Rule of law e normativa antiriciclaggio
Premessa
Nel breve tempo a mia disposizione mi limiterò ad inserirmi nel dibattito, con “occhio chiaro e con affetto puro”, per usare l’espressione dantesca, al fine di esporre in modo sintetico un dato di esperienza ed esprimere due modeste considerazioni di critica logica, prima che di dissenso nel merito, sul modo in cui viene oggi interpretata ed applicata la disciplina sanzionatoria nei confronti dei professionisti in materia di antiriciclaggio.
Un dato di esperienza
Il dato dal quale partire è la non sostenibilità da parte dei singoli notai e del Notariato nel suo complesso degli importi delle sanzioni comminate. Le sanzioni stabilite da alcuni recenti decreti sanzionatori vanno da centomila o duecentomila euro fino a un milione seicentomila euro. In un caso 80.000 euro di sanzione in relazione ad un contratto di affitto di azienda, per il quale l’onorario percepito dal notaio era inferiore ai mille euro. L’importo medio delle sanzioni, comunicato dal Mef, è di 77.000 euro.
Sono cifre spropositate anche allo sguardo sereno ed obiettivo di qualunque persona di buon senso e stupisce che questo semplice dato non abbia sin qui indotto i responsabili degli uffici del Mef preposti a queste attività a qualche ripensamento o al dubbio se tale sproporzione delle sanzioni sia conforme all’interesse pubblico che dovrebbe perseguire l’amministrazione. Quanto meno nei casi in cui la sanzione appare palesemente ingiusta, perché colpisce pesantemente mancanze formali o prive di reale offensività, quando addirittura non deborda in irragionevole responsabilità oggettiva, peraltro nociva alla qualità stessa della prestazione del notaio-pubblico ufficiale.
Una critica logica all’apparato sanzionatorio
La prima considerazione riguarda il procedimento logico. È ragionevole per lo Stato chiedere la collaborazione ad un professionista/pubblico ufficiale[[1]], che non fa di mestiere l’investigatore (e dunque non è attrezzato sul piano logistico e culturale per simili attività), imporgli un ampio dovere di verifica che si sostanzia in un processo composto dal succedersi di molteplici adempimenti descritti nell’art. 18 del d.lgs. n. 231 del 2007 e poi, in luogo di compensarlo con un riconoscimento sociale oppure materiale come un credito d’imposta, punirlo in modo severo, se non irragionevole, se il risultato del procedimento di valutazione del rischio che gli viene imposto non è conforme alle aspettative che ha l’organo amministrativo preposto alle sanzioni?
È noto che l’interprete, ogni interprete, tanto il professionista quanto chi sanziona, è tenuto al rispetto della Rule of law, da tradursi in italiano come “primato del diritto”.
Ciò implica che ogni interprete deve procedere dal problema al sistema e non viceversa, cogliendo le peculiarità di quel singolo irripetibile fatto e collocando l’individuazione della disciplina in un sistema ordinamentale costituito non soltanto da regole dettagliate in una circolare, ma anche da principi normativi, presenti nel nostro ordinamento costituzionale ed europeo, quali il principio di ragionevolezza e quelli di adeguatezza e proporzionalità.
Il richiamo alla Rule of law ci riporta al concetto di giustizia del diritto che rappresenta l’unico antidoto culturale alla pericolosa deriva del nichilismo, che tutto vorrebbe ridurre alla ratifica procedurale dei rapporti di forza tra P. A. e “soggetti obbligati”[[2]].
Ricordo, ma ritengo che si tratti di patrimonio comune, che la giustizia è predicato necessario del diritto, condizione ineludibile del diritto come valore, al punto che il diritto non è pensabile come scisso dalla giustizia. Per tale ragione i principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità hanno oggi assunto un ruolo fondativo (di Grundnorm) nel sistema italo-europeo delle fonti.
