La trascrizione dell’accordo di negoziazione assistita per nullaosta del p.m. a proposito di notariato e giurisdizione
Ordinario di Diritto processuale civile, Università di Napoli Federico II
Un caso di delegittimazione del ruolo notarile e di tentazione all’autosufficienza della magistratura
Notariato e giurisdizione civile - nonostante ogni consapevolezza, anche storica[1] - non riescono a integrare le loro capacità e i punti normativi di tangenza delle rispettive funzioni si traducono talvolta in attrito, conflitti e divergenze in ultimo foriere di compromettere l’effettività quando non l’immagine complessiva del servizio pubblico di giustizia.
Caso recente è quello del Tribunale di Pordenone che, con provvedimento del 17 marzo scorso, ha ordinato al Conservatore dei Registri immobiliari la trascrizione di un trasferimento immobiliare già oggetto di rifiuto siccome l’atto era stato convenuto nell’ambito di negoziazione assistita per la separazione tra coniugi, ma in presenza della sola certificazione di autografia dei difensori, e dunque privo dell’autenticazione notarile voluta dall’art. 5, comma 3 d.l. n. 132 del 2014, convertito in l. n. 162 del 2014[2].
L’invalidità e l’illegittimità dell’ordine di trascrizione del 17 marzo 2017 del Tribunale di Pordenone
Si ricorderà che «l’accordo [deve essere] sottoscritto dalle parti e dagli avvocati» (comma 1); «gli avvocati [devono aver] certifica[to] l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico» (comma 2); «se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» (comma 3). Ai sensi del comma 2 dell’art. 6, poi, l’«accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita» va sottoposto, quando concerne la separazione dei coniugi, al vaglio del «Procuratore della Repubblica […] il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti [ulteriori]», principiando dalla trasmissione della copia all’ufficiale dello stato civile.
Ora, in disparte l’anomalia di un provvedimento preso dal collegio e non già dal Presidente del Tribunale, l’art. 113-bis disp. att. del c.c. dispone che, qualora il conservatore «non riceva i titoli e le note ai sensi dell’art. 2674 del codice», «la parte può avvalersi del procedimento stabilito nell’art. 745 del codice di procedura civile»; e - quest’ultimo - che in caso di «rifiuto […] da parte di depositari [di pubblici registri] l’istante può ricorrere […] al presidente del tribunale» -, appare anzitutto ingiustificabile, de lege lata, considerare la «certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni da parte degli avvocati» un equipollente dell’«autentica delle sottoscrizioni da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».
Due sono, infatti, le alternative logiche concepibili sulla base del diritto scritto: o che il controllo formale del P.M. si estende a tutti i sopra elencati requisiti; in altri termini, che al fine di accertare la regolarità di qualsivoglia “accordo” il P.M. debba verificare la sussistenza (i) delle sottoscrizioni delle parti, (ii) delle relative certificazioni degli avvocati e, qualora si debba procedere alla trascrizione dell’accordo, (iii) della prescritta autentica da parte di pubblico ufficiale ad hoc (il notaio, ai sensi dell’art. 2703 c.c.); ovvero che il controllo del P.M. debba limitarsi ai primi due requisiti formali, con (implicita) esclusione della verifica circa la sussistenza, qualora si debba procedere alla trascrizione, della (comunque prescritta) autentica dell’accordo da parte del pubblico ufficiale competente: seguendo quest’ultima opzione, la verifica ulteriore sopra la sussistenza di tale autentica sarebbe soltanto trasferita al conservatore dei registri immobiliari (ex art. 2657 c.c.) e sottratta alla (altrimenti ineludibile) responsabilità del magistrato (anche a norma della l. n. 18 del 2015).
Si vera sunt exposita, l’atto di cui il Provvedimento ha ordinato la trascrizione non potrebbe mai ritenersi titolo idoneo alla trascrizione stessa in quanto o il nullaosta del P.M. è stato emesso in carenza dei presupposti per il suo rilascio ovvero il documento risulta(va) comunque mancante della prescritta autentica del pubblico ufficiale.
Sennonché, il provvedimento, evidentemente consapevole dell’obiezione che si sarebbe potuta recare in ragione di tale - e assai piana - applicazione della legge scritta, propone in via “dirimente” una generale equiparazione tra «l’Accordo di negoziazione (munito di nullaosta/autorizzazione) ai provvedimenti giudiziali», qui richiamando l’incipit del comma 3 dell’art. 6, laddove «l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono […] i procedimenti di separazione personale».
