Giuffré Editore

Trasformazione e scissione di enti e società senza impresa

Guido Salanitro

Notaio in Catania, Ordinario di Diritto tributario, Università di Catania



1. Imposta di registro e atti societari nella più recente giurisprudenza

Alcune recenti decisioni della Corte di Cassazione hanno riacceso il faro sulle norme relative all’applicazione dell’imposta di registro, e delle altre imposte indirette sui trasferimenti, agli atti societari e degli enti di varia natura[[1]].

Si tratta di ipotesi normalmente trascurate dalla dottrina, dalla prassi e dalla giurisprudenza in materia tributaria, in quanto si tratta di atti che, in applicazione di dette norme, scontano l’imposta in misura fissa, salvo l’applicazione delle imposte proporzionali in occasione del conferimento di immobili.

Una disciplina, quindi, abbastanza semplice, dovuta non tanto a scelte di politica fiscale (favorire gli investimenti a fini produttivi[[2]]) o in ossequio di ricostruzioni di diritto civile e commerciale[[3]], ma alla direttiva 69/335/CEE e direttiva 2008/7/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, concernenti le imposte indirette sulla raccolta di capitali, le quali in generale vietano di assoggettare ad alcuna forma di imposta indiretta i suddetti atti[[4]].

Naturalmente, negli anni, come vedremo, ci si è posti il problema di fissare i confini di applicazione di detta disciplina, ma nell’anno appena trascorso si sono risollevate alcune questioni, con decisioni che in qualche modo avallano gli ormai consueti orientamenti dell’Agenzia delle entrate diretta a scegliere sempre la soluzione fiscalmente più onerosa[[5]].

In particolare, si vuole qui focalizzare l’attenzione sulle decisioni in materia di trasformazione di enti non lucrativi e sulla tassazione di società senza impresa.

Si tratta di questioni che girano intorno alla lettera dell’art. 4, che fa riferimento all’esercizio di attività commerciali o agricole come oggetto esclusivo o principale e alle società di ogni tipo e oggetto[[6]]. E della lettera delle lettere (il lettore scusi il gioco di parole) b) e c) che sembrano non prevedere il menzionato limite delle attività commerciali o agricole[[7]]. Lo stesso articolo 50, relativo alla base imponibile, crea incertezze in quanto nel titolo non contiene il riferimento alle attività, inserito poi nel testo della norma, e per le società non riporta l’inciso «di ogni tipo e oggetto».

Ne discende quindi il dubbio se le norme si applichino a tutte le società, o solo alle società aventi ad oggetto l’attività commerciale o agricola, e se i principi sottesi all’art. 4 si possano estendere a tutti gli enti, anche non aventi siffatto oggetto[[8]]. Il tutto reso ancor più complicato dal fatto che non è facile incontrare società senza impresa[[9]] o associazioni e altri enti con impresa[[10]].


2. Trasformazione di associazione sportiva dilettantistica in società a responsabilità limitata

La prima decisione che ha ispirato questa breve relazione ha avuto ad oggetto un atto con il quale un’associazione sportiva dilettantistica si è trasformata nel 2010 in una società a responsabilità limitata non dilettantistica[[11]]. Nella relativa perizia risultava un valore di circa euro 200.000,00, collegato in particolare ad un immobile di proprietà dell’associazione.

All’atto, oggetto anche di trascrizione e voltura, venivano applicate le imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa, in forza dell'articolo 4, comma 1, lett. c), della tariffa parte I, del d.P.R. n. 131 del 1986, ove è prevista l'imposta di registro nella misura fissa di euro 168,00 (oggi 200), qualora gli atti posti in essere consistano in «altre modifiche statutarie, comprese le trasformazioni e le proroghe».

L’Agenzia delle entrate notificava un avviso di liquidazione dell'imposta con irrogazione delle sanzioni, applicando le imposte in esame in misura proporzionale, sul presupposto che venisse in rilievo non un atto di trasformazione, ma di conferimento ad una società commerciale.

Fin qui nulla di strano. Il notaio ha ritenuto verosimilmente (o forse per errore) di applicare la disciplina di fondo dell’art.4, ritenendola espressione di un principio generale[[12]]. L’Agenzia ha applicato la tesi più aderente alla lettera della norma. È la motivazione della Corte di Cassazione che solletica sia il pratico che il teorico.

Per i Supremi giudici il presupposto della tassazione in misura fissa della trasformazione è l'assoggettamento dell'atto costitutivo (o del precedente incremento di capitale o patrimonio sociale) ad un tributo proporzionale, che abbia colpito ab origine la relativa manifestazione di capacità contributiva[[13]].

L’asserzione è motivata in base alla combinata lettura dei vari commi dell’art. 4. In particolare, l'articolo 4, comma 1, lett. a), n. 2, della tariffa parte I, del d.P.R. n. 131 del 1986, prescrive un'aliquota del 4% per l'imposta di registro in ordine agli atti di costituzione e aumento del capitale o patrimonio sociale propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi delle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole, che avvengano tramite «conferimento di proprietà o diritto reale di godimento su fabbricati destinati specificamente all'esercizio di attività commerciali e non suscettibili di altra destinazione senza radicale trasformazione nonché su aree destinate ad essere utilizzate per la costruzione dei suddetti fabbricati o come loro pertinenze, sempreché i fabbricati siano ultimati entro cinque anni dal conferimento e presentino le indicate caratteristiche».

L'articolo 4, comma 1, lett. c), della tariffa, prevede invece «l'imposta di registro nella misura fissa per le altre modifiche statutarie, comprese le trasformazioni e le proroghe». L’imposta in misura fissa collegata alla trasformazione è giustificata, secondo la Cassazione, dalla applicazione dell’imposta proporzionale in sede di costituzione.

Nel caso in ispecie, continua la Corte, l’associazione sportiva dilettantistica è stata costituita con il pagamento dell’imposta in misura fissa, in forza dell'articolo 90, comma 5, della legge n. 289 del 2002 per il quale «Gli atti costitutivi e di trasformazione delle società e associazioni sportive dilettantistiche, nonché delle Federazioni 'sportive e degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI direttamente connessi allo svolgimento dell'attività sportiva, sono soggetti all'imposta di registro in misura fissa» .

Se l’associazione si fosse trasformata in «società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro», l’applicazione dell’imposta in misura fissa sarebbe stata giustificabile. Ma essendosi trasformata in società lucrativa, la ratio alla base della norma “agevolativa” viene meno e trova applicazione l’imposta in misura fissa.

Le argomentazioni della Cassazione, pur ben articolate e motivate, lasciano perplessi, ponendosi nel solco di quelle numerose decisioni che cercano di accogliere sempre le posizioni dell’Agenzia[[14]], trovando argomentazioni raffinate e a prima vista convincenti.

Lascia perplessi, innanzitutto, la motivazione, che al di là del principio di diritto esplicitamente riferito alla sola fattispecie oggetto del giudizio[[15]], potrebbe trovare applicazione in altre ipotesi. Si immagini il notaio e il tassatore che, nel determinare il tributo applicabile ad una trasformazione, o perché no, ad una fusione o scissione, andrà a verificare le modalità di tassazione dell’atto costitutivo, o perché no, del conferimento, o dell’acquisto dell’immobile[[16]].

Si tratta di un’argomentazione che, benché forse già affacciatasi in dottrina[[17]], non trova fondamento nel testo dell’art. 4.

