimento degli ETS nelle attività delle pubbliche amministrazioni e in progetti di parternariato.

Gli enti possono dover accedere a prestiti a medio-lungo termine per finanziare progetti speciali. Perché questi prestiti possano scontare interessi minori rispetto a quelli di mercato, si ricorre a fondi speciali creati dalle amministrazioni pubbliche o dalle grandi fondazioni, che possono concentrare risorse finanziarie per scopi destinati e stabiliscano remunerazioni minime. 

Come vedremo, i capi III e IV del titolo del titolo VIII del Codice prevedono norme specifiche per l’accesso al credito agevolato e per il ricorso ai fondi speciali. 

Sia le amministrazioni pubbliche che le grandi fondazioni non sono più orientate sull’erogare a pioggia e cercano di individuare i progetti più meritevoli. 

Da tutto ciò nasce la necessità per gli enti che vogliono ottenere finanziamenti di strutturarsi in maniera più adeguata, organizzandosi per presentare progetti rigorosi e credibili e una rendicontazione rigorosa. 

Assistiamo ad un nuovo corso dell’attività non profit: dalla creazione di start up solidali con la ricerca di investitori che credano nel progetto, alla loro assistenza con nuove professionalità specifiche di tipo manageriale, fino al loro inserimento in incubatori di iniziative solidali.

Andiamo quindi verso una professionalizzazione sia dei dirigenti degli enti che dei consulenti che necessitano di una forte specializzazione.

A proposito di professionalizzazione degli operatori, dobbiamo parlare dei volontari.

Una delle massime risorse economiche per il settore non profit è il lavoro dei volontari, lavoro a titolo gratuito che indubbiamente ha un consistente valore economico, equiparabile agli apporti a titolo di contributo o alle donazioni. 

Però il problema del lavoro dei volontari, spesso, è la sua discontinuità e, di conseguenza, la scarsa professionalità. 

È necessario che gli enti investano nella formazione degli operatori: come per i finanziamenti è necessario non solo l’apporto iniziale ma un flusso costante, così per il lavoro dei volontari è importante assicurarsene la continuità. 

Il Codice si preoccupa anche del lavoro dei volontari, dedicandovi il titolo III con gli art. 17 e ss. 

Definisce i volontari, stabilisce il divieto di remunerazione e di rimborso forfettario, l’incompatibilità con il ruolo di dipendente dell’ente, prescrive l’assicurazione obbligatoria, impegna la P.A. alla promozione della cultura del volontariato.

Sempre a questo proposito, possiamo ricordare una forma di finanziamento particolare da parte di alcune imprese, il cd volontariato di impresa: alcune aziende incentivano l’attività di volontariato dei loro dipendenti e coprono il costo orario del lavoro dedicato dai loro dipendenti agli enti non profit. Questa devoluzione del lavoro viene anche incentivata dalla legislazione fiscale che, all’art. 100 del T.U. delle imposte indirette, permette la deducibilità dei costi del personale impiegato in attività liberali.

Altro metodo con cui le imprese private possono apportare capitali al non profit consiste nell’outsourcing di alcune attività non strategiche, che possono essere affidate ad enti esterni, come le cooperative sociali, o in generale ETS i quali riescono a coinvolgere nel ciclo produttivo anche soggetti svantaggiati e così si finanziano. Queste attività godono di agevolazioni fiscali. 

Apro una parantesi sull’autofinanziamento. 

La riforma prevede in tema di autofinanziamento che gli ETS vengono considerati non commerciali in quanto svolgono, in via esclusiva o principale, una o più attività di interesse generale per il perseguimento senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale. 

Le attività di interesse generale si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi d’importo simbolico che coprono solo una quota del costo effettivo e, comunque, non superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale. 

Sono considerate non commerciali, inoltre, le attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale quando tutti gli utili vengano reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati o quando vengano affidate ad Università ed altri organismi di ricerca che la svolgono direttamente. 

Rappresenta attività istituzionale e non commerciale quella svolta dagli Enti del Terzo settore nei confronti dei propri associati, familiari e conviventi degli stessi, in conformità alle finalità istituzionali dell’Ente e le somme versate dagli associati a titolo di quote e contributi associativi. 

Non hanno natura commerciale le cessioni di proprie pubblicazioni, le somministrazioni di alimenti e bevande e l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici. 

Hanno invece carattere commerciale le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, le somministrazioni di pasti, le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore, nonché le prestazioni effettuate nell’esercizio di specifiche attività. 