In conclusione non parrebbe conforme al principio di ragionevolezza imporre una prestazione intellettuale che ha per oggetto valutazione e poi sanzionare i risultati di tale valutazione discrezionale, legislativamente rimessa al soggetto obbligato, sulla base di un’interpretazione rimessa all’organo di controllo.
Accertamenti tecnici e valutazioni di merito
La seconda considerazione riguarda il merito del problema. La massima “in claris non fit intepretatio” confonde il punto di partenza con il punto di arrivo. Lungi dall’essere precondizione garantita, la chiarezza è il risultato di un procedimento intellettuale, che è appunto il procedimento interpretativo, sì che un testo che sulla carta o alla luce dell’esperienza applicativa sembra chiaro, può oscurarsi di fronte alla provocazione di un nuovo caso[[3]]. Non si può infatti trascurare che ogni atto di comprensione è interpretazione[[4]].
Il carattere prescrittivo di un testo normativo (una legge, una circolare, un contratto) non è legato al significato storico - reale di quel testo ma è il risultato del prodotto dell’interpretazione/applicazione cioè della funzione dell’interprete.
La comprensione non è atto passivo, ma azione e costruzione.
Sulla base di questa premessa epistemologica, si esclude, per comune opinione, che le scelte di merito dell’amministratore di una società siano sindacabili dal giudice (Business judgment rule) o che un funzionario pubblico o il giudice sia sanzionabile per errore nella valutazione dei fatti o nell’interpretazione della legge.
Come è noto, nel diritto amministrativo si è soliti distinguere tra accertamenti che hanno per oggetto rilevazioni a carattere del tutto obiettivo (es. attribuzione della classe catastale) che si esauriscono nella mera ricognizione degli elementi ai quali la norma attribuisce rilevanza a certi fini e che dunque non richiedono un’elaborazione intellettuale (c.d. accertamenti tecnici) e accertamenti che richiedono invece una valutazione intellettuale (c.d. valutazioni tecniche).
Questa seconda categoria, che è percorsa nei tanti studi dedicati alla c.d. discrezionalità tecnica, ha l’obbiettivo di sciogliere un’incertezza (es. la presenza o la pericolosità di una malattia, il carattere culturale di un bene, la pericolosità di una sostanza, il rischio di riciclaggio), implica “decisioni” contrassegnate da margini di opinabilità[[5]] e quindi non suscettibili di generare responsabilità nel funzionario amministrativo ad esse preposto, salvo il caso di dolo o colpa grave.
Altrettanto dovrebbe valere per il notaio che abbia ritenuto, nell’ambito di un approccio legislativamente previsto come risk based, e dunque rimesso alla valutazione discrezionale del notaio, una specifica vicenda a basso rischio di riciclaggio oppure non abbia effettuato la Segnalazione di operazione sospetta[[6]].
Se i fatti fossero univoci si potrebbe anche ricorrere al sillogismo della sussunzione di tipo logico del fatto nella disposizione sanzionatoria[[7]].
Ma il presupposto non regge alla critica. I fatti da indagare per la valutazione del rischio di riciclaggio sono accadimenti problematici che vanno inseriti in un contesto che è quello della stipula, che vede il notaio confrontarsi con soggetti che probabilmente non ha mai incontrato prima e probabilmente non rivedrà in seguito.
Interpretare i fatti ed il diritto è un atto umano, un atto collocato in un contesto specifico, sociale e professionale, un atto storico. In quanto tale è sempre suscettibile di risultati interpretativi diversi. A differenza della matematica.
Chi interpreta le valutazioni del notaio, verifica a posteriori ed opera sulla base delle proprie pre-comprensioni, che non scadono nel soggettivismo, ma possono portare a valutazioni assai diverse. E verosimilmente diverse saranno le valutazioni di chi interpreterà in seguito quelle vicende.
In una appropriata prospettiva metodologica è necessario ricondurre il procedimento conoscitivo (l’interpretazione e la valutazione dei fatti e delle norme) alle polarità del soggetto interpretante e dell’oggetto interpretato e del loro reciproco relazionarsi.