Si tratta di affermazione - stanti i principi della tutela costitutiva sottesi all’art. 2908 c.c.[3] - che ignora la ragione (di necessarietà) della previsione legislativa di equipollenza del nuovo atto ai “provvedimenti giudiziali” capaci di incidere sullo status dei coniugi; anzi, la confonde con una arbitraria volontà di equiparazione tout court tra contratto risolutivo degli obblighi matrimoniali (con eventuali accessori di diritto reale) e sentenza restitutiva dello stato libero. Invece, l’atto che si produce in esito al procedimento di cui all’art. 6, comma 3, d.l. 132 del 2014 “tiene luogo” di un provvedimento giudiziale ai limitati fini ivi previsti (e per i motivi di coerenza al sistema di tipicità legale e riserva giurisdizionale delle fattispecie modificative di status[4]) senza poter essere (e senza alcun bisogno di trasformarsi ad altri fini in) un “provvedimento giudiziale”, per tale obliqua via suscettibile di trascrizione. Del resto, se è vero che ricorrono “altri atti” cui la legge attribuisce discrezionalmente la idoneità alla trascrizione, qui sarebbe la stessa legge ad averla - parimenti in maniera discrezionale, se si vuole - esclusa mediante l’art. 5, comma 3, cit. dove sono elencati espressamente i requisiti formali dell’ “accordo” perché valga pure quale titolo per la trascrizione.
Le strategie di contrasto al disconoscimento sociale e politico delle funzioni del Notariato:
È chiaro, però, che il deliberato sacrificio di ogni seria interpretazione dello jus positum per la ricerca di uno jus in fieri di crescente produzione giudiziaria e sfrenata fuga dalla legge scritta (con corrispondente irrefrenabilità degli esiti applicativi i più impredittibili) muove da un disconoscimento sociale e politico della funzione del notariato di cui la magistratura si fa interprete, con tipica quanto frequente vocazione all’autosufficienza.
- Dall’eccellenza attestata da registering property di doing business
Quale strategia di contrasto appare certamente naturale che il Notariato insista, allora, sull’efficienza e infungibilità del proprium, a cominciare dall’osservazione che un sistema di pubblicità legale ben funzionante integra in misura essenziale - al pari di altre opzioni di sistema qual è, per es., il numero chiuso dei titoli acquisitivi su base esclusivamente legale - la “garan[zia]” costituzionale dell’ art. 42 circa “i modi di acquisto” della “proprietà” da parte dei “privati”, cui i beni appartengono, nonché del relativo “godimento”. Per Costituzione, allora, chiunque acquista un immobile deve poter contare anche sulla affidabilità delle risultanze dei pubblici registri, e così sapere con ragionevole certezza chi è il proprietario che può disporne, se vi gravano limitazioni etc. Oggi, con le reti telematiche, la facilità di accesso ai dati contenuti nei pubblici registri è accresciuta, il che non riduce ma, anzi, aumenta l’esigenza che i dati immessi assicurino un alto livello di sicurezza giuridica. Perciò è necessario il più serio controllo in ingresso sull’integrità degli atti che sono destinati alla pubblicazione: controllo in ingresso che - allo stato della legislazione - meglio pare attuabile per scrutinio di un terzo professionalmente attrezzato e funzionalmente imparziale. E in ciò, senz’altro, si fa difficilmente surrogabile la funzione notarile, intesa in maniera oggettiva quale esito di una articolata struttura pubblica nella quale i singoli ufficiali roganti costituiscono terminali di un complessivo apparato istituzionale che offre attualmente un’ottima performance. Tra quelle censite dalla nota rilevazione annuale di doing business[5], come risulta dal Rapporto 2017 della Banca mondiale, il capitolo registering property indica la posizione dell’Italia nella graduatoria dei 189 paesi nella fascia più alta (24), superiore alla media Ocse e migliore rispetto a molti dei principali paesi industrializzati[6].
- Alla prospettiva di un’osmosi con le funzioni giudiziarie in epoca di dejudiciaritation
Ma, a mio parere, il Notariato non deve insistere nell’apposizione continua di ceppi di confine nei confronti delle libere professioni, quanto piuttosto promuovere la sua distinzione da queste, soprattutto fondata sulla diversità della selezione d’ingresso, e, per tale via, le sue ragioni di maggiore prossimità allo statuto dei funzionari giudiziari nelle cui attribuzioni trovare infine solido ancoraggio (più che mai) ora che si è giunti al tempo, come bene usa dire in Francia, della dejudiciaritation e del droit collaboratif.
Del resto, se per la giurisdizione (quella per natura non riducibile né contaminabile) è addirittura la Costituzione, sol che si consideri la previsione dell’ art. 106, comma 3 (e l’attuazione ricevutane per l. n. 303 del 1998), a ricercare l’ibridazione culturale dei suoi funzionari di vertice mediante l’apertura della Corte suprema agli “estranei alla magistratura” (per “meriti insigni”), dal diverso incontro organico tra magistratura e Notariato potrebbero generarsi sedi capillarmente diffuse per un’amministrazione convergente, quando non comune, di determinati affari, rivitalizzando l’unicità del notaio tra gli ausiliari del giudice che è attestata dall’art. 68, comma 2, c.p.c. e farne premessa di uno stabile assessorato notarile dell’ufficio giudiziario (per es., nelle materie dell’esecuzione forzata, dei rapporti successori e di diritto reale in genere ovvero dei procedimenti in camera di consiglio).