L’Ente perde la qualifica di ente non commerciale, ma non quella di Ente del Terzo settore, qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta.

È previsto un regime contabile semplificato opzionale con tassazione forfettaria per le attività quando sono svolte con modalità commerciali. 

Un capitolo a parte meritano le fondazioni create dalle imprese, spesso in sinergia con il Pubblico. 

Sono Enti del Terzo settore dal punto di vista della struttura e delle finalità statutarie, ma in realtà sono finalizzate a creare sviluppo delle attività economiche operando su progetti specifici. Si parla infatti di “fondazioni di sviluppo”. 

Anche le c.d. “fondazioni comunitarie”, che si prefiggono lo scopo di coinvolgere in progetti e iniziative le comunità locali, con i privati, le imprese, gli enti e la pubblica amministrazione del territorio, operano creando reti per lo sviluppo e la socialità locale.

Un ulteriore moderno metodo di finanziamento da parte delle imprese commerciali a favore di enti non profit è dato dal ricorso a campagne promozionali destinate ai consumatori più sensibili, in cui acquisti e solidarietà si fondono, attuato attraverso donazioni dirette dei consumatori o indirette del produttore a favore di enti di solidarietà.

Ma il cuore del finanziamento delle attività degli enti, al di là delle attività che abbiamo visto volte all’organizzazione per il miglior sostegno economico in generale degli enti stessi, sta indubbiamente nella raccolta dei fondi.

Come abbiamo detto più volte, esigenza delle organizzazioni non profit è dotarsi di un flusso di denaro costante e duraturo. 

L’entusiasmo dell’inizio e il senso di responsabilità dei volontari vanno sempre scemando dopo il primo periodo di attività e sorge quindi il problema di come fare a mantenere l’impegno al raggiungimento degli obbiettivi istituzionali e mantenere in vita l’ente nel lungo periodo. 

Trascurerò volutamente il tema dei lasciti e delle donazioni di non modico valore, modali o meno, perché tema fin troppo noto ad una platea di notai. 

Una unica brevissima annotazione per ricordarvi il regime fiscale transitorio. 

L’art. 82 del Codice del Terzo settore contiene una previsione generale in favore degli ETS, indipendentemente dalla loro forma giuridica e dai loro scopi, escludendo solo le imprese sociali costituite in forma societaria.

In particolare l’art. 82 prevede che non sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni e alle imposte ipotecaria e catastale tutti gli atti di trasferimento a titolo gratuito a favore degli enti iscritti al RTS, comprese le cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma di società. 

Per beneficiare di questa esenzione, gli introiti derivanti dalla donazione devono essere utilizzati per lo svolgimento delle attività statutarie ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Questa finalità sarà da indicare nell’atto di donazione al momento di richiesta delle agevolazioni. 

La norma è già in vigore dal 1 gennaio 2018 per alcune categorie di enti, essendo una delle norme applicabili in via anticipata: le Onlus, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte nei relativi registri.

Quello della raccolta fondi è uno dei temi più considerati sia degli enti non profit che dai cittadini, in quanto la trasparenza delle azioni di raccolta e di impiego dei fondi sono percepiti come fattori di affidabilità e di credibilità del Terzo settore.

Della raccolta fondi si occupa il Codice del Terzo settore all’art. 7 dandone innanzitutto una definizione: 

«1. Per raccolta fondi si intende il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva.

2. Gli enti del Terzo settore, possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all'articolo 97 e il Consiglio nazionale del Terzo settore».

Il Consiglio Nazionale del Terzo settore è una sorta di “parlamentino”, istituito dalla riforma, organo consultivo con il compito, tra gli altri, di armonizzare la legislazione riguardante il Terzo settore (2).

Come si vede, la preoccupazione della trasparenza e della correttezza è una preoccupazione anche del legislatore, che si prefigge l’obbiettivo di un controllo su queste attività. 

Già nel 2008 erano state varate le Linee Guida per la raccolta dei fondi, da parte dell’Agenzia per il Terzo settore, Ente che operava fino al 2012 sotto la Presidenza del consiglio dei Ministri, ora assorbito dal Ministero del lavoro e delle Politiche sociali. 

