Giuffré Editore

Un programma per il sostegno ai nipoti studiosi, affidato all’esecutore testamentario

Pasquale Edoardo Merlino

Notaio in Roma


Da una disposizione testamentaria, all’apparenza banale, l’occasione per sperimentare l’affidamento fiduciario in ambito testamentario: l’inefficienza degli strumenti tradizionali[[1]]

Queste pagine sono lo svolgimento, in chiave pratica, delle teorie per le quali la proprietà, anche nel nostro diritto civile, non è quel monolite che viene insegnato agli studenti dei corsi di diritto privato, di come il possesso naturale non fu (semmai fu) che un mero istinto primordiale indirizzato e portato poi a ben altri svolgimenti nel corso dei millenni[[2]]. 

Il lascito testamentario molte volte, ed è riscontro che emerge dalla pratica lavorativa, non viene dal proposito del testatore di operare una mera trasmissione, ad efficacia istantanea al momento della morte, di posizioni giuridiche, quanto, piuttosto, pare avere quale suo presupposto la volontà di organizzare una vicenda successoria puntualmente pianificata e perdurante nel tempo[[3]]. Si assiste, cioè, alla definizione di progetti che, secondo la mente del testatore, non si esauriscono subito dopo l’apertura della successione, ma richiedono scelte e valutazioni, anche comportanti strumenti di specificazione della volontà stessa del testatore: scenario che pone problemi di efficienza degli strumenti consegnatici dal legislatore del 1942[[4]] nel codice civile e che sono da adoperare pur sempre in vista dell’auspicabile certezza giuridica cui deve muovere l’attività professionale del notaio.

Anche quello che appare di primo acchito un banale caso di lascito di somme di denaro ai nipoti affinché questi possano realizzarsi negli studi e nell’attività professionale nasconde in realtà numerose insidie e può essere il campo per sperimentare alcuni degli approdi conseguiti nel campo dell’applicazione dei principi e degli strumenti dell’affidamento fiduciario, declinati nella materia testamentaria.

Prendiamo come punto di partenza i desiderata di un testatore: «Sono giunto al benessere economico troppo tardi per assicurare a tutti i miei figli la possibilità di studiare come avrebbero meritato, e voglio che ciò non si ripeta per i miei nipoti … [per questo voglio che ciascun mio nipote abbia] … quanto necessario per proseguire i propri studi e la propria formazione professionale, in qualunque campo egli desideri …»[[5]] e vediamo dunque come può darsi risposta ad essi, impiegando strumenti efficienti nel tradurli in volontà testamentaria.

La risposta più semplice sarebbe quella di tradurre le volontà suddette in un legato di somma di denaro in favore dei nipoti, ipotizzando, ad integrare un qualche strumento di indirizzamento verso l’uso delle somme, l’apposizione di un modus.

Ma non pare, invero, che la semplice disposizione di una somma di denaro a titolo di legato da darsi dall’erede in favore del nipote (o di più legati obbligatori quanti sono i nipoti da beneficiare), con l’apposizione di un onere testamentario che obblighi il nipote all’uso della somma in una direzione desiderata dal testatore, possa raggiungere da sola gli scopi, potendo verificarsi in concreto che essa trovi ostacoli sia in un possibile inadempimento dell’erede a dare esecuzione all’obbligo di adempiere il legato, sia, quand’anche tale adempimento da parte dell’erede si dia per avvenuto, in un uso – che il nipote faccia del denaro elargito – non conforme alla volontà del testatore: e ciò senza considerare, in un primo grado di complicazione, l’ipotesi in cui gli eredi onerati ed i nipoti onorati siano più d’uno. 

Né, ad ovviare ai due inconvenienti, può valere da sola l’apposizione di un modus in capo al legatario, residuando comunque problemi di inefficienza dello strumento adoperato, in quanto:

– i rimedi (risoluzione della disposizione per inadempimento ai sensi dell’art. 648 comma secondo c.c.) interverrebbero a inadempimento già conclamato (e le somme, in sostanza, sono “fuggite via”, e quindi gli effetti restitutori che dovrebbero derivare dalla risoluzione del legato potrebbero incontrare in concreto incampienza nel patrimonio del legatario onerato dal modus);

– oppure i presidi contro l’inadempimento del modus (l’agire a tutela – l’azione di adempimento – di cui al primo comma dell’art. 648 c.c.) sarebbero nella disponibilità di chi (erede o sublegatario) è controinteressato all’adempimento[[6]].

Profili di inefficienza emergerebbero anche laddove l’onere fosse apposto alla istituzione di erede, anzitutto perché, anche questa volta, il conflitto di interesse tra il legatario (che potrebbe azionare l’adempimento del modus) e l’erede è evidente, e in secondo luogo perché la configurazione del modus in capo all’erede onerato del legato, genererebbe, pur in caso di risoluzione (questa volta) della istituzione a titolo di erede, temi di incertezza sui soggetti che subentrerebbero all’erede inadempiente in sostituzione o chiamata ulteriore (si vedano al riguardo gli articoli 676 e 690 del codice civile)

La situazione si complica ulteriormente – rischiando di divenire così i desiderata del testatore niente più che un vago ricordo nella mente delle generazioni che gli sopravvivono – quando il testatore non intende lasciare somme predeterminate, preferendo invece che esse siano determinate, in futuro, in base alle esigenze del caso, e, inoltre, volesse beneficiare anche nipoti che non sono ancora nati quando egli manifesta le proprie volontà testamentarie (attribuzioni quindi a nascituri concepiti o concepturi).

Avendo, in particolare, a riferimento queste ultime volontà e cioè la disposizione a titolo di legato di somme di denaro per i nipoti nati e per i nipoti nascituri, le complicazioni di cui sopra permarrebbero e ovviamente si moltiplicherebbero.

Di fronte a questo quadro di incertezze e per raggiungere traguardi di certezza ed efficienza, la disposizione a titolo di legato suddetta potrebbe, allora, configurarsi adoperando clausole complementari che traggano strumenti dall’affidamento fiduciario. 

Infatti nell’esempio dal quale siamo partiti, e in specie nella declinazione da ultimo assunta, appare centrale l’elemento del tempo a venire e la necessità di apprestare strumenti che assicurino che nel perdurare del tempo le volontà del testatore siano rispettate richiede:

– un programma (che quindi implica attività, non solo atti) che consenta di tener conto che gli interessi da soddisfare si proiettano in un futuro più o meno lontano (profilo programmatico/oggettivo); 

– un soggetto del quale il testatore abbia fiducia affinché i rischi di un inadempimento rispetto ai suoi desiderata siano ridotti al minimo se non addirittura esclusi del tutto (è questo il profilo fiduciario/soggettivo); 

– una protezione del patrimonio rivolto alla soddisfazione di quegli interessi, affinché il trascorrere del tempo e le attività che nel frattempo sono da porsi in essere non sottraggano gli strumenti per perseguirli e li proteggano da interessi confliggenti (profilo del contemperamento degli interessi e della proprietà conformata dagli obblighi).


Il legato con un programma di sostegno ai nipoti studiosi è un Giano Bifronte

La soluzione alle tre richieste elencate è riposta nel legato cui accede un programma di sostegno ai nipoti studiosi, programma affidato dal testatore all’esecutore testamentario. 

Questa soluzione io la definirei, per i motivi che esporrò, un Giano bifronte[[7]]. 

Per quanto riguarda i profili più strettamente tecnici questa duplicità di fronti mi interessa nel senso che vado qui ad illustrare.

La prima fronte di Giano

Anzitutto mi emancipa naturalmente – perché li da per dibattuti e condotti senz’altro a soluzione positiva[[8]] – dai temi che potremmo definire oramai classici del contratto di affidamento fiduciario inter vivos, quali il titolo che l’affidatario fiduciario ha sul fondo affidato (il modo di essere della situazione dominicale: piena, instabile, ambulatoria[[9]]), la morfologia del contratto di affidamento fiduciario, la struttura del contratto, la fascia di poteri fiduciari/obbligazioni fiduciarie; la particolarità del potere autorizzativo lasciato all’affidante o a terzi e col quale – muovendo nello schema della continuità del programma affidato – si plasmano strumenti non risolutori ma rimediali di fronte ai momenti patologici[[10]]; infine la segregazione del fondo affidato, segregazione dal patrimonio dell’affidatario e dell’affidante; mi emancipa, poi, dal dover trovare soluzioni per argomenti che, risultando particolarmente ostici ai pratici del diritto, hanno trovato sempre scarso approccio[[11]] nella contrattualistica, figlia taciturna di – per fortuna meno taciturne – molteplici, ardite e tra loro spesso distanti soluzioni dottrinarie, argomenti quali l’applicazione del contratto di donazione a nascituri concepiti e, con ancor meno fortuna, a favore di concepturi, in quanto, in mio ausilio, i temi[[12]] della situazione dominicale in capo al donante e della correlata situazione beneficiaria in capo ai donatari futuri possono giovarsi di uno spiraglio applicativo di superamento di varie criticità grazie alla rivitalizzazione pratica che ne è stata data dalla dottrina sull’affidamento fiduciario: il riferimento è alla allocazione, concettuale, ma che diviene pratica, del potere di amministrazione e del potere di rappresentanza tra , da un lato, il donante affidante / terzo affidante, e, dall’altro i genitori / rappresentanti legali del concepito / concepturus[[13]]; ed il riferimento è, altresì, alla necessità di individuare sempre un soggetto che in mancanza del donante detenga la posizione proprietaria[[14]] (si tratta invero di due temi che peraltro, nel caso della attribuzione a titolo di legato ai nascituri, sono in gran parte già normativamente risolti dalla legge che con l’articolo 643 c.c. nel rinviare all’articolo 642 c.c. individua il reticolato di poteri e funzioni nel gestire e disporre dei beni destinati ai nascituri, residuando solo di stabilire allora – ed in ciò sovviene in aiuto la teorica dell’affidamento fiduciario – quale tipo di situazione dominicale gestisce l’amministratore di cui all’articolo 641 c.c.); ed ancora il riferimento è alla individuazione del tempo del trasferimento finale del fondo affidato e quindi dei modi, o per meglio dire dei “ritmi” temporali, di attribuzione delle utilità e/o del fondo durante la vita del contratto, con soluzioni che potranno essere adoperate anche in materia di disposizioni testamentarie omologhe[[15]].

La seconda fronte di Giano

È quella di più diretto impatto per il tema in argomento, riversata pienamente nella materia successoria, ed apre lo scenario: a (pericolose, me ne rendo ben conto) meditazioni su temi classici del diritto successorio (come è per il tema della sostituzione fedecommissaria, anche qui tema comune alla donazione a nascituri non concepiti); a più fortunate (perché meno pericolose), nonché efficienti, applicazioni di un istituto a volte nelle sue massime potenzialità negletto nella pratica testamentaria (l’esecutore testamentario); all’emersione – in quello che di primo acchito appare un modesto tema ed argomento di carattere soprattutto pratico ma invece con ricadute che credo importanti in termini di teoria e di disciplina pratica che ne conseguono – di una ragione del volere e dell’agire del testatore che attraverso i secoli scorre feconda sotto la legislazione in materia successoria, quella della cura delle generazioni future attraverso la fiducia commessa ad altri.

E dico nei secoli perché non è fuor d’opera ricordare che già nelle Pandette di Giustiniano riordinate da Pothier[[16]] si fa il caso del testatore che, volendo apprestare cure per chi riteneva meritevole, lasciò scritto: «Stico sia libero e domando che il mio erede gli faccia insegnare un’arte onde possa trarre il vitto», ed ivi si parifica questo lascito ad un fedecommesso, essendo in definitiva per diritto di Giustiniano parificati i legati ai fedecommessi[[17]].


Spunti da una lettura “causale” della donazione ai nascituri non concepiti e per una critica ai pregiudizi contro il fedecommesso

Venendo ai nostri giorni, l’intrecciarsi dei temi (e dei limiti) del fedecommesso con l’istituzione in favore dei nipoti nascituri concepiti e non concepiti, e i tentativi di soluzione delle antinomie che ne possono derivare, possono trarre una qualche chiarificazione muovendo da considerazioni sul come si perfezioni la fattispecie della donazione ai nascituri non concepiti: essa è stata ricostruita[[18]], in una prospettiva tutta causale, alla luce di «quel sentimento di affetto e quella cura verso le generazioni future che animano il donante in questo genere di donazioni [che] meritano tutta la protezione dell’ordinamento»[[19]]; sentimento di affetto, intenzione di cura apprestata alle generazioni future, diremmo oggi “causa concreta” del negozio, sostrato causale concreto alle attribuzioni programmate verso le generazioni future che fu, del resto, la ragione politica che indusse il legislatore del codice del 1865 ad introdurre, con gli articoli 724 comma primo numero 1° c.c. le e 764 comma secondo c.c. (oggi articolo 462 comma primo e comma terzo c.c. del 1942), un temperamento al divieto assoluto dei fedecommessi posto dall’art. 899 c.c. del 1865[[20]]. 