L’imposta in misura fissa è prevista per le trasformazioni in via generalizzata, senza consentire una diversa interpretazione basata sulla precedente imposizione della costituzione in misura proporzionale. La sua giustificazione è normalmente ravvisata nella sostanziale continuità tra il soggetto preesistente e quello successivo alla trasformazione, in linea con quanto previsto dall’art. 2498 c.c.[[18]]. Il soggetto è lo stesso. Lo ricorda la stessa sentenza, richiamando un suo precedente, laddove riporta la massima per la quale «La trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge ancorché connotato di personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all'originaria organizzazione societaria» (Cass., sez. 6 - L, n. 23030 del 22 ottobre 2020).

Forse la Corte nel ragionare intorno all’alternanza tra imposta proporzionale e imposta fissa è stata indotta dal timore della costituzione di un’associazione dilettantistica al solo scopo di godere delle agevolazioni, e poi trasformarla in società lucrativa. Preoccupazione condivisibile, che deve essere superata non formulando generici principi di diritto, ma richiamando l’istituto dell’abuso del diritto e rispettando le relative formalità, in forza dell’art. 53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986[[19]]. In tal modo si potrebbe in generale reinterpretare la trasformazione in nuova costituzione e applicare l’imposta in misura proporzionale.

La decisione lascia perplessi anche perché non sembra affrontare il tema dell’applicazione dell’art. 4 alle associazioni non aventi ad oggetto principale o esclusivo l’attività commerciale o agricola, né si sofferma in modo soddisfacente sulla natura della trasformazione oggetto della sentenza.


3. Sulla trasformazione eterogenea

La trasformazione oggetto della decisione è una trasformazione eterogenea (come ammesso dalla stessa Corte), che consiste nel passaggio da una società lucrativa in un ente causalmente diverso, cioè in una società non lucrativa o in un ente non societario, e viceversa. Un tempo era discussa l’ammissibilità di questa trasformazione, ma l’evoluzione normativa ha forse superato ogni perplessità[[20]]. A bene vedere, non è espressamente prevista la trasformazione da associazione non riconosciuto a società di capitali, che rientra tutt’ora tra le trasformazioni eterogenee atipiche. Tant’è che parte della dottrina non la ammette, richiedendo la fase intermedia del riconoscimento della personalità giuridica[[21]]. Ma è prevalente la tesi dell’ammissibilità, previa perizia di stima, nulla aggiungendo sul punto il riconoscimento della personalità giuridica all’associazione[[22]].

Nello specifico, la trasformazione eterogenea ha avuto per oggetto un’Asd. L’associazione sportiva dilettantistica non è un ente avente ad oggetto attività commerciali o agricole. Se si accoglie questa prospettiva[[23]], non si applica l’art. 4, lett. c), perché non si è in presenza di una trasformazione di ente commerciale (o agricolo), ma di una estinzione di ente non commerciale cui consegue una costituzione di ente commerciale[[24]]. Trova quindi applicazione la disciplina dell’art. 4 relativa alla costituzione di società, con la conseguente applicazione delle aliquote proporzionali in ordine ad alcuni beni[[25]]. La soluzione preferibile, quindi, è uguale a quella della Cassazione, ma attraverso una linea interpretativa differente e più coerente con il testo normativo (e verosimilmente seguita dall’Agenzia delle Entrate). Né tale interpretazione può essere considerata in contrasto con il principio di continuità tipico della trasformazione, perché è prevalente l’idea che nella trasformazione eterogenea non vi è continuità del soggetto, ma solo continuità patrimoniale[[26]], con cessazione dell’ente che effettua la trasformazione[[27]].

Si potrebbe contestare questa opinione obiettando che la stessa operazione, messa in atto da un’associazione commerciale o agricola, sarebbe tassata in misura fissa. E quindi si potrebbe sostenere l’esistenza di un principio generale applicabile anche per gli enti non commerciali o agricoli.

Tesi certamente apprezzabile ma poco ancorata ai dati normativi, ispirati dalle suddette direttive europee, e comunque neanche contemplata da parte della Cassazione.

Più in generale, la decisione in rassegna fornisce l’occasione per rimeditare sulla tassazione eterogenea delle trasformazioni e fusioni tra associazioni e fondazioni. Per una risposta a quesito degli Uffici studi del Notariato si applicherebbe l’art. 4 in via interpretativa o analogica o, in via residuale l’art. 11[[28]].

La tesi non è, però accolta dall’Amministrazione finanziaria che anche nel 2019 ha sostenuto che «Trattandosi di fusione tra enti non commerciali, si applica l’aliquota proporzionale del 3%, prevista dall’art. 9 della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 e non, invece, l’imposta di registro in misura fissa, prevista dall’art. 4, comma 1, lettera b), della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 per le fusioni tra società ed enti aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola»[[29]].

Tesi, quest’ultima, come si è visto preferibile. Né deve ritenersi contraddittoria nel punto in cui «Per quanto attiene alle imposte ipotecaria e catastale, come già precisato nella risoluzione n. 162 del 2008 e nella circolare n. 18 del 2013, si ritengono applicabili, in via analogica, l’articolo 4 della tariffa allegata al T.U.I.C. e l’articolo 10, comma 2, dello stesso T.U.I.C., in base ai quali sono soggetti ad imposta nella misura fissa di 200 euro gli atti di fusione o di scissione di società di qualunque tipo». Si tratta, infatti, di imposte che la recente evoluzione normativa spinge sempre più verso l’applicazione in misura fissa e non proporzionale. Infine, deve riconoscersi che manca una disciplina specifica applicabile e quindi, nel dubbio, appare corretta l’imposta in misura fissa.


4. Scissione di società

La seconda decisione che ha indotto il relatore a scegliere quest’argomento è scaturita da un atto nel quale una società srl si scinde trasferendo il proprio patrimonio ad una srl ed a una società semplice[[30]]. In sede di autoliquidazione si tassa l’atto con imposta fissa. L’Agenzia delle entrate con avviso di liquidazione, verificato che la società semplice non svolgeva né attività agricola né attività commerciale (trattandosi verosimilmente di una società di mero godimento), ha applicato l’imposta proporzionale del 3 per cento prevista dall’art. 9, ritenendo che l’art. 4 si applichi solo alle società aventi ad oggetto principale o esclusivo l’attività commerciale o agricola.

La Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 33312 dell’11 novembre 2021, rimette gli atti al Primo Presidente per la eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite, ritenendo che punto decisivo è stabilire se il riferimento contenuto nell’art. 4 agli «atti degli enti aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali od agricole» sia relativo solo agli atti diversi dalle società oppure si riferisca ad ogni tipo di società ed ente.

Secondo una prima opzione interpretativa, che ricorre esclusivamente al criterio letterale, si giungerebbe alla conclusione che tutti gli atti di scissione tra società di qualunque tipo ed oggetto sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa, mentre, con riferimento agli enti non societari, l’atto di scissione è tassato in misura fissa solo se essi hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola[[31]].

In tal senso si argomenta che riferire la proposizione relativa implicita introdotta dal participio presente “aventi” anche alle società, renderebbe del tutto inutile il complemento di specificazione «di qualunque oggetto»[[32]].

Secondo una differente opzione interpretativa occorre prendere le mosse dalla ricostruzione della norma che si articola in una frase incidentale (compresi i consorzi …) inserita all’interno di un’altra frase che si conclude con il riferimento all’attività commerciale o agricola.