Oggi, dopo l’entrata in vigore del Codice e in attesa delle Linee Guida ministeriali, proprio pochi giorni fa, il 27 marzo 2019, nel corso dell’assemblea nazionale dei soci del Forum del Terzo settore (che è l’associazione di enti del Terzo settore maggiormente rappresentativa sul territorio nazionale, in ragione del numero degli enti aderenti, parte sociale riconosciuta) sono state approvate le Linee Guida per le organizzazioni di Terzo settore, il documento che contiene «l’insieme dei diritti, dei doveri e delle responsabilità delle organizzazioni di Terzo settore nei confronti di tutti gli stakeholders e dell’interesse generale».

Le Linee Guida sono frutto di un lungo lavoro, partecipato e condiviso con i soci e con gli stakeholders esterni, che dovrà servire alle organizzazioni per autocertificare la qualità e la trasparenza del proprio operato. Secondo la portavoce del Forum, si tratta di «un percorso di natura culturale che ha l’obiettivo di responsabilizzare il Terzo settore, di aprirlo al confronto e al giudizio esterno e renderlo più trasparente e capace di mettere in luce i propri comportamenti virtuosi. Con questa delibera – dichiara la Portavoce – si avvia la fase di recepimento del Codice e del Protocollo da parte delle reti associative aderenti al Forum. Una scelta importante ed un passo in più per dotare il Paese di un Terzo settore eticamente orientato. Norme e vigilanza sono importanti per favorire trasparenza e legalità e la riforma del Terzo settore contiene molte previsioni in tal senso, ma l’etica delle organizzazioni è alimentata dalle persone che le guidano e processi culturali come quello del Codice di Qualità degli enti di Terzo settore hanno proprio l’intento di consolidare consapevolezza, intenzionalità e coerenza nei comportamenti di chi guida gli enti ai vari livelli».

Vi si scorge quindi una forte consapevolezza della necessità di una etica specifica, che guidi l’operato degli Enti, anche al di là degli obblighi di legge, condivisa dagli operatori del settore.

Altro argomento tradizionale nell’ambito del finanziamento degli ETS è il 5 per mille

Anche su questo argomento registriamo novità in seguito all’attuazione della Riforma del Terzo settore. Infatti uno dei tre decreti attuativi della legge n. 106 del 2016 di delega al Governo per la riforma del Terzo settore riguarda proprio l’istituto del cinque per mille (d.lgs. n. 111 del 2017). 

Le nuove norme che disciplinano la destinazione delle somme in base alle scelte effettuate dai contribuenti vanno a completare quelle persistenti ed eliminano molte perplessità che si erano evidenziate in passato.

L’istituto del 5 per mille è una misura di sussidiarietà fiscale, introdotta per la prima volta dalla Finanziaria 2006. 

Come sappiamo, permette al contribuente di destinare direttamente una quota Irpef pari al 5 per mille ad enti che svolgono attività socialmente rilevanti. 

L’istituto presentava molti problemi applicativi, perché frutto di una disciplina inizialmente provvisoria e man mano implementata. 

Il problema principale ha riguardato sino ad ora l’identificazione degli enti beneficiari: il numero degli enti va man mano aumentando, ma siccome il vaglio delle domande non dipende dal Ministero ma da molteplici Amministrazioni, gli elenchi vengono pubblicati con lentezza e questo crea incertezze nelle erogazioni. 

In seguito alla riforma il problema dovrebbe andare incontro alla definitiva risoluzione. 

In particolare la riforma amplia la platea dei soggetti destinatari, che erano solo alcune specifiche categorie di enti, mentre da adesso in poi saranno tutti gli enti iscritti nel Registro del Terzo settore e pertanto non ci dovrebbero essere più dubbi e incertezze.

Questa disposizione avrà però effetto a decorrere dall’anno successivo a quello di operatività del registro. Fino all’attuazione del RTS continuano a ricevere i contributi gli enti già ammessi. 

Una novità interessante riguarda il limite minimo erogabile a ciascun ente: per evitare un eccessivo frazionamento, se l’ente non raggiunge una cifra minima di erogazioni da parte dei contribuenti, può non ricevere nulla. 

I beneficiari dei fondi del 5 per mille non possono utilizzare le somme percepite a tale titolo per pubblicità rivolte a sensibilizzare i contribuenti.

Ai fini della trasparenza, devono redigere un apposito rendiconto, accompagnato da una relazione illustrativa, da cui risulti in modo chiaro, trasparente e dettagliato l’uso delle somme, e mandarlo all’Amministrazione erogatrice.