Orbene, non voglio qui certo disconoscere le motivazioni tecniche addotte, ed ai più note, per cui l’antica convinzione secondo cui “legatum itaque est donatio quædam a defuncto relicta” sia da disattendere[[21]] e certo non voglio sostenere che attraverso l’attribuzione a titolo di legato in favore di nipoti anche non concepiti si possa raggiungere lo stesso obiettivo della sostituzione fedecommissaria vietata, essendo ovvio che lo strumento ipotizzato in questo scritto non può essere adoperato in frode alla legge, e che quindi dovrà essere impiegato entro limiti consentiti, limiti che però, a mio parere, vanno ben indagati prima di concludere, vittime di pregiudizi, con “freni ai traffici giuridici” .

Mi preme allora far presente che, anche oggi, pur nella consapevolezza che lo strumento tecnico è differente[[22]], l’attrazione funzionale verso una comune dimensione di futurità programmatica – non ristretta dai limiti della mera attribuzione a carattere solo istantaneo verificantesi alla morte del testatore – rende sovrapponibili gli strumenti delle disposizioni a titolo donativo (o delle istituzioni a titolo di erede o di legato) in favore dei nascituri concepiti e non concepiti e del fedecommesso lecito.

Sotto quest’ultimo riguardo in particolare non va dimenticato che l’articolo 899 del codice civile del 1865 definiva la sostituzione fedecommissaria come la «disposizione con la quale l’erede o il legatario è gravato con qualsivoglia espressione di conservare e restituire ad una terza persona» e tale è in verità ancora oggi il solo fedecommesso vietato[[23]], quello cioè che non tanto è fatto con sostituzioni in ordine successivo quanto piuttosto le produce poiché la volizione dell’istituito sui beni a lui attribuiti si vincola fino alla di lui morte (fattispecie nella quale quindi il beneficiario finale è attributario di una utilità in quanto, in forza del vincolo di conservare e restituire, successore non dell’istituito ma direttamente del primo de cuius[[24]]). 

Il fedecommesso è disciplinato, nel nostro sistema, non dall’articolo 692 codice civile, ma dal substrato di norme di diritto comune e dalle altre fonti non scritte del diritto consuetudinario, che non sono modificate, nella loro portata effettuale, dall’articolo 627 del codice civile vigente, il quale nel vietare l’azione in giudizio per provare l’interposizione non manifesta, non dice, invece, che non possa essere commessa manifestamente la fiducia ad un terzo. Per l’area in cui l’articolo 627 del codice civile non interviene varrà allora, se non altro, l’articolo 1374 del codice civile, così che un negozio obbliga alle conseguenze previste dagli usi, e, negli usi, la “fiducia” è sempre stata usata e soprattutto anche attuata (così in particolare nel diritto consuetudinario)[[25]]. Né a una tale conclusione può opporsi che un tale argomento varrebbe per i negozi inter vivos e non in materia testamentaria (come è nel caso che ci occupa): l’applicazione degli usi e delle consuetudini in materia di interpretazione ed integrazione del testamento è un campo poco analizzato (o analizzato con preconcetti) dalla dottrina e pur tuttavia ritengo di dover convenire con chi, sulla base di una analisi funzionale tesa a mostrare la vicinanza tra testamento e donazione, ha argomentato e concluso per l’applicazione degli usi nell’interpretazione del testamento[[26]]. Anzi anche in passato a sgombrare il campo da applicazioni delle norme sull’interpretazione cosiddetta oggettiva restrittivamente limitate solo alla materia contrattuale il tema della fiducia emergeva, sotto forma di richiamo alla lealtà ed equità, nelle parole di chi ha osservato come il concetto di buona fede nell’interpretazione vada impiegato non solo per l’interpretazione dei contratti, in quanto non tutte le norme sull’interpretazione oggettiva si limitano a tutelare l’affidamento, bensì alcune di esse tutelano anche «la lealtà, tenuto conto di tutte le particolari circostanze del caso ed anche dei principi di equità … evitando di dare quindi alla disposizione testamentaria un significato che sia in contrasto colle une e cogli altri»[[27]].

I dati sopra accennati (rapporto tra fedecommesso e sostituzione fidecommissaria) sono sintomi di un certo modo di percepire alcuni meccanismi di programmazione successoria, percezione che, se non vado errato, è la medesima che dovrebbe sottendere alle ragioni del divieto del patto successorio istitutivo[[28]], ed è percezione che probabilmente (mi si consenta questa osservazione, incidentale per il tema che mi occupa) può dare ragione della assonanza funzionale tra donazione con riserva della facoltà di disporre e un patto successorio che per questo azzarderei a definire lecito, nel quale cioè la libertà del disponente usque ad extremum exitum vitae sia salvaguardata.

Quanto fin qui esposto serve a definire il terreno teorico e pratico su cui ci si muove, soprattutto per le soluzioni da dare al tema che mi occupa.

Diversamente la trattazione avrebbe ben poco spazio, dovendo limitarsi allora a descrivere e valutare il legato fatto a più nipoti tutti viventi alla morte del disponente ovvero all’unico nipote nascituro, concepito o non concepito che sia, e ad operare forse con l’articolo 2645-ter c.c. (creando cioè un vincolo di destinazione sui beni le cui rendite impiegare per il sostegno dei nipoti).

Ma che la fattispecie di cui all’art. 462 c.c. non sia da applicare con tale restrizione (di volersi cioè riferita solo ad uno o solo a taluni figli di persona vivente – nel nostro caso uno solo o solo taluni nipoti – invece che a tutti e/o tutti di più persone viventi – perché, ad esempio, nel nostro caso, versati nelle situazioni di studio ed esperienze professionali), è stata conclusione pressoché pacifica anche molto prima che se ne avviasse l’esplorazione con applicazione nel mondo dell’affidamento fiduciario[29].


L’istituzione di nascituri concepiti e di nascituri non concepiti quale fattispecie a formazione progressiva: somiglianze funzionali e differenze strutturali con la sostituzione fedecommissaria; il patrimonio variabile

Il tema (e, soprattuto, il timore, in vista di ipotesi di applicazioni estensive) della deroga al divieto della sostituzione fedecommissaria («ogni altra sostituzione è nulla», dice l’ultimo comma dell’articolo 692 c.c., ma, appunto, il caso che trattiamo sarebbe una eccezione), che ne deriverebbe, appare di non scarso momento se solo si pensa alle configurazioni pratiche che possono farsi valutando, in una con la condivisa esegesi non restrittiva del termine figlio di persona vivente (sia per quanto riguarda la parola “figlio” che la locuzione “persona vivente”[[30]]), la particolare configurazione della posizione del chiamato (erede o legatario) nascituro (concepito e non concepito). 

Ma siamo veramente nel campo del rapporto tra regola ed eccezione?

Una serie di considerazioni che vado qui a svolgere sovvengono a rendere più chiaro il quadro ed a dare una risposta tranquillante per gli operatori del diritto.

Anzitutto, le motivazioni che dottrina, pur autorevole, reca nel distinguere tra la posizione del concepito e quella del non concepito[[31]] – non appaiono risolutive ed invero sembrano compendiarsi tutte nel disquisire in termini di minore o maggiore aleatorietà dell’evento della nascita[[32]], ma giuridicamente l’aleatorietà non assume qui rilievo per la fattispecie in quanto mero profilo probabilistico a fronte del dato tecnico per il quale la delazione concreta dell’eredità è ugualmente ipotizzata dalla legge sia per i concepiti (senza il medio del testamento, pur possibile) che per i non concepiti (qui con, per forza ed esclusivamente, il medio del testamento).

In secondo luogo, questa forma di delazione, come già sopra si è accennato, ha la sua giustificazione di politica legislativa nel temperare la forza dell’ostracismo contro le sostituzioni fedecommissarie perché è vero, invece, che l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela l’interesse a regolamentare l’assetto successorio post mortem per la cura delle generazioni future (ed il panorama è vasto, visto che non si parla solo della discendenza del testatore). La ricostruzione del lascito al nascituro quale ipotesi di fattispecie a formazione progressiva con anticipazione di alcuni effetti ma non ancora perfezionata in un elemento[[33]] consente cioè di ricostruire una delazione attuale seppur quiescente nell’efficacia finale, la quale è dipendente dal verificarsi o meno della nascita. Con la conseguenza che è anche attuale la possibilità di accettazione e rifiuto di questa fattispecie in itinere (e le conseguenze sono disciplinate dalla legge, laddove non intervenga la volontà del testatore); e con l’ulteriore conseguenza che, non essendo perfetta la fattispecie mancandone per ora un elemento (il referente della attribuzione), la deroga (tecnica) alla sostituzione fidecommessaria è più apparente che reale, in quanto non vi è propriamente un istituito (neppure condizionale) che sia titolare di una posizione dominicale egoistica ed assoluta oggetto dell’obbligo di conservare per restituire (tanto che nella situazione in itinere l’amministrazione dei beni è regolata secondo le norme sulla curatela dell’eredità giacente) né vi è (ancora) il sostituito al quale indirizzarla, così che essendo l’utilità dei beni da attribuire una utilità da conservare, ma anche gestire, nell’interesse altrui, i detti beni (diritti) vengono a costituire un centro autonomo di rapporti giuridici che devono essere funzionalmente gestiti verso il risultato del programma attributivo[[34]]. 

«I beni ereditari non sono quindi più del testatore poiché la persona di esso è defunta né ancora sono dell’erede poiché questo non può compiere l’atto necessario ad acquistarli: si trovano cioè nella stessa condizione di fatto di oggetti che sono stati derelitti e non ancora occupati. Mentre però in questa ultima ipotesi non esiste alcun rapporto neppure potenziale tra la dichiarazione del primo titolare che li abbandona e quella di colui che può acquistarli, onde la legge di tali oggetti si disinteressa dichiarandoli res nullius, nel caso di vocazione successoria un rapporto tra il defunto e l’erede è destinato a sorgere e nel frattempo il diritto, trovandosi di fronte ad una manifestazione di volontà in tal senso formata con un negozio giuridicamente perfetto, provvede al proprio ufficio integratore disponendo che durante il periodo di incertezza le cose ereditarie non rimangano deserte ma vengano riunite in ente patrimoniale e sottoposte ad un particolare ordinamento di conservazione e di amministrazione. Siccome però questo stato di precarietà è socialmente dannoso … l’incertezza non può durare quindi per tempo superiore alla normale vita di un uomo»[[35]].

Se si dà credito a questa ricostruzione, siamo allora in un caso di fedecommesso[[36]] ma senza sostituzione successiva in quanto non vi è delazione indiretta, qualificandosi la situazione del nascituro quale posizione che può dirsi fissata, sin dall’apertura della successione, come posizione beneficiaria riveniente direttamente e nella sua totalità dal de cuius.

Vi potranno essere casi nei quali il nascituro non concepito acquisterà il diritto (o per meglio dire: la fattispecie attributiva si completerà) dopo il decesso della «persona vivente al tempo della morte del testatore» (si pensi al caso della nascita dalla madre dopo la morte del padre, quando “persona vivente” indicata fosse stato il padre), il che sembra far impattare il caso concreto più direttamente contro il divieto delle sostituzioni fedecommissarie: sennonché, anche in tal caso la “persona vivente” non è mai stata un “istituito”.

Bisogna, allora, prendere atto che in vista della preminenza dell’interesse collettivo alla sistemazione dei rapporti post mortem l’ordinamento consente modulazioni di strumenti giuridici (anche il fedecommesso) tali da poter soddisfare quell’interesse.

Di sicuro, comunque, pur nella forte aleatorietà che il meccanismo crea circa le appartenenze finali dei beni del de cuius, potenzialmente incerte anche per tempi molto lunghi, la mancata venuta ad esistenza del nascituro non concepito non dà luogo ad una ulteriore sostituzione in favore di eventuali terzi chiamati in subordine[[37]], dovendo, invece, il bene permanere all’amministratore di cui all’art. 643 c.c. (o agli altri soggetti variamente individuati, come vedremo, nel curatore di cui all’art. 356 c.c. o nell’esecutore testamentario), il quale lo tiene non come suo ma quale affidatario fiduciario nell’interesse altrui[[38]], fin quando non giunge il termine finale che pone fine all’intera vicenda.

Il meccanismo appare più chiaro nel caso in cui siano istituiti più nascituri (concepiti o non concepiti): qui, quasi che nell’intenzione del testatore la chiamata fosse solidale, la circostanza per cui la fattispecie non è perfezionata, fin quando non sia certo quanti siano i nati, rende la appartenenza del diritto dilazionata[[39]], e poiché l’oggetto del diritto viene a precisarsi, man mano che il tempo corre, in relazione al numero dei nati e dei non nati, coloro che risulteranno essere i nati alla scadenza del termine (o dell’evento) previsto[[40]] saranno beneficiari del legato, mentre nel frattempo, durante il programma, i “nati” non acquistano la quota dei “non nati” sotto condizione risolutiva della nascita degli di questi ultimi[[41]].