L’uso della virgola prima della proposizione “aventi ad oggetto” serve a riferire la limitazione sia alle società che agli altri enti.

A suffragare tale impostazione si osserva che «il rinvio operato dalla nota III dell'art. 4 della tariffa, Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 all'art. 9 della tariffa presuppone proprio che ci siano società che non esercitando attività commerciale o agricola risultano estranee all'applicazione dell'art. 4 citato»[[33]].

La ratio della norma consisterebbe nel ritenere che la fuoriuscita del bene o della partecipazione sociale dal circuito produttivo, per essere inglobata in una struttura di mero godimento, giustifica la tassazione proporzionale. Tali società di mero godimento non hanno, infatti, finalità speculative.

Vengono richiamate due decisioni della Cassazione che secondo la decisione in rassegna sono riferibili alla seconda opzione (ma che, a ben vedere, non concernono ipotesi nelle quali sono coinvolte società).

In particolare, la sentenza n. 4763 del 2009 afferma che la posizione è esattamente contestata dalla difesa erariale, perché la lettera dell'art. 4, comma 1, cioè di quella parte della disposizione che è posta all'inizio della formula e che è comune a tutte le sue specie indicate, poi, con le lett. dalla a) alla g), è chiara nel limitare i suoi destinatari ai soggetti che svolgano esclusivamente o principalmente attività commerciale od agricola. Ne deriva che la specie degli atti di fusione, considerati nella lett. b), non possono essere che atti di fusione tra quei soggetti che, indipendentemente dal fatto che essi siano società od enti diversi dalle società, svolgano comunque, esclusivamente o principalmente, attività commerciale od agricola. Nè serve a riportare l'Associazione nella categoria dei soggetti svolgenti attività commerciale od agricola il fatto che i suoi soci siano società commerciali, come sostiene la CTR. Infatti, come si riconosce nel controricorso, lo scopo dell'Associazione è la rappresentanza e la tutela degli interessi comuni dei propri associati e, anche ammesso che il perseguimento di tale scopo possa manifestarsi in attività commerciale, non risulta accertata la sua esclusività o il suo carattere di attività principale dell'Associazione. Del resto, proprio il fatto che la CTR abbia considerato l'attività dell'Associazione interamente commerciale in ragione della sua strumentalità rispetto all'attività commerciale dei suoi soci, evidenzia che s'è utilizzato un argomento che, ancor prima di essere la descrizione del risultato di un accertamento di fatto, è un argomento che prova troppo e, quindi, è privo di fondamento logico[[34]].

La ordinanza n. 227 del 2021 (che tra l’altro espressamente ammette l’impugnazione da parte della Onlus dell’avviso di liquidazione notificato al notaio[[35]]) aderisce alla sentenza n. 4763 affermando che «Questa Corte, nell'unico precedente in materia, con decisione che questo collegio condivide e fa propria (impregiudicato ogni riferimento alle modifiche legislative intervenute con il d.lgs. n. 117 del 2017), si è pronunciata nel senso che l'imposta di registro relativa a fusione o incorporazione di enti, si applica in misura fissa, ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, art. 4, lett. b), nei casi in cui la fusione riguardi enti e società svolgenti esclusivamente o principalmente attività commerciale o agricola, mentre si applica l'imposta proporzionale del 3 per cento, prevista dall'art. 9 medesima tariffa qualora l'operazione riguardi enti svolgenti attività diverse da quelle commerciali o agricole».


5. Società senza impresa. Società occasionali, società tra professionisti, holding

La lettera dell’art. 4 con riferimento alle società di ogni oggetto sembra contrastare con la seconda opzione. Ma la precisazione non risulta nell’art. 50, con il quale vi è un tale collegamento che anche molti commentari annotano l’art. 4 con l’art. 50[[36]]. È allora opportuno verificare se si possono trarre spunti interpretativi dalla disciplina civilistica. La nostra norma fa infatti riferimento alle società e alle associazioni e alle attività commerciali e agricole. Queste ultime sono contemplate dagli articoli 2135 e 2195 del codice civile, e nulla sembrano aggiungere al problema interpretativo. Le associazioni e gli altri enti difficilmente possono avere oggetto agricolo o commerciale.

Se guardiamo alle interpretazioni tradizionali, ancora maggioritarie quando sono state scritte le norme dell’imposta di registro[[37]], si escludeva la possibilità per un’associazione o una fondazione di svolgere queste attività[[38]]. 

Quest’osservazione potrebbe far propendere per la seconda opzione, in quanto sembra quasi strano che il legislatore si è preoccupato di precisare una disciplina per enti che non hanno mai o quasi natura commerciale o agricola. Vero è però che norma è stata scritta anche pensando alle direttive unionali dove si contemplano le associazioni e gli altri enti che perseguono scopi di lucro.

Se volgiamo lo sguardo alle società e precisamente alle società senza impresa, anche in questo caso occorre riconoscere che è nozione in generale discussa sulla sua ammissibilità. 

In particolare la questione, tradizionalmente, si è posta per le società occasionali e per le società tra professionisti. In entrambi i casi, è prevalente la tesi della loro ammissibilità, sottolineando che la norma richiede un’attività economica, non un’impresa. Se si segue la seconda opzione, si escluderebbero le società occasionali e le società tra professionisti. Poca roba, tale da giustificare una esplicita esclusione in un testo di legge.

Peraltro, le società occasionali hanno comunque per oggetto l’attività commerciale o agricola, mancando soltanto del requisito della professionalità, non richiesto dalle norme in esame[[39]].

Le società tra professionisti non hanno per oggetto attività commerciali o agricole, ma sono società lucrative, per le quali risulta difficile negare l’applicabilità delle più volte citate direttive unionali[[40]]. Superata ormai da tempo, e forse mai realmente esistita, la questione della natura di impresa commerciale delle holding. In particolare, si potrebbe in teoria dubitare che la holding pura, che ha ad oggetto esclusivo l'acquisto e la gestione di partecipazioni di controllo in funzione della direzione unitaria e del finanziamento delle imprese controllate (id est gruppo di società), concretizzi un’attività di cui all’art. 2195 c.c. Ma l’opinione prevalente, se non unanime, è che si tratta di impresa[[41]], o in quanto produzione di servizi[[42]], o in quanto esercizio indiretto e mediato di attività economica[[43]]. Non sembra quindi possibile, a parte ogni considerazione sulle direttive unionali, escludere l’applicazione dell’art. 4 alle holding, anche se qualche indizio in tal senso potrebbero condurre recenti posizioni dell’Amministrazione finanziaria sulla nozione di azienda fiscale, in particolare in tema di scissione e di agevolazioni in ordine al passaggio generazionale, oggetto di altre relazioni del presente convegno alle quali pertanto si rinvia.


6. Società di mero godimento

Restano le società di mero godimento[[44]]. Le società di godimento spesso non sono neanche menzionate tra le società senza impresa. Banalmente e forse, perché è molto più discussa ancora oggi la loro ammissibilità[[45]]. 

Ammessa comunque la loro esistenza, anche alla luce dei testi normativi, sembra pacifico che si tratta di uno schermo societario applicato alla comunione, quasi una società non società. È evidente che il legislatore nello scrivere l’art. 4 non ha certo pensato alle società di godimento, ma sicuramente non ha pensato di applicare l’art. 4 alle comunioni. Un ultimo riferimento va fatto direttive dell’Unione europea. Va, però, riconosciuto che non danno elementi certi perché il loro scopo è regolare la raccolta di capitali e le attività lucrative.