I beneficiari hanno anche l’obbligo di pubblicare sul proprio sito web gli importi percepiti e il rendiconto, dandone comunicazione all’Amministrazione erogatrice. E a sua volta l’Amministrazione erogatrice deve pubblicare sul proprio sito web tutte le somme erogate, con il link al sito dell’ente beneficiario.

Il capo III del Codice è dedicato a specifiche misure di sostegno per gli ETS.

Di particolare interesse sono gli articoli 77 relativo ai titoli di solidarietà e l’art. 78 che disciplina il social lending.

Una delle motivazioni forti alla base della riforma è stata senza dubbio la necessità di riordinare e razionalizzare la disciplina delle misure agevolative e di sostegno economico agli ETS, espressa esplicitamente nella legge delega. 

Un ruolo chiave continua ad essere giocato dalla disciplina fiscale e tributaria, ma nella riforma risulta evidente anche lo sforzo di trovare nuovi canali di finanziamento, forme innovative di reperimento di capitali, che si affiancano alle donazioni agevolate e incentivate fiscalmente e al 5 x mille, che sono rappresentati dagli strumenti della finanza sociale, a cui il Codice dedica in particolare il titolo IX del capo III [[3]].

In realtà la legge delega aveva una visione più ampia, auspicando lo sviluppo di strumenti di finanza sociale e indicando espressamente come principio l’introduzione di meccanismi volti alla diffusione dei titoli di solidarietà e di altre forme di finanza sociale finalizzate ad obbiettivi di solidarietà. 

Il legislatore delegato ha invece usato più cautela e si è limitato a disciplinare due soli strumenti: come abbiamo detto, i titoli di solidarietà e il social lending (con riferimento ai gestori di portali e con riferimento ai soggetti che prestano soldi attraverso i portali stessi).

Quanto ai primi, in sostanza, gli istituti di credito possono emettere obbligazioni e altri titoli di debito, non collegati a strumenti derivati, per sostenere esclusivamente le attività degli enti del Terzo settore, senza commissioni di collocamento.

Il social lending, previsto e regolato dall’art. 78, invece è uno dei modi con cui si può configurare il crowdfunding

È un prestito alla pari che passa attraverso un portale in cui si incontrano prestatori e richiedenti, disintermediando così il processo di erogazione dei prestiti. 

In Italia la normativa di riferimento è rappresentata dalle disposizioni di carattere generale dettate dalla Banca d’Italia per la raccolta di risparmio dei soggetti diversi dalle Banche (Sezione IX del Provvedimento 8 novembre 2016), che definisce il social lending e fissa i termini entro cui può essere svolto senza incorrere nella riserva di attività di raccolta di risparmio tra il pubblico disposta a favore delle banche. 

Per questi prestiti è previsto dal Codice che i gestori dei portali operino una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta pari al trattamento fiscale previsto per le obbligazioni e i titoli di Stato. 

Per i soggetti, che al di fuori dell’attività d’impresa, prestano fondi attraverso questi portali, la remunerazione costituisce reddito di capitale.

I titoli di solidarietà hanno una storia più lunga[4]. Sono stati introdotti nel 1997 con il d.lgs. 460 per consentire una nuova specie di raccolta fondi destinati alle Onlus e poi regolamentati da un decreto attuativo del 1999, di fatto superato dall’introduzione dell’Euro.

Il mercato poi si è orientato verso altri strumenti, i social bond, che hanno di fatto ispirato la disciplina dei nuovi titoli di solidarietà di cui all’art. 77 del Codice del Terzo settore. 

L’art. 77 prevede che le banche italiane, comunitarie o extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia, in osservanza alle norme del TUB, possano emettere obbligazioni e altri titoli di debito nonché certificati di deposito con l’obiettivo di sostenere le attività istituzionali degli ETS. 

In particolare il primo comma dell’art. 77 fissa la finalità: 

«Al fine di favorire il finanziamento ed il sostegno delle attività di cui all'articolo 5, svolte dagli enti del Terzo settore non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, iscritti al Registro di cui all'articolo 45, gli istituti di credito autorizzati ad operare in Italia, in osservanza delle previsioni del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, di seguito “emittenti” o, singolarmente, l' “emittente”, possono emettere specifici “titoli di solidarietà”, di seguito “titoli”, su cui gli emittenti non applicano le commissioni di collocamento».