Data la nomina comune “per concorso”, nel progresso avanzato dell’esperienza delle funzioni di ciascuno, magistrato e notaio, potrebbero ricercarsi forme di contiguità finanche osmotica tra le stesse, senza escludere la possibilità di scambio di ruoli vero e proprio quale effettivo inveramento di quell’ integrazione e circolarità delle culture professionali che vanamente si è tentata di suscitare sin qui con le Scuole di specializzazione delle professioni legali: potrebbe darsi un nuovo caso di law in action che supera e smentisce quella in the books.
[1] Cfr. P. ZANELLI, Note minime su funzioni giurisdizionali e notarili, in Contr. impr., 2017, 31 ss.
[2] La norma dell’art. 5, comma 3, d.l. n. 132 del 2014, trova un precedente nell’ art. 11, comma 3, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28: «3. Se è raggiunto l'accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato». Ora, con riguardo a quest’ultima norma - largamente riproduttiva delle medesime ragioni fondanti l’omologa scelta compiuta in ambito di negoziazione assistita (è questa opinione unanime: sul punto v. C. CONSOLO, Un d.l. processuale in bianco e nerofumo sullo equivoco della “degiurisdizionalizzazione”, in Corr. giur., 2014, 1173) - si è registrata una larga prevalenza interpretativa nel senso che “quanto agli atti soggetti a trascrizione, la disposizione evoca solo quelli «previsti dall’art. 2643 c.c.», ma non vi sono difficoltà nel ritenere che la medesima disciplina vada estesa a tutti gli altri atti soggetti a trascrizione (ad esempio quelli degli artt. 2645, 2645-bis, 2645-ter, 2647, 2648, 2649 c.c.) (R. TISCINI, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011, 259). Soltanto così, invero, si «evita […] l’interruzione della catena di certezze fondate sull’asse atto autentico - pubblicità legale, ricavabile dal combinato disposto degli articoli 2699, 2700, 2657, 2436 (e dalle altre disposizioni di legge sugli adempimenti pubblicitari)» (E. FABIANI - M. LEO, Prime riflessioni sulla “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” di cui al d.lgs. n. 28/2010, in Riv. not., 2010, 923), il che implica di dover necessariamente «assegnare al richiamo operato dall’art. 11 d.lgs. 28/2010 all’art. 2643 c.c. il significato di rinvio all’intero sistema della pubblicità dei registri immobiliari» (E. FABIANI - M. LEO, Prime riflessioni, cit., 931).
[3] Cfr., se si vuole, il mio Requiem per la giurisdizione costitutiva?, in Riv. dir. proc., 2016, 1564.
[4] Un’ulteriore osservazione sembra consentita: che il principio di corrispondenza tra ciò che è conseguibile per via di negoziazione assistita e ciò che lo è per via di sentenza giudiziaria postula che l’effetto di cui si discute sia del tipo per cui una corrispondenza biunivoca realmente possa predicarsi, mentre è noto che anche in rapporto a diritti disponibili non ogni effetto, esemplarmente quello di accertamento dell’acquisito a titolo originario della proprietà, può darsi per via di negozio come di sentenza, essendo a quest’ultima riservato un monopolio produttivo essenziale. Questo rilievo dà significato ulteriore alla previsione fondamentale circa i titoli trascrivibili nei pubblici registri, identificati soltanto con atto pubblico e scrittura privata autenticata da pubblico ufficiale (le particolari ipotesi di attestazione di identità, di autografia etc. confidate funzionalmente ad altri professionisti istituzionalmente legati alla cura di interessi di parte - come avviene all’interno delle previsioni dello stesso d.l. n. 132 in analisi - non vengono mai dotate di idoneità alla spendita diretta nei pubblici registri); dove, in ogni caso, il controllo preventivo del pubblico ufficiale (almeno) autenticante assicura che il rischio di introdurre nel circolo pubblicitario dati impropri sia estremamente basso. Si consideri, infatti, come - a far tempo dalla modifica dell’art. 28 della Legge notarile per l. 28 novembre 2005, n. 246 - il controllo di legalità formale e sostanziale del notaio viene a svolgersi anche in relazione agli atti di cui egli non è redattore ma ai quali concorre soltanto per l’autentica delle sottoscrizioni (cfr. anche artt. 48 e 42 Principi di deontologia professionale), specialmente quando - come nel caso di scritture private destinate a trascrizione o iscrizione per fini di “pubblicità immobiliare o commerciale” (art. 72, comma 3, legge notarile) - il pubblico ufficiale deve farsi anche depositario dell’esemplare e, così, dare ingresso nel circuito pubblico all’atto di conio privato.
[5] In questa parte non attinto dalle recenti e non piccole riserve avanzate con dovizia di dati da M. MORANI, Molte buone ragioni per non citare più il rapporto “Doing business” in tema di giustizia civile, in Foro it., 2017, V, 130.