Provando a tirare le file del discorso, esclusa la possibilità di collegare le attività commerciali e agricole ai soli altri enti, e ammessa con certezza la riferibilità delle stesse alle associazioni e alle fondazioni[[46]], alla luce soprattutto delle direttive, appare difficile riconoscere una logica nel non applicare l’art. 4 alle società occasionali o alle società tra professionisti o alla holding

Non sembra, quindi, percorribile la strada della seconda opzione. Invero, però, occorre chiedersi se le società di godimento sono vere e proprie società, alle quali applicare l’art. 4. In altri termini, occorre chiedersi se l’art. 4 si riferisce a qualsiasi soggetto che acquisisce forma societaria, e quindi se la forma fa sostanza, oppure se in presenza di un mero schermo societario al quale non corrisponda un’attività economica, siamo fuori dall’art. 4[[47]].

La decisione della Corte può essere apprezzata non tanto nell’inutile gioco letterale del collegamento tra le parole, quanto nell’avvertire che le società semplici di mero godimento potrebbero non rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 4 proprio per la loro natura[[48]]. L’avere ammesso le società semplici di mero godimento non significa certo attribuire loro l’intera disciplina fiscale dell’impresa; anzi, sotto il profilo delle imposte dirette e dell’Iva vi è una specifica disciplina. Sotto il profilo delle imposte indirette, si può escludere l’applicazione dell’art. 4 della tariffa, sottolineando che non svolgono attività di impresa né lucrativa nel senso di distribuzione degli utili derivanti dall’attività di impresa. L’art. 4, quindi si applicherebbe alle società senza impresa, come quelle occasionali e tra professionisti e holding, ma non alle società di mero godimento. Né questo appare in contrasto con la direttiva sulla raccolta di capitali che verosimilmente non risulta applicabile alle società di mero godimento[[49]].

La soluzione di non considerare applicabile l’art. 4 alle società di mero godimento, in quanto altro non sono che comunioni organizzate attraverso lo schema societario, è soluzione che può essere accolta dal giudice[[50]]. Una simile decisione, però, come in fondo la ricostruzione posta alla base dell’altra decisione qui commentata sulla trasformazione dell’associazione, appare troppo “raffinata” per l’imposta di registro.

L’imposta di registro è un’imposta “semplice”, dove le varie aliquote della tariffa sono individuate con riferimento agli atti, in base al nomen o in base agli effetti, con un linguaggio che oserei definire poco tecnico, agevolmente comprensibile, in modo da consentire l’applicazione dell’imposta all’atto al momento della sua presentazione all’ufficio. Non mancano, è ovvio, i problemi interpretativi, anche complessi, a dimostrazione che non è vero che in claris non fit interpretatio. Ma non soccorre l’interpretazione troppo raffinata, abituata a cercare la ratio della norma anche andando oltre la norma stessa. E non è un caso che sono norme di agevole lettura. Le norme dell’imposta di registro sono “semplici” proprio perché chi registra un atto deve sapere agevolmente quanto paga, senza sorprese[[51]]. Escludere le società di godimento o trarre principi generali (?!?) dall’art. 4 della tariffa, nuoce a questa semplicità, favorendo forse le casse dell’Amministrazione, ma aumentando la diffidenza del contribuente e di chi deve assisterlo nella pianificazione fiscale degli atti. 


NOTE:

[1] In particolare l’art. 4 della tariffa che riguarda gli “Atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole” e che prevede le aliquote dei trasferimenti immobiliari per gli atti societari di costituzione e aumento di capitale (con un’aliquota del 4 per cento per il caso di fabbricati destinati specificamente all'esercizio di attività commerciali e non suscettibili di altra destinazione senza radicale trasformazione nonché' su aree destinate ad essere utilizzate per la costruzione dei suddetti fabbricati o come loro pertinenze); e la sola imposta fissa in ogni altro caso, compresi i conferimenti di azienda.

[2] Cfr. S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2020, 176 ss.

[3] Normalmente per le operazioni di trasformazione, fusione e scissione viene sottolineata la continuità tra i soggetti.

[4] Sulle direttive e la loro ricaduta nella disciplina dell’imposta di registro cfr., in generale, G. CORASANITI, Profili tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in società, Padova, 2008; A. DI PIETRO (a cura di), Atti societari ed imposizione indiretta, Padova, 2005. Le citate direttive consentono l’imposizione proporzionale degli immobili, come riconosciuto dalla giurisprudenza italiana: cfr. Cass. – Ordinanza 16 luglio 2021, n. 20356, dove si afferma (anche alla luce della sentenza Corte di giustizia (CGE, 11 dicembre 1997, causa C-42/96), il seguente principio di diritto: «La direttiva 2008/7/CE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, si applica alle imposte di registro, ipotecaria e catastale, qualora tali imposte vengano riscosse all’atto del trasferimento di proprietà di un immobile e nell’ipotesi che detto trasferimento costituisca un conferimento ad una società di capitali. Le tre imposte costituiscono, in tal caso, imposte indirette vietate a norma dell’articolo 5 della direttiva menzionata. Tuttavia, l’articolo 6 della direttiva citata va interpretato nel senso che uno Stato membro è autorizzato, in deroga al divieto di cui all’articolo 5, a riscuotere siffatte imposte sui conferimenti di beni immobili o di aziende commerciali, situati nel suo territorio, effettuati in favore di una società di capitali, purché, però, esse non siano superiori a quelle applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che le riscuote. Spetta al giudice nazionale accertare che le imposte rispettivamente di registro, ipotecaria e catastale, di cui si esige il pagamento all’atto del conferimento di immobili in una società di capitali, non siano superiori a quelle gravanti su qualunque altro atto di trasferimento di proprietà effettuato da soggetti privati o da società non commerciali». Nella specie, i beni de quibus si trovano in Italia e le società ricorrenti non hanno dedotto che ì tributi richiesti «siano superiori a quelle gravanti su qualunque altro atto di trasferimento dì proprietà effettuato da soggetti privati o da società non commerciali». 

[5] Sulle prassi dell’Agenzia cfr. (anche se con accenni talvolta eccessivamente critici) A. GENTILI – D. MURITANO – G. BARALIS – A. PISCHETOLA, Diritto burocratico fiscale. La realtà del «doppio stato» nella tassazione degli atti negoziali e profili di responsabilità, Milano, 2019; F. TUNDO, Le 99 piaghe del fisco, una democrazia decapitata, Bologna, 2020. 

[6] La simmetria tra le varie norme che individuano i soggetti passivi in occasione di operazioni di raccolta di capitale inducono a non dare rilevanza a queste differenze terminologiche: così, S. MEDICI, I soggetti, in A. DI PIETRO (a cura di), Atti societari ed imposizione indiretta, cit., 147.

[7] Si potrebbe argomentare sulle lettere b) e c) che non fanno riferimento all’oggetto. Arriva a sostenere che la lett. b) dell’art. 4 relativa a analoghe operazioni poste in essere tra enti diversi dalle società si applica anche agli enti non commerciali, sulla base della lettera della norma, G. ARNAO, Manuale dell’imposta di registro, Vicenza, 2005, 342. In senso contrario G. PETRELLI, Regime fiscale dei conferimenti in società ed enti, Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 51/2003/T, nota 6, Studi e materiali, Milano, 2, 2003, 603 ss.