Il secondo comma indica che possono esserci due tipi di titoli: 

«2. I titoli sono obbligazioni ed altri titoli di debito, non subordinati, non convertibili e non scambiabili, e non conferiscono il diritto di sottoscrivere o acquisire altri tipi di strumenti finanziari e non sono collegati ad uno strumento derivato, nonché certificati di deposito consistenti in titoli individuali non negoziati nel mercato monetario».

Il 4° comma indica le caratteristiche del titolo: 

«4. Le obbligazioni e gli altri titoli di debito di cui al comma 3 hanno scadenza non inferiore a 36 mesi, possono essere nominativi ovvero al portatore e corrispondono interessi con periodicità almeno annuale, in misura almeno pari al maggiore tra il tasso rendimento lordo annuo di obbligazioni dell'emittente, aventi analoghe caratteristiche e durata, collocate nel trimestre solare precedente la data di emissione dei titoli e il tasso di rendimento lordo annuo dei titoli di Stato con vita residua similare a quella dei titoli. I certificati di deposito di cui al comma 3 hanno scadenza non inferiore a 12 mesi, corrispondono interessi con periodicità almeno annuale, in misura almeno pari al maggiore tra il tasso rendimento lordo annuo di certificati di deposito dell'emittente, aventi analoghe caratteristiche e durata, emessi nel trimestre solare precedente la data di emissione dei titoli e il tasso di rendimento lordo annuo dei titoli di Stato con vita residua similare a quella dei titoli. Gli emittenti possono applicare un tasso inferiore rispetto al maggiore tra i due tassi di rendimento sopra indicati, a condizione che si riduca corrispondentemente il tasso di interesse applicato sulle correlate operazioni di finanziamento secondo le modalità indicate nel decreto attuativo di cui al comma 15. A tale fine, gli emittenti devono essere in grado di fornire un'evidenza, oggetto di approvazione da parte del relativo organo amministrativo, dei tassi ordinariamente applicati sulle operazioni di raccolta e sulle operazioni di impiego, equivalenti per durata, forma tecnica, tipologia di tasso fisso o variabile e, se disponibile, rischio di controparte».

Il 5° comma prevede invece un incentivo per la Banca, oltre alla soddisfazione morale:

«5. Gli emittenti possono erogare, a titolo di liberalità, una somma commisurata all'ammontare nominale collocato dei titoli, ad uno o più enti del Terzo settore di cui al comma 1, per il sostegno di attività di cui all'articolo 5, ritenute meritevoli dagli emittenti sulla base di un progetto predisposto dagli enti destinatari della liberalità. Qualora tale somma sia almeno pari allo 0,60 per cento del predetto ammontare agli emittenti spetta il credito d'imposta di cui al comma 10».

Il 6° comma stabilisce il concetto di corrispondenza biunivoca tra raccolto e collocato: 

«6. Gli emittenti, tenuto conto delle richieste di finanziamento pervenute dagli enti del Terzo settore e compatibilmente con le esigenze di rispetto delle regole di sana e prudente gestione bancaria, devono destinare una somma pari all'intera raccolta effettuata attraverso l'emissione dei titoli, al netto dell'eventuale erogazione liberale di cui al comma 5, ad impieghi a favore degli enti del Terzo settore di cui al comma 1, per il finanziamento di iniziative di cui all'articolo 5».

Si tratta, in sintesi, di obbligazioni (della durata minima di 36 mesi) e altri titoli di debito nonché certificati di deposito (con scadenza non inferiore a 12 mesi) che gli Istituti di credito possono emettere per finanziare esclusivamente gli impieghi a favore degli enti del Terzo settore.

Il regime fiscale viene equiparato a quello dei titoli di Stato (pari al 12,50%).

Il fatto che non siano collegati ad uno strumento derivato significa che non possono subire perdite superiori all’esborso sostenuto per l’acquisto e che non possono, di converso, godere di rendimenti superiori a quelli nominali.

In caso di eventuale liberalità, prevista a favore di un ente del Terzo settore (non inferiore allo 0,60% dell’emissione), sarà riconosciuto alla Banca un credito di imposta pari al 50% dell’importo della stessa. È richiesto però che il percipiènte presenti un progetto. 

L’intera raccolta in titoli di solidarietà, meno le erogazioni, è destinata ad impieghi a favore di ETS di cui al 1° comma per le finalità di cui al 5° comma. Solo a favore degli enti non commerciali, quindi sono escluse le imprese sociali.

Inoltre tali titoli potranno essere quotati su Extramot (ExtraMOT è il nuovo sistema multilaterale di negoziazione di Borsa Italiana per gli strumenti obbligazionari) con la qualifica da parte di Borsa Italiana di “social bond”.