La valutazione alla quale è chiamato l’organo di controllo non dovrebbe essere quindi estesa alle valutazioni di merito, alle scelte discrezionali del notaio, ma solo alla verifica del rispetto dei passaggi nella procedura seguita.
Una proposta interpretativa per una correzione di rotta in funzione di una corretta calibratura della risposta punitiva
Indubbiamente vi sono vizi di origine che rendono complesso e di difficile interpretazione il sistema di prevenzione e di contrasto, come ad esempio l’indeterminatezza dei fatti che generano responsabilità e la pretesa irrilevanza delle diverse funzioni svolte dai soggetti obbligati che richiederebbero, invece, opportune distinzioni[[8]], cioè uno statuto normativo differenziato e una specifica disciplina.
La conclusione, tuttavia, parrebbe nel senso che probabilmente non occorre una nuova circolare, oppure un nuovo intervento legislativo, che riporti la materia al primato del diritto, e circoscriva i controlli, salvo i casi di dolo o colpa inescusabile, al rispetto della procedura e non agli esiti interpretativi delle valutazioni di merito.
Basterebbe rottamare l’approccio punitivo verso i notai, tenere conto delle specificità delle singole vicende e dei diversi ruoli professionali, per riportare l’interpretazione/applicazione del sistema delle sanzioni antiriciclaggio alla Rule of law.
Basterebbe recuperare l’antica prudentia iuris, attraverso una interpretazione che, attraverso una corretta prospettiva metodologica, consenta di superare una impostazione di stampo formalistico e irragionevolmente punitivo per raccordare l’astrattezza dei principi di proporzionalità ed adeguatezza con la concretezza della realtà storica[[9]].
Con il ragguardevole risultato per lo Stato di ricondurre i notai al ruolo di preziosi alleati, in un rapporto di collaborazione biunivoca e complementare, secondo un’antica, lungimirante ed egregia tradizione.
NOTE
[1] Per la necessaria messa a fuoco della figura giuridica del notaio contemporaneo, come mediatore giuridico e sociale imparziale, v. P. GROSSI, Sull’esperienza giuridica pos-moderna (a proposito dell’odierno ruolo del notaio) in G. CONTE – M. PALAZZO (a cura di), Crisi della legge e produzione privata del diritto, Milano, 2018, 31 ss. Sia inoltre consentito rinviare a M. PALAZZO, I criteri di configurazione della responsabilità civile del notaio nelle interpretazioni della recente giurisprudenza di legittimità, in Diritto del mercato assicurativo e finanziario, 2017, 1, 37 ss.; ora in ID. La funzione del notaio al tempo di internet, Milano, 2017, 121 ss.; V. anche R. LENZI, Funzione e responsabilità del notaio nell’età dell’inquietudine, in F.D. BUSNELLI (a cura di), Il diritto civile tra principi e regole, I, Milano, 2009, 605 ss.; C. CACCAVALE, Per un diritto sostenibile, in Crisi della legge e produzione privata del diritto, cit., 241 ss. Segnalano l’essenza giurisdizionale della funzione notarile, M. KROGH, Collaborazione del notaio con lo Stato alle nuove sfide della società: trasparenza dei mercati finanziari, riciclaggio, urbanistica e ambiente, Relazioni italiane al XXVI Congresso internazionale del Notariato – Marrakesh, 3-6 ottobre 2010, Milano, 2010, 111 ss.; C. LICINI, Notai. Anche nel terzo millennio? Ovvero, quale notaio nello scenario economico globale?, Milano, 2010, 67 ss. Per la giurisprudenza cfr. Cass., 2 luglio 2010, n. 15726, in Notariato, 2010, 606 ss.; Cass., 18 maggio 2017, n. 12482, in Notariato, 2017, 4, 443; Cass., 26 luglio 2019, n. 20297, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 1, 39, con nota di Faustinella.