Il patrimonio (o per meglio dire le utilità economiche) dei quali i nascituri sono destinatari (finali o di reddito, ovvero sia finali che di reddito, a seconda di come venga configurata l’istituzione testamentaria) è quindi variabile e lo è poiché le obbligazioni di protezione che immutano il titolo dominicale sullo stesso possono richiedere la variazione dei beni medesimi, secondo il meccanismo di surrogazione reale che ben si attaglia alla gestione dinamica dei beni nell’affidamento fiduciario. 


Cenni sull’amministrazione del patrimonio durante la vita del programma fiduciario e cenni sul regime autorizzatorio: gli amministratori di cui all’art. 642 c.c. e il curatore speciale di cui all’art. 356 c.c. 

Così configurata la struttura dell’istituzione (a titolo di eredità o di legato) in favore dei nascituri (concepiti e non concepiti), possiamo trovare nel codice civile – in caso di mancanza di altra determinazione da parte del testatore/fiduciante – le norme per l’amministrazione del patrimonio destinato al programma, norme che, in vista della finalità di gestione che connota il programma stesso, possono trovare una forma di lettura in chiave “fiduciaria”.

L’articolo 643 c.c., in combinato con l’articolo 642 c.c. al quale rinvia, appresta infatti direttamente una disciplina dispositiva del regime di amministrazione dei beni destinati (ai nascituri) che trova armonica sistemazione nella considerazione che i beni ereditari, soggetti ad amministrazione in quanto rivolti al programma fiduciario, sono oggetto di una posizione dominicale conformata la quale necessita, per ciò solo, di una gestione funzionalizzata. Tanto che le regole da applicare sono, come vuole il codice civile, quelle della curatela dell’eredità giacente: rinvio di disciplina, questo dell’art. 644 c.c., il quale non può essere ridimensionato affermando che colui cui spetta l’amministrazione abbia solo il potere di amministrare secondo i canoni degli artt. 528 e ss. c.c. e non l’obbligo di farlo[[42]], e ciò sul presupposto che nella chiamata condizionale la delazione in favore del sostituito (nel nostro caso il chiamato in subordine o legittimo di cui all’articolo 642 c.c.) sia simultanea a quella dell’istituito (nel nostro caso il nascituro)[[43]]. Ed invero, se così fosse, non si comprende per quale motivo il legislatore avrebbe dovuto differenziare, in punto di disciplina e di valutazione dell’interesse da curare (soltanto proprio o “anche altrui”) gli amministratori di beni destinati a nascituri non concepiti (laddove opera il 642 c.c.) e quelli di beni destinati ai nascituri concepiti (art. 643 c.c.): in questo ultimo caso non può essere messo in dubbio che il genitore (che in ipotesi potrebbe anche essere il sostituto in subordine di cui all’art. 642 c.c.) amministra nell’interesse alieno del figlio ancora a venire e non nel proprio interesse; orbene è lo stesso legislatore ad accomunare – in forza del richiamo presente nell’art. 644 c.c. il quale, nel rinviare agli artt. 528 e seguenti, non distingue tra i casi di cui al primo comma del 643 ed i casi di cui al secondo comma del 643 c.c. – le due figure di amministrazione e pertanto, come è chiaro che il genitore amministra i beni destinati al concepito nell’interesse di quest’ultimo, così ogni altro amministratore di cui all’art. 642 non può che dover fare altrettanto.

In conclusione: il richiamo all’art. 642 c.c. vale alla individuazione dei soggetti tenuti all’amministrazione e non alla determinazione dei contenuti e dei modi di esplicarsi di quell’amministrazione, determinazione e modalità che, peraltro, non può andare orfana dal rinvio espresso, che la legge pure fa per gli stessi chiamati sotto condizione, alla curatela dell’eredità giacente.

La perimetrazione dei poteri dell’amministratore temporaneo dei beni che è stato individuato mediante il meccanismo di cui all’art. 642, quali poteri nell’interesse altrui, indirizza verso tutta la strumentazione che la teorica dell’affidamento fiduciario implica in tema di esercizio di quei poteri, e degli obblighi connessivi, sui quali non è qui il caso di dilungarsi, rinviando alle trattazioni specifiche in materia[[44]].

Del resto è la necessità di valutazione dell’interesse alieno rispetto a chi amministra che spiega per quale motivo il legislatore, con il rinvio all’articolo 528 c.c., richiede che della disciplina sulla curatela dell’eredità giacente siano rispettati i regimi autorizzatori: per gli atti di straordinaria amministrazione, in particolare, occorre l’autorizzazione del Tribunale in composizione monocratica o collegiale a seconda che riguardi la disposizione di beni mobili (art. 747 c.p.c.) o immobili (art. 783 comma secondo c.p.c.).

La direzione qui assunta, tuttavia, da un lato richiede un primo adeguamento della disciplina della curatela di eredità giacente che tenga conto della ricostruzione strutturale che si è data della delazione ai nascituri concepiti e non concepiti, in quanto, se le norme sulla curatela dell’eredità giacente presuppongono che i beni ereditari non possono considerarsi né pervenuti né appartenenti al minore, nel caso che ci occupa, invece, la posizione beneficiaria del delato nascituro, già attuale alla apertura della successione, richiede che la posizione del minore, seppur ancora nascituro, e quand’anche ancora non concepito, sia tutelata alla stregua della disciplina dell’art. 320 c.c., il che vuol dire che per gli atti di straordinaria amministrazione occorre anche l’autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare, quindi con doppio binario di regime tutorio[[45]].

D’altro canto, in un’ottica di applicazione dei formanti morfologici dell’affidamento fiduciario, resta da chiedersi se, dovendo l’amministratore dei beni destinati al programma per i legatari nascituri concepiti e/o non concepiti confrontarsi con una dimensione temporale di lungo respiro, possa trovare applicazione l’articolo 783 c.c., ove è disposto che il curatore deve promuovere la vendita dei beni mobili entro un mese dalla formazione dell’inventario (salvo che il tribunale non disponga diversamente): non mi constano precedenti sul punto, e quindi il dubbio non può essere pianamente risolto in un senso o nell’altro, potendosi qui solo rimarcare l’inefficienza cui sarebbe costretto lo strumento programmatico/attributivo voluto dal testatore qualora dovesse ritenersi inderogabile la disciplina autorizzativa relativa ai beni mobili.

Vi è da dire che se si muove dal presupposto per il quale le norme sui regimi tutori ed autorizzatori sono norme poste nell’interesse pubblico, pare difficile trovare spazi per una incidenza di volontà dei privati derogante i modi di funzionare dei detti regimi.

Tuttavia una lettura differente può essere tentata qualora si ponga mente alla circostanza che, come si vedrà, il testatore, seppur sembrerebbe in prima battuta non poter modulare i regimi tutori ed autorizzatori per come prescritti dalla legge, può – senz’altro – scegliere a monte quale tipo di regime adoperare. 

Al riguardo, una significativa facoltà di scelta del testatore è posta nell’art. 356 c.c. che consente di nominare al minore (erede o legatario), seppur fosse soggetto alla patria potestà, un curatore per l’amministrazione dei beni lasciati, e che assoggetta l’amministrazione alle regole di cui agli articoli 374 e 375 c.c. , scegliendo cioè ex ante una amministrazione controllata di carattere dinamico e non meramente conservativo liquidatorio come nel caso della curatela dell’eredità giacente. 

Riconosco peraltro che l’opzione è di per sé ostica in quanto non è certo in dottrina[[46]], e mi risulta unico – seppur sembra indirettamente favorevole alla interpretazione qui proposta – l’intervento della giurisprudenza[[47]], che la nomina del curatore ex art. 356 c.c. possa farsi anche per i nascituri[[48]].

Le conseguenze, in termini di disciplina, ma soprattutto in termini sistematici, che deriverebbero dall’accoglimento di una tale interpretazione estensiva dell’art. 356 quanto ai destinatari di essa, sono rilevanti. 

Infatti, la norma già di per sè: – pare consentire (la questione è poco trattata) che non solo l’amministrazione, bensì anche la rappresentanza sia attribuita al curatore, così da permettere l’esclusione della rappresentanza dei genitori[[49]]; – consente (questa volta con certezza data dalla lettera della legge) che il testatore possa escludere l’applicazione dei regimi autorizzatori di cui agli articoli 374 e 375 del codice civile (rimanendo solo il dubbio se dover comunque fare applicazione, in alternativa, dell’articolo 747 c.p.c.[[50]]); possibilità, entrambe, che da un lato (ed è il profilo di disciplina) permettono di concludere che sarebbe incoerente che il legislatore consenta al testatore, scegliendo a monte un istituto (quale quello della curatela speciali dell’art. 356 c.c.) anziché un altro, di definirsi liberamente un ambito vasto di azione in tema di modulazione atipica e volontaria dei regimi autorizzatori, e non consentisse egual potere anche all’interno del perimetro dei regimi autorizzatori previsti in caso di amministrazione dei beni destinati ai nascituri di cui agli artt. 643 c.c. e 644 c.c. (ad esempio in termini di deroga al regime di alienazione obbligatoria dei beni mobili stabilito, per la curatela dell’eredità giacente dall’art. 783 c.p.c.) ; dall’altro (ed è il profilo sistematico) denotano come, nelle previsioni dell’art. 356 c.c., elemento imprescindibile è la fiducia che il testatore ha nel curatore, sino al punto che l’ordinamento consente che la fiducia sostenga una aticipità – modulata dal fiduciante – dei modi di funzionare dei regimi autorizzatoti, fino a giungere, nel campo dell’art. 356 c.c., ad una attività completamente liberata dagli articoli 374 e 375 c.c.

Le ipotesi ricostruttive stese in questo paragrafo non pare trovino cesura nel voler differenziare, sotto questo riguardo, l’istituzione a titolo di erede di nascituri (concepiti e non concepiti), dall’attribuzione a titolo di legato ai nascituri (concepiti e non concepiti) e ciò sulla scorta dell’argomento che il legato ai nascituri (come tutti i legati) si acquista all’apertura della successione (art. 649 c.c.) e, parificandosi l’ipotesi allo studio, al legato sottoposto a condizione sospensiva, si applicherebbe, allora, l’articolo 640 c.c. e non l’art. 642 c.c., cui, invece, rinvia l’articolo 643 c.c.[[51]] Invero la previsione dell’art. 649 c.c. non può far dimenticare né che l’aspetto tecnico della delazione è identico sia per l’eredità che per il legato lasciato a nascituri, né come il periodo potenzialmente lungo che può intercorrere tra la morte e la nascita del concepturus rende più consono, per identità di ratio (tutelare le posizioni eventuali), applicare gli articoli 641 e 642 dettati in tema di amministrazione dell’eredità (ma in realtà anche del legato, come sembra possibile argomentando dell’articolo 641 comma secondo, norma che prevede l’amministrazione del legato quale rimedio residuale alla mancata previsione di garanzia prevista negli articoli precedenti). 


L’amministrazione del patrimonio destinato al programma: la soluzione efficiente della nomina di un esecutore testamentario quale fiduciario affidatario del programma

Le difficoltà che si incontrano in punto di disciplina cercando risposte nelle previsioni di legge sino ad ora analizzate (articoli 644, 642 e 356 c.c.) possono essere superate attraverso la nomina di un esecutore testamentario cui il testatore demandi la cura dell’attuazione del programma divisato.

L’istituto dell’esecutore testamentario è quello che pare meglio rispondere alle funzioni che il testatore vuol conferire al fiduciario nel caso che ci occupa.

Il fiduciario, affidatario del programma di sostegno per i nipotini studiosi, deve poter:

– esercitare la determinazione dell’oggetto del legato (egli quantifica per ogni nipote le somme necessarie agli studi o alla preparazione all’attività professionale, in base alle esigenze di esso legatario);

– stabilire a chi spettino le utilità in itinere nella gestione del fondo affidato, fin tanto che non si chiude il tempo per la individuazione dei beneficiari finali dello stesso;

– gestire ed amministrare i beni del fondo affidato in vista dell’esecuzione delle volontà del testatore, se del caso, con le opportune autorizzazioni giudiziarie;

– alienare i beni e, con effetto di surrogazione reale, modificare il patrimonio costituente il fondo affidato (anche qui, come per qualsiasi ipotesi di contratto di affidamento fiduciario, si ripetono i temi propri delle connotazioni di «pienezza», «instabilità» ed «ambulatorietà» del titolo di appartenenza dominicale del fondo);

A dire il vero di tutte queste funzioni, alcune (quelle ai numeri 1 e 2) potrebbero essere appositamente (cioè: specificamente in quanto volontariamente) affidate anche agli amministratori ex art. 642 c.c. o al curatore speciale ex art. 356 c.c. (si pensi alla determinazione dell’oggetto e dei beneficiari del legato, seppure nei limiti consentiti dalla legge), altre (quelle ai numeri 3 e 4) sono già naturalmente (con declinazioni diverse a seconda della figura prescelta) in capo ad essi: nulla esclude, infatti, che il terzo cui sia affidata la determinazione dell’oggetto del legato o la individuazione dei legatari, nei limiti in cui il sistema lo consente secondo le previsioni degli articoli 631 comma secondo e 632 c.c., possa essere lo stesso amministratore dei beni in attesa di essere attribuiti ai nascituri o il curatore speciale di cui all’art. 356 c.c.