[8] Per G. SANTARCANGELO, Elementi di diritto tributario, Roma, 1996, gli enti non assimilabili alle società sono assoggettati alla disciplina generale dell’imposta di registro, per cui gli atti rientrano negli artt. 1, 2, 9 e 11 della tariffa parte prima a seconda della natura e dell’oggetto. In particolare, andrebbero a tassa fissa le modifiche non aventi contenuto patrimoniale. Per S. LANZILLOTTI – F. MAGURNO, Il notaio e le imposte indirette, Roma, 2004, 189, agli enti non assimilabili alle società si applica la disciplina residuale degli atti aventi contenuto patrimoniale. Per G. PETRELLI, Regime fiscale dei conferimenti in società ed enti, cit., 603 ss. «Sensibilmente diversa è invece la disciplina ai fini dell’imposta di registro. L’articolo 4, come sopra precisato, concerne esclusivamente la disciplina delle società e degli enti aventi ad oggetto esclusivo o principale l’esercizio dell’attività agricola o commerciale, prevedendo, per i conferimenti in tali enti, uno specifico trattamento tributario (aliquota del 4 % per i conferimenti di immobili ad uso commerciale, imposta fissa di registro per il conferimento di aziende, beni mobili e diritti diversi): il tutto finalizzato ad agevolare gli investimenti a fini produttivi, ed in linea con la direttiva CEE n. 335/1969, che prevede un trattamento di favore per le «società di capitali», equiparando alle stesse «ogni altra società, associazione o persona giuridica che persegua scopi di lucro». Nell’ottica suindicata, i conferimenti di aziende o altri beni in enti aventi uno scopo non economico, e che non rientrino nelle particolari categorie ritenute meritevoli di particolari agevolazioni (Onlus, associazioni di volontariato, ecc.) rimangono assoggettati alle più onerose aliquote previste dalla tariffa per gli altri trasferimenti immobiliari (73) (a meno che, con lo stesso atto con cui viene effettuato il conferimento, non si assuma l’attività commerciale o agricola come oggetto esclusivo o principale). Pertanto, a titolo esemplificativo:

– il conferimento di azienda è in tutto e per tutto equiparato alla cessione di azienda, con l’applicazione di aliquote diverse in base alla natura dei beni (articolo 23 T.U.), ed in particolare l’aliquota del 3 % per i beni diversi dagli immobili o mobili registrati;

– il conferimento di immobili è soggetto alle aliquote di cui all’art. 1 della tariffa;

– il conferimento di crediti è tassato con l’aliquota dello 0,50%:

– il conferimento di denaro, beni mobili, diritti diversi è soggetto all’aliquota del 3 %.

Quanto alla base imponibile, l’art. 50 del d.P.R. n. 131 del 1986 trova applicazione esclusivamente ai conferimenti in società, ed enti aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole; ai conferimenti negli altri enti si applicano, invece, gli artt. 51 e seguenti del t.u. In concreto, non è applicabile agli enti in esame il riferimento alla deduzione forfettaria delle spese ed oneri inerenti la costituzione o l’aumento di capitale, e non è applicabile neanche la regola del conferimento al netto delle passività, dettata dal suddetto articolo 50».

[9] La società senza impresa è ammessa per es. da F. FERRARA – F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2009, 246 nota 1, sottolineando che è richiesta l’esercizio di un’attività economica, non di un’impresa, e si fa l’esempio delle società occasionali. Riporta questa tesi come prevalente A. PALUMBO, Le società in generale e le società di persone, Milano, 2016, ricordando anche le società tra professionisti. A questi testi si rinvia per ogni altra citazione. L’art. 2247 fa riferimento all’attività economica, non all’attività di impresa, e non richiede la professionalità. Curiosamente (ma in realtà escludendosi l’esistenza stessa di una società) la dottrina non affronta il tema delle società senza imprese con riferimento alle società di mero godimento, che sono esaminate con riguardo al rapporto tra norme societarie e norme della comunione.

[10] Per chi ha studiato diritto privato oramai da più di trent’anni, per la dottrina prevalente le fondazioni, le associazioni riconosciute e non riconosciute, e i comitati non potevano avere come oggetto principale o esclusiva l’attività commerciale: cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, vol. 1, Milano, 1978, 315 (per le fondazioni), 334 (per le associazioni riconosciute), 351 (per le associazioni non riconosciute), 372 (per i comitati). La ragione era innanzitutto formale, in quanto mancava “il requisito formale pubblicitario che nel nostro ordinamento consente lo svolgimento di attività commerciale senza la responsabilità personale delle persone fisiche che gestiscono tale attività Gli Enti non societari sono iscritti nel registro delle persone giuridiche, mentre chi esercita un’attività imprenditoriale è soggetto all’iscrizione nell’apposito registro delle imprese. Così C. M. BIANCA, Diritto civile, cit., 315. Sarebbe stata possibile un’attività agricola, almeno per le fondazioni, compresa una gestione aziendale C. M. BIANCA, Diritto civile, cit., 351. Con specifico riferimento alle associazioni, si escludeva inoltre la possibilità di attività commerciali principali, ma anche secondarie, ammettendosi solo quelle occasionali, in quanto incompatibili con lo scopo non lucrativo. In questa prospettiva, l’attività commerciale era essa stessa un’attività di profitto, e non era sufficiente escludere la distribuzione degli utili tra i soci. A meno di non ammettere un’attività che si limiti all’erogazione di beni e servizi con semplice rimborso dei costi. In tutti questi casi lo svolgimento di attività commerciale organizzata da parte dell’associazione avrebbe comportato la responsabilità personale di coloro che hanno deciso e svolto l’attività e la possibile configurazione di una società di fatto. Una ulteriore conferma si poteva trarre dall’art. 2249 del codice civile, che potrebbe leggersi nel senso dell’esistenza di un principio imperativo per il quale l’attività commerciale in forma associata deve essere svolta secondo uno dei tipi di società commerciali previste dal codice. Questa la tesi tradizionale. Occorre, però, riconoscere che nella dottrina degli ultimi vent’anni si ammette la convivenza di associazioni e attività di impresa, alla luce anche di alcune discipline settoriali quale quella dell’impresa sociale prevista dal d.l. 24 marzo 2006, n. 155. Cfr. M. TAMPONI, Le persone giuridiche, Milano, 2018, 106 e 122 ss.; F. LOFFREDO, Le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica, Milano, 2016, 112, dove sono esaminati altri criteri. Si ammettono, anzi associazioni aventi per oggetto attività di impresa e società senza scopo di lucro. La scriminante tra associazione e società viene, allora, vista principalmente come mancanza di scopo lucrativo, la presenza di clausola che escluda la distribuzione di utili (anche se il criterio funziona poco con le società rientranti nell’impresa sociale).

[11] Cass., sez. V, 5 ottobre 2021, n. 26878.

[12] Non era certo applicabile il comma 5 dell’art. 90 della legge n. 289 del 2002 che stabilisce che «gli atti costitutivi e di trasformazione delle società e associazioni sportive dilettantistiche, nonché delle Federazioni sportive e degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI direttamente connessi allo svolgimento dell’attività sportiva, sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa». Norma applicabile anche nel caso di conferimento di immobili, come riconosciuto dalla circolare del 22/04/2003, n. 21. La stessa circolare afferma, però, che l’agevolazione è riconosciuta solo qualora detti atti siano direttamente connessi allo svolgimento dell'attività sportiva.