[2] Che la strada per un recupero di efficienza alle funzioni pubbliche sia quella della valorizzazione della fiducia, più che quella dell’ipertrofia della responsabilità, lo manifesta la modifica all’art. 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, introdotta dall’art. 21 del recentissimo decreto legge n. 76 del 16 luglio 2020, con una forte restrizione della configurabilità di ipotesi di responsabilità del pubblico funzionario, la cui punibilità per dolo viene limitata al caso in cui risulti fornita la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso. Al di là della discutibile formulazione di tale disposizione, da essa emerge, con tutta evidenza, l’esito di un dibattito circa la funzionalità della Pubblica amministrazione e l’individuazione nell’eccesso di responsabilità di una delle principali cause determinative delle ampie sacche di inefficienza. In tale prospettiva merita di essere ripensata anche la responsabilità notarile, in considerazione della qualità di pubblico ufficiale del notaio, esercente una pubblica funzione e assoggettato ad un obbligo legale di prestare la propria opera e quindi posto nell’impossibilità, al pari del pubblico funzionario, di sottrarsi a possibili situazioni foriere di rischi e responsabilità.
[3] Cfr. F. VIOLA – G. ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, III ed., Roma-Bari, 2001, 117.
[4] Come insegna H.G. GADAMER, Verità e metodo. Lineamenti di un’ermeneutica filosofica, Milano, 1983, 340,
[5] Le circolari ministeriali, ad esempio, sono espressione dell’esercizio di discrezionalità amministrativa, in quanto scelgono una soluzione interpretativa, tra le molteplici astrattamente prospettabili, e si pongono, dunque, quali limiti esterni all’esercizio di poteri amministrativi discrezionali dei soggetti destinatari. Cfr. G. ABBAMONTE, Prassi e diritto nella materia amministrativa, in L. BOVE, Prassi e diritto, valore e ruolo della consuetudine, Napoli, 2008, 221.
[6] Le segnalazioni di operazioni sospette nascono da una valutazione da parte del destinatario degli obblighi antiriciclaggio, dei dati e delle informazioni acquisiti, nell’esercizio della discrezionalità riconosciutagli dal legislatore, sia direttamente dal cliente e sia eventualmente da fonti pubbliche aperte attendibili. La segnalazione è il momento finale di un iter logico seguito dal destinatario degli obblighi antiriciclaggio di una valutazione complessiva di tutti gli elementi a sua disposizione secondo un approccio complessivo, potremmo dire olistico, e non limitato al singolo dato acquisito o ad una determinata anomalia emergente.
[7] Fermo restando che l’adeguatezza dell’operato del notaio andrebbe valutata pur sempre alla stregua di criteri prognostici e non semplicemente a posteriori in base agli effettivi esiti della vicenda giuridica per la quale ha prestato la propria opera professionale.
[8] Tali incongruenze erano peraltro state ampiamente segnalate in occasione della interlocuzione degli ordini professionali con il Mef ed anche nelle audizioni parlamentari del direttore dell’Uif e nei pareri delle competenti commissioni di Camera e Senato relativamente allo schema di decreto legislativo, poi divenuto il n. 90 del 25 maggio 2017, di attuazione della IV direttiva antiriciclaggio.
[9] Sulla necessità di un’interpretazione orientata alle conseguenze, si v. autorevolmente P. PERLINGIERI, L’interpretazione attenta alle conseguenze quale ontologica necessità ermeneutica, in Le corti fiorentine, 2019, 3, 15 ss., con ampi riferimenti bibliografici, ove il rilievo che una siffatta interpretazione, «si risolve nel controllo di conformità dell’interpretazione al sistema, alla sua ragionevolezza e configura un argomentare che può giungere ad attribuire alla disposizione un significato tanto confermativo o compatibile con la sua struttura linguistica, quanto in conflitto con quest’ultima».