Tutte però sono sicuramente esercitabili, già in piana applicazione della legge, dall’esecutore testamentario, il cui ufficio, inoltre, consente di superare le difficoltà operative che derivano dal raccordare tra loro la pluralità di amministratori e di curatori che potrebbero esserci in caso di pluralità di nascituri, senza dimenticare che per i primi le funzioni verrebbero a cessare al momento del verificarsi dell’evento nascita, mentre per i secondi le funzioni dovrebbero comunque cessare al raggiungimento della maggiore età del beneficiario: la figura dell’esecutore testamentario da un lato sarebbe così di raccordo tra costoro (qualora si volesse ritenere una loro permanenza concorrente) e dall’altro consentirebbe di traghettare la fase della gestione verso la conclusione coerente con le volontà del testatore, completando l’esecuzione delle di lui volontà[[52]].

Alcuni caratteri che spingono verso la scelta dell’esecutore testamentario sono:

– durata: l’ufficio dell’esecutore testamentario non ha, come per le prime due figure dell’amministratore e del curatore, una fine naturale, in quanto esso dura tutto il necessario che deve durare[[53]].

– Regime autorizzatorio, interferenze con le altre figure di compartecipi (a vario titolo) all’eredità “in corso”: rappresenta l’istituto che ha la più chiara definizione del regime autorizzatorio ed al riguardo sovviene, inoltre, anche utile la riflessione per cui la disciplina dell’esecutore testamentario non soltanto prevale sulle altre discipline che eventualmente potrebbero essere teoricamente in concorso (ad esempio su quella del curatore eredità giacente[[54]]) ma, soprattutto, nei rapporti con i poteri dell’erede evidenzia, alla luce degli art. 707 e 703 c.c., una necessaria preferenza e prevalenza dei poteri dell’esecutore su quelli dell’erede, giacchè se l’erede (in ipotesi possessore o, ancor più, accettante) potesse disporre come meglio crede dei beni ereditari, malgrado la presenza dell’amministrazione dell’esecutore testamentario, l’amministrazione stessa potrebbe venire vanificata, in quanto al titolare dell’ufficio potrebbero essere sottratti i beni necessari per adempiere i legati e per pagare i creditori[[55]], dovendo, al contrario, reputarsi che il potere di disposizione dell’esecutore, non è solo eventuale e residuale rispetto ad un potere che rimarrebbe generale e primario in capo all’erede, bensì è esso primario e centrale, tanto che laddove le istruzioni del testatore siano sufficientemente precise anche per la disposizione dei beni si potrebbe pensare alla non necessità delle autorizzazioni giudiziali[[56]];

– Disciplina rimediale: è la stessa legge che fa applicazione di quelli che appaiono essere i principi dell’affidamento fiduciario (autorealizzazione in via di autotutela), prevedendo, all’articolo 710 c.c., l’esonero dell’esecutore quanto compia azioni che ne menomino la fiducia (quella che il testatore aveva riposto in lui): si ricorda che la norma prevede l’intervento del giudice, tuttavia, in un’ottica di applicazione degli strumenti morfologici dell’affidamento fiduciario, non si può escludere che il meccanismo possa essere strutturato dall’autonomia privata senza cioè intervento del giudice[[57]]; si può ritenere, altresì, che la menomazione della fiducia non porti necessariamente alla estinzione dell’ufficio ma possa (anzi, secondo la tecnica rimediale, debba) portare alla sostituzione dell’esecutore «sfiduciato»[[58]];

– È un ufficio di diritto privato: ciò, da un lato rende coerente l’accostamento dell’esecutore testamentario al fiduciario del contratto di affidamento fiduciario, connotando la posizione dell’esecutore, in ragione della fiducia che lo lega al testatore, in termini di poteri, facoltà ed obblighi[[59]], dall’altro consente di ragionare in termini di continuazione dell’ufficio pur nella variazione dei soggetti diversi che coprono il ruolo (attraverso meccanismi di sostituzione sia volontaria, sia decisi dall’autorità giudiziaria o dai soggetti autorizzati all’uopo).


Conclusioni su una ipotesi di soluzione del caso: alcune clausole esemplificative

Il quadro tracciato consente di dare alcune direttive in tema di disciplina che possono essere utilizzate nella costruzione del programma affidato fiduciariamente ad un soggetto per soddisfare i bisogni dei nipoti studiosi senza definizione preventiva di chi siano i singoli nipoti beneficiari: 

– i beneficiari (nati, nascituri concepiti e non concepiti) del legato non acquistano immediatamente, ciascuno al momento della nascita, le utilità promesse, ma queste continueranno ad essere gestite dal soggetto amministratore (in ipotesi gli eredi onerati, o, come poi vedremo per superare le tematiche tipiche delle criticità degli assetti successori, l’esecutore testamentario), fin tanto che non si verifichino le ulteriori condizioni al verificarsi delle quali l’amministratore (gestore/fiduciario) provvede a distribuirle ai nipoti in base alle esigenze da egli valutate discrezionalmente;

– In conseguenza di questa pendenza e diluizione dei tempi, e della circostanza per cui il lasso temporale crea inevitabilmente spazi di incertezze, per cui ciascun nipote legatario non acquista sin dal momento della propria nascita l’utilità che gli è stata predestinata, l’amministratore del centro di imputazione autonoma di interessi (qui si potrebbe dire quasi che “gli interessi sono del programma”) deve accantonare le somme necessarie, somme eventualmente ottenute anche mediante alienazione dei beni dell’eredità (in tal senso occorre porre mente al fatto che il legato che stiamo disegnando è un legato obbligatorio – legato di cosa determinata solo nel genere – in cui onerati dell’obbligo sono, normalmente, gli eredi, ma qui la gestione per l’adempimento dell’obbligo è in mano all’esecutore);

– La titolarità delle somme e dei beni che formano il fondo affidato (a dire il vero ogni somma che, derivante dal patrimonio ereditario, viene segregata dall’esecutore in base alle modalità dettate dal testatore), per quanto detto, pur spettando ai legatari[[60]] sono per intanto di appartenenza (come ogni altro bene in cui gli eredi sono succeduti al de cuius) degli eredi (o di altri legatari onerati come lo può essere ogni altro bene attribuito in legato dal de cuius) ma secondo quell’appartenenza dominicale funzionalizzata che è già stata indagata come sussistere in capo al donante nel caso di donazione a nascituri[[61]]: solo che qui la normativa in materia successoria consente di avere a disposizione vari strumenti e figure giuridiche per gestire il patrimonio destinato, ritenendo, a mio modesto parere, doversi fare applicazione, come già detto, dell’art. 642 c.c. sia per i legati che per le istituzioni di erede, ovvero, laddove, come si auspica, sia stato nominato l’esecutore testamentario, delle norme di cui all’articolo 700 e ss. c.c., in quanto affidare all’esecutore testamentario l’incarico di dare esecuzione alle disposizioni del testatore dovrebbe far prevalere la disciplina dell’esecutore testamentario su quella della curatela dell’eredità giacente o del curatore speciale di cui all'art. 356 c.c.; avendo, peraltro, sopra parlato di delazione anticipata rispetto al perfezionamento della fattispecie, e quindi avendo inteso ritenere operante fin da subito, rispetto alla tutela degli interessi del nascituro, le norme sulla rappresentanza (articoli 320 e 321 c.c.), non si può escludere, ancor più nel concorrere di più nascituri, che il testatore possa nominare per alcuni nascituri o per gruppi di nascituri (a seconda, ad esempio, del tipo di carriera che si voglia far intraprendere) un curatore speciale per l’amministrazione dei beni lasciati in legato – il quale opererà comunque sempre in sostituzione del genitore, sino all’estremo di poter azzardare (come ho sopra illustrato) che affidatario fiduciario dell’intero programma sia, almeno per un periodo di tempo (e cioè almeno sino al raggiungimento della maggiore età[[62]]) proprio e solo il curatore speciale;

– La durata del tempo di diluizione delle attribuzioni patrimoniali in programma: sul punto, certo, l’ampiezza che può raggiungere la disposizione è temporalmente vastissima tanto da far pensare seriamente che il divieto di sostituzione fedecommissaria è facilmente aggirabile attraverso questo strumento: per chi come me ritiene che la fattispecie si chiuda (perfezioni) solo con la nascita del chiamato non concepito, e, se solidale, con la nascita di tutti i concepiti e non concepiti, la necessità di una delimitazione della durata della fattispecie in fieri potrebbe derivare dalla circostanza che la disposizione testamentaria sarebbe in alcuni casi nulla per impossibilità di determinare l’oggetto del legato; tuttavia questa conclusione vale solo nel caso di legati attributivi di situazioni reali ad efficacia istantanea, perché nel caso di legati obbligatori, il diritto ad esempio alla prestazione da parte dell’onerato potrà già sorgere in capo a ciascun beneficiario che man mano nasca, senza che ciò possa intaccare la prosecuzione del programma in favore dei “non – nati” se e quando verranno ad esistenza, così che l’apposizione di un termine serve piuttosto a regolare il programma in modo che l’interesse cui esso risponda sia qualificabile come meritevole e non meramente illusorio e pertanto illecito (la concretezza credo sia un vaglio per la meritevolezza).

Questi approdi possono essere tracce e punti di riferimento per la definizione di alcune delle clausole del programma per gli studi e le specializzazioni professionali per i nipoti del testatore, così da offrire all’operatore del diritto un canovaccio pratico da poter eventualmente seguire[[63]].

Procederò separando le clausole in gruppi omogenei, ciascuno coeso attorno ad un nucleo di elementi strutturali essenziali per costruire il legato del quale abbiamo sino ad ora parlato:

Primo gruppo; individuazione dei legatari; elementi: a) Attribuzione a titolo di legato di somme di denaro determinabili ai nipoti nati e nascituri (concepiti e non – in quest’ultimo caso nei limiti del 462 c.c.); b) Determinabilità correlata alle esigenze di studio o di preparazione professionale (art. 632 c.c.); c) Individuazione di un limite temporale per la individuazione dei legatari; d) Individuazione di un limite temporale entro il quale per ciascun legatario possono essere erogate le somme.

Ipotesi di clausole per il primo gruppo:

 «Lego a ciascun mio nipote – in vita al momento della mia morte o che nasca entro i dieci anni successivi alla mia morte [EVENTUALMENTE: ivi inclusi i figli dei miei figli Mario, Gianni, Lorenzo, pur se non ancora concepiti] – quanto necessario per proseguire i propri studi e per la propria formazione professionale: tali somme saranno, per ciascun nipote, erogate dall’età di 10 anni sino al ventinovesimo anno di età.

Tale legato comprende: le spese di istruzione, le spese di viaggio o di soggiorno necessarie per la frequenza alle scuole, ai corsi, comprende inoltre … [… eventuali altre spese …]»

Secondo gruppo: clausole sull’esecutore; elementi: a) Composizione dell’ufficio; b) Attribuzione del poter fiduciario.

Ipotesi di clausole per il secondo gruppo:

 «Nomino miei esecutori testamentari i Signori …

L’espressione «esecutore testamentario» indica un ufficio di diritto privato: esso è inizialmente composto da chi, tra i suddetti soggetti sopra indicati, potrà o vorrà accettare l’incarico e da chiunque altri dopo la mia morte sarà chiamato a farne parte secondo le disposizioni che seguono ed accetterà la nomina» [… seguono clausole sulla ipotesi di pluralità di esecutori se in modo congiuntivo o disgiuntivo, sulle modalità di decisione in caso di ufficio plurisoggettivo, sull’eventuale compenso, sulle ipotesi di sostituzione …].

«L’aggettivo “fiduciario” colora sia i poteri e le obbligazioni dell’esecutore testamentario sia i criteri di valutazione della sua condotta».

Terzo gruppo: il fondo affidato; elementi: a) quantificazione dell’importo presuntivo per costituire il fondo; b) creazione di un conto vincolato; c) modi di creazione, di implementazione e di variazione del fondo.

Ipotesi di clausole per il terzo gruppo:

«Spetta al mio esecutore testamentario determinare l’importo presuntivamente necessario per adempiere questo legato alla luce del numero dei nipoti in vita al momento della mia morte e di quelli che potrebbero sopravvivere nei successivi dieci anni: a tal fine egli sentirà i miei eredi e quei miei nipoti, anche minorenni, che riterrà, e poi comunicherà per iscritto agli eredi ed a tutti i nipoti o ai loro rappresentanti l’importo che avrà determinato».