[13] La stessa Cassazione riconosce che l’atto di trasformazione di per sé rientra nello schema dell’art. 4.

[14] Che infatti ha salutato con favore la decisione: cfr. A. GAETA, La trasformazione da ASD a Srl sconta il Registro proporzionale, in Fiscoggi, 15 novembre 2021.

[15] Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto: L'atto di trasformazione di un'associazione dilettantistica sportiva in una società di capitali che persegua fini di lucro è assoggettato ad imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura proporzionale, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lett. a), n. 2, della tariffa parte I, del d.P.R. n. 131 del 1986. 

[16] In realtà non è chiaro dalla lettura della sentenza quando è stato conferito l’immobile e se è stata applicata l’imposizione in misura fissa (non essendo pacifica in presenza di immobili, prima della citata circolare del 2003). Se l’immobile è stato acquistato, peraltro, la tassazione è stata verosimilmente proporzionale, non essendovi specifiche agevolazioni.

[17] Un cenno in questo senso sembra ravvisarsi in F. CICOGNANI, Le trasformazioni di società ed enti nell’imposta di registro: profili di diritto interno ed europeo, in Riv. dir. fin., 2011, 3, 394.

[18] La norma, peraltro, appare in linea con i vincoli derivanti dalle direttive comunitarie in ordine alle operazioni straordinarie: cfr. i vari studi in A. DI PIETRO (a cura di), Atti societari e imposizione indiretta, cit.

[19] Che a sua volta richiama l’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212

[20] In particolare, la riforma del 2003, che ha introdotto la disciplina degli articoli 2500-septies e octies. Per l’art. 2500-septies, intitolato “Trasformazione eterogenea da società di capitali”, le società disciplinate nei capi V, VI, VII del presente titolo possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni. Si applica l'articolo 2500-sexies, in quanto compatibile. La deliberazione deve essere assunta con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto, e comunque con il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata. La deliberazione di trasformazione in fondazione produce gli effetti che il capo II del titolo II del Libro primo ricollega all'atto di fondazione o alla volontà del fondatore. L’art. 2500-octies, intitolato “Trasformazione eterogenea in società di capitali” recita che «I consorzi, le società consortili, le comunioni d'azienda, le associazioni riconosciute e le fondazioni possono trasformarsi in una delle società disciplinate nei capi V, VI e VII del presente titolo. La deliberazione di trasformazione deve essere assunta, nei consorzi, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consorziati; nelle comunioni di aziende all'unanimità; nelle società consortili e nelle associazioni con la maggioranza richiesta dalla legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. La trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall'atto costitutivo o, per determinate categorie di associazioni, dalla legge; non è comunque ammessa per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico. Il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo tra gli stessi. La trasformazione di fondazioni in società di capitali è disposta dall'autorità governativa, su proposta dell'organo competente. Le azioni o quote sono assegnate secondo le disposizioni dell'atto di fondazione o, in mancanza, dell'articolo 31». L’art. 42-bis c.c., inoltre ha previsto che «Se non è espressamente escluso dall'atto costitutivo o dallo statuto, le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni di cui al presente titolo possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni». Sull’argomento cfr., in senso favorevole M. MALTONI – T. TASSINARI, La trasformazione delle società, Vicenza, 2011. 290 ss. e 300 (ove si sottolinea il limite delle liberalità ed oblazioni pubbliche); E. TIMPANO, Le trasformazioni eterogenee atipiche, Torino, 2015, 226 ss.; C. CARBONE, Formulario notarile commentato, Vicenza, 2019, 1893 ss.; R. GUGLIELMO, in G. PETRELLI (a cura di), Formulario notarile commentato, vol. IX, diretto da M. AVAGLIANO, Milano, 2019, 1907 ss. Sulle problematiche relative alla iscrizione delle trasformazioni eterogenee cfr. anche P. CRISCUOLI – M. CIARLEGLIO, Pubblicità nel Registro delle imprese: la trasformazione eterogenea e i poteri di controllo del giudice del registro, in Notariato, 2014, 6.

[21] Cfr. F. GALGANO – R. GENGHINI, in Il nuovo diritto societario, t. I, Le nuove società di capitali e cooperative, Padova, 2006, 1003 ss.

[22] In senso contrario, però, di recente il Registro delle Imprese di Roma, come riferito da D. BOGGIALI, Trasformazione di associazione non riconosciuta in società, Quesito n. 111-2021/1dove l’osservazione che eventuali lacune normative non vanno interpretate come inammissibilità della trasformazione, ma come problema di individuazione della disciplina di volta in volta applicabile.

[23] Una diversa opzione interpretativa potrebbe legare il riferimento alle attività commerciali o agricole solo alle altre organizzazioni di persone o di beni.

[24] I testi sulle trasformazioni citati nelle note precedenti (di E. Timpano e di M. Maltoni – F. Tassinari) non sembrano affrontare le problematiche fiscali. Un cenno si trova in A. BUSANI, L’imposta di registro, Vicenza, 2009, ove si afferma che la regola di cui alla lett. c), testualmente applicabile alle trasformazioni omogenee, «è ovviamente applicabile, pari passu, a tutte le ipotesi di trasformazioni eterogenee». 

[25] In tema di fusione tra Enti di culto, l’Agenzia delle entrate ha sostenuto l’applicabilità dell’art. 9 della tariffa, relativo a atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, con conseguente applicazione dell’aliquota del 3 per cento: cfr. Ag. entrate, ris. n. 152/E del 15 aprile 2008. Opinione ribadita con la circolare n. 18/E del 2013 e con la risoluzione n. 2 dell’11 gennaio 2019. In senso contrario, argomenta in forza delle norme del Terzo settore, in particolare l’art. 82 del d.lgs. n. 117 del 3 luglio 2017, ritenendole espressive di un principio applicabile anche per gli Enti non qualificabili come ETS, S. GHINASSI, La tassazione degli atti degli Enti del Terzo settore: le imposte indirette, Studio n. 72-2018/T, in www.notariato.it. Più difficile da condividere la tesi dell’applicabilità dell’art. 11 della tariffa, relativo agli atti non aventi contenuto patrimoniale, argomentando dalla circostanza che la trasformazione non importa trasferimento di beni né l’assunzione di obbligazioni. In tal senso V. MASTROIACOVO, Considerazioni in margine all’applicazione dell’imposta di registro alla trasformazione eterogenea regressiva, in Riv. dir. trib., 2012, 1, parte I, 51 ss.; ID., Risposta a quesito n. 524-2014/T, Ufficio studi tributari CNN, inedita. Per L’imposta in misura fissa S. CANNIZZARO, Segnalazioni novità, 16 gennaio 2019. L’Agenzia delle entrate conferma che le operazioni di fusione tra enti non commerciali scontano l’imposta di registro al 3%, che invoca come disciplina generale il codice del terzo settore, citando in tal senso anche T. TASSANI, Codice del Terzo settore e imposte sui trasferimenti: applicazione in via transitoria e riforma “a regime”, il Fisco, 2018, 2637 ss.) Non applicabile sembra anche l’art. 1 comma 737 della legge n. 147 del 2013 per il quale «Agli atti aventi ad oggetto trasferimenti gratuiti di beni di qualsiasi natura, effettuati nell'ambito di operazioni di riorganizzazione tra enti appartenenti pe legge, regolamento o statuto alla medesima struttura organizzativa politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale, si applicano, se dovute, le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna. La disposizione del primo periodo si applica agli atti pubblici formati e alle scritture private autenticate a decorrere dal 1º gennaio 2014, nonché alle scritture private non autenticate presentate per la registrazione dalla medesima data». Norma di difficile interpretazione circa il suo campo di applicazione e per la quale si rinvia alla circolare n. 2/E del 2014.