Importante da ricordare per i notai: i titoli di solidarietà non concorrono alla formazione dell’attivo ereditario (comma 12).

Come abbiamo detto, il Terzo settore non può mantenere la propria presenza e attività se non con l’aiuto pubblico

Il Codice del Terzo settore interviene prevedendo una lunga serie di interventi di supporto, oltre quelli che abbiamo già incontrato nel corso di questa conversazione:

– l’accesso al credito agevolato previsto per le cooperative viene esteso agli ETS;

– è prevista l’attribuzione a titolo gratuito di locali per lo svolgimento delle attività e di spazi per le manifestazioni;

– sono previste misure finanziare specifiche, oltre al fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale del Terzo settore istituito con la legge n. 106 del 2016;

– sono previste agevolazioni fiscali di vario tipo per le imposte sui redditi e per i tributi locali; 

– è istituito un social bonus, cioè un credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro destinate al recupero di beni pubblici inutilizzati o confiscati alla criminalità organizzata;

– è prevista la detraibilità e deducibilità per le erogazioni liberali.

Norme di particolare interesse sono previste per le imprese sociali.

Alle imprese sociali, di cui si allargato l’ambito di competenza, si è riconosciuta una limitata possibilità di ripartire gli utili. 

In cambio di specifici obblighi di trasparenza e nuove regole di governance, sono state attribuite importanti agevolazioni fiscali, come la detassazione degli utili e delle somme reimpiegati nelle attività e la detrazione Irpef del 30% sulle somme investite dai contribuenti nella società. 

Queste misure aprono al concetto di utile nel mondo del non profit e dovrebbero incentivare l’apporto di capitale di rischio in queste realtà. 

Infine, sempre in tema di sostegno economico al Terzo settore, dobbiamo ricordare che la riforma ha anche introdotto la “Fondazione Italia sociale”, ente che dovrebbe sostenere, tramite l’ausilio di capitali e competenza gestionali, il compimento di progetti innovativi ad elevato impatto sociale. 

Oltre alla dotazione iniziale di fondi pubblici, la fondazione dovrebbe raccogliere donazioni private e lasciti testamentari da amministrare. 

Costituisce una sorta di fondo di intermediazione filantropica, che offre ai donatori la possibilità di vedere amministrato il proprio patrimonio secondo le indicazioni fornite senza dover procedere alla costituzione di un nuovo ente privato, anche mediante piccole donazioni che unite tra loro possono realizzare finalità più ambiziose impossibili per il singolo. 



[1] M. GRUMO, Le misure di sostegno al finanziamento degli Enti del Terzo Settore e delle imprese sociali previste dalla riforma: autofinanziamento, liberalità e finanziamento, in Non profit paper, Roma, 51 ss.

[2] A. PROPERSI – G. ROSSI, Gli Enti Non Profit, Milano, 629 ss.

[3] «Articolo 97 Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 – Art. 97 Coordinamento delle politiche di governo In vigore dal 03/08/2017

1. È istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, una Cabina di regia con il compito di coordinare, in raccordo con i ministeri competenti, le politiche di governo e le azioni di promozione e di indirizzo delle attività degli enti del Terzo settore.

2. Ai fini di cui al comma 1, la Cabina di regia:

a) coordina l'attuazione del presente codice al fine di assicurarne la tempestività, l'efficacia e la coerenza ed esprimendo, là dove prescritto, il proprio orientamento in ordine ai relativi decreti e linee guida;

b) promuove le attività di raccordo con le amministrazioni pubbliche interessate, nonché la definizione di accordi, protocolli di intesa o convenzioni, anche con enti privati, finalizzati a valorizzare l'attività degli enti del Terzo settore e a sviluppare azioni di sistema;

c) monitora lo stato di attuazione del presente codice anche al fine di segnalare eventuali soluzioni correttive e di miglioramento.

3. La composizione e le modalità di funzionamento della Cabina di regia sono stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice, assicurando la presenza di rappresentanti del sistema degli enti territoriali. La partecipazione alla Cabina di regia è gratuita e non dà diritto alla corresponsione di alcun compenso, indennità, emolumento o rimborso spese comunque denominato.

4. All'attuazione del presente articolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».


[4] E. BANI, I titoli di solidarietà e le altre forme di finanza sociale nel codice del Terzo settore, in Il codice del Terzo settore. Commento al Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, Firenze, 381.