«L’esecutore testamentario verserà detto importo presuntivamente determinato, maggiorato di una somma pari al prevedibile compenso che maturerà in suo favore, nel conto bancario che dovrà da egli essere aperto ed intestato, nominandolo «Conto Speciale» ed intestandolo come «Ufficio dell’Esecutore testamentario del de cuius [nome] [cognome], consegnando all’istituto bancario di appoggio una copia di questo testamento e della determinazione dell’importo presuntivamente necessario per adempiere il legato»

«L’importo di cui al comma precedente sarà ottenuto:

– Prelevando la somma dai miei conti bancari al momento della mia morte qualora vi sia sufficiente provvista;

– Qualora i conti bancari non abbiano sufficiente provvista, mediante il ricavato della alienazione dei beni che riterrà opportuno alienare, sentiti gli eredi e richieste, se del caso, le necessarie autorizzazioni».

Quarto gruppo: modalità di adempimento dell’incarico; elementi: a) colloqui con i nipoti; b) elargizioni; c) valutazione circa le qualità, revoca.

Ipotesi di clausole per il quarto gruppo:

«Avvicinandosi un nipote al conseguimento della licenza liceale o equivalente, o essendo egli negli studi universitari o avviato o da avviarsi al conseguimento di una professione o una attività lavorativa, al momento della mia morte, l’esecutore testamentario lo incontra nei tempi e nei modi che ritenga opportuni, allo scopo di conoscerne gli intendimenti circa la prosecuzione degli studi o della sua formazione professionale».

«L’Esecutore testamentario, tenuto conto di ogni fattore che egli ritenga rilevante, compresa la somma in quel momento esistente nel “conto speciale” e la previsione di impieghi in favore di altri nipoti, successivamente comunica al nipote in questione ed agli eredi:

 l’importo che ha deciso di impiegare per il nipote in questione;

 le condizioni alle quali sottopone l’impiego della somma, condizioni che possono riguardare gli standard di preparazione e di votazione che deve raggiungere nel percorso scolastico ovvero i risultati che deve conseguire nella preparazione e carriera professionale o lavorativa, ovvero ogni altro elemento che consenta di evitare che siano finanziati nipoti non meritevoli.

L’esecutore testamentario può in qualsiasi momento revocare o variare la suddetta comunicazione senza necessità di motivare, ma solo dopo avere ascoltato il nipote in questione».


[1] Questo studio vuole essere un banco di prova per testare se alcuni strumenti negoziali sono non solo validi ma anche efficienti nel rispondere agli interessi che muovono la volontà e l’azione dell’uomo. Una verifica in termini di soluzioni efficienti piuttosto che inquadrabili in fattispecie prefigurate è percorsa nelle sue opere sulle posizioni fiduciarie da Maurizio Lupoi, il quale, nella Prefazione ad uno dei suoi scritti, osserva che «qualora si consenta ai principia di emergere, norme del codice civile, vigente e previgente, lette sinora come poco interessanti e certamente di minimo rilievo pratico, sono invece portatrici di inaspettate soluzioni e appaiono utili se non anche necessarie; la fattispecie riprende il ruolo consueto, ma intorno tutto è cambiato» (M. LUPOI, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, Milano, 2018, XIII).

[2] Mi sia consentito citare, per spunti di filosofia della proprietà in chiave critica rispetto alle vulgate tradizionali della proprietà capitalistica ed egoistica, il mio Il vincolo di destinazione di cui all’art. 2645ter del codice civile, in FAVA (a cura di), Trattato teorico pratico – Diritti reali, Milano, 2019, 605 e ss.

[3] Per una lettura su quanto questo programma possa essere dettato a volte anche solo da desiderio (effimero?) di immortalità vedasi F. Treggiari, Interpretazione del testamento e ricerca della volontà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 911 e ss.

[4] Vi è un motivo non solo tecnico, ma più radicalmente filosofico e di politica legislativa che è alla base di questa difficoltà: il codice civile del 1942 ricalca, attraverso quello del 1865, la concezione della proprietà voluta dalla codificazione napoleonica e pertanto, nonostante le “pressioni” di matrice socialista tentate dal governo fascista, rimane profondamente di matrice borghese, “egoistica” e capitalista. Questa concezione ha spesso portato a semplificazioni anche scientifiche al fine di giustificare una visione monolitica ed egoistica della proprietà, attribuendo ad esempio al diritto romano antico una idea di proprietà quale dominio assoluto e libero che invece non trova un riscontro chiaro costante neppure nel Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, tanto che si è dubitato dell’esistenza stessa della nozione di proprietà come diritto soggettivo che fosse una costante in tutta l’epoca di Roma antica (per una attenta analisi degli sviluppi che il concetto della proprietà ebbe nell’ordinamento romano si veda P. GARNSEY, Thinking about property – From Antiquity to the Age of Revolution, Cambridge, 2007, 175 e ss.).

[5] La volontà riportata nel testo è presa, con un lieve adattamento, dal libro di M. LUPOI, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, Milano, 2018, 238.

[6] Anche lo strumento del rendiconto non appare idoneo a fugare timori di inefficienza: seppur consente di monitorare l’operato del legatario, e quindi in teoria di prevenire situazioni patologiche di inadempimento, tuttavia chi sovrintende il monitoraggio sarebbe, nell’ipotesi di partenza, comunque l’erede, che è in conflitto di interessi.

[7] Già gli antichi mettevano il nome del dio in relazione al movimento: Macrobio e Cicerone lo facevano derivare dal verbo ire "andare", perché secondo Macrobio «il mondo va sempre, muovendosi in cerchio e partendo da sé stesso a sé stesso ritorna»Insomma, un po’ come il tema della fiducia testamentaria della quale pure sarà d’uopo accennare.

[8] Centrale è la monografia di M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014.

[9] La tripartizione morfologica è adoperata in M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, cit., 351.

[10] Sulle ragioni della non risolubilità del contratto di affidamento fiduciario si veda M. LUPOI, op. ult. cit., 328. Sulla ricerca di una «prospettiva rimediale» e non solo risarcitoria per superare le patologie del negozio fiduciario, una prospettiva «che consenta, indipendentemente dalla struttura del negozio fiduciario, di risolvere il problema dell’abuso della fiducia e di tutela del soggetto fiduciante» si veda anche M. BIANCA, La fiducia rimediale e la teorica della destinazione patrimoniale, in AA.VV., Il negozio di destinazione fiduciaria – Contributi di studio, a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 2016, 27 ed anche M. BIANCA, La fiducia attributiva, Torino, 2002. Secondo questa dottrina uno studio trasversale dei modelli di destinazione patrimoniale, al di là del profilo strutturale delle stesse, consente di cogliere «nel sistema elementi di disciplina che possono consentire una più efficace tutela del soggetto fiduciante a prescindere dalle elaborazioni teoriche sull’ammissibilità o meno nel nostro sistema di un modello tipico di proprietà fiduciaria» (così M. BIANCA, op. ult. cit., 31)

[11] Ma solo perché il civilista, soprattutto quando opera sul campo dove dovrebbe tradurre in strumenti efficienti il proprio sapere, spesso non vuole riconoscere la consuetudine quale fonte del diritto, e quindi nel campo della fiducia si rifiuta sovente di voler conoscere le fonti non scritte del diritto italiano (sulla «freddezza del civilista nei confronti della figura della consuetudine» si possono leggere le perspicue parole di Rodolfo Sacco in R. SACCO, Fonti non scritte del Diritto Italiano, in Dig. civ., Aggiornamento, Vol. I, 2000, Torino, 425: l’Autore, in altro luogo – R. SACCO, op. ult. cit., 408, ricorda come il diritto non scritto contraddice il proclama di esclusività del godimento della proprietà recitato nell’art. 832 del codice civile vigente).

[12] Temi riepilogati in A. TORRENTE, La donazione (seconda edizione aggiornata a cura di U. Carnevali e A. Mora), in CICU – MESSINEO – MENGONI (già diretto da) e SCHLESINGER (continuato da), Trattato di Diritto civile e commerciale Milano, edizione 2006, 188 e ss. e 452 e ss. L’Autore fa leva sul concetto di fattispecie a formazione progressiva, la quale, però, richiede che i momenti della “progressione” siano disciplinati in modo che lo scopo divisato in origine possa essere raggiunto attraverso modi che tutelino questa finalità: ed all’uopo non vale considerare l’attribuzione ai donatari nascituri come soggetta alla condicio iuris della nascita, in quanto tale ricostruzione significherebbe, in caso di donazione a più nascituri, che ad ogni nascita il nato acquisterebbe il tutto sotto condizione risolutiva della nascita di un altro, con evidente dispersione della finalità voluta dal donante; il tema è parzialmente meno complicato, come vedremo, in caso di istituzione di nascituri, per la quale ipotesi valgono gli articoli 642 e 643, in quanto verificatosi l’evento nascita per uno dei chiamati, il concorso di costui con i nascituri non ancora venuti al mondo è disciplinato dall’articolo 642 (per lo meno in tema di amministrazione, ma con importanti ricadute in tema di disposizione dei beni, dovendo applicarsi il regime autorizzativo della eredità giacente (art. 644 c.c.)).

[13] M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, cit., 270, ed ivi nota 72, annota che «La scarsa giurisprudenza non fornisce indicazioni utili sul punto, che rimane da approfondire» circa il concorso della volontà di chi agisce (in rappresentanza) dei non concepiti. Il tema, già ostico per la donazione a nascituri non concepiti, laddove tuttavia la dicotomia amministrazione (in capo al donante/affidatario fiduciario che può essere lo stesso donante) versus rappresentanza del concepturus (che è in capo al genitore, ovvero, mancante costui, in capo al soggetto tutore previsto dalla legge), consente di trovare per lo meno uno struttura chiara di riferimento ai poteri da esercitare (salvo poi le difficoltà di contemperamento del caso concreto), diviene di maggior difficile soluzione, anche strutturale, nel caso della istituzione testamentaria (a titolo di erede o di legato), per l’incastrarsi di competenze diverse tra autorizzazioni “successorie” e “minorili” (articoli 747 c.p.c. e 320 c.c.).

[14] M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, cit., 280, dove: «Deve allora esistere un meccanismo giuridico che assicuri che vi sia sempre un idoneo soggetto, il quale si sostituisca nella proprietà del bene donato ed anzi nell’intero contratto dal lato del donante, come se questo nuovo soggetto ne fosse stato parte sin dalla sua conclusione, così trasferendogli i doveri di protezione verso il nascituro».

[15] Sulla spettanza dei frutti, sul reimpiego degli stessi, sul modo di farsi dell’oggetto dell’attribuzione finale che “viene progressivamente a precisarsi in relazione al numero delle nascite” vedi sempre M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, cit., 269 e 278.

[16] R.G. POTHIER, Le Pandette di Giustiniano, Venezia, Volume II, 1841, 573.

[17] Triboniano (per come citato nelle menzionate Pandette di Pothier), interpolando Ulpiano con la locuzione “in tutto”, disse che: «I Legati ed i Fedecommessi sono in tutto parificati».

[18] A. TORRENTE, La donazione, cit., 191

[19] Così A. TORRENTE, op. loc. ult. cit.

[20] Motivazioni nel senso del testo si trovano in F. MESSINEO, Manuale di Diritto Civile e Commerciale, vol. VI, Milano, 1962, nona edizione, 149.

Si riportano di seguito i testi degli articoli citati.

Art. 724 codice civile del 1865 (Capo I – Delle Successioni Legittime – Sezione I. Della Capacità di Succedere):

(comma primo)Sono incapaci di succedere: 1° Coloro che al tempo dell’apertura della successione non siano ancora concepiti” […]

Art. 764 Codice Civile del 1865 (Capo II – Delle Successioni Testamentarie - Sezione II. Della capacità di ricevere per testamento)

«Sono incapaci di ricevere per testamento coloro che sono incapaci di succedere per legge.

Possono però ricevere per testamento i figli immediati di una persona vivente al tempo della morte del testatore quantunque non siano ancora concepiti».

Art. 899 Codice Civile del 1865 (Capo II – Delle Successioni Testamentarie – Sezione VI. Delle Sostituzioni):

«Qualunque disposizione colla quale l’erede o il legatario è gravato con qualsivoglia espressione di conservare e restituire ad una terza persona, è sostituzione fedecommessaria».