[26] Ed infatti in dottrina si legge che la trasformazione atipica non è una mera modifica del contratto sociale ma “un’operazione tramite la quale si conserva il vincolo di destinazione impresso ad un patrimonio per l’esercizio dell’attività”, M. MALTONI, La trasformazione eterogenea in generale, in M. MALTONI – T. TASSINARI, La trasformazione delle società, cit. 260. Cfr., anche, tra gli altri, G. MARASÀ, Le trasformazioni eterogenee, in Riv. not., 2003, 583 ss. 

[27] Art. 2500 c.c., ove è previsto che «L'atto di trasformazione è soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato ed alle forme di pubblicità relative, nonché alla pubblicità richiesta per la cessazione dell'ente che effettua la trasformazione».

[28] Cfr. Risposta a quesito n. 524-2014 a firma di V. Mastroiacovo.

[29] Risoluzione 11 gennaio 2019, n. 2/E.

[30] Cfr. l’ordinanza interlocutoria n. 33312 dell’11 novembre 2021

[31] Ritiene che l’art. 4 fa riferimento a tutte le società, anche a quelle che non svolgono attività commerciale o agricola, A. PISCITELLO, Sub art. 50, in A. FEDELE – G. MARICONDA – V. MASTROIACOVO (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Torino, 263. 

[32] Un argomento letterale si trarrebbe anche dal codice del Terzo settore, art. 82 d.lgs. n. 117 del 2017) che prevede l’imposta fissa per gli enti del terzo settore, escludendo le imprese sociali costituite in forma di società. «Pertanto, si deve concludere che il motivo per il quale l'art. 82, comma 1, del d.lgs. n. 117 del 2017 esclude dalla sfera di applicazione del comma 3 dello stesso articolo le imprese sociali gestite in forma societaria è che esse, in quanto società, già sono ordinariamente soggette ad imposta fissa in caso di operazioni di scissione». Per la norma «Agli atti costitutivi e alle modifiche statutarie, comprese le operazioni di fusione, scissione o trasformazione poste in essere da enti del Terzo settore di cui al comma 1, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa. Le modifiche statutarie di cui al periodo precedente sono esenti dall'imposta di registro se hanno lo scopo di adeguare gli atti a modifiche o integrazioni normative. Gli atti costitutivi e quelli connessi allo svolgimento delle attività delle organizzazioni di volontariato sono esenti dall'imposta di registro». Ma si tratta di norma settoriale e specialistica, non essendo tutti gli enti ets; tanto settoriale da prevedere anche l’esenzione dell’imposta, disciplina più unica che rara. Il riferimento al tipo può essere collegato alle nozioni di società di persone e società di capitali secondo D. BUONO, in E. DELLA VALLE – V. FICARI – G. MARINI, Il regime fiscale delle operazioni straordinarie, Torino, 2009, 404. Sembra riferire la natura commerciale o agricola anche alle società M. A. FERRARI, Sub. Art. 4 tariffa, in N. D’AMATI (a cura di), La Nuova disciplina dell’imposta di registro, Torino, 1989, 491. Un cenno a questa tesi, con riferimento alle società semplici e imprese civili, in V. MASTROIACOVO, Considerazioni in margine all’applicazione dell’imposta di registro alla trasformazione eterogenea regressiva, in Riv. dir. trib., 2012, n. 1, parte I, nt. 4. La nozione di impresa civile, intesa come impresa né commerciale né agricola, è però diversa da quella di società di mero godimento.

[33] Il riferimento, però, non è alla tariffa (come scrive l’ordinanza), ma alla tabella. Nota III) Per gli atti propri delle società ed enti diversi da quelli indicati nel presente articolo si applica l'articolo 9 della tabella. L’art. 9 della tabella (Articolo 9 – Atti per i quali non vi è l'obbligo di chiedere la registrazione. Atti societari) recita: 1. Atti propri delle società ed enti di cui all'articolo 4 della parte prima della tariffa diversi da quelli ivi indicati, compresi quelli di nomina e accettazione degli organi di amministrazione, controllo e liquidazione nonché quelli che comportano variazione del capitale sociale delle società cooperative e loro consorzi e delle società di mutuo soccorso. In altri termini, il riferimento non sembra avere per oggetto società o enti diversi, ma atti diversi.

[34] Nella vicenda oggetto della decisione un'associazione ne incorpora un'altra e il relativo atto di fusione viene registrato dall'ufficio competente applicando l'imposta di registro con aliquota proporzionale del 3%, secondo quanto previsto dall'articolo 9 della tariffa allegata al Testo unico dell'imposta di registro. L'associazione si oppone alla tassazione, ritenendo idonea al caso l'applicazione dell'imposta in misura fissa (168 euro), stabilita dall'articolo 4, lettera b), della citata tariffa. La Commissione tributaria provinciale competente accoglie le doglianze dell'ente associativo. Favorevole al contribuente è anche la sentenza della Ctr, che respinge l'appello dell'ufficio sulla base delle seguenti motivazioni: l'articolo 4 della tariffa comprende tutte le operazioni di fusione, indipendentemente dai soggetti che le pongono in essere; la mancata imposizione in misura fissa alla fusione di enti aventi finalità non lucrative comporterebbe l'assoggettamento a un trattamento fiscale più oneroso rispetto a quello riservato ad altri soggetti; l'associazione incorporante ha come fine istituzionale quello di offrire agli associati una serie di servizi connessi alle loro attività economiche. La Cassazione sottolinea anche che non appare decisiva, in senso contrario, l'obiezione in base alla quale i soci della associazione siano società commerciali. Ciò in quanto scopo dell'associazione è la rappresentanza e la tutela degli interessi comuni dei propri associati e, pur volendo riconoscere che il perseguimento di tale scopo possa manifestarsi tramite attività commerciale, non risulta accertato, nel caso di specie, la sua esclusività o il suo carattere di attività principale.

[35] Ricordando che e parti contraenti sono comunque destinatarie sostanziali dell'atto impositivo, e perciò legittimate ad impugnarlo in sede giurisdizionale.

[36] Vedi per es. A. PISCITELLO, Sub art. 50, cit., 263. 

[37] Le ultime rilevanti modifiche risalgono al 1999.

[38] Cfr. le note poste all’inizio del lavoro.

[39] Sulle società occasionali, viste nell’ottica tributaria, cfr. G. SALANITRO, Le attività occasionali nel sistema delle imposte sui redditi, Catania, 2011, 63 ss.