Il Messineo (F. MESSINEO, op. loc. ult. cit.) , correttamente, nel vigore della prima versione dell’articolo 692 del codice civile del 1942, riteneva che la giustificazione politica dell’ammissibilità della istituzione testamentaria di nascituri non concepiti (a stemperare il divieto della sostituzione fedecommissaria, divieto assoluto nel codice del 1865) aveva minor ambito di applicazione (stante la prima stesura dell’articolo 692 c.c.) ma non perdeva valore teorico: la giustificazione allora riprende tutto il suo ambito esteso di applicazione (come era nel codice civile del 1865) oggi con la versione attuale dell’art. 692 c.c. che limita l’ammissibilità della sostituzione fedecommessaria ai soli casi dei discendenti e del coniuge dell’interdetto o del minore di età in condizioni tali da far presumere che sarà interdetto (versione dell’art. 692 c.c. successiva alle modifiche apportatevi dalla riforma del diritto della famiglia di cui all’art. 197 della legge n. 151 del 19 maggio 1975).

Si pongano a confronto i due testi dell’art. 692 c.c.

Art. 692. (codice civile del 1942 sino alla riforma della legge n. 151 del 1975): «È valida la disposizione con la quale il testatore impone al proprio figlio l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte in tutto o in parte i beni costituenti la disponibile a favore di tutti i figli nati e nascituri dall'istituito o a favore di un ente pubblico. È valida ugualmente la disposizione che importa a carico di un fratello o di una sorella del testatore l'obbligo di conservare e restituire i beni ad essi lasciati a favore di tutti i figli nati e nascituri da essi o a favore di un ente pubblico. In ogni altro caso la sostituzione è nulla. È parimenti nulla ogni disposizione con la quale il testatore proibisce all'erede di disporre per atto tra vivi o per atto di ultima volontà dei beni ereditari».

Art. 692 (codice civile dopo la riforma della legge n. 151 del 1975):

«Ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell’interdetto possono istituire rispettivamente il figlio, il discendente, o il coniuge con l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo. La stessa disposizione si applica nel caso del minore di età, se trovasi nelle condizioni di abituale infermità di mente tali da far presumere che nel termine indicato dall’articolo 416 interverrà la pronuncia di interdizione. Nel caso di pluralità di persone o enti di cui al primo comma i beni sono attribuiti proporzionalmente al tempo durante il quale gli stessi hanno avuto cura dell’interdetto. La sostituzione è priva di effetto nel caso in cui l’interdizione sia negata o il relativo procedimento non sia iniziato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età del minore abitualmente infermo di mente. È anche priva di effetto nel caso di revoca dell’interdizione o rispetto alle persone o agli enti che abbiano violato gli obblighi di assistenza. In ogni altro caso la sostituzione è nulla».

[21] Le motivazioni tecniche si trovano, ad esempio, in F.S. AZZARITI – G. MARTINEZ – G. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1969, 468 ove il rilievo che appaiono «inaccettabili la nota definizione romana "legatum est donatio testamento relicta” e l’altra “legatum est delibatio hereditatis, qua testator ex eo quod universum heredis foret, alieni quid collatum velit”, potendo appunto verificarsi, come nel legato di debito, che la disposizione né sia determinata da animo liberale né produca una diminuzione dell’asse ereditario».

[22] Ne parla il Messineo che ricorda come i due istituti coincidono parzialmente nelle finalità ma differiscono nella struttura e in parte nell’oggetto, distinguendo così tra disposizione ai nascituri non concepiti di cui all’art. 462 c.c. e la sostituzione fedecommessaria ammessa nei limiti dell’allora articolo 692, in quanto l’istituzione del non concepito è una vocazione diretta mentre la sostituzione a favore del figlio nato o nascituro dell’istituito è una vocazione indiretta ed inoltre in quanto (con riferimento al dettato del precedente articolo 692 c.c.) nell’istituzione del non concepito l’oggetto dell’attribuzione poteva essere più ampio di quello dell’attribuzione al sostituito (il figlio nascituro dell’istituito), potendo attribuirsi, nel primo caso, e sempre fatta salva l’azione di riduzione, anche la porzione indisponibile, laddove, invece, per il secondo caso, l’attribuzione in sostituzione fedecommessaria eccedente la indisponibile si riteneva non riducibile bensì nulla (vedasi F. MESSINEO, op. ult. cit., 149 e, con riferimento al tema dell’ampiezza dell’oggetto per il fedecommesso ammissibile secondo il disposto dell’allora vigente art. 692 c.c., ID., op. ult. cit., 176).

[23] Spunti in M. LUPOI, I Trust nel diritto civile, Diritti Reali, Vol. 2, in SACCO (diretto da), Trattato di diritto civile, Torino, 2004, 185, dove, nel citare il Merlin (PH. MERLIN, Institution contractuelle, par. V) il riferimento alle “simples fiducies”, quelle con le quali il successore è un mero interposto, che non incorrono nel divieto della sostituzione fedecommissaria, nonché a pagina 186 dove si riporta l’opinione del Troplong (R.T. TROPOLONG, Des donations entre – vifs, I, Bruxelles: chez A. Labroue et compagnie, 1855, 52 – 54) il quale rilevava che l’articolo 896 del code civil abolisce le sostituzioni, non qualsiasi fedecommesso. Sul tema della distinzione tra fiducia impropria (non manifesta) e fiducia propria (manifesta) si veda E. GIANTURCO, Opere giuridiche, volume secondo, Roma, 1947, 401 e ss. (si noti che la terminologia è solo convenzionale, essendovi anfibologia nell’uso degli aggettivi propria ed impropria - vedi infatti infra – ma la sostanza non muta). È nota la diatriba che vide l’un contro l’altro armati, tra gli altri, il Cimbali (E. CIMBALI, La dottrina delle fiducie nel codice civile italiano, in Opere complete di enrico cimbali, Studi di diritto civile, seconda ed., Torino, 1900, 73 e ss.) ed il Gianturco (E. GIANTURCO, op. loc. ult. cit, ed ID., Delle fiducie nel diritto civile italiano, Napoli, 1882, 64 e ss.). È peraltro singolare che la giurisprudenza, nonostante gli strali della dottrina maggioritaria (C.F. GABBA, Nota ad App. Firenze 26 gennaio 1893, in Foro it., 1893, I, 796, come citato in Lupoi), fu molto più vicina al diritto comune ed ai reali interessi dell’economia. Lo scollamento tra dottrina “negazionista” e realtà delle aule dei tribunali che “fanno il diritto”, traluce in un commentario “pratico”, leggendovisi, in commento all’articolo 834 del codice civile del 1865 («art. 834: È parimenti nulla ogni disposizione fatta a favore di persona incerta da nominarsi da un terzo») che «È questa la fiducia vera e propria, proibita anche in diritto romano. Da questa differisce essenzialmente la fiducia impropria che si ha quando il testatore sceglie un erede di sua fiducia e gli dà l’incarico di eseguire la volontà manifestatagli a voce… (Corte App. Catania, 2 aprile 1886, in Giur. it., 1886, parte II, 547» (T. BRUNO, Sub. art. 834 c.c. in BRUNO (a cura di), Codice civile del Regno d’Italia, illustrato con le principali decisioni delle Corti del Regno, Seconda ed., Firenze, 1892, 208, ed ivi nota 1): al di là della anfibologia “propria/impropria” è chiaro che quella che viene considerata lecita, nella sopra menzionata decisione della Corte di Appello di Catania, è la fiducia manifesta. Erano quelli tempi in cui una parte della dottrina tributava il giusto riconoscimento alla circostanza che nel nostro ordinamento, nella vigenza del Codice Albertino e del Codice Civile del 1865, la giurisprudenza era per l’accoglienza della fiducia (riferimenti anche in E. PACIFICI-MAZZONI, Istituzioni di diritto civile italiano – Quarta edizione riveduta e corredata di note per cura dell’Avv. G. Venzi e dell’Avv. P. Franco, vol. VI – Parte Speciale, Firenze, 1914, 358).

[24] Corte Appello Genova, 7 marzo 1889, in Giur. it., 1888, parte I, 685, secondo la quale vi è sostituzione fedecommessaria vietata «quando all’erede istituito è imposto l’obbligo di non alienare alcuno dei beni stabili cadenti nella sua eredità ma di conservarli e di lasciarli tali e quali ai suoi figli a termini di legge» (riportata in T. BRUNO, Sub. art. 899 c.c., cit., 222). Invece il fedecommesso semplice è «quello che si lascia con espressioni di preghiera e con semplice volontà, o per interpretazione di essa, ovvero è quello che lasciasi alla fede dell’erede perché vi adempia» (F. MASCIA, Dell’eredità fedemmessarie e del senatus consulto Trebelliano, in E. MERILLI JURECONSULTI, Sinopsis Institutionum Imperialium Ec., Voltata in italiano per Giovine Legale F. Mascia, Napoli, 1856, 56). Per questo erravano, nella civilistica a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, coloro che affermavano che con la tesi della validità della fiducia testamentaria «si contravviene anche al divieto della sostituzione fidecommissaria (art. 900 c.c.), perché il fiduciario potrebbe dichiarare la sua fiducia nel testamento e l’erede dichiarato diventerebbe fidecommissario alla morte dell’altro” (così E. PACIFICI-MAZZONI, op. cit., 359): la fiducia è un “fidei committere”, ma non ha nulla della sostituzione fedecommissaria vietata dall’allora art. 899 e dall’odierno articolo 692 c.c.

[25] Per la numerosa giurisprudenza sull’attuazione della fiducia vedasi la casistica riportata da M. LUPOI, Il Contratto di affidamento fiduciario, cit., 163 e ss.

[26] V. FEDELI, Gli usi e l’interpretazione del testamento: i modelli francese ed italiano a confronto, in Eu. e dir. priv., 1999, 216 e ss., la quale, sulla base di valutazioni di ordinamenti stranieri e di assonanze tra disciplina del testamento e della donazione nel codici civile italiano e «considerato che usi si risolvono … in una serie di comportamenti di fatto»conclude nel senso che «non dovrebbe essere precluso al giudice di servirsene in sede interpretativa ai fini di una più penetrante ricerca della volontà del testatore, così come gli è consentito dare ricorso a qualsiasi mezzo di prova, quali altri testamenti nulli o revocati e anche semplici progetti di testamento o dichiarazioni verbali rilasciate, dopo la stesura della scheda, per precisarne il contenuto, nonché alla prova per testimoni e per presunzioni» (V. FEDELI, op. cit., 240, dove richiama, in senso conforme, anche giurisprudenza risalente in Cassazione n. 458 del 20 gennaio 1974 e numero 2516 del 20 novembre 1949). Ogni tanto, però, anche i cosiddetti moderni si ricordano che da qualche parte esiste ancora la consuetudine come fonte del diritto e così in una mesta (perché poco nota) sentenza di merito si trova quello che ormai è difficile trovare nei proclami scolastici, e cioè che: «In tema di sepoltura, quando non risulta alcuna espressa volontà testamentaria del defunto, opera in via sussidiaria il diritto dei congiunti di provvedere alla destinazione della salma con prevalenza dello "ius coniugi" sullo "ius sanguinis" e di questo sullo "ius successionis". Tale diritto, pur non essendo precisato in disposizioni di legge, trova il suo fondamento in un'antica consuetudine conforme al sentimento comune ed alle esigenze di culto e di pietà per i defunti e, quando viene esercitato dai prossimi congiunti, realizza allo stesso tempo la tutela indiretta di un interesse concernente la persona del defunto e l'esigenza sociale di far scegliere ai soggetti più interessati la località e il punto da essi ritenuti più adatti a manifestare i loro sentimenti di devozione e di culto verso il prossimo parente defunto» (Tribunale Velletri, sez. I, 01 marzo 2019, in Banca Dati “Studio Legale LeggiD’Italia.it”). La consuetudine non è il diritto vivente, quasi che il diritto decida da solo cosa dire e fare, col pericolo che, se fosse troppo vivo, coi balzani tempi che corrono potrebbero riconoscergli anche il diritto all’eutanasia: il diritto comune, che potrebbe essere erroneamente accostato al diritto vivente, è ben altra cosa, ed è, piuttosto che la istantanea produzione di norme velleitarie, il prodotto di un ordinamento maturo la cui fonte principale è la consuetudine (nei “pays de droit coutumier” Carlo VII nel 1454 avvio una raccolta delle consuetudini nei pays coutumier, avviando una poderosa opera di classificazione e normazione di diritto comune che confluì in 60 coutumes generales e 300 coutumes particolari: si veda lo studio di M.S. TESTUZZA, L’Europa del diritto e le sue fondazioni. Ius commune, droit commun, common law tra medioevo ed età moderna, in I Quaderni europei (collana online sul sito http://www.lex.unict.it/cde/quadernieuropei/giuridiche/19_2010.pdf), 2010, n. 20, dove emerge un tratto di unione tra le esperienze giuridiche del diritto consuetudinario nel periodo che va dal X secolo al XV secolo in Europa). Per quel che riguarda più direttamente la tesi seguita nel testo, di impiego degli usi ai fini della integrazione del testamento, l’accostamento tra consuetudine normativa ed usi negoziali, in quanto coesi da una sostanziale identità strutturale, si trova anche in A. PAVONE LA ROSA, voce “Consuetudine”, in Enc. dir., vol. IX, 516, nota 15.

[27] C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1948, 286.

[28] Dovrebbe, ma non sempre lo è, poiché l’applicazione che si fa dell’art. 458 c.c. è astretta tra dogmi tralatici ed impiego della sola lettera della norma, al di fuori di ogni considerazione della funzione del divieto.

[29] Già L. COVIELLO JUN., Capacità di succedere a causa di morte (voce), in Enc. dir., 1960, 59, e G. GROSSO e A. BURDESE, Le successioni  Parte Generale, in VASSALLI (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Volume XII, t. 1, Torino, 1977, 108 e ivi citazioni nota 23, F. MESSINEO, op. cit., 148, il quale parla, in termini di diritto e non di mera aspettativa, del tema della posizione della pluralità di nascituri.

[30] È infatti anche possibile che vengano chiamati nascituri provenienti da stirpi diverse (G. GROSSO – A. BURDESE, op. cit., 109)

[31] Vedasi in tema di donazione A. TORRENTE, op. cit., 194, il quale dice che la «situazione del concepito è, invece [rispetto a quella del non concepito / n.d.a.], differente. Il nascituro è già una spes hominis», ma anche, con specifico riferimento alla chiamata ereditaria ed a titolo di legato, G. GROSSO – A. BURDESE, op. cit., 104 e 112.

Nel senso del testo, invece L. FERRI, Sub. Art. 462Disposizioni generali sulle successioni, in SCIALOJA – BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile, Libro secondo – Delle successioni, Bologna, 1965, 129 dove è dato leggere che mentre la «dottrina dominante tende a differenziare nettamente il caso del nascituro concepito da quello del non concepito», per l’Autore essa non può «essere seguita su questo terreno» ed in particolare osserva che «se la delazione è quel fenomeno per cui l’eredità è messa a disposizione e, nel contempo, tenuta unita, in attesa che qualcuno (l’erede) la faccia propria, non vediamo ostacoli di ordine logico o pratico ad ammettere che ciò possa avvenire a favore di “ancora non è”, in attesa che “sia”» (ID., op. cit., 129 e 130), G. CAPOZZI, in FERRUCCI – FERRENTINO (a cura di), Successioni e Donazioni, tomo I, Milano, 2015, 164, che accomuna le due ipotesi ravvisando per entrambe una fattispecie a formazione progressiva.

[32] Si parla espressamente di aleatorietà in G. GROSSO – A. BURDESE, op. cit., 111.

[33] È in Torrente (A. TORRENTE, op. cit., 192) che mi è offerto lo spunto per la riflessione di cui nel testo, distinguendo tra qualificazione della fattispecie e perfezionamento (o completamento) della fattispecie e, in tema di eredità e legato; posizione simile anche in G. CAPOZZI, op. loc. ult. cit., che più direttamente parla di fattispecie a formazione progressiva; rilievi nella stessa direzione anche in F. MESSINEO (F. MESSINO, op. cit., paragrafo 183, pagina 149) dove riferimenti alla teoria del negozio anticipato affermandosi che «altri applica la figura del c.d. “negozio anticipato” (retro & 35, n.7); ciò, nel senso che, dell’istituzione deve beneficiare un soggetto inesistente, anzi neppure concepito; e tuttavia, per disposto di legge, l’istituzione è valida, anche se momentaneamente inefficace».

[34] G. CAPOZZI, op. cit., 167: «La possibilità che il nascituro (concepito o non concepito) sia chiamato ad una successione ha posto al legislatore il compito di individuare forme adeguate di conservazione dei rapporti giuridici nell’attesa della nascita. In particolare, l’attribuzione di diritti a favore dei nascituri costituisce, come è stato autorevolmente osservato, un centro autonomo di rapporti giuridici in previsione e in attesa della persona». Con riguardo alla donazione in favore di nascituri non concepiti, si è affermato (M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, cit., 268) che «si tratta allora di un contratto in forza del quale il donante si obbliga a preservare il valore della donazione … Spirito di liberalità, dunque, e potrei forse dire “spirito di liberalità assicurato”, laddove negozi assicurativi sono quelli che guardano al conseguimento di vantaggi nel futuro e si adoperano per renderli possibili» ed altresì (M. LUPOI, op. ult. cit., 269) che «esiste tuttavia un soggetto che sarà necessariamente proprietario del bene donato e questo rende manifesto che il donante, rimasto proprietario ed amministratore, è un proprietario nell’interesse altrui».

[35] U. SACCHI, voce “Nascituri”, in ASCOLI – FLORIAN (diretta da), Enc. giur., Milano, vol. XI, parte prima, 29.

[36] Il percorso storico dell’interferenza tra il tema del fedecommesso e quella della istituzione di nascituri non concepiti si trova ben svolto nello scritto di U. SACCHI, op. loc. ult. cit., 7 e ss. e denota che nel corso di tutte le epoche a rispondere al fondamento psicologico e sociale di favorire i nascituri anche non concepiti i legislatori o mantennero le possibilità delle vocazioni fedecommissarie anche in forma sostitutiva, oppure sancirono la legittimità di disposizioni dirette formate sia per atto tra vivi che per atti di ultima volontà nell’interesse dei nascituri medesimi, ponendo però dei limiti al fine di impedire che troppo a lungo rimanessero incerti e vincolati i diritti in tale modo costituiti (in tal senso vedi ancora U. SACCHI, op. loc. ult. cit., 20), dimostrando che si tratta di istituti che nella storia dell’umanità hanno avuto uno svolgimento progressivo e lunghissimo, circostanza questa che fa dedurre che non si tratta di istituti sui generis, quasi istituti aberranti dall’organismo generale del diritto degli Stati, bensì di istituti che anche oggi possono trovare adeguata collocazione e cittadinanza, sino a svolgimenti pratici spesso ignoti, nel nostro ordinamento, tanto da non essere necessario rintracciarne i connotati strutturali in altri istituti (ad esempio come chi pensa di trovare somiglianze con la vocazione condizionale (dice U. SACCHI, op. loc. cit., 24 e ss.: «La ammissione però nel sistema giuridico di istituti sui generis, analoghi ma diversi da altri e da questi indipendenti, è cosa sempre pericolosa. Ciò sarebbe lecito infatti solo quando si fosse di fronte ad istituzioni nuove, nascenti per servire alle mutate contingenze della vita sociale e scaturenti come produzione sporadica da quel diritto in potenza che lentamente va formandosi nell’anima collettiva prima di palesarsi nella coscienza scientifica: quando invece – come nella specie – si studiano istituti i quali nella storia ebbero uno svolgimento progressivo e lunghissimo, il considerare alcuno di essi come autonomo ed aberrante dall’organismo generale è facilmente indice di comprensione errata per indagine poco profonda»).

[37] Esclude la sostituzione al nascituro non concepito che sia non nato o che sia premorto al testatore F. MESSINEO, op. cit., 159.

[38] Si apre, qui, il tema se chi detiene il bene nell’interesse altrui sia o meno erede (se non diversamente qualificato dal testatore): poiché la centralità che vedo è nel programma e nel modo di essere della proprietà che da quel programma è conformata, non vedo difficoltà alla qualificazione in termini di erede di colui che è titolare dei beni in attesa della nascita dei beneficiari, salvo verificare come applicare la disciplina della responsabilità per i debiti dell’eredità in riferimento alla necessaria separazione patrimoniale derivante dall’affidamento fiduciario per i beni del fondo affidato. Per il tema analogo della questione circa la qualifica o meno del trustee quale erede nel caso del trust testamentario, e per una conclusione come quella qui appena accennata, si veda G. F. CONDÒ, Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di successione, in Trusts, 2008, 4, 357. Nel diritto romano – a partire dall’epoca classica – il senato consulto Trebelliano (dell’anno 56 Dopo Cristo) ed il senato consulto Pegasiano (tra il 69 e 79 Dopo Cristo circa) cominciarono a concorrere e si creò un sistema per il quale al fidecommissario ed al fiduciario era attribuita la veste di coeredi, e questo sistema di qualificazione per così dire “mista” fu abbandonato solo in epoca giustinianea (cioè dopo circa 300 anni) (al riguardo spunti in U. SACCHI, voce “Nascituri”, in Enc. giur., Milano, Vol. XI, Parte Prima, 11; rilievi più approfonditi in G. LA PIRA, Istituzioni di diritto romano, in GIUNTI (a cura di), La fondazione romanistica: scritti di storia e di diritto romano di Giorgio La Pira, Firenze, 2019, 1260 e ss.).

[39] La locuzione è impiegata in G. GROSSO – BURDESE, op. cit., 103

[40] Le varietà della prassi possono essere molteplici. Nel corpo del testo mi riferisco al caso in cui il passaggio dell’utilità al beneficiario non viene programmato come da effettuarsi al nascere del primo non concepito, ma al verificarsi del decorso di un termine o di un evento (ad esempio il testatore può istituire i nascituri, anche non concepiti, da suo figlio Tizio e dall’estraneo Sempronio, precisando che l’attribuzione ai beneficiari avverrà al momento in cui Sempronio non potrà più avere figli: fino a quel momento i beni da attribuire saranno soggetti all’amministrazione – dinamica come vedremo nel testo – che porterà a quantificare l’oggetto del diritto in base al decorso del tempo ed alla gestione che se ne faccia in quel tempo).

[41] Non sono condivisibili (o, per meglio dire, non sono condivisibili per tutte le variegate ipotesi che possono presentarsi nella pratica) le opinioni di quella dottrina che, in relazione all’istituzione di erede (F. MESSINEO, op. cit., 148, il quale parla di fenomeno opposto all’accrescimento, cioè di decremento man mano che nascono gli altri chiamati), o anche in relazione alla disposizione a titolo di legato (G. CAPOZZI, op. cit., 172), reputano che i nati non hanno più una mera aspettativa sul tutto, bensì un diritto vero e proprio ed attuale, anche sulla parte che possa eventualmente spettare agli ancora “non – nati”, risolutivamente condizionato alla nascita degli altri: è vero che la posizione giuridica dei nascituri non è di mera aspettativa, ma di diritto soggettivo (anche per i non concepiti), tuttavia la posizione che acquistano, se il testatore ha inteso operare in un certo qual modo, non è di attribuzione istantanea alla nascita, del diritto sul bene, ma diritto all’adempimento da parte del fiduciario delle obbligazioni fiduciarie nella gestione del patrimonio destinato. Vi possono essere casi in cui la vicenda si chiude come ipotizzano Messineo e Capozzi, ma non è di questo che ci occupiamo per soddisfare l’interesse che il nostro testatore ci ha chiesto di accudire con la sua richiesta che ha dato luogo a questo scritto.

[42] Così G. CAPOZZI, op. cit., 96 e 97, il quale, parlando dell’amministrazione dei beni nel periodo tra l’apertura della successione e l’acquisto dell’eredità, dopo aver premesso che i «titolari di questa amministrazione possono distinguersi in due categorie, a seconda che essi abbiano solo il potere ovvero l’obbligo di amministrare; in questa seconda ipotesi ricorre la figura dell’ufficio di diritto privato», conclude nel senso che il caso della «istituzione di nascituri non concepiti» rientra nella categoria delle ipotesi di amministratori non titolari di un ufficio di diritto privato, con ciò però a mio parere contraddicendo la premessa che lo stesso Autore si era data ricordando che in tutti questi casi (curatore dell’eredità giacente, erede condizionale, istituito nascituro) «il legislatore, al fine di conservare al patrimonio ereditario la sua destinazione, ha creato un sistema di amministrazione, relativamente al periodo che corre tra l’apertura della successione e l’acquisto da parte dell’erede» (ID., op. ult. cit., 96), e che lo porta persino, in altro luogo (ID., op. ult. cit., 167) a parlare, proprio per il caso dei nascituri, e senza ivi far distinzione tra concepiti e non concepiti, del configurarsi di un centro autonomo di rapporti giuridici. E, infatti, non è possibile distinguere (come invece sembrerebbe fare Capozzi), in punto di qualificazione delle posizioni spettanti agli amministratori dei beni destinati ai nascituri, tra chi è amministratore per i non concepiti (per i quali vale l’individuazione operata dall’art. 642 c.c.) e chi lo è per i concepiti (i genitori, ai sensi dell’art. 643 comma secondo c.c.), in quanto il rinvio alle norme sulla curatela dell’eredità giacente vale per ambedue le figure di amministratori.