[40] Sul punto debbo riconoscere che non ho trovato quasi nulla. Solo un intervento nella pagina Facebook Notai d’Italia si pone il problema della tassazione al tre per cento del conferimento, a fronte dei colleghi che intervengono sostenendo la pacifica applicabilità dell’art. 4. In realtà, il problema è trattato da A. BUSANI L’imposta di registro, Vicenza, 2018, in due punti. In un punto, si dilunga sul possibile conferimento di clientela nella Stp (2482 ss.), sottolineando comunque che professionista e imprenditore restano realtà giuridiche diverse, ma non smembra affrontare il problema dal punto di vista fiscale; in un altro punto (2636) fa rientrare la trasformazione di associazione in società nell’art. 4 qualificando l’associazione come società semplice. Inoltre, nel senso di equiparare ai fini fiscali il conferimento dello “studio professionale” all’azienda, pur senza entrare nel merito delle questioni qui esaminate, Conferimento in Srl di studio professionale, Risposta a quesito n. 185 – 2021/I e 89-2021/T a firma di A. PAOLINI – D. BOGGIALI – S. CANNIZZARO (ove si rinvia anche a T. TASSANI, Il conferimento di studio professionale, in STP - Postilla, in Fiscalità patrimoniale, 3 marzo 2019). Quando non esistevano le stp ma solo le associazioni tra professionisti, era discussa l’applicabilità dell’art. 4; cfr. A. RENDA, Sub. Art, 4, tariffa, in G. MARONGIU (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie, Padova, 2011.

[41] F. FERRARA – F. CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., 2.8, ove si richiama F. GALGANO, Qual è l’oggetto delle società holding, in Contr. e impr., 1986, 327;

[42] Cfr. V. BUONOCORE, voce Impresa (dir. priv.), in Enc. dir., Annali I, 2007, ove ampi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali cui si rinvia ( in particolare ricorda «una sentenza della Cassazione che ha fatto epoca non solo, e forse non tanto, per aver sancito il principio dell'acquisto della qualità di imprenditore in capo a chi esercita l'attività di direzione e di coordinamento di un gruppo di imprese quale che sia la forma esteriore assunta (società di capitali, persona fisica, società di fatto), ma per aver stabilito altri, invero non consueti, principi, e cioè che la holding esercita direttamente solo una fase dell'attività d'impresa e indirettamente, per il tramite delle società controllate, le altre fasi e che per classificare l'imprenditore esercente l'attività di direzione occorre aver riguardo all'attività delle società operative, essendo peraltro sufficiente che, per riconoscere natura commerciale all'attività della holding, è sufficiente che anche una sola delle attività svolte dalle società controllate sia ascrivibile ad uno dei tipi previsti dall'art. 2195 c.c.» Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439). 

[43] F. GALGANO, Imprenditore commerciale, in Dig. civ., 1992, che ricorda, pur criticandola, la tesi che le configura come attività ausiliaria.

[44] Con riferimento alla trasformazione di società commerciale in società semplice, sostiene l’applicazione delle imposte indirette sui trasferimenti in misura fissa richiamando l’art. 4, F. RAPONI, Studio n. 92-2016/T, Trasformazione di società commerciale immobiliare in società semplice – Problematiche fiscali, nota 59, cui si rinvia per le considerazioni in tema di imposte dirette. 

[45] Le società di mero godimento non svolgono attività economica ma attività di mero godimento (in via diretta o indiretta, diretto o tramite locazione ad altri). Anzi per alcuni non svolgono attività in senso tecnico. Si ritiene infatti che quando il proprietario gode del bene attribuendo il godimento a terzi dietro corrispettivo, si è nell’ambito dell’art. 820 comma 3 e quindi della comunione e non si può ravvisare l’esercizio di un’attività economica diretta a scopo di lucro cfr. P. GHIONNI, Società di mero godimento tra teoria generale e nuovo diritto societario, in Riv. soc., v. 53, 6, 2008, 1315. La comunione a scopo di godimento, espressamente disciplinata dall’art. 2248 c.c. (La comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme del titolo VII del libro III), presuppone la comproprietà del bene oggetto di godimento in capo a tutti i partecipanti; nel contratto di società, invece, rileva l’esercizio in comune di un’attività svolta a fine di lucro da parte di più soggetti, per l’esercizio della quale non è necessaria alcuna comunione di beni, che sono soltanto lo strumento materiale attraverso il quale la società opera. Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2018, n. 23952. Più possibilista, salvo identificare gli strumenti di tutela a favore dei creditori personali dei soci, sembra essere anche per le società di capitali K. MARTUCCI, Le società di godimento nel diritto italiano d’oggi, in Riv. dir. civ., v. 55, 4, 2009, 465. Nel senso dell’ammissibilità generalizzata di società semplici come società di mero godimento, quasi società civili, e quindi senza impresa, P. SPADA, Dalla società civile alla società semplice di mero godimento, Studio n. 69-2016/I. Nello stesso senso Tribunale di Roma, sentenza 8 novembre 2016.

[46] Arduo è limitarlo alle altre organizzazioni.

[47] Le società di mero godimento rientrano nella più ampia nozione, molto rilevante nel campo tributario, di società di comodo. In particolare, con società di comodo si identificano società reali, in quanto effettivamente i soci vogliono assumere la forma societaria, che si caratterizzano per l’esercizio di un’attività di godimento di beni patrimoniali. Si tratta di società non operative che trovano la loro disciplina nelle imposte dirette nell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, tra le quali non sono contemplate le società semplici. Esclusione che si spiega in quanto le società semplici non sono soggette allo statuto fiscale dell’impresa. Cfr. R. MICELI, Società di comodo e statuto fiscale dell'impresa, Firenze, 2017, 216. Quanto all’Iva le società di mero godimento non sono soggetti passivi. Non vi è una disciplina delle imposte indirette sui trasferimenti per le società di godimento. Pertanto, la dottrina tributaria ha approfondito in questi ultimi anni la disciplina delle società di comodo ma solo con riferimento alle imposte dirette e all’Iva Cfr. G. PETRILLO, L’abuso dello schermo societario nella disciplina fiscale delle società di comodo, Bari, 2018; R. MICELI, Società di comodo e statuto fiscale dell'impresa, Firenze, 2017. Non troviamo quindi molti spunti, ma può essere utile osservare come sembra che la disciplina particolare delle società di comodo non contrasta con la disciplina unionale delle imprese, in quanto l’Unione Europea se ne disinteressa perché si tratta di attività non rivolte al mercato e non svolte in regime di concorrenza Cfr. R. MICELI, op. cit., 280.

[48] Una lettura più critica sembra svolta da S. CANNIZZARO, La parola alle Sezioni unite sulla tassazione della scissione ai fini dell’imposta di registro: si applica l’imposta fissa nel caso di società “senza impresa”, in CNN Notizie, 2021, n. 225

[49] In senso contrario S. CANNIZZARO, op. cit.

[50] Con riferimento alle direttive unionali, associa il riferimento alle attività commerciali e agricole agli enti diversi dalle società S. MEDICI, I soggetti, cit., 148. La stessa Autrice sottolinea come il riferimento a scopo di lucro nelle direttive può essere riferito a “attività economica” o a lucro in senso oggettivo, inteso come potenziale attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi impiegati. In ogni caso, non è sicura l’applicabilità sic et simpliciter delle società semplici.

[51] Si immagini il tassatore che deve individuare in breve tempo se la società abbia un oggetto sociale di mero godimento, individuazione di per sé ardua anche per un esperto di diritto commerciale. In particolare, il problema si porrebbe anche per tutte quelle numerose sas e srl che hanno un oggetto molto vicino a quello del mero godimento. Né si può obiettare che la verifica dell’oggetto avviene certamente per le associazioni e gli altri enti, perché in quel caso si tratta dell’eccezione, in quanto abbiamo visto essere numericamente limitata l’esistenza di associazioni commerciali.