[43] In tal senso A. CICU, Successioni per causa di morte – Parte generale – Delazione e acquisto dell’eredità, in CICU MESSINEO (diretto da), Trattato di dir. civ. comm., Milano, 1954, 55, il quale ne deduce la conseguenza che i chiamati in sostituzione, cui l’art. 642 c.c. attribuisce l’amministrazione dei beni per i casi di istituzione sotto condizione sospensiva e in ipotesi di istituzione di nascituri, sono amministratori e non curatori (nonostante il rinvio all’art. 528 c.c.) «perché chiamati per un interesse proprio» (A. CICU, op. cit., 140 e 141 ed ivi nota 48): sennonché che costoro siano, in tutti i casi (anche per l’ipotesi di nascituri) siano chiamati solo per un interesse proprio sarebbe il punto da dimostrare e non da dare per presupposto, cosa che può essere controvertibile come si dimostra nel testo. La ripartizione che vede nell’amministratore del patrimonio ereditario destinato ai nascituri non concepiti un amministratore nell’interesse proprio, ovvero privo dell’ufficio di diritto privato, è divenuta quasi di maniera nella trattatistica in materia di successione (di recente si vedano, ad esempio, G.L. DE ANGELIS – S. UTTIERI, Natura giuridica, funzioni e durata dell’ufficio di esecutore testamentario, in Notariato, 2018, 6, 617).

[44] Vedi M. LUPOI, Il Contratto di affidamento fiduciario, cit., 437 e ss.

[45] Con riferimento alla sola amministrazione dell’eredità giacente, invece, vi è chi ritiene che nel caso in cui chiamato alla successione sia un minore soggetto a potestà non si pone né il problema dell’applicabilità dell’articolo 320 c.c. né della necessità del parere del giudice tutelare di cui all’art. 747 c.p.c., ciò in quanto i beni ereditari non possono considerarsi né pervenuti né appartenenti alla sfera giuridica del minore (in dal senso E. DELLE VENERI – R. DESTINO, La volontaria giurisdizione, Napoli, 2004, 106 ove citazioni di altra dottrina conforme).

[46] In dottrina, per la possibilità di applicare l’art. 356 c.c. anche ai nascituri, siano concepiti o non concepiti, si veda G. SANTARCANGELO, La volontaria giurisdizione, Vol. 2, Istituti a protezione degli incapaci, Milano, 2003, 793. Critici, invece, A. SPATUZZI, La curatela speciale di cui all’art. 356 c.c.: regime eccezionale nel sistema degli istituti a protezione di incapaci, in Dir. fam. pers., 2015, 321 e G. CARLINI, La figura del curatore speciale ai sensi dell’art. 356 c.c., in Riv. not., 2002, 3, 595.

[47] La Corte di Cassazione (Cassazione 13 marzo 1972, n. 730, in Foro it., 1972, 1569 e ss.) si espresse su un caso di istituzione in favore di nascituri non concepiti, nascituri di persona vivente la quale al momento dell’apertura della successione era ancora nella minore età, e nella massima è dato leggere quanto segue: «Nell’ipotesi di istituzione di nascituri non concepiti di una determinata persona vivente, che sia minore di età, la rappresentanza dei nascituri spetta al rappresentante legale della persona vivente dei cui nascituri si tratta, ma, ove il testatore abbia nominato al minore un curatore speciale per l’amministrazione dei beni ad esso lasciati, ai sensi dell’art. 356 c.c., spetta al curatore».

[48] La detta curatela è soggetta, peraltro, alla regola del suo venir meno, naturalmente, al raggiungimento della maggiore età del nascituro ormai nato, nel qual caso è necessario apprestare una prosecuzione dell’ufficio del fiduciario, prima individuato nel curatore, al fine della realizzazione del programma: la soluzione potrebbe trovarsi nella nomina di un esecutore testamentario a termine iniziale dall’avvenuto raggiungimento della maggiore età.

[49] Ed in tal senso confronta la Cassazione del 1972 sopra citata.

[50] Sul punto mi sembrano condivisibili gli argomenti spesi da A. SPATUZZI, op. loc. ult. cit., il quale sostiene: «come l'autonomia del disponente conosca, in questa sede, dei limiti invalicabili, segnati dall'inderogabilità di alcuni principi di legge. In tale direzione sarebbe, ad esempio, illegittima quella disposizione testamentaria con cui si dispensi la gestione del curatore da ogni controllo giudiziario, compreso quello preordinato alla tutela di terzi diversi dal beneficiario. La mente corre all'art. 747 c.p.c., che, a fronte dell'alienazione di beni ereditari pervenuti all'incapace, prescrive l'autorizzazione del giudice delle successioni per la protezione non solo degli interessi di questi, ma particolarmente di quelli dei creditori ereditari e dei legatari. Si tratta, in verità, di precetto della cui innegoziabilità può trarsi ratifica dalla stessa lettera dell'art. 356 che accorda, sì, spazio di deroga, ma solo per le autorizzazioni di cui agli artt. 374 e 375 c.c.».

[51] Vi è chi (G. GROSSO – A. BURDESE, op. cit., 113) applica, sulla scorta che il legato si acquista in automatico, la disciplina della donazione ai nascituri di cui all’articolo 784 comma terzo c.c.: con la conseguenza che all’apertura della successione il concepito, attraverso i propri genitori, farebbe già propri i frutti; mentre il non concepito non avrebbe diritto ai frutti, se non dal giorno della sua nascita; per entrambi l’amministrazione, non essendo possibile applicare l’art. 784 poiché il disponente è defunto, sarebbe in capo al genitore esercente la potestà, ai sensi dell’art. 320 c.c. con esclusione di qualsiasi rilievo dell’art. 642 c.c.

[52] Sulla figura e le funzioni dell’esecutore testamentario si veda G. VICARI, L’esecutore testamentario, in RESCIGNO (diretto da), Trattato breve delle successioni e donazioni, Vol. I, seconda ed., Milano, 2010, 1307 e ss.

[53] Correttamente, a parere di chi scrive, la Cassazione ha, infatti, affermato che: «Le funzioni dell'esecutore testamentario non cessano, dopo un anno dall'accettazione della nomina. Tale limitazione temporale è posta dalla legge (art. 703, comma 3, c.c.) per il solo possesso dei beni ereditari, non anche per l'amministrazione degli stessi da parte dell'esecutore testamentario, la cui gestione deve durare, salvo contraria volontà del testatore, fino a quando non siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto (artt. 703 e 709 c.c.)» (in Quotidiano Giuridico, 29 giugno 2016; in Giur. it., 2017, 2, 325 ss., con nota di E.A. EMILIOZZI, Il "possesso" dei beni ereditari e la funzione di esecutore testamentario; in Fam. e dir., 2016, 1119, con nota di G. BONILINI, Sulla durata dell'ufficio dell'esecutore testamentario). Rilievi, in particolare per il concreto operare nella professione notarile, in G.L. DE ANGELIS E S. UTTIERI, Natura giuridica, funzioni e durata dell’ufficio di esecutore testamentario, in Notariato, 2018, 6, 617, dove si traggono istruzioni operative in tema di esecuzione di contratto preliminare immobiliare affermandosi che l'esecutore testamentario conserva la legittimazione ad intervenire in un atto di compravendita immobiliare e a rendere le relative dichiarazioni urbanistiche «anche oltre la scadenza del detto termine [703 c.c./n.d.r.] e indipendentemente dal se le operazioni propedeutiche alla stipula dell'atto siano o meno iniziate prima di tale momento»

[54] Così, tra gli altri, G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., tomo II, 1093 e 1094. Invece in giurisprudenza non risultano molti precedenti in banche dati: una risalente Pretura di Roma sembra negare la prevalenza della figura dell’esecutore testamentario enunciata da me e dalla dottrina (si veda Pretura Roma, 28/11/1973, in Temi Romana, 1976, 91, secondo la quale «Nella giacenza dell'eredità e fino a che non sia intervenuta la sua chiusura non è ipotizzabile alcuna concorrenza tra l'esecutore testamentario e il curatore dell'eredità giacente il quale è il responsabile della gestione dei beni ereditari ed ha i pieni poteri di amministrazione sotto il controllo del giudice» e «in tal caso, inoltre, ove vi sia la nomina di un esecutore testamentario, le funzioni di questi rimangono sospese e la sua accettazione deve ritenersi senza effetto e i termini e i limiti di legge previsti per la figura dell'esecutore rimangono sospesi fino a che non vengano consegnati a costui i beni ereditari» in Temi Romana, 1976, 91)

[55] In tal senso esattamente G. VICARI, L’esecutore testamentario, cit., 1323

[56] Il tema della prevalenza dei poteri dell’esecutore rispetto a quelli dell’erede, anche per gli atti di straordinaria amministrazione, e della possibilità di operare anche senza autorizzazione giudiziale, è un tema che si lega al modo di essere della situazione dominicale dei beni che sono soggetti alla esecuzione programmata sotto l’egida dell’esecutore testamentario, e da esso trae direzioni di soluzione: infatti la destinazione dei beni alla soddisfazione degli interessi cui è rivolta l’esecuzione del programma, in una con le caratteristiche di ambulatorietà ed instabilità della relazione dominicale, genera quella separazione patrimoniale tipica del trust che a sua volta rende l’agire di chi questo patrimonio deve curare come funzionale allo scopo; poco importa se l’agire sia in capo all’erede o all’esecutore (se nominato), ciò che rileva è che esso è direzionato alla soddisfazione dell’interesse divisato col programma, di talché anche qualora sia l’erede il soggetto individuato per la gestione in vista dell’interesse (potendo egli stesso essere nominato esecutore) il suo agire in veste di fiduciario ha preminenza e preferenza sul suo agire quale mero erede. Scrive M. LUPOI: «Quanto l’esecutore ha preso dall’asse, direttamente o previa alienazione di cespiti, diviene l’oggetto del legato in favore dei nipoti: ne consegue che la somma “appartiene ai nipoti legatari” (inclusi gli eventuali nascituri), non più all’erede, né, evidentemente, all’esecutore» (M. LUPOI, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, Milano, 237). La questione è chiaramente poco teorica e molto pratica e il tema della separazione patrimoniale fu sentito anche durante i lavori preparatori al Codice, tanto che la Commissione Reale discusse dell’opportunità di introdurre una norma che, in caso di nomina di esecutore testamentario, limitasse espressamente il potere di disposizione dell’erede e prevedesse, inoltre, l’impossibilità per i creditori dell’erede di agire sui beni dell’eredità – anche qualora non fosse stata chiesta la separazione ai sensi dell’art. 512 c.c. – col disegno quindi dell’idea di un effetto separativo derivante dalla destinazione al servizio dell’esecutore, che anticipava le idee contemporanee sulla separazione da destinazione (notizie su questo progetto della Commissione Reale sono in G. VICARI, op. ult. cit., 1322 ed ivi nota 56).

[57] In ciò facendo applicazione di quell’autonomia del testatore che sopra si è vista spaziare nell’elasticità dell’art. 356 c.c.

[58] Nel primo senso, per la “fine”, dell’ufficio G. CAPOZZI, op. cit., 1091; per l’altra opinione spunti si possono trarre in G. MUSOLINO, L’esecutore testamentario. Profili sostanziali e procedurali, in Nuova giur. civ., 2008, 11, 2373, dove si legge (peraltro restringendo, sotto altro profilo, le ipotesi di sostituzione) che «Al di fuori dei casi espressamente previsti dall'art. 710 c.c., non è ammissibile la domanda di sostituzione dell'esecutore testamentario con altra persona non designata dal testatore».

[59] Vi sono fari indici di ciò: oltre al citato articolo 710 c.c. ove espressamente si parla di fiducia che dà luogo ad obblighi la cui violazione portano all’esonero (con sostituzione dell’esonerato, secondo la ricostruzione che ritengo preferibile), si può ricordare il comma 2° dell’art. 707 c.c., il quale, con la previsione della consegna dei beni ereditari all’esecutore, non sarebbe giustificato se l’esecutore non potesse direttamente eseguire le disposizioni testamentarie attraverso l’adempimento dei legati o il pagamento dei crediti, norma, quella dell’articolo 707 comma secondo, nella quale il riferimento ad obbligazioni che l’esecutore deve adempiere conformemente alla volontà del testatore è espresso e, in una con il dato letterale della fiducia di cui all’art. 710, fa collocare queste obbligazioni nel genus delle obbligazioni fiduciarie. Spunti in tal senso in G. VICARI, L’esecutore testamentario, op. cit., 1322.

[60] La delazione è immediata, mentre l’acquisto sarà alla nascita, e, inoltre, in questo caso, sarà dopo la nascita ed al verificarsi dell’evento che riterrà l’amministratore: si veda, per la distinzione dei momenti tra delazione ed acquisto, L. FERRI, op. cit., 130 ed ivi nota 1.

[61] Vedi M. LUPOI, op. cit.

[62] Ovviamente sempre che nel frattempo si siano verificati gli eventi cui il programma subordina l’esplicarsi dell’efficacia dell’attribuzione

[63] Le clausole sono state attinte tutte direttamente dal capitolo relativo ai legati ai nipotini studiosi che trovasi nel testo di M. LUPOI, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, Milano, 2018, 235 e ss.): molte di quelle qui riprodotte si trovano alle pagine 245 e ss. Ringrazio il Professor Lupoi per l’uso che mi ha consentito delle sue clausole, e preciso, perché a lui non sia associato un demerito solo mio, che alcune sono state in buona parte da me modificate.